La calma è la virtù dei forti e sarà per questo che Filippo Ganna è calmissimo. Per quanto possa bruciare una sconfitta per uno schiocco di dita, c’è sempre da trarne insegnamento per il futuro, sia prossimo sia più lontano. E così fa la Locomotiva di Verbania, soltanto pochi minuti dopo che, per meno di due secondi (1”74 a voler andar a contare i centesimi) ha visto volar via quella medaglia che in tantissimi, non solo gli appassionati di ciclismo, vedevano già al suo collo.
Sul podio campioni dei grandi Giri come Dumoulin e Roglic e uno specialista forte in salita come DennisSul podio campioni dei grandi Giri come Dumoulin e Roglic e uno specialista forte in salita come Dennis
Gente da Tour
Il nostro Top Ganna però non è decollato come ci aveva abituato negli ultimi 12 mesi, dal trionfo iridato all’autodromo di Imola alle 5 cronometro vinte in serie negli ultimi due Giri d’Italia tra l’autunno e la primavera scorsi.
«Ho giocato le mie carte ed ovviamente c’è un po’ di rammarico perché eravamo tanti in pochi secondi – ha ammesso – c’è gente sul podio che era al Tour de France fino all’altro giorno e che vince corse a tappe».
In effetti, come dargli torto: sia il dominatore assoluto della crono olimpica Primoz Roglic sia il rinato Tom Dumoulin ne hanno vinti tre in due: le ultime 2 Vuelta di Spagna (per lo sloveno) e il Giro d’Italia 2017 (per l’olandese che ha ritrovato la passione per il suo lavoro). E Rohan Dennis? Sicuramente tutti ve lo ricordate a spianare la strada in salita a Tao Geoghegan Hart al Giro d’Italia, soprattutto sullo Stelvio.
Dislivello record
Con il fisico che si ritrova e visto il percorso ai piedi del Monte Fuji, Superpippo ha già fatto un miracolo.
«Prima della crono, nei giorni scorsi – racconta – avevo sentito Dario (David Cioni, allenatore della Ineos Grenadiers, ndr) e avevamo calcolato che dovevo metterci tre minuti in più, per cui direi che va bene. Qui c’erano 800 metri di dislivello, mica 200 e per me Roglic è sempre stato l’uomo da battere. Un percorso così duro l’avevo trovato soltanto in Yorkshire, dove però ero riuscito a salire sul podio. Più di così non potevo fare, magari ci riuscirò a Parigi, dove ci sarà un percorso più adatto alle mie caratteristiche, qui purtroppo era troppo dura per me. Scalatore ancora non lo sono, magari».
Ganna ha guadagnato nei tratti veloci e subito il ritmo in salita: visto il percorso, una sconfitta difficile da scongiurareGanna ha subito in salita: visto il percorso, una sconfitta difficile da scongiurare
Nessun rimpianto
Eppure ci ha provato e per poco non ci regalava la prima medaglia olimpica a cronometro della storia.
«Riuscivo a guadagnare tanto nei pezzi in discesa e nei tratti tecnici – spiega – mentre in salita mantenevo i miei valori. Sono gli altri che vanno più forte in questo momento. Ho fatto quello che potevo e che era nelle mie corde. Sono tranquillo e non ho nessun rimpianto, perché penso che se l’Olimpiade fosse stata lo scorso anno, forse non avrei nemmeno fatto questa gara, non avevamo ancora deciso con Davide (il ct Cassani, ndr)».
Ora la pista
E ora, messa via la sconfitta, si sfreccia in pista, direzione Velodromo di Izu, dove l’aspettano Simone Consonni, Francesco Lamon e Jonathan Milan.
«Abbiamo rotto il ghiaccio, cominciato l’Olimpiade – sorride – ora cerchiamo di ottenere quello per cui siamo qui». A chi pensa che il doppio obiettivo abbia potuto togliergli smalto per la strada, replica deciso: «Il mio impegno era diviso in due parti, non rimpiango niente e rifarei tutto uguale».
Il toscano Bettiol ha dato il massimo, ma sa di poter crescereIl toscano Bettiol ha dato il massimo, ma sa di poter crescere
Obiettivo quartetto
Ora metterà tutta la sua grinta per l’inseguimento a squadre: il 3 agosto ci sono le qualificazioni, il 4 le finali che mettono in palio le medaglie. Ganna carica la banda di Marco Villa.
«I ragazzi sono arrivati ieri – dice – speriamo che abbiano messo a posto anche loro il jet lag già oggi e che la gamba cominci a girare bene. Siamo fiduciosi e vediamo adesso come andranno i primi allenamenti. Se in pista andrà bene, magari non dimentico del tutto la gara odierna, ma sicuramente passa in secondo piano».
