L’analisi di Mazzoleni sull’ultima cronoscalata del Giro

27.01.2023
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Dopo le considerazioni di Baldato sulla tappa numero venti del prossimo Giro d’Italia (la cronoscalata di Monte Lussari) cerchiamo di entrare maggiormente nello specifico. Una frazione del genere ha tante possibili sfaccettature ed altrettanti finali pronti per essere scritti. In compagnia virtuale di Maurizio Mazzoleni, il preparatore dell’Astana Qazaqstan che al momento si trova sul Teide, cerchiamo di entrare in queste mille sfaccettature. 

«La prima valutazione – spiega Mazzoleni – vedendo la tappa, è che si presuppone un cambio bici. Però non è assolutamente detto, ogni squadra dovrà valutare i materiali a disposizione e capire, tramite le proiezioni dei dati, se converrà optare per questa soluzione».

Maurizio Mazzoleni segue tutti i corridori dell’Astana Qazaqstan
Maurizio Mazzoleni segue tutti i corridori dell’Astana Qazaqstan
Credi che l’eventuale cambio di bici possa essere una fase fondamentale della tappa?

Sì, nel senso che sarà un passaggio delicato, ma più per quanto riguarda i tempi e le difficoltà tecniche del cambio da un mezzo all’altro. 

Dal punto di vista atletico?

Quello no, il corridore passa da una situazione biomeccanica e posturale estrema ad una più comoda. Ogni situazione dovrà essere curata al meglio ma alla fine si tratta più di gestire lo sforzo.

Undici chilometri di pianura prima della salita non sono molti ma possono incidere.

Andrà valutata bene l’intensità con la quale affrontare quel tratto, non si può richiedere all’atleta uno sforzo massimale perché rischia di arrivare ai piedi della salita finito. La grande differenza la farà la condizione con la quale arriverà a fine Giro. Ci si giocherà la classifica finale, quindi la pressione psicologica sarà alle stelle. 

Con la vittoria della cronoscalata del Grappa, Quintana consolidò il Giro 2014
Con la vittoria della cronoscalata del Grappa, Quintana consolidò il Giro 2014
Come si prepara una tappa del genere?

Si svolgono lavori specifici all’interno di macrocicli e microcicli di allenamento, per la parte in salita si prepara uno sforzo intenso ma molto simile a quello di un normale arrivo in salita. Avremo i classici trenta minuti con sforzo massimale, ai quali si aggiunge il lavoro specifico con la bici da crono. Una cosa è certa…

Quale?

Una tappa così la prepara solamente il leader o uno scalatore che punta alla vittoria. Gli altri componenti della squadra non ne hanno il minimo interesse. Ogni leader o comunque ogni corridore è diverso e i modi di preparare questa tappa sono tanti. 

C’è una caratteristica di questa frazione che ti ha colpito?

Direi la salita. I primi cinque chilometri sono davvero tosti con pendenze anche al 15 per cento. Poi spiana per più o meno mille metri e lì i corridori potranno rifiatare prima di lanciarsi nuovamente nel tratto finale. 

Nella cronometro del Tour nel 2016 Aru ha utilizzato una ruota con una raggiatura speciale al posteriore
Nella cronometro del Tour nel 2016 Aru ha utilizzato una ruota con una raggiatura speciale al posteriore
Con tutte le strumentazioni si riesce ad essere precisi nelle indicazioni?

Ormai gli atleti nelle cronometro, soprattutto in quelle di questo genere, hanno delle predisposizioni di wattaggio che devono rispettare. Sta al preparatore essere bravo e trovare i momenti giusti nei quali l’atleta, seppur spingendo, potrà comunque rifiatare. Un altro aspetto fondamentale da curare sarà la respirazione, per una corretta ossigenazione dei muscoli. 

Nel passato hai seguito tanti corridori, ti ricordi di altre cronoscalate?

Me ne ricordo una al Giro d’Italia del 2014, quella del Monte Grappa, con Aru (foto di apertura, ndr). Vinse Quintana e secondo arrivò Fabio. Anche in quel caso ci fu il cambio di bici perché il tratto che da Bassano portava all’attacco della salita era molto veloce. Ne ricordo anche un’altra.

Quale?

La tappa numero 18 del Tour de France del 2016: da Sallanches a Megeve. Sempre con Fabio Aru che aveva fatto veramente bene. In quel caso non optammo per il cambio bici perché si potevano ancora adoperare le estensioni per il manubrio da strada. Ricordo che studiammo i materiali per avere la massima performance e Aru utilizzò una ruota posteriore con una raggiatura particolare. Fabio nei tratti in salita si alzava spesso sui pedali e quella ruota aveva una grande reattività che permetteva di spingere a terra tutta la potenza impressa dal sardo. 

La tappa di Megeve del 2018 la vinse Froome con la bici da cronometro, i mezzi sono migliorati molto da allora
La tappa di Megeve del 2018 la vinse Froome con la bici da cronometro, i mezzi sono migliorati molto da allora
E’ impensabile fare una cronoscalata come quella di quest’anno con la bici da crono?

Non del tutto, la tecnologia è andata avanti molto ed ora i modelli da cronometro sono estremamente leggeri. Alcuni telai che vengono utilizzati su quei mezzi sono “aero” e cambia solamente il manubrio. La posizione in sella fa tanto, una bici da strada risulta più comoda, il cambio bici lo si potrebbe fare anche per questo motivo. 

Baldato, guardando in “casa sua” ha fatto il nome di Almeida. Un corridore costante e forte mentalmente, conterà tanto questa caratteristica?

Una tappa del genere è in mano al cento per cento all’atleta. La concentrazione è una capacità intrinseca al corridore, si può allenare ma poi ognuno è fatto a suo modo. Una figura importante in una corsa del genere è il mental coach perché può aiutare il ciclista a trovare la sua dimensione ideale e rendere al massimo. 

Di solito ci si attiene a quello che può considerarsi un “rito” per isolarsi e trovare la concentrazione.

Certo, per ogni cronometro noi abbiamo dei protocolli che vanno seguiti. Si parte dalla ricognizione, poi il pranzo e l’avvicinamento, il warm up. Sono tempi canonici che aiutano a scandire il tempo ed allontanare le pressioni. Diventa quasi più un fatto mentale che fisico. 

Bernal, il ciclismo è soprattutto un fatto di testa

25.01.2023
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Bernal ha le braccia sottili come quelle di un bambino e del bambino ha anche lo sguardo, che però in certi momenti lampeggia di fuoco e lava. Le gambe brunite dal sole sono un guizzare di muscoli: nulla guardandolo dal di fuori fa pensare all’incidente dello scorso anno. Egan è padrone della situazione. Accetta con disinvoltura di posare per le foto e di rispondere a domande spizzicate qua e là. In corsa, durante questi primi giorni della Vuelta a San Juan, lo si è visto spesso in testa a tirare per Elia Viviani, come dopo il rientro dello scorso anno si mise a disposizione dei compagni. La parola d’ordine è sempre la stessa: ricostruire. Il fisico, la mente e la fiducia. Perché il mondo nel frattempo è andato avanti, altri padroni si sono impossessati del gruppo e alla difficoltà della sfida si è aggiunto l’incidente.

«Penso di essermi ripreso molto bene – dice – e le mie sensazioni sono abbastanza buone. Finalmente sono riuscito ad allenarmi normalmente in questi ultimi mesi, moralmente è importante. Le mie ultime uscite di allenamento sono state soddisfacenti, ma ora bisogna vedere come andrà nelle prossime gare. Ciò che sarà importante è che ora potrò capire quali sono davvero le mie paure sulla bici. Sono stati mesi di sofferenza in cui ho dovuto essere paziente. Questo Vuelta a San Juan mi permetterà di sapere dove mi trovo realmente».

Egan Bernal è nato a Zipaquira, in Colombia, il 13 gennaio 1997. Ha vinto il Tour 2019 e il Giro 2021
Egan Bernal è nato a Zipaquira, in Colombia, il 13 gennaio 1997. Ha vinto il Tour 2019 e il Giro 2021
Alla presentazione di due giorni fa hai parlato di recupero psicologico più duro di quello fisico.

