Dopo essere stata per tutto il giorno davanti al pullman del UAE Team Emirates, la bici gialla è spuntata ai piedi del podio sulla spalla di Tadej Pogacar. Lo sloveno aveva appena vinto il Tour e, con un gesto mai visto prima, è salito sul podio portando la bici e sollevandola al cielo. Non era mai successo. Si ricorda Roglic con una Cervélo rossa sul podio finale della Vuelta, ma quella Colnago gialla sul tetto della Grande Boucle ha fatto a suo modo la storia.
E proprio la storia dice che la V4RS gialla è stata verniciata soltanto giovedì, tre giorni prima della fine del Tour. Per tutta la sana scaramanzia di chi conosce il mondo dello sport, l’azienda di Cambiago aveva tenuto libero un turno di due ore dal proprio verniciatore. Quando c’è stata la certezza della conquista, la bici ha indossato la sua livrea gialla. E’ stata recapitata al Tour venerdì mattina, mentre Pogacar si accingeva a vincere la quinta tappa a Isola 2000. E pur violando la sacra regola secondo cui lo sposo non deve mai vedere la sposa alla vigilia, venerdì sera Tadej l’ha vista, ma ha preferito non usarla sabato. La motivazione? Una parola italiana che è uscita perfettamente comprensibile dalla sua bocca: «Scaramanzia!».
Il Tour per Colnago
Della bici gialla e di che cosa abbia significato la vittoria di Pogacar parliamo con Nicola Rosin, amministratore delegato di Colnago, che sta vivendo una delle più belle settimane da quando ha accettato l’incarico di occuparsi e ridare luce a quel marchio tanto prestigioso. E’ immediato capire che ci troviamo al centro di una giostra velocissima, in cui conciliare il lato tecnico e le esigenze degli atleti con tutti gli aspetti legati al marketing che in questo momento è probabilmente prioritario.
Che significa per un brand come Colnago un Tour del genere, dopo un Giro del genere?
E’ il riconoscimento perfetto di tre anni e mezzo di lavoro, un coronamento. Non vorrei dire che ci stiamo abituando, comunque questo è il quarto Grande Giro che Tadej vince con la cosiddetta nuova Colnago. Parlo di coronamento perché tre anni e mezzo fa è stata avviata una strategia di prodotto e insieme è nato il desiderio di creare un rapporto simbiotico con il team. Ma neanche nella regia del film più ottimistico, si poteva immaginare che sarebbe andato tutto così bene. Per noi significa esserci consolidati come il brand road più desiderabile al mondo, che era l’obiettivo che con Manolo Bertocchi ci eravamo posti a gennaio del 2021. Hai fatto una bici performante che vince, con bella creatività. Hai una squadra cui ti lega un rapporto simbiotico. E hai l’atleta per antonomasia e non stiamo parlando del ciclista, ma di un atleta di valore assoluto, che vince non solo dal punto di vista sportivo. Cosa ci manca?
Dietro tanto lavoro di marketing c’è anche tanto lavoro di progettazione. Non sono sfuggiti i 1.300 grammi limati sulla bici da crono, ad esempio…
Esatto. E non solo quella da crono, ma anche la V4RS è una bici che ha fatto un salto quantico rispetto alla V3RS. Bisogna dire che la squadra e Tadej sono personaggi molto esigenti, gente che giustamente pretende il massimo. E tu devi stargli dietro, sapendo che ormai si lavora al livello della Formula Uno. Si ragiona sui decimi di secondo, sui grammi o le percentuali di rigidità e aerodinamicità. Dietro quella bici gialla c’è davvero tanto…
In che misura siete dovuti intervenire sulla struttura aziendale per stare dietro a queste richieste?
Abbiamo fatto un più 40 per cento sul personale in Italia, che è il cuore della produzione. Poi abbiamo aperto anche una piccola divisione di ricerca e sviluppo ad Abu Dhabi. Ma soprattutto poi, a parte le teste coinvolte, direi che il salto di qualità si deve al processo di responsabilizzazione. Noi oggi abbiamo dei manager che si sentono responsabili e che hanno sviluppato un grande senso di appartenenza e di partecipazione. Quindi non è solo il numero di persone, ma come le responsabilizzi. Se vuoi fare le cose per bene, essere sul pezzo commercialmente, cavalcare sempre tutte le onde e andare a vincere un Tour de France, devi avere il giusto numero di persone, ma soprattutto dei manager capaci di far funzionare la macchina. Gente come Mauro Mondonico, Davide Fumagalli e Manolo Bertocchi hanno… licenza di uccidere. Facciamo prima le cosiddette riunioni di management, però poi loro hanno la libertà di gestire. Hanno la delega a operare, quindi quello che conta è il livello di responsabilizzazione.
Si potrebbe dire facilmente che Colnago ha la stessa proprietà di UAE Team Emirates, quindi è tutto più facile. In realtà, in quale misura dovete lavorare per essere all’altezza?
