Lo stile Colnago ora è di casa a Abu Dhabi

28.10.2022
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Colnago si conferma uno dei brand italiani più riconosciuti e apprezzati al mondo, sinonimo da sempre del Made in Italy più autentico. Una nuova pagina della sua ricchissima storia è stata scritta nei giorni scorsi negli Emirati Arabi Uniti grazie all’inaugurazione del Colnago Abu Dhabi, il primo flagship store di casa Colnago.

Non stiamo parlando di un negozio tradizionale, ma di qualcosa di diverso e unico. Un luogo che unisce la storia del marchio all’innovazione presente nei modelli attuali, capaci di trionfare nelle corse più importanti del calendario ciclistico mondiale. Tutto ciò ora è presente in un ambiente che unisce eleganza e modernità.

Il nuovo store si trova all’interno dell’isola di Hudayriyat, caratterizzata da ben 40 chilometri di piste ciclabili illuminate. La scelta della location non è stata quindi casuale. Il nuovo flagship store mira infatti a diventare un punto di riferimento per tutti gli appassionati di ciclismo che abitano ad Abu Dhabi e non solo.

Alla inaugurazione erano presenti anche Tadej Pogacar e Safiya Al Sayegh
Alla inaugurazione erano presenti anche Tadej Pogacar e Safiya Al Sayegh

I campioni Colnago

L’inaugurazione del Colnago Abu Dhabi è avvenuta lo scorso 21 ottobre alla presenza dei campioni del brand lombardo. Stiamo parlando naturalmente degli atleti dell’UAE Team Emirates e dell’UAE Team ADQ. Le due formazioni si sono ritrovate a Abu Dhabi per una sorta di “rompete le righe” di fine stagione e hanno approfittato dell’occasione per vedere il nuovo flagship store. Non poteva mancare Tadej Pogacar, il due volte vincitore del Tour de France e dell’ultimo Il Lombardia. Con lui Juan Ayuso, reduce dal terzo posto alla Vuelta, Matteo Trentin e Joao Almeida. Per la UAE Team ADQ era presente Yousif Mirza, insieme a Sofia Bertizzolo, Laura Tomasi, Eugenia Bujak e Safiya Al Sayegh.

A destra di Mauro Gianetti c’è Nicola Rosin, Amministratore Delegato del brand
A destra di Mauro Gianetti c’è Nicola Rosin, Amministratore Delegato del brand

Non solo bici

Il nuovo Colnago Abu Dhabi si sviluppa su due piani che ospitano, accanto ai nuovi modelli, un’esposizione di alcune biciclette che hanno fatto la storia del brand di Cambiago. Per permettere al cliente di vivere una esperienza autentica, sono state previste installazioni tecnologiche avanzate, tra cui uno schermo scorrevole che ricostruisce la storia dei modelli storici del brand lombardo. E’ stato inoltre previsto un configuratore tridimensionale su schermo di 4,8 x 2,7 metri per progettare la propria bici e un sistema di montaggio bici all’avanguardia.

Colnago è anche cultura e per questo motivo all’interno del nuovo flagship store di Abu Dhabi è presente una serie unica di opere d’arte contemporanea, interamente progettata dall’architetto d’interni spagnolo Pablo Paniagua e dal suo team.

Il nuovo Colnago Abu Dhabi vuole soprattutto essere un luogo di incontro dove passare del tempo scegliendo la propria bici oppure anche scambiare due chiacchere parlando di ciclismo, magari bevendo un buon caffè italiano. Ecco allora il primo Colnago Caffè al mondo, una caffetteria dove i visitatori possono degustare piatti della cucina italiana e seguire le gare più importanti su un maxischermo dedicato.

Questo l’interno dello store nato ad Abu Dhabi
Questo l’interno dello store nato ad Abu Dhabi

L’essenza di Colnago

All’inaugurazione del Colnago Abu Dhabi era presente Nicola Rosin, Amministratore Delegato di Colnago, oltre ai soci dell’azienda. E’ stato lo stesso Rosin a sottolineare con un suo intervento quanto il nuovo flagship store rappresenti nel migliore dei modi l’essenza del marchio Colnago.

«Colnago è più di un marchio di biciclette, questo negozio è stato pianificato e progettato per mostrare il nostro ricco patrimonio di cui siamo orgogliosi. Ci auguriamo che avere questo spazio fisico in una città in rapida crescita aiuterà a soddisfare le esigenze degli appassionati di ciclismo ad Abu Dhabi, consentendo loro di sperimentare in prima persona i prodotti che ci hanno reso famosi nel mondo del ciclismo».

Colnago

Richeze riparte. Dove va? Non si può dire…

18.10.2022
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Maxi Richeze non farà il prossimo Giro d’Italia, ma molto probabilmente lo vedremo al Tour. E così l’argentino, che pareva avviato al ritiro, torna in gruppo per rispondere alla richiesta di un amico velocista, che in Francia vuole andarci a tutti i costi. Per orgoglio e per battere un record uguagliato l’anno scorso. E visto che a Richeze non è consentito parlare della nuova squadra fino alla prossima settimana, resteremo nel vago. Anche il post su Instagram del suo futuro capitano è stato rimosso alla svelta.

Ripescato grazie all’intervento di Matxin, al Tour of Oman 2022 aiuta Gaviria a vincere due tappe
Ripescato grazie all’intervento di Matxin, al Tour of Oman 2022 aiuta Gaviria a vincere due tappe

Pensione anticipata

A giugno la UAE Emirates lo ha mandato in pensione. A dire il vero, se non fosse stato per l’insistenza di Matxin, il contratto di Richeze non sarebbe stato rinnovato neppure per quei pochi mesi. Di fatto l’ultima corsa porta la data del 12 giugno: Elfstedenronde Brugge (in apertura il saluto di Keisse). Nel team degli Emirati, Maxi faceva l’ultimo uomo di Fernando Gaviria.

«Avrei smesso per una decisione non mia – dice – e questo un po’ mi scocciava. A metà 2021, Mauro (Gianetti, ndr) mi disse che non mi avrebbe tenuto, anche se Matxin diceva che sarei servito. Per questo non sono andato al primo ritiro. A novembre la conferma: decisione presa. Dove vado? Ho pensato che la mia carriera l’avevo già fatta e sono andato in Argentina, restando però in contatto con Matxin, con cui c’è una bella amicizia. E lui a un certo punto del nuovo anno, mi chiese se mi stessi allenando ancora, perché c’era bisogno di me». 