Ho passato lunghe ore a pensare, mentre lavoravo nella speranza di tornare almeno a una vita normale. Ero combattuto tra la voglia di bruciare le tappe quando le cose andavano bene e i dubbi quando qualcosa non andava. Molte volte mi sono chiesto se ne valesse davvero la pena. E’ stato difficile ricominciare tutto da capo, imparare di nuovo a camminare e persino a mangiare. Ma durante quei momenti, ho imparato che la famiglia è una delle cose più importanti.

Hai davvero pensato di fermarti?

Ad un certo punto ho detto ai miei parenti che avrei mollato tutto. Per settimane ho analizzato la situazione per capire se valesse ancora la pena tornare a pedalare con il rischio di cadere nuovamente. A parte le varie foto su internet, non sapevo se sarei stato in grado di tornare in sella a una bici in modo efficace, figuriamoci se sarei stato in grado di tornare a un buon livello. Ho pensato a tutto questo, ma come ho già detto: sono nato per essere un corridore e non riesco a immaginare la mia vita senza il ciclismo. E così sono ripartito.

E alla fine siamo ancora qua…

I consigli dei medici sono stati molto importanti e il supporto della famiglia anche di più. L’unione delle due cose mi ha permesso di rientrare anche più velocemente. Quando sono tornato alle gare in Danimarca, in Germania e in Italia, mi sono reso conto di quanto il gruppo andasse veloce e dei rischi che si corrono.

La Vuelta a San Juan servirà a Bernal per fare un primo punto della situazione
La Vuelta a San Juan servirà a Bernal per fare un primo punto della situazione
Poco fa hai parlato nuovamente della paura.

Quando sono tornato a velocità superiori ai 60 orari, la stessa velocità di quando ho avuto l’incidente, ho avuto paura. Anche al Giro di Germania e Danimarca i primi chilometri sono stati strani, ma poi è andata meglio. Credo ormai di essermi lasciato alle spalle quella sensazione.

Osservandoti, si capiva che qualcosa non andasse.

Mi sono rialzato più di una volta, ritirandomi per tre volte come non mi capita mai. Sentivo che poteva esserci un pericolo e temevo che mi potesse succedere qualcos’altro. Mi sono detto che avevo sofferto anche troppo, che avevo vinto Tour e Giro, quindi perché rischiare ancora? Per me il ciclismo è soprattutto un fatto di testa.

Perché hai scelto il Tour per rientrare?

Il Tour de France è sempre stata una corsa molto importante per me e ovviamente voglio tornarci. Amo questa gara e ho solo bei ricordi. Ma la strada è ancora lunga e bisognerà vedere come andranno le cose fino ad allora, restando sereni e senza farsi prendere la mano. Sono nella lunga lista dei miei compagni che progettano di andarci, starà a me dimostrare di essere pronto.

L’addio di Pinot nato nei lunghi giorni del lockdown

14.01.2023
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Al momento di annunciare il suo ritiro, sorridendo, Thibaut Pinot ha detto che la prima cosa che farà dopo l’ultima corsa, sarà vendere i rulli. Leggere L’Equipe è fare soprattutto un viaggio fra ricordi comuni e sensazioni che tutti abbiamo provato un paio di anni fa. Qualcuno le ha elaborate lasciando la posizione in cui è cresciuto per dare vita a un nuovo progetto. Altri, come Pinot, hanno immaginato la loro vita fuori dal ciclismo.

«Se torno un po’ indietro – racconta – ho iniziato a pensarci durante il lockdown. Era la prima volta che mi sentivo me stesso. E’ stata, tra virgolette, una vacanza imposta, senza stress, senza pressioni, senza correre dappertutto. Da quel momento mi sono posto molte domande. Sul fatto che vivevo a 1.000 all’ora, che non mi stavo godendo i momenti. C’erano corridori sui rulli, io invece mi sono preso il tempo per dedicarmi alla mia fattoria, alla mia vita».

Così L’Equipe ha salutato l’annuncio del ritiro di uno dei suoi beniamini. Chapeau! La foto di apertura è della Groupama-FDJ
Così L’Equipe ha salutato l’annuncio del ritiro di uno dei suoi beniamini. Chapeau! La foto di apertura è della Groupama-FDJ

«Facciamo ogni giorno 4-5 ore di allenamento, ma ho l’impressione che ne servano 24. Hai sempre dentro una vocina che ti ricorda che sei un ciclista. Durante il lockdown, per la prima volta da quando ero piccolo, non avevo più la pressione di pensare sempre alla bici. Ho avuto un assaggio della vita che mi attende. Ripartire fu difficile perché significava lasciare i tre mesi migliori dopo tanto tempo».

Madiot e i paradossi

Madiot lo sapeva. Il burbero Marc, che a Porrentruy con mezzo busto fuori dall’ammiraglia festeggiò la prima tappa al Tour del 2012, ricorda di quando Pinot (al secondo anno da pro’) prese un treno da Melisey per pranzare con lui a Parigi, pregandolo di schierarlo in quel Tour.

«Il ritiro l’ho sentito arrivare – racconta – non sono sorpreso. Abbiamo avuto una conversazione in autunno e mi ha confermato quello che prevedevo. Il suo arrivo ha segnato l’inizio di una nuova era, la seconda nascita della squadra. Per molti corridori gli anni del ciclismo a due velocità sono stati un trauma, la generazione di Pinot ci ha fatto ritrovare uno slancio sportivo.

Thibaut Pinot, caduta Nizza, Tour de France 2020
Nizza, Tour de France 2020: la caduta che ha spinto Pinot verso una fine anticipata della carriera
Thibaut Pinot, caduta Nizza, Tour de France 2020
Nizza, Tour de France 2020: la caduta che ha spinto Pinot verso una fine anticipata della carriera

«E’ un romantico, un ragazzo con dei paradossi. Vuole stare tranquillo nel suo mondo e allo stesso tempo racconta la sua vita sportiva su Strava. Si allena duramente, ma al contempo non ha mai accettato tutte le possibilità di migliorare che gli sono state offerte. La sua realizzazione assoluta per me è la vittoria sul Tourmalet nel 2019. Un giorno gli chiesi se volesse vincere il Tour e se ci pensasse la mattina mentre si radeva. Lui rispose di no, capii che ci pensavo io al posto suo. Per me Thibaut si è spento con la caduta di Nizza al Tour 2020. La ricostruzione è stata lunga e dolorosa, Nizza è il punto di svolta».

Via dalla pressione

Un altro 90 che lascia il gruppo. Non si può parlare di ritiro prematuro, ma è arrivato prima di quanto si sarebbe immaginato. Più tardi di Dumoulin e Aru, ad esempio, ma con qualcosa che li lega.

«E’ stata una benedizione – dice – che non abbia vinto il Tour. Ovviamente sono poche le persone che possono capirmi. Volevo vincerlo e se non ci sono riuscito, è stato un segno del destino. Sarei diventato un personaggio pubblico, cosa che non volevo. Ogni volta che vincevo una tappa al Tour, non avevo fretta di tornare a casa perché sapevo che avrei avuto persone davanti al cancello. Quindi non riesco nemmeno a immaginare come sarebbe stato se avessi vinto il Tour de France. A casa non ci sarei tornato più…

Presentazione della squadra prima del ritiro di Calpe a dicembre: decisione già presa (foto Groupama-FDJ)
Presentazione della squadra prima del ritiro di Calpe a dicembre: decisione già presa (foto Groupama-FDJ)

«Avevo degli obiettivi, li ho raggiunti quasi tutti. Adesso ho solo la rivincita col Giro, non mi va di lasciarlo con il ricordo di un ospedale, perché il Giro resta la corsa più bella. Il ciclismo ha preso un terzo della mia vita e ora voglio dedicarmi alla mia seconda passione, gli animali, la natura. Se potrò avere il futuro che sogno è anche perché non ho vinto il Tour. La mia vita sarebbe cambiata troppo, per questo non me ne pento».