Cinque temi di cui chiacchierare con Chiappucci per avere la sua opinione. Le nuove leve. Nibali. Ganna e i Giri. Il ciclismo femminile. E il suo ciclismo
Una tripletta svizzera con un tocco italiano. La mountain bike si tinge di rossocrociato a Izu, sede delle gare olimpiche di cross country a due ore e mezza dal centro di Tokyo, grazie anche alle intuizioni di Nicolas Jeantet, trentaduenne meccanico valdostano che ha indovinato tutte le scelte che hanno permesso alle sue atlete di fare razzia di medaglie: oro a Jolanda Neff, argento a Sina Frei, bronzo a Linda Indergand.
Eppure a ruota di Pauline Ferrand Prevot, la svizzera stava per cadere come VdpEppure a ruota di Pauline Ferrand Prevot, la svizzera stava per cadere come Vdp
Dunque, si è fatta festa in casa Svizzera, Nicolas?
Noi meccanici poco, perché abbiamo passato tutto il pomeriggio e la sera a impacchettare bici e materiali: siamo ancora sommersi dai cartoni. La logistica in quest’Olimpiade è stata molto complicata. Il giorno in cui hanno aperto l’impianto, potevamo salire con i mezzi e ne abbiamo utilizzati 5 che trasportassero il materiale, mentre ieri non potevano entrare per cui abbiamo portato tutto a mano. I giapponesi sono tanto precisi, ma delle volte hanno una mentalità chiusa.
Una prova opaca per Eva Lechner, che non ha mai trovato il colpo di pedaleUna prova opaca per Eva Lechner, che non ha mai trovato il colpo di pedale
Ci sveli il segreto di questo en plein?
Come nazionale lavoriamo da 7 anni sullo sviluppare la tecnica di guida e oggi, grazie alla pioggia, è uscito chi sapeva guidare, non cadere, non sbagliare, quello ha aiutato molto. Poi abbiamo lavorato davvero bene sul set up e quello ha fatto la differenza: non abbiamo sbagliato le gomme, come hanno fatto altre atlete.
Da dove si costruisce un trionfo così?
Siamo venuti al test event 2 anni fa e ci siamo preparati per quello che avremmo incontrato quando saremmo tornati qui. Poi, ancora in questi giorni, per sistemare gli ultimi dettagli ed eravamo preparati anche per un’ipotetica pioggia. Il problema è che, con le pietre, con tutto il tracciato artificiale costruito da zero, anche se ci fosse stato fango come c’è stato, sarebbe stato improponibile, e avrebbe reso impossibile la guidabilità, causando cadute e forature.
Così Jolanda Neff con la bandiera rosso crociata sul traguardoCosì Jolanda Neff con la bandiera rosso crociata sul traguardo
Dunque, cosa avete deciso prima del via?
Tanti non erano d’accordo, ma abbiamo optato per gomme intermedie e quando ha iniziato ad asciugarsi il percorso, questa scelta ha fatto la differenza. Avendo piovuto prima della gara poi, hanno modificato due o tre parti del percorso.
Stavolta però tutti lo sapevano dopo il caso Van der Poel?
Non so bene cosa sia successo veramente con lui, ma noi lo sapevamo già da due anni che quella passerella sarebbe stata tolta. Al test event, c’era nel giorno di prova, così almeno gli atleti potevano provare senza farsi male e poi ci avevano già detto che l’avrebbero tolta. Anche ieri, nei comunicati c’era che il percorso sarebbe cambiato rispetto alla versione originale.
C’è il podio ufficiale, con medaglie e mascherine: Frei, Neff, Indergand
E c’è il podio… unofficial, senza medaglie né mascherine: Frei, Nezz, Indergand
C’è il podio ufficiale, con medaglie e mascherine: Frei, Neff, Indergand
E c’è il podio… unofficial, senza medaglie né mascherine: Frei, Nezz, Indergand
Sei convinto dell’errore di valutazione dell’olandese?
Non mi esprimo, ma dico solo che è arrivato all’ultimo, ha fatto come sempre tutto di testa sua, senza l’aiuto della sua nazionale, quindi qualcosa non ha funzionato. La nostra squadra femminile, invece, lavora molto di più sullo stile degli sport invernali. La nazionale lavora tanto insieme, non è soltanto una selezione: questo aiuta molto ad avere clima positivo nel gruppo, anche perché non ci sono prime donne.
Il dream team svizzero. Jeantet, meccanico italiano (valdostano), è il secondo da destraIl dream team svizzero. Jeantet, meccanico italiano (valdostano), è il secondo da destra
Ci definisci bene il tuo ruolo di italiano nella nazionale svizzera?
Gestisco tutti i meccanici del settore mountain bike e fuoristrada e quindi quaggiù sono sia per il cross country sia per la bmx. Infatti, mentre gli atleti della mountain bike partiranno, io mi sposterò alla bmx che sarà nell’area di Tokyo: avremo possibilità di medaglia sia tra gli uomini sia tra le donne. Se non si fossero accavallate le date, mi sarei occupato anche della crono su strada, perché tra le donne di solito seguo Marlen Reusser (argento mondiale in carica, lo scorso anno a Imola e appena argento alle spalle di Val Vleuten).