E’ stato Gaviria a volerlo con sé quando ha lasciato la Deceuninck-Quick Step nel 2020
E’ stato Gaviria a volerlo con sé quando ha lasciato la Deceuninck-Quick Step nel 2020

Ultimo uomo deluxe

Richeze ha 39 anni compiuti a marzo ed è professionista dal 2006, pistard lanciato da Reverberi nella allora Ceramiche Panaria. Ha vinto una decina di corse, fra cui due tappe al Giro e una allo Svizzera, ma la sua vera rivelazione è stata nei panni di ultimo uomo di velocisti come Viviani, Kittel, il giovane Jakobsen e Gaviria, che lo volle con sé quando lasciò la Quick Step per passare alla UAE.

«Così a inizio 2022 – riprende – ho firmato un contratto fino al Giro. Fernando ha vinto in Oman. Ho lavorato per Pogacar quando è servito. C’era tutto per continuare sino a fine anno. Invece a due tappe dalla fine del Giro mi hanno fatto una proposta che non ho trovato giusta. Avevano i loro motivi, non discuto, ma ho deciso di non accettare».

Alla Vuelta del 2019 ha lanciato Jakobsen alla prima vittoria di tappa a El Puig
Alla Vuelta del 2019 ha lanciato Jakobsen alla prima vittoria di tappa a El Puig
E così a giugno ti sei ritrovato a piedi. Cosa hai fatto?

Sono andato in Argentina e ho continuato ad allenarmi, facendo però anche altri sport che mi piacciono come la corsa a piedi e il nuoto. Anche perché non sapevo cosa rispondere a tutti gli amici che mi chiedevano. A luglio ho fatto un po’ di vacanze, finché è arrivata la chiamata di questo amico corridore. Sono stato contento. Per avere la possibilità di chiudere a modo mio e perché, messo tutto sulla bilancia, so di poter andare ancora forte. E così ho preso la decisione.

Come mai ha chiamato te?

Era un bel po’ che parlavamo. Abbiamo sempre corso contro, ma vedeva il mio lavoro. E finalmente adesso correremo insieme. Comunque l’anno l’ho finito con 56 corse in 5 mesi, che non sono poche. Ero un po’ stanco e questo periodo di stacco ci stava bene.

Alla presentazione della Vuelta San Juan 2019, fra Sagan e Cavendish
Alla presentazione della Vuelta San Juan 2019, fra Sagan e Cavendish
Questo corridore misterioso ha a sua volta una grande voglia di riscatto, che inverno ti aspetta per essere all’altezza?

Un inverno più intenso. Ho già iniziato da due settimane. Palestra e poca bici. La preparazione fisica va fatta bene e non voglio esagerare pedalando per trovare poi il giusto entusiasmo. Anche se devo dire che quelle settimane a pedalare senza stress in Argentina me le sono proprio godute. Non escludo di tornare a fare qualcosa in pista, per trovare il colpo di pedale e la condizione senza spremermi troppo.

Motivazioni?

Tante. Ho voglia di riscatto. Questo obiettivo mi carica molto e alla mia età ho bisogno di motivazioni forti. Far parte di questo progetto con l’obiettivo del Tour mi motiva molto.

Nella squadra in cui il corridore misterioso ha già detto di andare corre un giovane velocista italiano, che ha fatto un ottimo 2022…

Lui è forte davvero e qualche volta farà parte del nostro gruppo. Ma stanno costruendo un treno. E’ stato il mio amico a scegliere i corridori, il personale e gli allenatori. In un’intervista, il team manager ha detto che la trattativa è stata come quella per prendere un calciatore. Lui ha tanta voglia di tornare in Francia. Non gli è andato giù non esserci andato quest’anno. Abbiamo entrambi qualcosa da dimostrare.

Alla Tirreno, tirando per Pogacar. L’apporto di Richeze alla squadra non è mai venuto meno
Alla Tirreno, tirando per Pogacar. L’apporto di Richeze alla squadra non è mai venuto meno
Hai pensato a cosa farai quando dovrai appendere la bici al chiodo?

Resterò sicuramente in Europa. Ho dei progetti per lavorare con i giovani in Argentina, per poi portarli qua. Sono arrivato tanti anni fa, il vero ciclismo è in Europa. Ho faticato tanto, perché non sapevo niente. Sembrava quasi che non avessi mai corso. Abbiamo grande potenziale, serve qualcuno che apra la strada. E sono coinvolto anche nel progetto per l’inaugurazione del nuovo velodromo a San Juan, dove si faranno i mondiali del 2025. Non ci arriverò come corridore, ma sono contento di poter aiutare a organizzarli.

Mori gongola: «Per noi è stata una Vuelta da sogno…»

15.09.2022
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«Alle premiazioni di Madrid non facevamo che salire e scendere dal palco. Per la prima volta era presente il presidente del team, Matar Suhail Al Yabhouni Al Dhaheri che era visibilmente soddisfatto. Non viene mai alle corse, vederlo in quest’occasione così felice è stato davvero bello». La voce di Manuele Mori, di ritorno dalla Vuelta, è stanca ma ricca di quelle emozioni vissute per tre intense settimane. La corsa spagnola passerà sì alla storia per il trionfo di Remco Evenepoel, ma è indubitabile che è stato l’Uae Team Emirates quello che ha raccolto il bottino più pingue.

Juan Ayuso sul podio, Joao Almeida nella Top 10 (e Jan Polanc poco distante), i successi di tappa di Marc Soler e Juan Sebastian Molano proprio nell’ultima tappa, il trionfo nella classifica a squadre con oltre un’ora di vantaggio. La Vuelta è stata un viaggio fortunato e il fatto che la sua conclusione sia arrivata in contemporanea con il trionfo di Pogacar a Montreal ha un che di simbolico.

Mori 2022
Manuele Mori, uno dei diesse della Uae. In Spagna la squadra ha fatto incetta di premi
Mori 2022
Manuele Mori, uno dei diesse della Uae. In Spagna la squadra ha fatto incetta di premi

«Quando hai in squadra il migliore del mondo è normale correre per lui – dice – ma la Uae non è solo Pogacar. Siamo competitivi sempre e con chiunque, abbiamo almeno 20 corridori che hanno vinto quest’anno e senza il Covid al Giro che ha costretto Almeida al ritiro, avremmo potuto centrare il podio in tutti e tre i grandi Giri».