La vita del campione

Lo incontrammo per la prima volta ai mondiali di Mendrisio 2009, dopo la fresca vittoria al Giro della Valle d’Aosta. Aveva il futuro fra le mani, la Francia era certa che fra lui, Bardet e Barguil sarebbe uscito il prossimo vincitore del Tour.

«Sono già arrivato – ragiona – oltre le mie aspettative. Quando sono diventato professionista, non avrei mai pensato di vincere così tante belle gare. Mi rassicuro così. E poi sono rimasto onesto, nella mia filosofia ciclistica e per tutta la carriera. Ne sono soddisfatto. Avevo il potenziale grezzo per vincere più gare, un grande Giro per esempio, ma nel ciclismo di adesso questo non è abbastanza.

«Il Giro 2018 è stato un clic (fu portato in ospedale disidratato e con complicazioni renali nel giorno dell’impresa di Froome sul Finestre, ndr). Quando ti arrendi e finisci in ospedale in terapia intensiva, ti accorgi che è la vita non è solo ciclismo. Quell’esperienza mi ha aiutato ad accettare il ritiro dal Tour del 2019. Prima non sopportavo il fallimento, mi faceva molto male, ma dopo il 2018 è diventato diverso, mi sono detto che non potevo continuare a rovinarmi la vita. Non ho mai voluto la carriera di un campione, non è mai stato facile per me. Nei giorni del gruppetto al Tour, mi nascondevo nel mezzo perché non volevo che la gente mi riconoscesse. Mi vergognavo…».

Il più in alto possibile

Chissà se averlo annunciato prima toglierà il fuoco di dosso o gli permetterà di correre divertendosi come da under 23. Il programma è ricco, le aspettative ancora alte.

«Sono motivato a vincere il più possibile – dice – farò di tutto per questo. Ho detto in anticipo che il 2023 sarà l’ultima stagione, per liberarmi da questo peso e divertirmi per il tempo che resta. Non faccio una croce sul muro ogni mattina per i giorni che passano. Mi sento molto meno nervoso e più libero. Ho sempre detto che quando non sarei stato più in grado di vincere, avrei smesso.

«Sono sempre stato lucido riguardo alle mie capacità. Andrò al prossimo Tour con l’obiettivo di aiutare Gaudu. Perché il mio ultimo anno sia bello, devo esserci. Fosse solo per tutti quelli che mi hanno supportato. Da me ci si aspettava che lo vincessi, non ci sono riuscito. Il Tour e la Vuelta dell’anno scorso sono stati frustranti. Ma anche questo fa parte del viaggio che porterà alla pensione».

EDITORIALE / I tifosi li abbiamo, ricostruiamo la cultura

09.01.2023
6 min
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«Quando mi dicono che in Olanda ci sono più biciclette che in Belgio, rispondo che è vero. In Olanda hanno la cultura della bicicletta, da noi invece c’è la cultura del ciclismo».

Le parole sentite il 6 gennaio in Belgio continuano a risuonare, come pure i boati di pubblico nei cross del weekend. Chi ha commentato le immagini e gli articoli sui vari social ha scritto che certe scene si possono vedere soltanto lassù. Non è vero, accade anche da noi: magari non nel cross, ma certo su strada. La foto di apertura viene dal Giro del 2018 a Catania, l’ha scattata Dario Belingheri e ha pure vinto un premio. La gente ce l’abbiamo, stiamo perdendo la cultura del ciclismo. Perché?

A Zonhoven ieri un quantitativo impressionante di pubblico, dai bambini ai nonni (foto Cyclocross Online)
A Zonhoven ieri un quantitativo impressionante di pubblico, dai bambini ai nonni (foto Cyclocross Online)

La cultura del ciclismo

Cultura è una parola importante. Magari quel tale l’ha utilizzata a vanvera oppure con la consapevolezza di ciò che stava dicendo.

«Cultura – dice la Treccani – è l’insieme delle cognizioni intellettuali che una persona ha acquisito attraverso lo studio e l’esperienza, rielaborandole peraltro con un personale e profondo ripensamento così da convertire le nozioni da semplice erudizione in elemento costitutivo della sua personalità morale, della sua spiritualità e del suo gusto estetico, e, in breve, nella consapevolezza di sé e del proprio mondo».

Se associamo la definizione al ciclismo e consideriamo che in Belgio è materia di studio nelle scuole, presenza fissa nei media, stile di vita quotidiana e abitudine consolidata in tante case, si capisce che forse l’uso del termine non sia venuto a sproposito. Stando così le cose, si capisce anche il motivo per cui delle grandi aziende trovino interesse nell’investire in questo sport

«Siamo due grandi compagnie del Belgio – ha detto Cindy Van Moorleghem Brand & Marketing Director di Quick-Step, parlando dell’azienda per cui lavora e di Soudal – entrambe attive sul mercato internazionale. Abbiamo dei valori in comune, che si chiamano passione, sogno e orgoglio».

Bambini e futuro

La stessa cosa succede in Francia. Il grande lavoro svolto da Aso nel diffondere il Tour e la sua immagine, unito all’appoggio della politica e al favore dei media fa sì che la storia del ciclismo e il suo presente passino attraverso le generazioni. Ne consegue che anche in Francia dei veri colossi si sono avvicinati alle squadre, modellando campagne di marketing su uno sport che viene ritenuto un grande veicolo promozionale.

Il racconto fatto da Consonni sulla folla di pubblico nelle varie prove della Coupe de France conferma che non è solo il Tour, ma il ciclismo stesso ad essere trainante, sia pure in un Paese in cui calcio e rugby la fanno da padroni.

Spesso per capire quanto il ciclismo sia radicato nella società, basta guardarsi intorno. La presenza dei bambini alle corse è la discriminante più attendibile: se ci sono loro, vuol dire che si tratta di un affare di famiglia. E allora, come ha detto Lefevere alla presentazione della sua squadra, è lecito pensare che i bambini di oggi saranno i tifosi di domani.

In Belgio la cultura del ciclismo traspare dalle generazioni dei tifosi: dai piccoli agli anziani
In Belgio la cultura del ciclismo traspare dalle generazioni dei tifosi: dai piccoli agli anziani

L’eccezione italiana

Che cosa impedisce che la stessa cosa accada anche in Italia? Siamo tifosi, appassionati e praticanti. Abbiamo un seguito fantastico, un territorio disegnato per gli sport outdoor, ma la cultura del ciclismo si va spegnendo perché manca la rete che ne favorisca il passaggio. Resta legata ai ricordi dei più attempati, ma raggiunge a fatica i più giovani. Se ci fosse stata ancora la sensibilità degli anni Ottanta, un campione come Nibali sarebbe diventato trascinatore anche malgrado il suo carattere schivo. Invece lo abbiamo lasciato passare senza renderci conto che sia stato più popolare in Francia che in Italia.

Per forza! Chi organizza le corse si limita, nella maggioranza dei casi, a raccogliere assegni, tassare gli sponsor altrui, montare palchi e sparire poche ore dopo. Gli esponenti della politica nazionale si tengono alla larga, casomai dovesse nuocere alla loro immagine farsi vedere al via di una corsa. I media, quelli importanti che dettano la linea, si sono inginocchiati davanti al calcio, ritenendolo l’unico tema che richiami il pubblico. Di conseguenza gli sponsor stanno alla larga. Quelli capaci di coniugare passione, sogno e orgoglio sono usciti anni fa e non tornano indietro. Ci sono stati anche gli anni in cui la sponsorizzazione era il modo migliore per giocare con le fatture, ma questa è un’altra storia, tipica tuttavia del nostro malcostume. E certo non aveva a che vedere con passioni, sogni e orgoglio.