Archiviate le prove su strada è tempo di cronometro individuali. Fulcro delle prove contro il tempo, sia quella maschile che quella femminile, sarà il Fuji International Speedway. E’ da lì che si parte e che si arriva. Cerchiamo quindi di scoprire cosa dovranno attendere le ragazze e i ragazzi a Tokyo.
La cronometro femminile di 22,1 chilometri
La cronometro maschile di 44,2 chilometri
La cronometro femminile di 22,1 chilometri
La cronometro maschile di 44,2 chilometri
Uomini e donne stesso giro
Si tratta di un anello di 22,1 chilometri.Gli uomini lo percorreranno due volte per un totale di 44,2 chilometri, le donne una. L’altimetria è alquanto impegnativa per essere una gara contro il tempo: sono ben 423 i metri di dislivello a tornata, che diventano 846 metri per gli uomini. Un valore assolutamente piuttosto elevato.
Le pendenze non sono mai eccessive, quindi si può fare velocità, ma per farlo servirà una grande condizione. Perché se ci si aspetta dei piattoni lunghi, ci si sbaglia di grosso. Anche all’interno dello stesso circuito ad esclusione del rettilineo d’arrivo non si è mai totalmente in piano. E questo conta molto in una specialità super tecnica come la crono.
Van Aert in ricognizione con la bici da crono già prima delle prova in linea (foto Belga)Van Aert in ricognizione con la bici da crono già prima delle prova in linea (foto Belga)
Specialisti che fatica
Questo infatti svantaggia in qualche modo i super specialisti e i grandi pesi. Non a caso Wout Van Aert dà per favoriti cronoman meno pesanti come Roglic e il suo compagno di squadra Evenepoel. Insomma gente come Kueng, Campenarts, Dennis e se vogliamo anche il nostro Filippo Ganna si presuppone dovrebbero pagare qualcosa. Faranno più fatica a sfruttare la loro potenza pura.
Conterà quindi la condizione.
Voci di corridoio ci danno un Pippo in grande spolvero, carico al massimo. E questa situazione ricorda molto la crono di Valdobbiadene al Giro dell’anno scorso, che non era affatto piatta. Ma certo, quella è una crono all’interno di una gara a tappe e il paragone si può fare, ma solo fino ad un certo punto. Stare spianati, mantenere la posizione e spingere in modo redditizio anche in salita sarà la chiave per il podio.
Nella crono di Valdobbiadene al Giro del 2020, molto ondulata, Ganna riuscì a vincereNella crono di Valdobbiadene al Giro del 2020, molto ondulata, Ganna riuscì a vincere
Tanti falsopiani
La prima parte è molto veloce. Non ci sono curve tecniche e quindi gli specialisti potranno spianarsi bene sui loro manubri aero e sapranno guidare al meglio (e guadagnare qualcosa), magari lì potranno fare la differenza con i pesi leggeri. Poi al chilometro 3,8 ecco un primo strappo. Forse il più duro. Ci sono 500 metri piuttosto ripidi (12%), un breve tratto di respiro e inizia la salita più lunga: quasi 5 chilometri al 4,5%. Serve tanta potenza. Chi sta bene fa velocità, chi non riesce a sviluppare watt perde. E tanto…
I sei chilometri successivi riportano all’autodromo. Tendono a scendere ma sono tutti da spingere. A quel punto si fa una tornata del Fuji International Speedway, che come detto è un susseguirsi di falsopiani.
Se per le donne finisce lì, per gli uomini si ripete tutto un’altra volta. Sarà bene quindi gestire bene le energie. Ma con gli strumenti attuali non dovrebbe essere un grande problema.
Van der Breggen di nuovo favorita: lei è la campionessa del mondo in caricaVan der Breggen di nuovo favorita: lei è la campionessa del mondo in carica
Meteo ed orari
Il meteo potrebbe avere il suo bel peso. Se le donne dovrebbero sfangarla, per gli uomini il rischio pioggia è un po’ più elevato. Questo potrebbe tornare a favorire gli specialisti che hanno un maggior feeling con questa tipologia di bici. Anche se, ripetiamo, non è un tracciato tecnico.
Per quel che riguarda i materiali riportiamo quel che ci aveva anticipato Marco Pinotti: altissimo profilo all’anteriore (o al massimo a tre razze) e lenticolare al posteriore.
Infine gli orari: Elisa Longo Borghini parte domani alle 4,54 italiane. E a seguire Bettiol e Ganna (ultimo a lasciare la rampa) scatteranno rispettivamente alle 8,30 e alle 9,10.