La Vuelta è coincisa con l’esplosione di Ayuso, non era certo partito pensando al podio…

La nostra punta era Almeida, ma la corsa si decide sempre in corso d’opera. Che Ayuso fosse un fuoriclasse non lo abbiamo scoperto alla Vuelta, ma la corsa ci ha detto molto delle sue qualità. Intanto ha doti di recupero fuori del comune, più passavano i giorni e più andava forte. Inoltre ha la testa da campione, molto più matura dei suoi 19 anni. Quando ha forato nella parte finale di una tappa non si è fatto prendere dal panico, ha pensato a quel che doveva fare e si è saputo gestire. I campioni li vedi anche da queste cose. Quello della Vuelta era un test e l’ha superato con la lode…

Almeida ha chiuso quinto a 7’24” da Evenepoel, confermandosi uomo da grandi giri
Almeida ha chiuso quinto a 7’24” da Evenepoel, confermandosi uomo da grandi giri
Su Almeida c’è qualcosa da dire: il portoghese sembra sempre accusare gli scatti nelle tappe più dure, ma nell’ordine d’arrivo lo trovi sempre davanti…

E’ il suo modo di correre, per certi versi originale. La sua grande forza è che si conosce benissimo, sa quel che può chiedere al proprio fisico. Sale col proprio passo e alla fine ha sempre ragione lui, segno di grande autostima. Lo avevo capito all’ultima giornata della Vuelta a Burgos, mi aveva detto che voleva fare qualcosa di buono e quando ho visto che all’inizio perdeva mi ha detto di non preoccuparmi. Alla fine ha avuto ragione lui…

Considerando la sua giovane età, va cambiato qualcosa nella sua impostazione?

Secondo me no, è giusto che corra così proprio in base agli anni che ha. Io ad esempio alla sua età ero solito correre sempre davanti, ma dipende dalla propria indole. Anche Ulissi a inizio carriera correva così, poi ha cambiato, magari con gli anni anche Joao rivedrà qualcosa, ma per ora deve continuare sulla sua strada.

Per Soler una Vuelta da protagonista: una vittoria, quattro top 5 e premio per la combattività
Per Soler una Vuelta da protagonista: una vittoria, quattro top 5 e premio per la combattività
Chi è stato protagonista è stato Soler, con una vittoria di tappa e altri due podi di giornata…

Ma non ha fatto solo questo. E’ stato premiato come corridore più combattivo e per noi è stato un vero jolly, eccezionale nell’arco delle tre settimane. Nell’ultima tappa è stato decisivo per la vittoria di Molano, lanciando il treno della Uae a velocità folle fino ai 400 metri. Di fatto ha messo sia Molano che Ackermann nelle condizioni di vincere.

Proprio a questo proposito, la vittoria del colombiano ha un po’ sorpreso considerando che era il tedesco quello deputato alla volata. Che cosa è successo?

E’ semplice: quando Molano ha tirato era l’ultimo uomo. Il rettilineo era in leggera salita, lui sapeva che Pascal era dietro, ma su quel rettilineo è difficile rimontare, allora ha tirato dritto ed è andata bene. Nessuna polemica fra i due, sanno bene che i progetti vanno bene, ma poi è la strada che decide.

La volata di Molano a Madrid, con Ackermann finito terzo dietro anche Pedersen
La volata di Molano a Madrid, con Ackermann finito terzo dietro anche Pedersen
I risultati di Vuelta e Montreal hanno portato una vagonata di punti alla Uae. Alcune squadre hanno deciso di non dare alcuni corridori alle nazionali. Voi come vi siete regolati?

Figuriamoci, noi ne avremo 10 al via a Wollongong… E’ chiaro che al ranking ci teniamo, come anche le nostre dirette concorrenti. Non è un discorso economico, non funziona come la Champions League di calcio, è semplicemente una questione di prestigio. Diverso è il discorso per chi lotta per non retrocedere, lì ci sono anche inerenze economiche legate al destino della stagione. Se investi tanto nella squadra, ti aspetti risultati e essere lì in cima è il miglior risultato che ci sia, perché sai che tutti vogliono arrivarci. Speriamo di avere altri weekend come quello passato, così restiamo in testa…

«Ayuso ha voglia di vincere». Valoti stupito a metà

12.09.2022
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Sul podio di un grande Giro a 19 anni e 336 giorni. Juan Ayuso era il corridore più giovane della Vuelta. Il campioncino della  UAE Emirates ha stupito tutti. O forse no. Forse questo risultato era già scritto nella pietra. Di certo lo era nelle sue gambe. 

Matxin, il tecnico del team asiatico, aveva detto che non si poteva fermare il talento. Gianluca Valoti che lo aveva avuto lo scorso anno alla Colpack Ballan conferma l’immensa voglia di vincere dello spagnolo. E allora ci si chiede ,questo eccellente risultato è davvero una sorpresa?

Ayuso a colloquio con Valoti lo scorso anno prima del via di una tappa alla Coppi e Bartali
Ayuso a colloquio con Valoti lo scorso anno prima del via di una tappa alla Coppi e Bartali

Sorpresa o no?

«Se mi aspettavo un suo podio – si chiede Valoti – direi di no, almeno non in partenza, non dopo la prima settimana. A quel punto ho creduto potesse arrivare tra i primi dieci invece questo ragazzo mi sorprende sempre di più. 

«Anche Remco (Evenepoel, ndr) era una scommessa e dopo il ritiro di Roglic si è aperto un posto sul podio, ma non credevo che Juan arrivasse a fare tanto. Specie militando in un team così forte. Con gente come Soler e Almeida, immaginavo dovesse aiutarli».

La squadra è un nodo cardine in questa storia. Prima della Vuelta lo stesso Matxin ci aveva detto che assolutamente Auyso non avrebbe corso grandi Giri in questa stagione. Poi c’è stato il contrordine e la convocazione per la gara spagnola. Il tecnico ci aveva parlato di ottimi dati, di un recupero eccellente dopo le gare di agosto da parte di Juan.

«Io credo – va avanti Valoti – che dietro questa sua presenza alla Vuelta ci sia una grande voglia del ragazzo stesso. La volontà di Ayuso ha dato una spinta decisiva. Juan è uno che punta in alto. Sempre.

«Ricordo anche quando era con noi che subito dopo il Giro U23 voleva passare con i pro’, che pensava alla Clasica di san Sebastian. E anche quella fu una decisione sua».

Il giovane catalano è è presto divenuto leader della UAE Emirates gestendo bene anche la pressione
Il giovane catalano è è presto divenuto leader della UAE Emirates gestendo bene anche la pressione

«Voglio la Vuelta»

Di certo Auyso lo scorso anno avrebbe potuto continuare a correre e a vincere molto con la Colpack. Ma per lui quello era un capitolo già passato. Messa in archivio la maglia rosa, sotto col prossimo obiettivo. 