L’invasione francese

Il perché tutto questo accada resta la chiave decisiva. Il Covid ha favorito il rinascere (forse) della cultura della bicicletta, ma anche questa deve confrontarsi ogni giorno con la non-cultura di chi utilizza le strade senza rispetto per gli utenti più deboli. E non saranno le distanze imposte o le targhe alle bici a rendere migliore la situazione. Forse davvero l’unica soluzione è che ci invadano. Che arrivi dalla Francia lo squalo del Tour e metta un piedino, magari cominciando dal Giro Donne, e poi si espanda. Lo faranno prevalentemente per denaro, ma sanno anche che il gioco è tanto più redditizio se poggia sulla cultura popolare. Sempre a quella si torna e qui il ciclismo ha fatto la storia. Dobbiamo rimboccarci le maniche affinché tutti lo sappiano.

A tavola con Remco: prima il Giro, per il Tour si vedrà

07.01.2023
7 min
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Quel che colpisce in Remco Evenepoel (finora) è l’assenza di sudditanza nei confronti del Tour. Dopo la vittoria della Vuelta, gli organizzatori francesi hanno detto che alla Boucle di quest’anno sarebbe ospite gradito, ma il belga ha risposto che il 2023 sarà l’anno del Giro. Ed ha poi aggiunto, ieri durante gli incontri con la stampa a margine della presentazione della squadra, che se anche uscisse dal Giro con una gamba spaziale, ugualmente non andrebbe in Francia.

«Voglio proseguire nel mio progetto di crescita – ha detto – che prevede la Vuelta, il Giro e poi semmai il Tour. I programmi non si cambiano. Il Tour nel 2024? Vediamo. Se dovessi vedere che il percorso della Vuelta è meglio per me, tornerei in Spagna. Farò il Tour prima o poi, questo è certo, ma non ho fretta».

Primo ritiro a Calpe, Remco ha lavorato per arrivare pronto al debutto argentino: si parte il 10 gennaio (foto Specialized)
Primo ritiro a Calpe, Remco ha lavorato per arrivare pronto al debutto argentino: si parte il 10 gennaio (foto Specialized)

La calma dei forti

Capelli in perfetto ordine, guance lisce, addome piatto e cosce che spingono sotto i jeans, il ragazzino è cresciuto. E se anche il rinviare la sfida francese fosse il modo per stare alla larga da certi clienti, la sensazione è davvero quella del cammino ragionato e condiviso. E’ padrone di sé e di ottimo umore.

Le vittorie hanno avuto il loro peso. E forse anche il riconoscimento da parte di Eddy Merckx ha contribuito a non farlo più sentire un estraneo. Non ne aveva mai cercato l’approvazione, era sempre stato alla larga dai paragoni, ma il Cannibale si era messo di traverso. Adesso, con l’investitura del grande belga e un anno come l’ultimo, Evenepoel ha capito di avere un posto al tavolo dei grandi. E con il matrimonio a dargli equilibrio giù dalla bici, si può dire che il quadro sia quasi perfetto.

Si parla a un tavolo con altri giornalisti venuti da vari Paesi d’Europa. Nella grande sala allestita per la presentazione della Soudal-Quick Step, un tavolo è stato predisposto per i fiamminghi, uno per i francesi e uno per il resto del mondo, ma per essere certi di non perdere una sola parola, si girano un po’ tutti.

Intervistato sul palco, Remco ha confermato la sua volontà secca di correre il Giro
Intervistato sul palco, Remco ha confermato la sua volontà secca di correre il Giro
Come stai?

Tutto bene. Con mia grande sorpresa, è stato un inverno abbastanza tranquillo. Senza molto stress. Anche perché ho detto parecchi no, ovviamente. Mi sono limitato alle cerimonie di premiazione, saltando i programmi televisivi.

Nel frattempo, ti sei anche sposato. La vita è cambiata davvero tanto?

Il ciclismo dura solo un breve periodo della tua vita, una moglie di solito è per sempre (ride, ndr). Dopo il matrimonio, si è aperto un nuovo mondo. Ogni tanto guardo questo anello, ne sono molto contento.

Presto l’inverno tranquillo finirà, hai paura dello stress in arrivo?

Non proprio, credo di poter gestire abbastanza bene quella pressione. Inoltre è importante saper individuare bene i momenti stressanti. Ecco perché scelgo consapevolmente blocchi di allenamento lunghi e allenamenti in quota. Se le competizioni sono periodi di grande pressione, allora nei ritiri posso ricaricare le batterie e lasciar andare lo stress. Si dice che io corra poco, ma a parte la Vuelta San Juan che servirà per rompere il ghiaccio, faccio sempre gare di alto livello e corro sempre per vincere. Questo rende il mio calendario comunque molto intenso.

Spiritoso e pronto alla battuta, ha scherzato con i giornalisti, senza però sottrarsi alle domande
Spiritoso e pronto alla battuta, ha scherzato con i giornalisti, senza però sottrarsi alle domande
Stai andando verso il Giro, con le stesse parole con qui andasti alla Vuelta: una tappa e un piazzamento…

Esatto, con qualche ostacolo di più. La neve a primavera renderà più difficile esplorare in anticipo le tappe del Giro, altrimenti cercherò di seguire lo stesso schema.

Che sarebbe?

Un periodo in quota, poi una corsa a tappe (il Giro di Catalogna, ndr). Un altro allenamento in quota, quindi la Liegi-Bastogne-Liegi, un’altra settimana in altura e poi il Giro. La Liegi svolgerà lo stesso ruolo che ha avuto San Sebastian l’anno scorso, con la differenza che sarò il vincitore uscente e avrò indosso la maglia iridata. Sarà la giornata più speciale dell’anno. Si spera con esiti altrettanto positivi.

Hai parlato tanto della quota, hai messo nella tua casa di Calpe la camera ipobarica?

No, purtroppo non c’era posto (ride, ndr).

Interviste finite, resta la presentazione sul palco esterno, ma per Remco non mancano mai richieste di autografi
Interviste finite, resta la presentazione sul palco esterno, ma per Remco non mancano mai richieste di autografi
Tornando al Giro, sei sicuro che tutti berranno il tuo basso profilo? L’anno scorso era sostenibile, dopo aver vinto la Vuelta però…

E’ molto difficile prevedere come andrà la classifica. Ovviamente spero di piazzarmi di nuovo tra i primi cinque, con il podio come sogno assoluto. Ma possono succedere tante cose. Sfortuna al momento sbagliato nella prima settimana e addio… Il Giro è completamente diverso dalla Vuelta. Dovremo pianificare attentamente le nostre giornate: dove attaccare, dove invece togliere il piede dall’acceleratore.

Si parla di portare al Giro la squadra della Vuelta: sarà così?

Difficile dirlo adesso. Ho alcuni uomini che mi piacerebbe avere e che normalmente ci saranno: Vervaeke, Van Wilder e Serry. Inoltre mi sarebbe piaciuto avere Alaphilippe, ma poiché farà anche le classiche del pavé, potrebbe essere difficile far combinare tutto. Poi servirà anche qualcuno per le tappe pianeggianti, qualcuno che sappia fare la differenza. Uomini come Lampaert, Asgreen o Ballerini. Insomma: tre o quattro nomi sono fissi, gli altri verranno fuori.

Ti ha stupito che Roglic verrà al Giro?

Abbastanza. Ho trovato sorprendente che una settimana prima abbia detto che il Giro arriva troppo presto rispetto all’operazione alla spalla, poi ha annunciato la sua presenza. Troverei strano che si sia messo a fare pretattica. Penso sia bello averlo in corsa, sono curioso. Spero che si riprenda bene e venga fuori un altro bel duello.

Bramati segue Remco da quando è passato e sta già lavorando al progetto Giro
Bramati segue Remco da quando è passato e sta già lavorando al progetto Giro
Sarà lui l’uomo da battere?

Credo di si. Ha più esperienza di me, non ha paura, attacca nelle situazioni più disparate. Su un finale in ripida salita, su un finale da scattisti, anche in pianura. Ha vinto tre volte la Vuelta, è stato terzo al Giro. Se partiamo dal palmares, Roglic sarà il miglior corridore da grandi Giri presente in Italia. Ma attenzione, ci saranno anche Vlasov e Thomas, vedrete che altri nomi salteranno fuori.