Dopo averla... preparata nei giorni scorsi, rileggiamo con Malori la crono di Tokyo per capire che cosa insegna. Da Roglic a Ganna, passando per Van Aert
Soraya Paladin al Giro d'Italia Donne la trasferta di Tokyo e pesca fra i ricordi. Le Olimpiadi. La cerimonia di apertura. La famiglia. Il viaggio a Malta
E’ da un po’ che si ragiona sulla cronometro di Tokyo e adesso che manca davvero poco per dare un peso ai pronostici, il discorso si sposta anche sul piano tecnico. Malori l’ha detto chiaro: la crono dovrebbe essere un esercizio di velocità, premiando gli specialisti e le migliori dotazioni tecniche. Se invece, come a Tokyo per la gara maschile, la crono diventa una prova di resistenza con più salite e discese che pianure, qual è l’impatto del pacchetto aerodinamico? Conta ugualmente tanto infilarsi bene nel vento?
Ai lati del casco, scorrendo via sulla schiena
Il flusso riconosce la sagoma del casco e lo avviluppa, per disperdersi poi a valle
La rugosità della manica, per far scorrere via l’aria dalle spalle
Ai lati del casco, scorrendo via sulla schiena
Il flusso riconosce la sagoma del casco e lo avviluppa, per disperdersi poi a valle
La rugosità della manica, per far scorrere via l’aria dalle spalle
Vento, il primo nemico
Ci siamo voluti togliere la curiosità bussando nuovamente alla porta di Simone Omarini, responsabile prodotto di Hardskin, che fino a qualche anno fa lavorava come ingegnere meccanico presso la galleria del vento del Politecnico di Milano.
«Ovviamente – dice entrando subito nel tema – conta tanto la velocità media di cui si parla, ma anche a 40 km/h la principale resistenza all’avanzamento è aerodinamica. Se la pendenza è contenuta, facendo un bilancio energetico, ci si rende conto che la resistenza aerodinamica è il fattore più importante da vincere. Il ciclista deve fare i conti con il vento. Circa il 90 per cento dell’energia spesa dall’atleta serve a vincere la resistenza aerodinamica. E se il vento è laterale, bisogna capire in che modo si opponga all’avanzamento. Lo scopo di ogni studio e lavoro in questo campo è ridurre la resistenza aerodinamica».
Neppure Van Aert è uno specialista, ma in bici è perfetto. In apertura Remco EvenepoelNeppure Van Aert è uno specialista, ma in bici è perfetto. In apertura Remco Evenepoel
Si passa sempre dalla galleria del vento?
In realtà, ci sono tre possibilità. Si può procedere con l’analisi numerica. Si può andare in galleria del vento. Oppure ricorrere a test su campo, ad esempio in velodromo.
Differenze?
Per la prima non usi l’atleta, se non per una scansione 3d iniziale in assetto da gara, ma servono computer o server di calcolo molto potenti. Inserisci l’atleta, gli “spari contro” un vento computerizzato e vedi cosa succede. Non sono simulazioni veritiere finché non sono validate in galleria del vento o in velodromo. Una volta che però hai un modello validato, puoi usarlo per valutare componenti e situazioni. o per progettare nuovi materiali
Il percorso di Tokyo è troppo duro per Ganna? Se è in condizione, se la gioca. Guardate quelle righe sulle maniche…Il percorso di Tokyo è troppo duro per Ganna? Se è in condizione, se la gioca. Guardate quelle righe sulle maniche…
La galleria del vento?
E’ la più veritiera. Controlli il flusso, la temperatura, l’angolo di incidenza del vento. Hai tutto sotto controllo e puoi simulare le situazioni di gara. Se la galleria è anche grande abbastanza da contenere la scia a valle dell’ultimo atleta, puoi testarci un quartetto intero. Sotto all’atleta si mette una bilancia dinamometrica che permette di valutare tutte le forze e le coppie che agiscono. Tenendo conto della direzione e della velocità del vento e della densità dell’aria, si calcola la resistenza aerodinamica, moltiplicando il coefficiente di drag per l’area frontale. In velodromo queste cose puoi farle, ma spesso non hai la ripetibilità del test. Basta che cambino la temperatura, l’umidità, la resistenza e la densità dell’aria e non hai più le variabili costanti fra i vari test fatti.
Pogacar non è uno specialista, ma se il percorso è duro se la cava con la forzaPogacar non è uno specialista, ma se il percorso è duro se la cava con la forza
Una volta che si è fatto il test base, come si procede?
Fai le varie comparazioni, misurando lo scostamento che si determina usando body, caschi, ruote e componenti diversi. Ogni atleta fa storia a sé. In questo modo ci si rende conto che lo stesso body, ad esempio, può essere più veloce su uno piuttosto che su un altro. Per questo a volte ti accorgi che lo specialista usa un materiale e lo scalatore ne usa un altro. Si parla di differenze minime, i famosi marginal gains, che richiedono di ripetere più volte il test.
Stessa cosa per il casco?
Il casco deve coniugarsi bene con la postura dell’atleta. Un corridore molto fermo e grande può usare un casco largo e con la coda lunga. Un atleta magro, che magari si muove tanto perché guarda spesso il computerino, andrà meglio con un casco senza una grande coda.