«Con questo non voglio dire che la UAE lo abbia lasciato decidere da solo, avranno avuto di certo i loro dati e magari gli avranno detto di fare intanto dieci giorni e poi vedere come sarebbero andate le cose… questo non lo so, non vivo all’interno del team, ma sono certo che la sua influenza abbia inciso. Poi invece si sono ritrovati con lui capitano. E ci hanno anche dovuto puntare altrimenti sarebbe stato un fallimento».

Sul fatto di fare dieci giorni e alzare bandiera bianca però Matxin era stato chiaro: «Nonostante sia giovane, Auyso è un campione e i campioni non si ritirano. Se Juan parte è per finirla», ci aveva detto il basco. Su questo è stato chiaro.

Per Valoti uno dei punti di forza di Ayuso è la sua determinazione, unita ad una professionalità estrema
Per Valoti uno dei punti di forza di Ayuso è la sua determinazione, unita ad una professionalità estrema

Determinazione Juan

E da qui emerge un altro aspetto: quello della determinazione. Un aspetto che Valoti sottolinea.

Gianluca ricorda la prima volta che lo vide dal vivo, al suo arrivo in Italia. Dopo i primi appuntamenti online lo andò a prendere all’aeroporto in un piovoso e freddo pomeriggio di gennaio. La prima cosa che Juan gli chiese fu quella di uscire in bici, nonostante la pioggia. E così fece.

«L’indomani – racconta il direttore sportivo lombardo – avremmo viaggiato verso il ritiro e non si sarebbe allenato. Non poteva stare fermo due giorni. E così una volta scaricato dalla macchina salì in bici.

«Oppure al Giro U23 voleva mangiare il più presto possibile, per andare a dormire presto e recuperare più degli altri. Per lui tutto ciò non sono sacrifici. Ama la vita da atleta. In quei mesi che è stato con noi, per certi aspetti è stato facilissimo gestirlo. Non dovevi dirgli nulla. A parte quale piccolo dettaglio sull’alimentazione, ma parliamo della ripartizione dei cibi come le quantità della pasta per esempio, sapeva già tutto».

«Io credo che la testa e la determinazione siano i suoi punti forti. Okay, conosciamo tutti le sue doti fisiche, specialmente rispetto ai suoi coetanei. Ma Juan ha il pallino della vittoria. Lui vuole vincere. Anche se si tratta di giocare con le biglie in spiaggia».

«E questo forse è anche un suo piccolo limite. Questa brama lo porta a volte a sbagliare, a commettere degli errori». E anche questo è vero. Ricordiamo quanto accaduto a Laigueglia ad inizio stagione. Voleva a tutti i costi la prima vittoria da pro’ che fu lui a chiudere su Covi in cima a Capo Mele, mettendo tra l’altro a rischio la vittoria di squadra (tre su quattro della fuga erano della UAE).

Grinta, concentrazione e sguardo “famelico” per Ayuso, qui a ruota di Evenepoel e Mas
Grinta, concentrazione e sguardo “famelico” per Ayuso, qui a ruota di Evenepoel e Mas

Analisi Vuelta

Sei volte nei primi dieci. Diciassettesimo in una crono lunga e per specialisti. Una grande costanza di rendimento e addirittura un attacco ancora nella ventesima tappa. Segno che il fisico e la testa erano ancora sul pezzo. Fausto Coppi vinse il Giro d’Italia a 20 anni, ed è tuttora il più giovane vincitore di un grande Giro. E neanche il compagno Tadej Pogacar fu in grado di fare tanto a 19 anni. Tadej infatti salì sul podio della Vuelta alla “veneranda” età di 21 anni (da compiere di lì a pochi giorni). 

Gli scenari sono ampi. Tutto ciò è sbalorditivo.

«Juan vuole vincere – ripete Valoti – ha ambizioni enormi. Lui parte sempre per vincere. Ogni tanto lo sentivo e mi diceva di quanto cercasse la vittoria. La prima l’ha ottenuta una ventina di giorni prima della Vuelta.

«Errori? Bah, difficile trovarli, magari ha fatto qualche scattino di troppo nella prima settimana, però è anche vero che non sapeva sin dove  sarebbe arrivato e che ruolo avrebbe avuto nella squadra. Ha messo fieno in cascina, diciamo così. Cercava subito un risultato».

Il Covid di Ayuso e quell’analisi velocissima prima del via

07.09.2022
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Prima Majka al Tour, ora Ayuso alla Vuelta. Due casi di positività al Covid per le quali l’atleta è rimasto in corsa, grazie alla bassa carica virale. Sicuramente un passo avanti rispetto all’intransigenza dei primi tempi, quando per il virus di uno si mandava a casa la squadra. La conseguenza, probabilmente, di una migliore conoscenza del problema e di strumenti che hanno permesso di arrivarci. Del resto i medici, i manager e tutti quelli che a vario titolo hanno voce in capitolo nel grande circo del ciclismo hanno iniziato da tempo a dire che con il Covid bisogna rapportarsi come con l’influenza.

Bennett e Majka: il primo ha dovuto ritrarsi dal Tour per Covid, il secondo ha corso ugualmente: differenze di carica virale
Bennett e Majka: il primo ha lasciato il Tour per Covid, il secondo ha corso ugualmente: differenze di carica virale

Il quinto tampone

Ayuso ha iniziato ad avere qualche avvisaglia dopo la cronometro di Alicante, affermando di aver avuto sintomi compatibili con il Covid la notte prima. I tamponi sono scattati in automatico: ne ha fatti tre e tutti negativi. Il mattino successivo altro controllo prima del via da ElPozo Alimentación: ancora negativo. Il giorno dopo è arrivato infine il test positivo: al quinto tampone, come raccontato allo spagnolo AS da Adriano Rotunno, medico del UAE Team Emirates, che avevamo contattato ai tempi della Parigi-Nizza per la commozione cerebrale di Trentin.

«Secondo i nostri protocolli interni – ha spiegato – Juan Ayuso si è sottoposto di mattina al test del coronavirus ed è risultato positivo. E’ asintomatico e dopo aver analizzato il suo test PCR abbiamo scoperto che ha un basso rischio di infezione, simile ai casi che abbiamo visto quest’anno al Tour. Abbiamo deciso di continuare la gara dopo aver consultato i rappresentanti medici della Vuelta e dell’UCI. Continueremo a monitorare il quadro clinico di Juan e seguire da vicino la sua situazione».

Ayuso ha raccontato di aver avuto i primi segni di malessere alla vigilia della crono di Alicante
Ayuso ha avuto i primi segni di malessere alla vigilia della crono di Alicante

La macchina PCR

Il dettaglio non è sfuggito. In passato, sottoposto a un tampone molecolare, il corridore sarebbe stato comunque fermato, in attesa che di conoscere la carica virale del suo campione. Sarebbe servito del tempo e difficilmente Ayuso, testato di mattina, sarebbe partito per la tappa di lì a un paio d’ore. L’accelerazione, esemplare per quanto riguarda la gestione delle risorse, è dipesa dalla scelta della squadra di Gianetti di dotarsi di uno strumento preposto all’uso.