Quanto è stato difficile non scegliere il Tour?

Sono convinto che si possa fare un solo Grande Giro in modo decente per stagione. Un secondo è possibile solo se ogni tanto ti prendi un giorno libero. Ma non fa parte del mio stile. I tre Grandi Giri per me sono sullo stesso piano. Ecco perché ogni anno cercherò quale dei tre mi si addice di più.

Senti di essere cresciuto grazie alla tua vittoria alla Vuelta?

Da una vittoria così, impari davvero tanto. Ad esempio, che la cronometro in un Grande Giro è completamente diversa dalla cronometro di un giorno, se non altro per la fatica che porti con te. Oppure adesso so che pochi giorni dopo una caduta, ne hai sempre uno meno brillante e non devi farti prendere dal panico. Come poteva accadere alla Vuelta nel giorno di Sierra Nevada. Ma soprattutto ho trovato il perfetto equilibrio in termini di peso, alimentazione, potenza. Difficilmente mi stupisco per qualcosa nella mia preparazione. Essere così pochi mesi prima del Giro, è una sensazione rilassante.

Phil Lowe, addetto stampa del team, segue Remco passo dopo passo: la giornata ha avuto ritmi serrati
Phil Lowe, addetto stampa del team, segue Remco passo dopo passo: la giornata ha avuto ritmi serrati
Essere così acclamati rischia di farti sentire un supereroe?

La folla nella piazza di Bruxelles mi ha fatto capire che avevo fatto davvero qualcosa di speciale. Ma non importa quanta attenzione riceva, quando torno a casa e chiudo la porta dietro di me, sono ancora il ragazzo di sempre, che non vola e che tiene i piedi per terra. E che quando serve fa le faccende di casa.

Anche tu lavi i piatti?

Sì, anche io (ride, ndr). Lavo i piatti e vengo rimproverato dalle mie donne o da mio padre se mi metto in testa qualcosa che a me piace tantissimo e invece è una sciocchezza. E’ così che dovrebbe essere. E’ così che mi piacerebbe rimanere.

Kruijswijk, aiutante suo malgrado e già a caccia di un team

06.01.2023
5 min
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Quando riesci a centrare la Top 5 in tutti e tre i Grandi Giri nello spazio di 3 anni, è chiaro che il tuo prestigio assurge ad altissimi livelli. Che Steven Kruijswijk sia un candidabile per la vittoria in una corsa di tre settimane è però un’affermazione che ormai non ha più senso. L’olandese, esponente di quella generazione arancione che, con lui, Gesink, Dumoulin, Kelderman ha dimostrato di poter essere competitiva soprattutto nelle corse a tappe, viene da anni sfortunati, dal Covid in poi, che hanno ridimensionato la sua figura e anche il suo ruolo.

Kruiswijk a 35 anni è alla Jumbo Visma e la corazzata olandese vede in lui una colonna portante del team, un sostegno fondamentale per chi sarà il capitano al Tour de France, verosimilmente il campione in carica Jonas Vingegaard. Il ruolo di luogotenente potrebbe anche sembrare tagliato su misura per le caratteristiche attuali di Kruijswijk, ma lo sente un po’ stretto. Correre per gli altri non è propriamente nella sua natura e questo è un po’ una caratteristica comune per i corridori olandesi, come si è spesso visto in ambito femminile e anche fra i nomi precedentemente citati.

L’olandese, qui con Kuss e Vingegaard, è tornato alle gare al Criterium di Saitama. Ora già pensa al Tour
L’olandese, qui con Kuss, è tornato alle gare al Criterium di Saitama. Ora già pensa al Tour

Il sogno del podio a Giro o Vuelta

Il trentacinquenne di Nuenen ha chiuso anzitempo la sua stagione, vittima dell’ennesima caduta al Tour de France che si è rivelata più rovinosa del previsto. La ripresa è stata lenta, con Vingegaard vincitore però nessuno alla Jumbo Visma gli ha messo fretta, pensando già all’annata successiva. Kruijswijk ha ripreso lentamente per essere pronto quando servirà. Già si sa che sarà al Tour, anche se non erano propriamente questi i suoi desideri.

«Avrei voluto tornare al Giro d’Italia – ha ammesso Steven – ma dovrò dare una mano a Vingegaard nella Grande Boucle. Io so di che cosa sono ancora capace, se sono al top della forma, la strada verso un podio al Giro o alla Vuelta non è preclusa».

Le sue parole hanno un preciso fondamento, che affonda in quel che avvenne nel 2016, forse la grande occasione che poteva dare la svolta alla sua carriera.

Giro 2016, la caduta nella discesa dal Colle dell’Agnello che gli costerà la maglia rosa. Lo spinge Massimo Rava
Giro 2016, la caduta nella discesa dal Colle dell’Agnello che gli costerà la maglia rosa. Lo spinge Massimo Rava

La caduta che cambiò tutto

In quell’edizione della corsa rosa, Kruijswijk prese l’iniziativa più volte, assestandosi nei quartieri alti della classifica per poi attaccare con decisione sul Valparola nella tappa numero 14. Con Chaves diede vita a una fuga decisamente fruttuosa, lasciando al colombiano la vittoria parziale per appropriarsi della maglia rosa. Il giorno dopo, nella cronoscalata dell’Alpe di Siusi, fu secondo rafforzando la sua leadership e ponendo una seria candidatura alla vittoria finale. All’inizio della terza settimana, visti gli attacchi dei rivali in classifica decise di attaccare a sua volta nell’ascesa verso Andalo portando a 3 minuti il vantaggio su Chaves, a quel punto sembrava tutto scritto.

Il destino aveva però altre strade per lui: nella diciannovesima tappa, quella del Colle dell’Agnello incorse in una brutta caduta, riportando la frattura di una costola. Stoicamente finì la tappa, ma il Giro era andato a favore di Nibali, con l’olandese che chiuse quarto, un piazzamento quanto mai amaro. Da allora la sua strada si è fatta impervia, ricca di scivoloni dai quali si è sempre però rialzato con carattere, altrimenti non sarebbero arrivati il quarto posto alla Vuelta 2018 e il podio al Tour 2019.

Kruijswijk con Bernal sul podio del Tour 2019. L’ultimo grande acuto della sua carriera
Kruijswijk con Bernal sul podio del Tour 2019. L’ultimo grande acuto della sua carriera

Il ritiro? Non è un’opzione…

Da quel giorno agli Champs Elysées, però, Kruiswijk ha concluso un solo Grande Giro, la Vuelta 2021 al 12° posto e questo lungo periodo di appannamento è arrivato mentre Roglic consolidava il suo ruolo di punta e emergevano nuove leve, a cominciare da Vingegaard. L’olandese è passato in secondo piano: al grande rendez vous con la stampa dello scorso dicembre, pochi si sono avvicinati a lui, chi lo ha fatto non ha potuto non notare la sua insoddisfazione.

«Sia ben chiaro, non ho nulla contro il team – ha voluto chiarire a Wieler Revue – la Jumbo Visma è la squadra più forte al mondo e farne parte è un grande onore. Mi chiedo solo se posso lavorare in un altro modo. Credo di avere ancora tempo per mettere a posto le cose, tanto che non firmerei per un biennale, penso che ci siano ancora tre anni buoni davanti a me».

L’olandese con Roglic. Sin dagli esordi nel 2006 Kruijswijk è stato nel team, ma cosa accadrà a fine 2023?
L’olandese con Roglic. Sin dagli esordi nel 2006 Kruijswijk è stato nel team, ma cosa accadrà a fine 2023?

Tour con Vingegaard, poi si vedrà

«Se voglio correre per me stesso, devo andare in un team che pensa ancora che io possa puntare alla Top 5 in un Tour de France – ha ulteriormente specificato mettendo di fatto una pietra tombale sulla sua riconferma all’interno del team – Io sono convinto che un grande piazzamento sia ancora nelle mie corde, ma alla Jumbo hanno chiaramente altre priorità».