Dennis ha vinto il mondiale 2019 su un percorso molto duroDennis ha vinto il mondiale 2019 su un percorso molto duro
Stessa cosa per il manubrio?
Certamente, ascoltando l’atleta. Determini l’altezza delle protesi e la loro larghezza. Fai serie di spostamenti, anche significativi, ma devi sempre passare per il feedback dell’atleta. E’ lui che deve esprimere la potenza necessaria per vincere la resistenza aerodinamica e sempre lui deve guidare la bici. Per cui si studia la posizione, poi gli si dà il tempo di allenarsi e alla fine si ripete il test.
Questo significa che a volerla fare bene, si potrebbe creare un body in base alla velocità stimata?
Esattamente. Lavorando sui tessuti si può fare proprio questo. Ci sono team WorldTour che cambiano materiale in base al percorso che dovranno affrontare. E vi do per certo che è proprio l’abbigliamento che risente maggiormente delle variazioni della velocità media.
Nella crono di Tokyo vedremo in mischia anche Dumoulin, 44° nella prova su stradaNella crono di Tokyo vedremo in mischia anche Dumoulin, 44° nella prova su strada
Su cosa si interviene per variare l’abbigliamento in base alla velocità?
Dato che il corpo umano è di base un corpo tozzo, coprendolo di tessuto puoi controllarne la penetrazione. Si fa variando la rugosità del tessuto. I buchetti sulla pallina da golf nascono da studi simili, perché si è capito che la pallina in quel modo è più veloce nel vento. Con i body è lo stesso. Si sceglie una velocità media e si valuta il tessuto. Se poi ci sono altri fattori, come ad esempio il grande caldo, si inseriscono fibre come il grafene che dissipano meglio il calore, soprattutto nelle crono. Per cui anche se andranno più piano, l’aerodinamica avrà certamente il suo peso. Sicuro!
Inizia la settimana in cui i pistard si contenderanno le convocazioni per Tokyo. Non è tardi? Il resto del mondo ha già dato i nomi. E intanto la tensione sale
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Siamo proprio sicuri che l’avvicinamento degli azzurri alle Olimpiadi sia stato il migliore possibile? Nella stessa sera della corsa Cassani è parso rassegnato davanti alla superiorità degli avversari. E all’osservazione se non sarebbe stato meglio suggerire ai nostri ragazzi la partecipazione al Tour de France, la sua risposta è stata trasparente: «Non posso essere io a suggerire ai team dove far correre i loro atleti». Sacrosanto, eppure paradossalmente la situazione avrebbe fornito l’occasione di lavorare diversamente. Facciamo un passo indietro.
Il podio di Tokyo 2020: da sinistra Van Aert, Carapaz e Pogacar, reduci da un Tour di altissimo livelloIl podio di Tokyo 2020: da sinistra Van Aert, Carapaz e Pogacar, reduci da un Tour di altissimo livello
Occasione mancata
Quando alle Olimpiadi correvano i dilettanti, chenell’anno olimpico non disputavano neppure il mondiale tanta era l’importanza dei Giochi, la federazione approntava un piano di avvicinamento e preparazione al limite del maniacale. Nulla doveva sfuggire al caso. Prima di Barcellona 1992, Giosuè Zenoni e Antonio Fusi misero in tavola un programma pazzesco che fruttò l’oro su strada di Casartelli e l’argento nella 100 Chilometri. Quando lo stesso Fusi, divenuto tecnico dei pro’, iniziò a preparare la trasferta di Sydney, toccò con mano l’estrema difficoltà del suo nuovo ruolo.
Il professionismo non rinuncia alla sua agenda, figurarsi se l’Uci rinuncerebbe mai a un mondiale ogni quattro anni. Eppure proprio questa volta, con il solo Nibali al Tour e gli altri in montagna, perché la Federazione non ha colto la palla al balzo, organizzando un ritiro con gli altri e gestendo il loro avvicinamento?
Ciccone si è visto un paio di volte in testa al gruppo, ma ha chiuso a 11’27”Ciccone si è visto un paio di volte in testa al gruppo, ma ha chiuso a 11’27”
Niente mai per caso
In una chiarissima intervista con Laura Martinelli, è emerso chiaramente che l’avvicinamento ideale alle gare giapponesi, dati fuso orario e caldo, avrebbe richiesto di trasferirsi là due settimane prima. In questo quadro, una dettagliata strategia alimentare e di integrazione avrebbe permesso agli azzurri di adattarsi alla grande umidità e di non ritrovarsi, ad esempio, alle prese con i crampi. In una altrettanto chiara intervista con Malori a proposito di Van Aert, è emerso che sarebbe stato meglio andare a Tokyo 2-3 giorni prima, in modo da non avere il tempo di risentire di fuso e fattori ambientali: vado, corro e riparto. I nostri sono volati in Giappone una settimana prima della corsa e a quanto ci risulta, a parte le prelibatezze di Mirko Sut, non avevano una strategia alimentare per assorbire il cambio di ambiente. C’era da sperare che ad essa avessero pensato le loro squadre.