«La situazione è complicata – ha confermato il team manager Matxin, riferimento per Ayuso – per cui testiamo tutti ogni due giorni, in aggiunta ai test effettuati dall’organizzazione. Abbiamo una macchina PCR dove possiamo controllare tutto, per avere sotto occhi prima di tutto la salute del corridore, quella del gruppo e poi il rispetto del regolamento di corsa. Nel caso di Ayuso, la luce era verde. Significava bassa carica virale».

Le prove successive di Ayuso hanno dimostrato che le sue capacità atletiche sono rimaste invariate
Le prove successive di Ayuso hanno dimostrato che le sue capacità atletiche sono rimaste invariate

Doppio verde

Assodato questo, il medico del team ha parlato con Xavier Vidart dell’UCI, gli ha spiegato i numeri e gli ha inviato tutti i dati. Una volta ottenuto il via libera, lo stesso Matxin si è messo in contatto con Javier Guillen, organizzatore della Vuelta, che ha dato a sua volta il benestare.

«Quando abbiamo avuto numeri rossi come nei casi di Laengen, Bennett, Trentin o Almeida al Giro – ha spiegato ancora Matxin – che mostravano rischio di contagio, non c’è stato da discutere. Avevamo già predisposto che Juan tornasse a casa, ma una volta scoperto che non sarebbe stato contagioso, abbiamo deciso di farlo continuare».

Ayuso ripartirà stamattina per una delle tappe più importanti della Vuelta al quarto posto della classifica generale, a 4’49” da Evenepoel. Le sue prestazioni in apparenza non hanno risentito del virus: per essere alla prima partecipazione in un grande Giro, il giovane spagnolo se la sta cavando davvero bene.

Camilo Ardila, i buoni propositi per tornare a volare

05.09.2022
6 min
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Sono passati tre anni da quando Andrés Camilo Ardila illuminò il Giro d’Italia 23. La sua vittoria, l’ultima per un colombiano, non lasciava dubbi. Solo tante certezze per il modo in cui l’aveva ottenuta e per il predominio travolgente del giovane scalatore di Tolima, vincitore di due tappe e leader indiscusso di quella squadra colombiana, che riuscì a portare sul podio anche Juan Diego Alba di Boyacá.

L’infortunio al ginocchio

Tutto intorno ad Ardila era di buon auspicio. Tuttavia, nel bel mezzo della consacrazione ci fu un dettaglio fino ad allora poco noto. Camilo finì il Giro con un infortunio al ginocchio, che inizialmente lo escluse dal Tour de L’Avenir e che poi, dopo diverse prove sotto l’osservazione di Gustavo Castro (ortopedico incaricato di risolvere le gravi ferite di Esteban Chaves e Miguel Ángel López), lo lasciò senza correre per un periodo di sei mesi.

Nel 2022 ha corso finora per 38 giorni: qui al Tour of the Alps, al via da Bressanone
Nel 2022 ha corso finora per 38 giorni: qui al Tour of the Alps, al via da Bressanone

Voleva ritirarsi

Fu l’inizio di una serie di alti e bassi sportivi e psicologici che influirono non solo sul suo stato d’animo, ma anche sull’idillio di diventare uno dei ciclisti chiamati a fare la differenza nel gruppo internazionale. Pensò addirittura di ritirarsi. Si sentiva inutile per il ciclismo di alto livello. Non voleva continuare a lottare nonostante avesse firmato un contratto quadriennale con una delle migliori squadre del mondo.

«E’ stato abbastanza difficile – ha confessto il tolimese, 23 anni – devo essere realista. Il primo anno ha portato molte aspettative e ho pregato Dio perché fosse uno degli anni migliori nel ciclismo professionistico, ma non è stato così. Arrivare qui e non raggiungere gli obiettivi e gli scopi che avevo è stato molto difficile, molto complicato. Mentalmente stavano arrivando molte cose che non andavano bene e che hanno danneggiato il mio primo anno in squadra. Ho anche pensato di ritirarmi, pensavo che pedalare qui (l’Europa) non facesse per me».

Scalatore puro e di piccola taglia (1,70 per 59 chili), qui in fuga con Fabbro al Delfinato
Scalatore puro e di piccola taglia (1,70 per 59 chili), qui in fuga con Fabbro al Delfinato

Padre di famiglia

Ma ora, con un’aria nuova nella sua vita personale di padre di famiglia, lo scalatore nato a Mariquita (il comune da cui inizia la salita fino al mitico Alto de Letras, il passo più lungo del con i suoi 82 chilometri) è riuscito a resettare il suo modo di pensare. E ha così rivalutato il suo ultimo anno di contratto con la struttura diretta da Joxean Fernández ‘Matxin’.

«Sono tornato a casa – dice – per ritrovare concentrazione e ricaricare le batterie con la mia famiglia. Mi hanno dato tante energie e tanto supporto per superare il momento difficile che stavo attraversando. Mi chiedevo: perché se ho saputo vincere il Giro contro molti di quelli che stanno facendo bene oggi, non posso farlo di nuovo? Ma poi ho analizzato le cose e ho anche visto che loro, come ad esempio il mio compagno Alessandro Covi, hanno avuto un percorso più lungo di me nel ciclismo europeo. E questo in un certo senso è un vantaggio. Quando sono arrivato non avevo abbastanza conoscenze di allenamento con i watt. In Colombia l’ho sempre fatto con le sensazioni e qui tecnologia e numeri sono molto importanti per imparare a conoscersi».

Alla Coppi e Bartali, per Ardila le prestazioni migliori di questo 2022
Alla Coppi e Bartali, per Ardila le prestazioni migliori di questo 2022

Un anno in crescita

«Diciamo che il secondo anno per me è stato ottimo, stavo già finendo le gare, ero più vicino (ai favoriti) e aiutavo la squadra. E’ stato gratificante, ma non mi bastava, non era quello che cercavo», dice Camilo, che sta ancora cercando la formula per decollare con la regia di Díaz Navarro, l’allenatore incaricato della sua preparazione. Il terzo in tre anni, dopo il colombiano Jhon Jaime González (attuale allenatore della pista colombiano) e lo spagnolo Yeyo Corral (oggi allenatore dell’Astana).