Si continua a lavorare, ovviamente, anzi certi risultati sono di stimolo. Siamo fratelli, siamo parte della stessa proprietà, però lavoriamo come se non lo fossimo. Va bene essere simbiotici, però dobbiamo meritarci questo tipo di partnership e anche loro in qualche maniera devono essere alla giusta altezza. C’è un rapporto biunivoco, per cui siamo già al lavoro su nuovi progetti. Speriamo che quel dream team sia destinato a vincere per il prossimo filotto di 2-3 anni, per cui la bici deve essere all’altezza. Non a caso lunedì mattina Tadej non ha fatto niente con nessuno, al di fuori di un’intervista in cui diceva di no alle Olimpiadi e parlare di nuovi progetti con Colnago.
Da cosa si capisce che la bici è diventata l’oggetto del desiderio nel mondo corse?
Prima che partisse il Tour, a Palazzo Vecchio di Firenze abbiamo fatto la conferenza stampa per presentare la bici ufficiale del Tour: la C68 Fleur de Lys. Le vendite sono state aperte alle 16. Io stavo parlando con Manolo, quando una nostra assistente mi ha fatto l’occhiolino. Significava che dopo mezz’ora era già tutto sold-out. In 30 minuti abbiamo venduto 110 bici a 23 mila euro ciascuna: per me questo è desiderabilità. Funziona essere un’azienda con una strategia ben definita e il team certifica la validità del nostro operato. Poi, in termini di business, non so valutare quanto valgano l’ingrediente squadra e Tadej. Hanno un’importanza soprattutto in alcuni mercati, mentre ce ne sono altri completamente scollegati dal mondo delle corse. Ma adesso vi racconto un altro episodio…
Prego.
Alla cena di gala a Firenze per l’inizio del Tour c’erano più o meno 100 invitati, modello matrimonio, nella corte di Santa Maria Novella. C’erano tutti i brand più altisonanti del Tour. Sto parlando di LCL e di Skoda, sto parlando di Tissot. Sto parlando di tutti i brand top, ma c’erano solo due marchi ben visibili. Uno era il Tour de France, perché è un brand ed ha una forza pazzesca. Il secondo era Colnago, con la bici esposta nel palco centrale. Ebbene, è stato possibile perché il nostro ufficio marketing e le persone che lo rappresentano sanno trasformare i progetti in realtà.
Che rapporto c’è fra Tadej Pogacar e Colnago?
Quando gli abbiamo proposto di portare la bici gialla sul podio, Tadej sicuramente ha gradito l’assist e gli è piaciuta l’idea di dare un riconoscimento anche a noi. Ma è successo perché qualcuno l’ha fatto succedere. Oggi è in Slovenia con il Presidente della Repubblica, fanno la festa di piazza e qualcuno di Colnago è con lui. Si è creato un rapporto per cui devo dire bravi ai miei uomini dello sport marketing che hanno costruito una relazione assolutamente pazzesca. Il Covid ci ha portato ad allontanarci dai nostri interlocutori, confinandoci nelle call e nelle telefonate. Invece Colnago dimostra ancora che alla fine il luogo fondamentale dove succedono le cose è la strada. Noi dobbiamo esserci. L’ufficio del team marketing qui a Cambiago è sempre vuoto e questo per me è un orgoglio, perché significa essere sempre sul campo. Ieri uno era in viaggio per la Slovenia, un altro era con la squadra per mettere a posto le cose dopo il Tour, un altro ancora era da un fornitore nelle Marche.
La bici gialla è stata fotografata anche più di tanti corridori importanti…
In realtà non era una sola, si vedeva dai bollini. Una era lì davanti, le altre erano sulle due ammiraglie. E’ stato bravo Gabriele Campello a sistemarla fuori dal recinto, evitando che ci parcheggiassero davanti le ammiraglie. Anche questo è possibile perché adesso con i meccanici abbiamo un rapporto bellissimo.
Si può fare una differenza fra Giro e Tour?
Dal punto di vista internazionale, il Tour ha più risonanza, perché sono stati bravi a costruirlo in un certo modo. Però vincere il Giro d’Italia con una bicicletta italiana ha generato un’onda mediatica che in Italia spacca e rimbalza fuori in maniera molto importante. Forse da azienda italiana direi che le due corse per noi hanno avuto lo stesso impatto. Il buon vecchio Giro per il quale quest’anno mi sento di fare complimenti. E’ stato un film meraviglioso. Quest’anno abbiamo visto un Giro veramente in ripresa, è stato incoraggiante, speriamo che continui così. Anche il supporto ricevuto dal Governo è qualcosa che non si era mai visto. Vuol dire che forse i nostri politici, come è sempre avvenuto in Francia, hanno capito che il Giro d’Italia e il ciclismo sono il modo migliore per promuovere il Paese.
La bici gialla resta davvero a Pogacar?
Direi proprio di sì. Se l’è davvero meritata.