Moscon è arrivato a Tokyo con 6 giorni di corsa nell’ultimo mese e un ritiro sullo StelvioMoscon è arrivato a Tokyo con 6 giorni di corsa nell’ultimo mese e un ritiro sullo Stelvio
Il Tour e la Sardegna
I primi otto di Tokyo venivano dal Tour. Sono arrivati in Giappone quattro giorni prima della corsa avendo nelle gambe l’abitudine alla fatica sviluppata in Francia. I nostri che cosa hanno fatto?
Si sono allenati da sé fra Livigno e lo Stelvio. Poi hanno corso in Sardegna (in apertura, Bettiol e Caruso).
Bastano tre giorni di gara su percorsi da velocisti per essere all’altezza di coloro che escono dal Tour? Non sarebbe stato quantomeno necessario chiedere di avere tappe durissime, visto l’impegno che li attendeva?
Nibali ha attaccato con Evenepoel, poi ha chiuso a 11’27”. Perché non finire il Tour?Nibali ha attaccato con Evenepoel, poi ha chiuso a 11’27”. Perché non finire il Tour?
Valgono più di così
Quando alle Olimpiadi andavano i dilettanti, gli organizzatori erano ben lieti di adattare i percorsi delle gare di preparazione per partecipare allo sforzo olimpico. Questa volta non è andata così. E priva di un piano di avvicinamento convincente e senza corse nelle gambe, l’Italia è andata a Tokyo come i nostri antenati sfidarono l’inverno russo con le scarpe di cartone. Le Olimpiadi avrebbero meritato una programmazione di profilo più alto. Quei cinque ragazzi valgono molto più di quel che hanno potuto dimostrare e non possono essere i programmi dei team a scandire la preparazione della nazionale per le Olimpiadi. Se solo fossero stati preparati al pari di coloro che li hanno piegati come fuscelli, a Tokyo ne avremmo viste delle belle.
La lenticolare Bora Ultra TT dal lato della cassetta
E questo invece è il lato opposto: nella versione per tubolare pesa 864 grammi
La lenticolare Bora Ultra TT dal lato della cassetta
E questo invece è il lato opposto: nella versione per tubolare pesa 864 grammi
Posteriore lenticolare
Campagnolo, che fornisce ruote e gruppi al UAE Team Emirates, è da sempre attenta ai dettagli. Così per le ruote lenticolari, nonostante il grande dislivello e i continui saliscendi, le nuove Bora Ultra TT di Campagnolo forniscono un’elevata resistenza all’aria con un guadagno di peso di ben 111 grammi. Una differenza notevole se si pensa al fatto che un guadagno di peso sulla massa rotante influisce di più rispetto allo stesso su una parte differente della bicicletta. Il prezzo di questa ruota lenticolare è di 3.433 euro.
All’anteriore è previsto l’uso della Bora WTO 77
Mozzo a 16 raggi per la ruota da 77 millimetri
Si potrebbe usare anche un profilo maggiore, ma si perderebbe in guidabilità
La Bora WTO 77 ha il canale largoe pesa 755 grammi
All’anteriore è previsto l’uso della Bora WTO 77
Mozzo a 16 raggi per la ruota da 77 millimetri
Si potrebbe usare anche un profilo maggiore, ma si perderebbe in guidabilità
La Bora WTO 77 ha il canale largoe pesa 755 grammi
Anteriore da 77
La ruota anteriore per Tadej sarà la Bora WTO 77 di Campagnolo, un profilo da 77 millimetri che permette il distacco del flusso d’aria. Con questa scelta tecnica si garantisce una maggiore velocità al corridore, il suo design studiato nei minimi dettagli permette di mantenere un livello di guidabilità del mezzo estremamente elevato.
Nonostante i tanti metri da scalare Campagnolo ha escluso l’utilizzo di ruote con un profilo minore, i tratti in salita, infatti, sono per lo più dolci. La ruota è in vendita al prezzo di 2.114 euro.
Al Tour de France, Pogacar a crono ha usato pneumatici da 25 (foto Campagnolo-Getty Images)Al Tour de France, Pogacar a crono ha usato pneumatici da 25 (foto Campagnolo-Getty Images)
Occhio ai pneumatici
Altro dettaglio da non sottovalutare, la scelta di Campagnolo per il suo pupillo è presto fatta, coperture da 25 millimetri. Questo tipo di pneumatici rendono il sistema cerchio-copertura un tutt’uno.
E’ stato studiato come questa misura di copertoncino abbassi al minimo la resistenza da rotolamento grazie alla sua minor flessione.