«Questa è stata la chiave – racconta – per migliorare giorno dopo giorno, perché lui  crede molto in me e nel tipo di corridore che sono. Alla fine ho preso il bello, non potevo accontentarmi solo del brutto. Solo così sarei potuto potuto uscire dai brutti momenti. Quest’anno ho visto che sono stato molto più competitivo, che sono stato più utile per la squadra, che faccio quello che mi chiedono e penso che da questo si può iniziare a cercare e trovare quel Camilo che può dare grandi cose.

«Volevo debuttare in un Giro, spero di farlo nel 2023. Ci ho pensato molto perché mi sentivo pronto. Ho parlato con la squadra per andare alla Vuelta, non per vincere, sarebbe mentire, ma per essere utile alla squadra e nel frattempo imparare a gestire un grande Giro e fare esperienza».

Ardila con Matxin al suo debutto con la Uae, nel 2020 alla Vuelta a Colombia
Ardila con Matxin al suo debutto con la Uae, nel 2020 alla Vuelta a Colombia

Rientro in Lussembrurgo

In questa stagione il colombiano ha accumulato 38 giorni di gare, con la Coppi e Bartali come la gara con il miglior risultato. Ha concluso 18° assoluto e ha mostrato alcuni scorci delle sue condizioni.

«L’Italia è un Paese che mi porta bei ricordi – dice – e dove mi piace molto correre. Ero vicino alla vittoria, ma non è successo. Mi sono sentito molto bene. La Coppi e Bartali è la gara in cui si è potuto vedere qualcosa di quel Camilo che tutti si aspettano.

«Sono in una delle migliori squadre al e ho persone molto professionali che mi hanno aiutato a crescere ogni anno. Mi motivano sempre a fare le cose bene e perché in ogni gara il risultato sia il migliore», ringrazia il colombiano che si prepara sulle strade di Andorra per affrontare il suo ritorno al Giro del Lussemburgo (13-17 settembre). Ha anche fatto una delle sue uscite giornaliere con Nairo Quintana, con il quale ha completato 5 ore e mezza con 4.800 metri di dislivello.

«Penso molto a quella gara, sono a disposizione della squadra per qualsiasi cosa abbia bisogno, ma mi sto anche preparando a dimostrare che posso essere in lotta».

Covi: passaggio in Canada, poi gran finale in Italia

04.09.2022
5 min
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Mentre quasi tutti erano impegnati sulle strade di mezza Europa a correre e darsi battaglia, Covi era a Livigno. Tanti giorni di allenamento e molti chilometri nelle gambe, finalmente pronto per ripartire. 

«Lo stop di quasi due mesi non era previsto – spiega – dopo il Giro d’Italia l’obiettivo era di fare Vallonia, San Sebastian e Tour de l’Ain. Insomma, i progetti erano diversi, ma il Covid si è messo di mezzo, facendomi perdere quasi 20 giorni di allenamento. Non il massimo con la stagione in pieno svolgimento. Non potendo andare in bici ho riposato e ripreso fiato, anche se non ne avevo molta voglia. Ho rincominciato poco alla volta e come prima cosa abbiamo pensato, insieme alla squadra, di andare a Livigno, lontani dal caldo e da altre distrazioni».  

La vittoria al Fedaia aveva dato grande motivazione e voglia di far bene, ma il Covid ha fermato il buon momento di Alessandro
La vittoria al Fedaia aveva dato grande motivazione e voglia di far bene, ma il Covid ha fermato il buon momento di Alessandro

Due mesi di troppo

Non si affacciava alle corse da quasi due mesi. E’ tornato a correre in Francia, al Tour du Limousin, a metà agosto. Subito dopo, il tempo di rifare la valigia ed è partito per Weimar, destinazione Giro di Germania. D’altronde la vita del corridore è questa. E quando per un motivo o per un altro non si riesce a farla, ci si sente come privati di un pezzo di sé. 

Covi aveva chiuso la prima parte di stagione con una grande vittoria al Giro d’Italia. E adesso che finalmente è riuscito a ripartire, è super concentrato sulle gare che mancano da qui a fine stagione. Il passo è breve, ma le ambizioni sono alte. D’altronde quest’anno il “Puma di Taino” ha iniziato a vincere e ci ha preso gusto

Covi (tra Trentin ed Ulissi) debutterà in Canada e poi farà il finale di stagione in Italia, a caccia di un successo
Covi (davanti ad Ulissi) debutterà in Canada e poi farà il finale di stagione in Italia

Step dopo step

Ripartire da zero non è facile, servono testa, grande forza di volontà e un pizzico di pazienza. Inutile mangiarsi il fegato e forzare il ritmo per tornare subito in condizione. 

«Alla fine – dice ancora il Puma – riprendere è semplice, quel che è più difficile è riprendere a correre. Quello che ti scoccia di più è fare un lavoro di preparazione quasi invernale in un momento di piena stagione. E’ chiaro che avrei preferito ripartire subito ed andare forte già da dopo il Giro d’Italia, ma non è andata così, non ci posso fare nulla e la devo prendere con filosofia (racconta con un sorriso, ndr). L’obiettivo era di fare una base, quindi si è pensato di andare a Livigno, essendo in altura non potevo fare certi tipi di lavori, come quelli di forza. Ero seguito dalla squadra, avevo i massaggi tutti i giorni ed il supporto tecnico. In più ero affiancato da due ragazzi di Abu Dhabi che si allenavano con me tutti i giorni. Le sensazioni al Giro di Germania erano un po’ altalenanti, a volte mi sentivo bene altre no. Ma è normale quando rientri alle corse».

Nel 2021 un gran finale di stagione per Covi, al quale è mancata solamente la vittoria: qui al Giro di Sicilia dietro Nibali e Valverde
Nel 2021 un gran finale di stagione per Covi, al quale è mancata solamente la vittoria: qui al Giro di Sicilia dietro Nibali e Valverde

Canada e poi Italia

Ora per Alessandro c’è la trasferta in Canada, per debuttare nelle corse WorldTour d’oltre Oceano. Il Grand Prix Cycliste de Quebec del 9 settembre e il Grand Prix Cycliste de Montreal di due giorni dopo. Poi, come è stato anche lo scorso anno, si chiuderaà con il calendario italiano, sperando di ritrovare la vittoria.

«E’ la prima volta che vado in Canada – dice – saranno gare nuove ed importanti, ci tengo a farle bene. Anche la squadra vorrà ben figurare, ci sarà un team forte: con Ulissi e soprattutto Pogacar. Diego (Ulissi, ndr) mi ha raccontato un po’ come sono le corse laggiù e come funzionano i circuiti. Sono uno abbastanza curioso, soprattutto quando si tratta di correre in nuovi Paesi, non vedo l’ora di provare.