Professionista dal 2006, Kruijswijk si avvia verso la sua diciottesima stagione. Partirà presumibilmente piano puntando a essere in forma per l’estate e dare una mano a Vingegaard per dimostrare di saper essere anche un valido luogotenente. Anche se non è quella la sua aspirazione.

“Attaque de Rolland”, ma l’uomo delle fughe ha detto stop

30.12.2022
5 min
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La vicenda che ha portato alla cancellazione della B&B Hotels Ktm è costata un’improvvisa fine di carriera per Pierre Rolland (nella foto di apertura di Aurelien Vialatte), che appende la bici al chiodo a 36 anni. Un corridore con alle spalle 16 anni di professionismo, conditi da 14 vittorie. Ma non sono tanto o solo queste a rendere la notizia del suo addio diversa dalle altre. Rolland non è stato un corridore comune, per molti aspetti.

Innanzitutto, per capire la sua importanza, Rolland va collocato nel tempo. Passato molto giovane, il corridore di Gien si collocò in un periodo davvero difficile per il ciclismo transalpino. Erano molti anni che si attendeva un ciclista capace di vincere il Tour e questa attesa ammantava ogni nuovo talento di un profondo carico di responsabilità. Nei primi anni, Rolland diede nuova linfa a queste aspettative, con piazzamenti di livello (la vittoria nella classifica degli scalatori al Criterium del Delfinato 2008 che gli valse anche la convocazione per le Olimpiadi di Pechino) fino ad accompagnare nel 2011 il grande sogno di Thomas Voeckler di vincere la Grande Boucle.

Alla B&B dal 2020, Pierre paga la crisi del team. Chiude con 14 vittorie, tra cui 2 al Tour
Alla B&B dal 2020, Pierre paga la crisi del team. Chiude con 14 vittorie, tra cui 2 al Tour

In fuga solamente per vincere

Il giorno della tappa dell’Alpe d’Huez, Rolland era al fianco della maglia gialla, a due sole frazioni dal termine. Voeckler è sempre stato un ciclista molto presente a se stesso e a un certo punto disse al più giovane compagno di non trattenersi e andare per la sua strada. Rolland partì all’attacco infiammando i cronisti locali: staccò Contador e Sanchez, non due qualunque e conquistò una delle frazioni più iconiche della corsa francese, condendola con la vittoria della classifica per i giovani.

Poteva, anzi doveva essere il suo trampolino di lancio. Ma i tempi non erano ancora maturi (e a ben guardare non lo sono ancora, se l’ultimo francese vincitore della corsa di casa resta Bernard Hinault nel 1985…) e Rolland se ne rese presto conto. Era approdato alla Cannondale per fare classifica, fu un passaggio non senza contraccolpi, a cominciare dal fatto di essere costretto a imparare l’inglese. Nel frattempo però qualcosa stava cambiando nel suo modo di correre. Forse era nato tutto da quella fuga all’Alpe d’Huez: «Non sarei mai andato in fuga per essere secondo o terzo – aveva affermato subito dopo la conquista del traguardo – quando sono partito avevo in mente solo la vittoria e nulla mi avrebbe fermato».

L’azione decisiva sull’Alpe d’Huez. Contador prova a tenerlo, ma il francese andrà via di forza
L’azione decisiva sull’Alpe d’Huez. Contador prova a tenerlo, ma il francese andrà via di forza

Il capolavoro del Giro 2017

Fuga. Rolland ha messo un po’ da parte le sue ambizioni di classifica per diventare uomo da fughe. Per certi versi in tal modo è riuscito a sopravvivere all’ascensione di nuovi talenti e non parliamo solo dei vari Pogacar, Van Aert e compagnia cantando, ma anche in casa, vedi il pluriridato Alaphilippe. Ma c’era qualcosa in più. Per Rolland la fuga “era” il ciclismo, dava un significato al tutto. Non vogliamo scomodare la filosofia (c’è Guillaume Martin per quello…), ma per il transalpino andare in fuga era una sorta di sfida alla sorte: ci sarà la spinta giusta del vento? Il gruppo si coalizzerà o le beghe interne daranno via libera? La strada sarà quella giusta per compiere l’impresa? Ogni volta una scommessa, ogni volta una lotteria del destino. Ma già essere lì a gettare i dadi sul tavolo era un successo, vivere quell’attesa per il responso.

Nel 2017 Rolland compie il capolavoro, che dà un senso a questa nuova dimensione: nella tappa di Canazei al Giro d’Italia se ne va alla partenza insieme ad altri 23, nessuno gli dà credito (e come si potrebbe…), tutti pensano alla classica fuga ripresa dal gruppo quando si farà sul serio, invece Rolland resta lì e a 8 chilometri dal traguardo piazza la stoccata decisiva, con 24” su Rui Costa, già battuto una settimana prima da Fraile. Il destino sa essere anche beffardo…

La vittoria autoritaria di Rolland a Canazei, Giro d’Italia 2017. L’apoteosi per chi ama le fughe come lui
La vittoria autoritaria di Rolland a Canazei, Giro d’Italia 2017. L’apoteosi per chi ama le fughe come lui

Pensate ai disoccupati della B&B

Rolland avrebbe anche potuto continuare. Voleva farlo, ma poi ha riflettuto. In fin dei conti, la carriera gli aveva già dato quel che chiedeva: «Posso chiudere a buon livello e non in fondo al gruppo, dimenticato. Il futuro è una pagina tutta da scrivere, forse rimarrò nell’ambiente, i progetti ci sono e devono solo essere messi in pratica. Ad esempio potrei rimanere nell’ambiente dedicandomi alle prove un po’ più lunghe, le ultra. Pedalare mi piace ancora e mi piacerà sempre».

Quando le prime voci sul dissesto della B&B erano iniziate a circolare, qualche team aveva anche tentato un approccio, ma Rolland aveva risposto garbatamente: «Ho consigliato a tutti coloro che mi chiamavano di puntare su un collega più giovane, uno di quelli che avrebbe dovuto condividere con me l’avventura del team di Pineau e si è ritrovato senza lavoro. Io una sistemazione la trovo, anche se non agonistica, anche se non più in questo mondo di corridori che ho frequentato per anni girando il pianeta».

Rolland, miglior giovane al Tour 2011, con gli altri vincitori, Sanchez, Cavendish e Evans
Rolland, miglior giovane al Tour 2011, con Sanchez, primo fra gli scalatori

L’importanza dei tifosi

L’ultimo pensiero nel mettere da parte bici, maglietta, casco e quant’altro è stato per i tifosi: «Ci tengo a ringraziarli, coloro che mi hanno sostenuto per tutta la mia carriera, che hanno appoggiato le mie scelte e per le strade urlavano il mio nome: “Attaque de Pierre Rolland” era diventato quasi un mantra, lanciato da L’Equipe e che i tifosi avevano preso come slogan. Mi dispiacerà non sentirlo più…».

Il Tour, l’Italia e la sicurezza: parla Prudhomme

25.12.2022
6 min
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L’Italia si tinge di giallo. Toscana, Emilia Romagna e Piemonte si sono unite come i moschettieri per infilzare l’obiettivo che tutto lo Stivale inseguiva da sempre: la Grand Départ del Tour de France. L’ultima tappa delle presentazioni sul nostro territorio è stata quella a Palazzo Madama di Torino. Prima della conferenza organizzata dalla Regione Piemonte per illustrare la terza frazione del 1° luglio 2024, abbiamo incontrato il direttore generale della Grande Boucle, Christian Prudhomme per una chiacchierata a tutto tondo sul mondo delle due ruote.

L’intervista con Prudhomme si è svolta alla vigila della presentazione torinese del Tour 2024 (foto Umberto Zollo)
L’intervista con Prudhomme si è svolta alla vigila della presentazione torinese del Tour 2024 (foto Umberto Zollo)
Come nasce quest’omaggio storico per l’Italia e per tutto il suo ciclismo?