Longo Borghini finalmente in Giappone. Due certezze: quella di aver lavorato tanto e la forza delle olandesi. Come di battono? Con coraggio e leggerezza
Con Marco Villa qualche minuto dopo l'impresa del quartetto azzurro, trascinato da Ganna al record del mondo e alla finale per l'oro. E proprio su Ganna...
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Sarebbe cambiato qualcosa se Annemiek Van Vleuten avesse saputo che là davanti c’era ancora Anna Kiesenhofer? Avrebbero inseguito in modo più organizzato ed incisivo? Probabilmente sì. Quando corri senza radioline e se le lavagne in strada non sono infallibili o tu non ci presti attenzione, cose del genere possono succedere. Nella corsa scombinata delle olandesi, a ben vedere l’errore più marchiano è stato non rendersi conto che là davanti fosse rimasta proprio l’atleta della prima fuga. Colei che l’aveva ispirata in partenza e di lì a 137 chilometri l’avrebbe portata vittoriosamente a temine.
«Non lo sapevo – ha detto l’olandese rendendosi conto che il suo festeggiare sulla riga entrerà nella gallery delle gaffe – ho sbagliato. Non lo sapevo».
Le ha fatto eco di lì a poco la collega di nazionale Anna Van der Breggen, campionessa uscente: «Non lo sapevo neppure io – ha detto – quando Plichta e Shapira sono state riprese, pensavo stessimo correndo per l’oro».
Questo l’arrivo… giusto di Anna Kiesenhofer…
E questo quello… sbagliato di Annemiek Van Vleuten
Questo l’arrivo… giusto di Anna Kiesenhofer…
E questo quello… sbagliato di Annemiek Van Vleuten
Olanda confusa
Tutte aspettavano loro, non c’è da meravigliarsi che le abbiano lasciate fare. Con la fuga di Kiesenhofer, Carla Oberholzer, Vera Looser, Omer Shapira e Anna Plichta che è arrivata ad avere anche 11 minuti di vantaggio, le arancioni si sono messe a fare un’insolita melina. Quando però è stato chiaro che il rischio si stesse facendo troppo alto, Anna Van der Breggen ha dato il primo segnale di risveglio, anche se per aspettare la Van Vleuten caduta, la squadra dei Paesi Bassi ha dovuto rialzarsi. I successivi 13 chilometri di stanca hanno dato probabilmente la prima svolta alla corsa. E se davanti la fuga si andava assottigliando, non sono stati gli scatti di Vollering, poi ancora Van der Breggen e infine di Van Vleuten a darle il colpo di grazia. Con il risultato che Anna Kiesenhofer è transitata sul traguardo sfinita e incredula, mentre Annemiek Van Vleuten e la splendida Elisa Longo Borghini si sono aggiudicate argento e bronzo. Avrebbero corso diversamente le ragazze olandesi, sapendo che davanti c’era ancora l’austriaca? Probabilmente sì.
Anna Kiesenhofer ha portato via la fuga e l’ha condotta al traguardo: oro olimpico
Nella fuga del mattino viaggiavano Kiesenhofer, qui davanti, Oberholzer, Looser, Shapira e Plichta
Anna Kiesenhofer ha portato via la fuga e l’ha condotta al traguardo: oro olimpico
Nella fuga del mattino viaggiavano Kiesenhofer, qui davanti, Oberholzer, Looser, Shapira e Plichta
Grande cuore Longo
Elisa si è mossa quando ha capito che stavolta l’affondo della Van Vleuten era giusto per andare al traguardo. Mentre le ragazze erano impegnate nel Giro d’Italia Donne, vinto il Fiandre e la Valenciana, Annemiek era uscita dai radar. Veniva però avvistata quotidianamente sullo Stelvio, con tanto di allenamenti assieme ai professionisti che le capitava di incontrare. I racconti da Livigno avevano prodotto il fondato timore che a Tokyo sarebbe stata imprendibile.
«Ho corso più di cuore che di gambe – racconta Longo Borghini, arrivata a 14 secondi dall’olandese – oggi ho sofferto particolarmente per il caldo. Le olandesi hanno lasciato sfuggire questa ragazza austriaca a cui vanno i miei complimenti. Non ho capito la loro tattica, ma ho pensato a fare la mia corsa. La responsabilità dell’inseguimento era delle olandesi, non certo mia o di Marta (Cavalli, ndr) che non siamo veloci. La mia continuità di rendimento? L’avevo spiegato anche alla vigilia: io lavoro, metto giù la testa e faccio sacrifici che a volte vengono ripagati. Oggi va bene così, va molto bene! Nel finale Van Vleuten ci ha provato di nuovo e io non sono riuscita a tenerla. Questo risultato è frutto del tanto lavoro, sono abituata fare così. La medaglia è per la mia mamma, il mio papà, mio fratello, i miei nipoti e il mio fidanzato. Perché abbiamo fatto tanti sacrifici insieme e loro non mi lasciano mai sola».