«Una volta tornati dal Canada ci saranno le corse italiane: Bernocchi, Agostoni, Tre Valli Varesine, Gran Piemonte… Poi le ultime in Veneto. Sono gare che ho imparato a conoscere, spero di ottenere una bella vittoria piuttosto che tanti piazzamenti come nel 2021. Il 29 agosto ci sarà la Coppa Agostoni, il giorno dopo il mio compleanno, chissà se mi regalerò un buon motivo per festeggiare. Mi piacerebbe fare bene anche alla Tre Valli, la gara di casa, ci ho messo un cerchio rosso, prima o poi in carriera spero di vincerla».

Un dolce ritorno

Dalla prossima stagione sull’ammiraglia della UAE Team ADQ, la squadra femminile dell’emirato, siederà Davide Arzeni, una vecchia conoscenza di Covi. Il “Capo” l’ha guidato fra gli juniores, i due si ritroveranno dopo parecchio tempo.

«Ho visto le notizie, ma mi aveva già anticipato del suo arrivo con un messaggio, abbiamo scherzato un po’. Mi ha detto che mi tirerà il collo e mi porterà a fare qualche dietro macchina – dice ridendo – gli ho risposto che lo prenderò un po’ in giro. A parte tutto sono contento per lui, ha sempre avuto un ottimo rapporto con i suoi atleti, diventa quasi un amico. Ti sta dietro giorno e notte, è super disponibile, tira fuori davvero il meglio da tutti i suoi atleti. Lo incontrerò più spesso rispetto ad ora, ma non credo ci vedremo molto, purtroppo. Sarà bello anche pensare che è lì vicino a me».

La prima Vuelta di Ayuso, piedi per terra e nessuna paura

30.08.2022
4 min
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Juan Ayuso lo chiameranno pure “El niño”, il bambino, ma in questi giorni di Vuelta è parso piuttosto un guerriero. Forte e cocciuto, si è opposto agli scatti dei campioni lasciando che a piegarsi fossero piuttosto le gambe e mai la testa. Anche domenica, sull’arrivo… assassino di Les Praeres, è stato l’ultimo ad arrendersi al ritmo indiavolato di Evenepoel. Lottando prima con Mas e Rodriguez, poi rifilando a entrambi 10 secondi pesanti come macigni. Ora in classifica è quinto a 2’36” da Remco.

Ieri il ragazzino del UAE Team Emirates, vent’anni ancora da compiere, ha approfittato del giorno di riposo per tirare finalmente il fiato, toccando con mano quanto la sua popolarità stia esplodendo sulle strade spagnole. Soprattutto adesso che la Vuelta è atterrata dalle parti di casa, al Sud della Spagna.

Ayuso ha sfruttato il giorno di riposo per tirare il fiato e riflettere sui suoi limiti
Ayuso ha sfruttato il giorno di riposo per tirare il fiato e riflettere sui suoi limiti

Alla larga dalla popolarità

Quel tipo di entusiasmo è come una tigre, che rischia di mangiarti se credi alle sue fusa. E Ayuso ha capito anche questo, affiancato da quella vecchia volpe di Matxin, che lo segue da vicino coi suoi consigli.

«Il tifo mi piace – dice – sentirmi osannato mi motiva. Ma non voglio assolutamente pormi degli obiettivi troppo alti. Preferisco viverla giorno per giorno, non voglio crearmi uno scenario troppo elevato. Perché se poi non si realizza, me ne andrei dalla Vuelta con un cattivo sapore in bocca. L’obiettivo di questa corsa è farla bene e capire cosa potrò fare in futuro. Non voglio volare troppo alto, per non avere una delusione».

Domenica, verso Le Praeres, ha duellato con Rodriguez e lo ha staccato in finale
Domenica, verso Le Praeres, ha duellato con Rodriguez e lo ha staccato in finale

L’amico Rodriguez

Il problema è Evenepoel, in lotta per la maglia rossa e anche per quella dei giovani, al momento indossata da Carlos Rodriguez, che di Ayuso è una sorta di alter ego. I due si sfidano da quando erano bambini e chi li ha visti salire ieri verso il traguardo si è accorto del particolare… trasporto che li animava.

«Con Carlos – ammette El niño – c’è una grande rivalità, come pure rispetto e amicizia. Ci siamo sfidati per anni tutte le domeniche, in ogni corsa importante. Sono contento di ritrovarmi in gara con lui. E sono contento anche quando ottiene qualche risultato, perché è bello che una persona a me vicina ottenga dei grandi risultati. Ma certo poi scatta la molla di fare meglio di lui. E se poi gli sento dire che punta al podio della Vuelta, penso che piacerebbe anche a me. E’ il sogno di qualunque spagnolo che inizi a correre in bicicletta. Ci si prova, ma se anche non si riesce, non cade il mondo…».

Juan Ayuso ha 19 anni ed è professionista dall’estate del 2021
Juan Ayuso ha 19 anni ed è professionista dall’estate del 2021

L’amico Almeida

Intanto il primo spagnolo a vincere il Giro d’Italia U23 ha messo quasi due minuti fra se e Almeida, che almeno all’inizio era partito come leader del team e che oggi nella crono potrebbe in realtà riguadagnare parte del terreno perduto. Ayuso è intelligente e sa che lanciarsi in proclami di leadership non gli sarebbe utile, per cui cambia discorso con saggezza.

«Essere in questa posizione di classifica – spiega – mi dà la sensazione di quando insegui un sogno. Ci saranno certamente dei momenti difficili, ma per ora sta andando tutto bene. Con Almeida ho passato gli ultimi due mesi e mezzo, abbiamo un ottimo rapporto. E proprio perché so che i giorni storti possono capitare, non credo che il nostro rapporto debba esserne condizionato. Io gli chiedo consigli e lui me li dà, anche se non abbiamo una grande differenza di età. Questi giorni sono utili per imparare, si capiscono più cose quando si soffre di quando si festeggia. Ho avuto la conferma che è più un fatto di forza mentale che fisica e finora mi sono regolato abbastanza bene. Proseguirò così, giorno per giorno».

All’arrivo di domenica, Ayuso ha perso 34 secondi da Evenepoel
All’arrivo di domenica, Ayuso ha perso 34 secondi da Evenepoel

Pianeta Remco

La cronometro di oggi potrebbe dare una svolta alla sua corsa e non necessariamente in bene. Ayuso lo sa, ma il ragazzino non appare per niente intimidito.