Era da tantissimo tempo che volevamo fare la Grand Départ dall’Italia. Mi sembra davvero pazzesco che non sia accaduto prima, ma le tessere del puzzle non si erano mai incastrate.

Quanto è stata importante la spinta delle regioni per raggiungere questo traguardo?

Toscana, Emilia Romagna e Piemonte sono state brave a fare squadra, così come le città, a cominciare da Firenze, da cui scatterà la prima tappa. Hanno fatto un po’ come i moschettieri: uno per tutti, tutti per uno, ed è stata la ricetta vincente perché il Tour partisse dall’Italia. Volevamo omaggiare i campioni che hanno scritto pagine indelebili del ciclismo mondiale come Bartali, Coppi, Pantani, a 100 anni dalla prima vittoria italiana (Bottecchia nel 1924, ndr). Siamo contentissimi di questa opportunità, non vediamo l’ora di valorizzare il magnifico paesaggio del vostro Paese. Da luoghi che sono patrimonio dell’Unesco come il centro storico di Firenze, le arcate di Bologne, i paesaggi vinicoli del Piemonte con vini di grandissima qualità. Non vedo l’ora di scoprire questi posti splendidi.  

Nel 2023 la Spagna, nel 2024 l’Italia: il Tour abbraccia gli altri due Paesi dei grandi giri in un momento in cui il mondo è diviso dalle guerre. 

Lo sport permette di avvicinarsi alla gente. Il ciclismo più di tutti gli altri perché attraversa le città e i paesini che si trovano sul percorso delle sue competizioni.

Dopo le presentazioni di Firenze e Bologna, in platea anche Davide Cassani (foto Umberto Zollo)
Dopo le presentazioni di Firenze e Bologna, in platea anche Davide Cassani (foto Umberto Zollo)
L’anno prossimo, il tracciato strizza l’occhio agli scalatori: corretto?

Il Tour è sempre per scalatori, poi magari l’anno prossimo ci sarà la sfida tra un grimpeur puro e un passista, come accadde in passato con il duello tra Bahamontes e Anquetil. Al giorno d’oggi però non ci sono differenze così marcate tra scalatori e passisti, ma ci siamo ritrovati una generazione di fenomeni straordinari, che attaccano da lontano, che animano la corsa e la rendono entusiasmante per tutti.

Che ciclismo ci aspetta dopo i ritiri di due monumenti come Nibali e Valverde?

Il Tour dello scorso anno è stato magnifico. Pogacar era il super favorito e non ha vinto, ma è stato grandioso nella sua sconfitta. Non ha mai mollato, attaccando persino sui Campi Elisi. Vingegaard è stato straordinario. Ha ottenuto una splendida vittoria sul Granon, grazie all’aiuto della sua squadra, la Jumbo Visma. Sono stati capaci di accerchiare Pogacar e di regalarci quella che, a mio parere, è stata la tappa più bella degli ultimi trent’anni. Sono sicuro che ci aspettano altre annate splendide, sia nel 2023 sia nel 2024 quando si partirà dall’Italia. 

Il percorso della corsa su strada dell’Olimpiade di Parigi 2024 sarà nelle vostre mani?

Noi presteremo soltanto i nostri servizi e faremo il lavoro che ci chiederanno di fare, ma non siamo noi a scegliere il percorso. Offriremo soltanto la nostra esperienza sotto l’aspetto tecnico, anche perché non capita tutti i giorni di avere i Giochi in casa a Parigi.

Il Tour de France del 2022 è stato magnifico, per la resa di Pogacar sul Granon e i suoi successivi tentativi di recuperare
Il Tour de France del 2022 è stato magnifico, per la resa di Pogacar sul Granon e i suoi tentativi di recuperare
Negli stessi giorni si sono celebrati anche i funerali di Davide Rebellin, omaggiato dalla platea di Palazzo Madama con un minuto di silenzio. Che segno ha lasciato quest’ennesima tragedia?

E’ stato drammatico e l’Italia continua a pagare un dazio enorme. Il pensiero vola sempre anche a Michele Scarponi, che ci ha lasciato qualche anno fa. Non soltanto in Italia, ma in tutti gli altri Paesi del mondo devono fare attenzione a chi va in bicicletta. Chi va in bici, uomo o donna, non ha nessuna protezione. Mi sembra pazzesco pensare che il lunedì sera ho stretto la mano a Davide Rebellin a Monaco e tre giorni dopo lui non c’era più. Il Tour de France continuerà a lavorare affinché non si ripetano queste tragedie, per noi che porteremo sempre nel cuore il ricordo di Fabio Casartelli. C’è un messaggio che deve passare e ne abbiamo parlato di recente a Monaco con Matteo Trentin, perché bisogna far qualcosa per la sicurezza stradale. Al Tour lavoriamo molto su questo tema, mentre ai villaggi di partenza cerchiamo di lanciare un messaggio per la sicurezza quotidiana: la strada si condivide

Il giorno prima di Torino, presentazione a Bologna. Qui Bonaccini, Prudhomme e Nardella, sindaco di Firenze
Il giorno prima di Torino, presentazione a Bologna. Qui Bonaccini, Prudhomme e Nardella, sindaco di Firenze
Tour de Femmes avec Zwift: soddisfatto dei riscontri ottenuti?

E’ stato davvero magnifico avere mezzo mondo a bordo strada, l’interesse delle televisioni, la direzione formidabile di corsa da parte di Marion Rousse. Poi, una corsa spettacolare con le olandesi Annemiek Van Vleuten e Marianne Vos sugli scudi. Non è stato un rilancio soltanto per catturare audience televisiva, ma per riportare pubblico a vedere le corse dal vivo. E’ stato bellissimo vedere tante piccole bambine che si immedesimavano nelle campionesse odierne pensando: “Domani potrei esserci io al suo posto”. Proprio come è accaduto per tanti anni in Italia tutte le volte che si vedeva passare un fuoriclasse come Nibali. Chissà che ora non capiti lo stesso con Marta Cavalli come modello per le più piccine. E’ un cambiamento epocale.

Il ciclismo è in continua evoluzione. Si è parlato moltissimo dei ciclisti esplosi con Zwift come Jay Vine, due tappe vinte alla Vuelta 2022: pensieri?

Ci sono tantissimi giovani che sgomitano. Non tutti sono Coppi o Gimondi, esplosi prestissimo e capaci di vincere il Tour in giovanissima età. Ora il movimento è su scala globale e propone atleti che arrivano al top utilizzando anche metodologie differenti da quelle canoniche, come il caso di Zwift. Corridori magari nati sui rulli, ma poi dimostratisi fortissimi anche su strada: dunque, le carte si sono mescolate. Ciò è un bene e rende ancora più interessante il nostro sport.

Prudhomme ha portato in omaggio anche una maglia gialla (foto Umberto Zollo)
Prudhomme ha portato in omaggio anche una maglia gialla (foto Umberto Zollo)
Qualche suggestione per il futuro del Tour?

La corsa la fanno i corridori, per cui non è vero che dipende tutto dal percorso. Questa generazione di fenomeni, ad esempio, utilizza il percorso in maniera migliore rispetto alla precedente e questo diverte i più giovani. Tra gli utenti che hanno seguito il Tour, la seconda fascia più numerosa comprendeva i telespettatori di età compresa tra i 15 e i 24 anni. Avere nuovo pubblico che segue il Tour de France per noi è una notizia splendida, grazie anche all’imprevedibilità di corridori alla Van Aert o Van der Poel. 

Come procede la lotta al doping?

La battaglia contro chi bara non riguarda soltanto il mondo dello sport. Abbiamo lavorato tantissimo con l’Uci e con le squadre, soprattutto durante la pandemia ed è stato fondamentale questo lavoro corale, perché se non l’avessimo fatto, ci sarebbero stati dei passi indietro fatali. Con il Covid ci siamo ritrovati tutti sulla stessa barca e abbiamo capito l’importanza di muoverci insieme per il bene del ciclismo.

