OUDENAARDE (Belgio) – Può sembrare strano come cosa da dire al termine di un Giro delle Fiandre così veloce, il più veloce della storia, eppure Tadej Pogacar ha dovuto sudarsi la vittoria come raramente gli è successo in precedenza. Il campione del mondo non si è potuto accontentare di un solo scatto, ma ha dovuto piazzarne un quantitativo indefinito (cinque quelli davvero incisivi) prima di poter infine staccare tutti i contendenti, che raramente negli ultimi anni sono stati così forti. Basti pensare che a un certo punto al comando del Fiandre si sono ritrovati tre campioni del mondo: Pogacar, Pedersen e Van der Poel, finiti così peraltro sul podio. Van Aert al quarto posto non ha reso certo meno nobile l’ordine di arrivo e anzi si è scrollato dalle spalle come forfora un bel mucchio di negatività. Un Fiandre così bello lo ricorderemo a lungo.
Bisogna dire che la sensazione a un certo punto è stata che Mathieu Van der Poel fosse più brillante dello sloveno, con la solita incognita di quanto gli fosse costato rientrare dalla caduta a 125 chilometri dall’arrivo. L’olandese è sempre parso in controllo e soltanto in occasione di uno degli ultimi scatti di Pogacar è parso rispondere con una insolito attendismo. Era forse la spia della riserva che iniziava a lampeggiare? Sta di fatto che quando lo sloveno ha imboccato per la terza ed ultima volta il Vecchio Qwaremont, la sua accelerazione non ha concesso scampo.
Meglio del meglio
Quando arriva da noi, dopo le telecamere, le premiazioni, le maglie da firmare e chissà a cos’altro lo hanno sottoposto dopo la vittoria, Pogacar ha lo sguardo sfinito e prega di fare presto perché ha un aereo da prendere.
«E’ difficile descrivere quanto sia grande questa vittoria – ammette – e quanto significhi per me. Non potevo immaginare che sarebbero serviti così tanti attacchi, ma ho visto che gli altri ragazzi erano ancora molto forti la prima volta che sono scattato. Ho dovuto davvero tirare fuori il mio meglio per fare rendere gara difficile e ho provato a dare tutto quello che avevo sull’ultimo Qwaremont. Non ero sicuro che sarei arrivato, fino a quando sono arrivato sulla strada principale e ho visto che dietro di me non c’era nessuno. Però ho continuato a spingere. Mathieu (Van der Poel, ndr) era molto forte, quindi non potevo giurare che non sarebbe tornato. Sapevo cosa dovevo fare e ho provato a farlo».
Una generazione di fenomeni
Gli chiediamo se si sia divertito a scattare, farsi riprendere, riscattare chiedendo cambi e tenendo in precedenza la squadra sempre in tiro. Lui osserva per un istante il vuoto, poi torna a guardare fisso e spalanca un sorriso grande così.
«Credo che abbiamo una generazione molto bella di corridori – riflette – un sacco di campioni di livello altissimo. Mi piace correre contro loro, sono grandi campioni e bravi ragazzi. Oggi è stato un giorno fantastico per loro, per i loro fan e per il mio team. E’ stato un giorno perfetto, anche se da un certo punto in poi è stato chiaro che avremmo potuto contare solo su noi stessi. In questo tipo di gara niente va mai alla perfezione. Purtroppo abbiamo perso Johnny e Tim (Narvaez e Wellens, ndr) nella caduta di Van der Poel. Non è andata perfettamente, ma alla fine ciascuno di quelli rimasti ha dato il massimo e il piano ha funzionato. Bjerg ha fatto un lavoro fenomenale oggi, penso che la maggior parte delle persone non riuscirà a capire quanto sia stato ottimo. Anche il giovane Morgado: Antonio è impressionante, sarà un grande campione e oggi ha fatto un lavoro perfetto».
Il piano di Pogacar
Il piano che ha funzionato. La frase incuriosisce. C’era un piano anche alla Sanremo, ma il percorso troppo facile lo aveva vanificato. Attaccare, attaccare, attaccare. Ma come scrivemmo nell’ultimo editoriale, quando il percorso gli offre il dislivello giusto, il piano di Pogacar difficilmente fallisce.
«Il piano era di renderla una gara difficile – spiega – di attaccare al secondo passaggio sul Qwaremont. Le cose come detto non sono andate alla perfezione, ma alla fine sono riuscito a fare la differenza. E l’abbiamo fatta nel modo giusto, senza approfittare dei problemi degli altri. Quando Van der Poel è caduto, stavano tutti lottando per la posizione, ma nessuno ha ritenuto di affondare il colpo, perché non era necessario. Ci sono stati alcuni allunghi, ma niente di incisivo. Mi sarebbe piaciuto che lo avessimo aspettato ancora, perché avrebbe significato far rientrare Wellens e Florian Vermeersch, ma poi la gara ha ripreso il suo passo».
L’effetto del Qwaremont
Si capisce che la conferenza sia agli sgoccioli, quando si comincia a parlare del tempo. Dicono che domenica alla Roubaix potrebbe piovere e questo nel clan della UAE Emirates non suona come un presagio felice. Ma in questa giornata scintillante dei colori dell’iride, non c’è nulla che possa turbare Tadej.
«Spero di avere lo stesso clima domenica prossima – dice – e che questa vittoria mi dia la sicurezza che serve. Tutta la settimana passata con i miei compagni è stata davvero fantastica e riuscire a passare da solo sul Qwaremont con così tante persone sulla strada, è stato qualcosa di incredibile. Non avevo vendette da prendermi dopo la Sanremo e anche aver staccato Mathieu in un tratto di pavé in pianura potrebbe significare poco. Oggi però ho capito che ho buone gambe in vista della Roubaix. Abbiamo anche una squadra super forte, con Vermeersch e Politt che sono già stati secondi in quel velodromo e io che sarò al battesimo. Possiamo fare un’ottima gara e non vedo l’ora che arrivi».
Gli chiedono se davvero abbia finito stanco il Fiandre. Lui strabuzza gli occhi e fa un sorriso di circostanza. Ricorda che la corsa è durata più di sei ore e che alla fine di qualsiasi gara è sempre stanco. Poi ringrazia quando gli dicono che di solito sembra più fresco. Prende e se ne va, preceduto dallo steward sul monopattino. Lo rivedremo da queste parti alla fine della prossima settimana. Poi per lui ci saranno ancora l’Amstel Gold Race, la Freccia Vallone e la Liegi. Di certo non bisogna guardare Tadej Pogacar parlando di corridori che hanno occhi soltanto per il Tour.