«Non ho fatto una preparazione specifica per la crono – dice – anche se la bici la uso regolarmente tutte le settimane. Quest’anno ho fatto due cronometro su una distanza simile. Al Delfinato, quando sono arrivato 10°. Poi ai campionati nazionali, con un 7° posto. Spero di avere le stesse sensazioni della prima, quando mi sono sentito bene. In ogni caso la Vuelta è lunga. Per ora Evenepoel ha dimostrato di essere superiore, è come se stesse partecipando a un’altra gara. Ha ragione Almeida quando dice che per batterlo servirebbe Pogacar. Ma la Vuelta è lunga. Mancano due settimane per me, ma anche per lui. Mancano due settimane per tutti».

Riecco le “canadesi” del WorldTour: le presenta Ulissi

26.08.2022
5 min
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Tre anni sono un periodo lungo di stop per una manifestazione sportiva. Il ciclismo mondiale ritrova a inizio settembre un classico della sua programmazione, la trasferta canadese per le due prove del WorldTour, il GP del Quebec e il GP di Montreal, in programma a distanza di 48 ore. Due prove che hanno sempre avuto una partecipazione a livello di ogni altra classica del massimo circuito, innanzitutto perché il mercato d’oltreoceano interessa a molte multinazionali, non solo ciclistiche, presenti nel WorldTour, poi perché vincere da quelle parti ha un sapore particolare per un europeo e questo vale per tutti gli sport.

Lo sa bene Diego Ulissi, che nella terra della foglia d’acero ricordano per la vittoria del 2017 a Montreal dopo essere stato 11° due giorni prima a Quebec City. Raccontando quel che il programma proporrà il 9 e 11 settembre prossimi, il corridore della Uae Team Emirates evidenzia subito un fattore.

«Non sono gare come le nostre perché si gareggia in circuito – fa notare – diciamo che sono più simili a un europeo o un mondiale, solo che si compete per squadre di club. Sono vere e proprie kermesse e vanno interpretate quindi con qualche piccola differenza rispetto alle normali gare in linea».

Ulissi Montreal 2017
Lo sprint vincente di Ulissi a Montreal nel 2017, battuti Herrada (ESP), Slagter (NED) e Bakelants (BEL)
Ulissi Montreal 2017
Lo sprint vincente di Ulissi a Montreal nel 2017, battuti Herrada (ESP), Slagter (NED) e Bakelants (BEL)
Che differenze ci sono fra loro?

Molti pensano che siano uguali, ma non è così. La prima è più adatta a passisti veloci e può favorire anche i velocisti se sanno interpretarla, ossia non essere ancorati essenzialmente alla soluzione allo sprint di gruppo. La seconda è più per passisti scalatori, ci sono salite più lunghe che favoriscono attacchi e infatti si chiudono spesso con volate ristrette. Anche gli scenari sono diversi, ma in generale sono molto belle, qualcosa di insolito rispetto a quel che vediamo normalmente.

Che attenzione c’è intorno alle gare?

Enorme. Sulle strade c’è sempre tanta gente, proprio perché si gareggia in circuito, ma si vede che il ciclismo da quelle parti è seguito quando arrivano i corridori dall’Europa. Poi sono città sempre piene di turisti, c’è molto seguito (in apertura un passaggio a Quebec City, foto di Jacques Boissinot, ndr).

Gareggiare in circuito cambia un po’ l’aspetto tattico in seno alle vostre squadre?

Un po’ sì, perché correndo in circuito bene o male il percorso lo impari a memoria, quindi sai come affrontare ogni curva, come prendere posizione. Per il resto le gare si svolgono in maniera abbastanza canonizzata, con fughe che vanno via da lontano e gruppo che si accende nella seconda parte. A Montreal però il tracciato invita agli attacchi.

Che cosa ricordi della tua vittoria nel 2017?

Scattai con un gruppo ristretto a due giri dalla fine, volevano anticipare Sagan e Van Avermaet che su quel percorso erano i principali candidati alla vittoria. L’arrivo era leggermente in salita e questo cambia molto nella sua impostazione, perché dislivello e chilometraggio si fanno sentire, bisogna impostare la volata sulla potenza. Alla fine ci giocammo la vittoria in quattro e io precedetti Herrada e Slagter.

Gerrans 2014
Doppietta per Simon Gerrans nel 2014. In Quebec batté Dumoulin, a Montreal Rui Costa
Gerrans 2014
Doppietta per Simon Gerrans nel 2014. In Quebec batté Dumoulin, a Montreal Rui Costa
Lo consideri un momento importante nella tua carriera?

Per molti versi sì perché è una gara che ha un grosso peso specifico e soprattutto va saputa interpretare. Ogni attimo può essere quello decisivo, devi avere sempre le antenne diritte perché l’azione che conta può partire nel finale ma anche a una certa distanza dal traguardo come accadde a me. Mentalmente non sono gare semplici, soprattutto la seconda.

Come venne accolta la tua vittoria nella comunità italiana del posto?

Che bei ricordi… C’era tantissima gente, furono in tanti ad avvicinarsi a me e farmi i complimenti. Gente che mancava dall’Italia da tanti anni e si sentiva orgogliosa, persone che erano anche nate lì ma che si sentivano italiane nel profondo. Poi ho notato, girando un pochino per le città, quanti locali italiani ci sono, con i nomi delle nostre città. Mi è rimasto impresso, mi fa sempre piacere tornare a correre da quelle parti.

Matthews Montreal 2019
Matthews ha fatto doppietta nel 2018 e l’anno dopo ha rivinto a Montreal, ora vuole il tris
Matthews Montreal 2019
Matthews ha fatto doppietta nel 2018 e l’anno dopo ha rivinto a Montreal, ora vuole il tris
Dicevi che sono due gare diverse, quindi chi riesce a fare doppietta compie una vera impresa…

Negli anni recenti ci sono riusciti Gerrans nel 2014 e Matthews nel 2018. Come si vede si parla di corridori estremamente veloci ma non sprinter puri, sono capaci di resistere a gare dure, di reggere agli strappi e poi fare la differenza in volata. Si possono concludere con sprint di una trentina di corridori, ma non sono gare dai classici “treni”, bisogna saper resistere e inventare. Poi molto dipende anche dalle condizioni atmosferiche. Sono prove esigenti, che premiano sempre un corridore che è davvero in forma.

Tu in che condizioni sei attualmente?

Sono in un periodo buono, al Tour de Limousin ho ritrovato finalmente la vittoria finendo secondo nella generale, ma anche al Giro di Polonia mi ero sentito abbastanza bene. Ora mi attendono il Bretagne Classic di domenica a Plouay, gara che storicamente non mi è mai andata molto a genio essendo adatta a ruote molto veloci e poi la trasferta canadese. E chissà che con questa gamba non ci si possa togliere qualche altra bella soddisfazione, per me e per la gente di lì…