Battistella lancia la rivincita italiana: svolta nel 2023

24.12.2022
6 min
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Battistella ha ancora i capelli biondi. Aveva deciso di tornare al suo colore naturale, ma la nonna gli ha detto che stava bene e per non contraddirla, li ha mantenuti. Se i punti derivanti dai piazzamenti in gara fanno in qualche modo testo, la sua progressione rispetto al 2021 è stata netta, anche se è mancata la vittoria. Nella stagione di rincorsa, fatta anche del ritorno a casa a poche ore dall’inizio del Tour per un tampone positivo, non sono mancate le occasioni per vincere e forse quella che più brucia è il terzo posto al campionato italiano. I podi in tutto sono stati quattro, le cose buone fatte vedere nelle gare WorldTour restano. E la convocazione per i mondiali è stata una bella ciliegina sulla torta.

Terzo nella volata che valeva il tricolore: questo forse il rammarico maggiore del 2022 di Battistella
Terzo nella volata che valeva il tricolore: questo forse il rammarico maggiore del 2022 di Battistella

Perciò avendolo incontrato nel ritiro di Altea della Astana Qazaqstan Team, la sua voglia di prendersi gli arretrati fa pensare a un 2023 di altissimo livello, che lo vedrà tornare a marzo sulle strade italiane per poi puntare forte sulle Ardenne.

«Sì, penso che nel 2023 se tutto va come deve andare e senza incidenti o Covid – dice – vincere è il mio obiettivo. Anche le gare che non ho vinto quest’anno. Io sono fatto così. Sto cercando di limare tutto quello che posso proprio per iniziare a vincere. Per me e per la squadra. La Astana mi dà fiducia e la fiducia diventa una responsabilità che voglio onorare».

I criterium in Oriente sono stati le vacanze di Battistella (con la mascherina), qui con Antonio Nibali
Che cosa significa limare?

Quest’anno sto lavorando molto di più sull’alimentazione, in allenamento e in gara. L’obiettivo è arrivare a un peso minimo, sempre però avendo forza. Rispetto all’anno scorso mi sono presentato al primo ritiro con lo stesso peso che avevo a gennaio. Sto cercando di fare le cose con calma, non voglio essere magro e svuotato, insomma. Poi sto cambiando qualcosa anche negli allenamenti, per cercare di arrivare alle classiche e alle gare più lunghe con una base migliore.

Come si fa?

Lavoro a intensità diverse e faccio anche più volume, più distanza. Sto cercando di abituarmi al tipo di corse in cui voglio far bene. Abbiamo incrementato i carichi rispetto allo scorso anno, perché nel frattempo è passato un anno e il corpo è cresciuto. Ho fatto un altro grande Giro che sicuramente mi ha fatto maturare ulteriormente.

Si nota la differenza?

Personalmente, dal primo Giro d’Italia ho sentita. E anche dopo la Vuelta, quest’anno, l’ho sentito ulteriormente. Ovviamente si arriverà un limite, non è che andrà avanti sempre così, però sicuramente per gli atleti giovani fare un grande Giro di anno in anno ti aiuta a crescere.

Dopo il Giro 2021, nel 2022 Battistella ha provato la Vuelta. Prosegue il processo di crescita
Dopo il Giro 2021, nel 2022 Battistella ha provato la Vuelta. Prosegue il processo di crescita
Punterai forte sulla primavera?

Il mio programma è incentrato sulle Ardenne. Partirò abbastanza presto, con la Valenciana e poi la Ruta del Sol. Quest’anno invece della Parigi-Nizza, farò Strade Bianche, Tirreno e Milano-Sanremo. E poi ci sarà ovviamente la preparazione alle classiche e al Tour. L’anno scorso non sono riuscito a farlo, quindi ci riproviamo. La cosa vantaggiosa è che dopo il Tour, due settimane dopo, ci saranno i mondiali. Quindi nell’eventualità di essere convocato, avrò la forma del Tour.

Wollongong è stato il ritorno ai mondiali dopo quello vinto nel 2019 da U23: che esperienza è stata?

Bella. Un po’ difficile perché siamo andati là dieci giorni prima, quindi si è trattato di tenere la grinta alta per tanto tempo, allenarsi e fare tutte le cose nel modo giusto. Però penso che abbiamo dimostrato di esserci riusciti. Siamo partiti come la nazionale più sfigata, passatemi il termine, e alla fine abbiamo quasi fatto medaglia con Rota e preso il quinto posto con Trentin. Abbiamo corso bene.

Secondo Elisa Balsamo il percorso è stato sottovalutato, sei d’accordo?

Sicuramente era selettivo. Siamo partiti a tutta perché la Francia ha fatto forte la prima salita e quella era l’incognita della gara. E’ stata tirata fin dall’inizio, quindi alla fine è diventato un percorso a esclusione. Anche perché erano 270 chilometri e quello strappo giro dopo giro ha tagliato le gambe.

Battistella ai mondiali di Wollongong, tre anni dopo averli vinti da U23: una buona prova
Battistella ai mondiali di Wollongong, tre anni dopo averli vinti da U23: una buona prova
Non c’è più Lopez, come si fa senza un leader per i Giri?

Può essere sì un lato negativo, ma cerchiamo di trovare anche il positivo. Ad esempio quando sono andato al Giro e anche alla Vuelta, si andava a caccia di tappe, ma avevo sempre il pensiero del leader dietro, quindi si correva sempre un po’ al risparmio. Adesso magari non è un bene non avere nessuno per la classifica, però saremo più liberi di fare le nostre tappe.

Ti hanno mai proposto di pensare alla classifica di un Giro?

Nelle gare di tre settimane, ho visto che non sono in grado di tenere duro. Può essere che se miglioro ancora un po’ in salita ci si possa fare un pensiero. Ma al momento si tratterebbe di perdere troppo peso per stare al passo con gli scalatori e non so francamente se ne valga la pena.

Sei tra i giovani italiani attesi a un segnale, cosa ti senti di dire?

Sicuramente le critiche vengono perché non ci sono risultati, però alla fine non siamo macchine. La stagione è lunga e difficile e possono capitare tante cose. Non è matematica e se anche un corridore ha valori buoni, può capitare che non faccia risultato. Moscon è stato l’esempio più evidente. A dicembre stava bene, poi ha avuto quel batterio nel sangue che l’ha messo fuori tutta la stagione. Io ho avuto delle brutte cadute e il Covid prima degli appuntamenti importanti. Al Tour c’ero arrivato davvero bene. Però se tutto va come deve andare, secondo me l’anno prossimo daremo una bella inversione.

Prima del via del mondiale, Battistella accanto a Trentin. Davanti c’è Conci
Trentin e Battistella, prima del via del mondiale di Wollongong
Come si vive il rapporto col Covid?

Siamo molto meno in ansia rispetto al 2020 e al 2021. La verità è che ci si può fare poco. In due anni sono sempre stato attento. Anche prima del Tour, mi sono praticamente rinchiuso. Non dico che sia destino a prenderlo, ma prima o poi tocca a tutti. Quindi lo stiamo vivendo con più fatalismo. Ovviamente si sta attenti, si evitano posti dove c’è tanta gente. Però ad esempio i viaggi sono la cosa più pericolosa, perché in aeroporto non si sa mai. Penso che indossando le mascherine, si possa essere tutelati. E tutti noi lo facciamo negli aeroporti e nei luoghi pubblici.

Hai aiutato tuo padre in azienda quest’anno?

Ho lavorato quando è finita la stagione, perché mio papà non riusciva a trovare operai e aveva del lavoro da smaltire (l’azienda di famiglia produce macchine per stirare, ndr). Quindi il mio è stato un periodo di riposo per metà lavorativo. Non ho fatto vacanze, sono rimasto a casa. Ho fatto il Criterium di Singapore e Tokyo, prendendoli come vacanza. Poi, tornando da Tokyo, mi sono fermato quattro giorni a Dubai con la fidanzata che era lì per lavoro quindi ci siamo incrociati. In totale saranno stati 20 giorni di stacco. E poi per il resto sono sempre andato in bici. Ci tengo davvero a fare un grande 2023