Marta Cavalli, 23 anni, 8ª al traguardo nel gruppetto della VosMarta Cavalli, 23 anni, 8ª al traguardo nel gruppetto della Vos
Conferma azzurra
La tattica delle italiane, che sono riuscite a piazzare Marta Cavalli fra le prime dieci, ha funzionato meglio di quella adottata ieri dagli uomini di Cassani.
«L’Italia ha gareggiato con lucidità e pazienza – ha detto il cittì Salvoldi – in una corsa particolare come l’Olimpiade. Noi abbiamo raggiunto il nostro obiettivo. Ci sarà una squadra piuttosto rammaricata questa sera. Brava alla vincitrice Kiesenhofer che non ha rubato nulla. Noi siamo felici di esserci confermati».
Anche in questo caso, il riferimento all’Olanda è palese. Va detto che il risultato delle arancioni è stato migliore del nostro, ma certo se parti per riempire il podio, non sarà certo l’argento di van Vleuten a poterti bastare.
Cavalli fra le 10
Marta Cavalli si è divertita. Dalle sue parole traspare anche questo, come è possibile divertirsi nelle prime Olimpiadi della carriera ad appena 23 anni. Era lei, dopo la Longo, la più forte in salita e si è ben difesa.
«Correre questa gara – ha commentato – è stata un’emozione indescrivibile. La mia preparazione non è andata proprio liscia: ho avuto qualche intoppo e questo ha messo in dubbio la mia convocazione. Fortunatamente Dino Salvoldi e la nazionale hanno avuto fiducia in me, permettendomi di vivere questo sogno a 23 anni. Nonostante la mia gara non sia stata eccellente rimango soddisfatta. Aver portato a casa una medaglia con Elisa è un valore aggiunto: il livello qui è altissimo e il risultato ci ripaga di tutto. Me la sto godendo fino all’ultimo».
Sul podio al centro del circuito, Anna Kiesenhofer davani a Van Vleuten e Longo BorghiniSul podio al centro del circuito, Anna Kiesenhofer davani a Van Vleuten e Longo Borghini
Bastianelli gregaria
Marta Bastianelli è stata a lungo additata per la sua convocazione, subendo battute poco simpatiche. Lei avrebbe dovuto fare la volata in caso di arrivo di gruppetto alle spalle dell’olandese di turno. Invece ha lavorato con grande generosità per la Longo Borghini e ne rivendica il peso.
«Una bella gara – commenta – e sono veramente felice per il risultato di squadra. Visto come si era messa la corsa non pensavamo nemmeno più di riuscire a finalizzare il lavoro nel migliore dei modi. Il caldo non ha aiutato: ci ha spente un po’ nel finale dopo aver sofferto molto. Abbiamo però visto quanto Elisa stesse bene, cercando di portarla avanti verso lo strappo dove poi lei ha attaccato, dando il massimo per rimanere unite. E’ stata un’esperienza anomala, sia per quanto riguarda il contesto del Villaggio sia per come poi è andata la corsa. Siamo rimaste tutte sorprese dalla fuga, ma avevamo bene in mente che l’Olanda fosse la squadra da battere, per cui dovevamo solo rimanere unite e giocarcela nel circuito ».
Selfie time, però manca Marta Cavalli
Il momento delle feste dopo il podio, per il presidente Dagnoni, Bastianelli, Longo Borghini e Paladin
Selfie time, però manca Marta Cavalli
Il momento delle feste dopo il podio, per il presidente Dagnoni, Bastianelli, Longo Borghini e Paladin
Fatica Paladin
L’altra debuttate di casa azzurri era Soraya Paladin, che dopo la convocazione si era un po’ eclissata, al punto da farci credere che si stesse preparando al meglio lontana dai riflettori, mentre forse la rincorsa alla maglia azzurra l’aveva logorata oltremodo.
«Non stavo benissimo – ha detto – quindi ho cercato di mettermi a disposizione delle compagne, nettamente più in forma di me. Quando ho tagliato il traguardo e ho visto il terzo posto di Elisa è stata un’emozione incredibile. Se lo merita. Correre un’Olimpiade è bellissimo perché quando crei così tanto entusiasmo è sempre un onore e un orgoglio».
Stasera per Elisa Longo Borghini non mancherà un passaggio a Casa Italia, poi però sarà di nuovo tempo di rimettersi a testa bassa per cercare nuova concentrazione. La cronometro infatti bussa già alla porta.
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Un podio regale per la corsa ai cinque cerchi. Con una cornice da favola come quella del Monte Fuji, che ha fatto capolino tra le nuvole proprio al termine della sfida olimpica, non poteva non essere una gara da ricordare. Non lo è stato, ahinoi, per l’Italia, ma per Richard Carapaz che si è goduto il primo boato dei Giochi di Tokyo 2020.
All’autodromo Fuji Speedway, infatti, le porte erano aperte per gli spettatori giapponesi, che hanno popolato le tribune del rettilineo finale, per gustarsi la seconda medaglia d’oro di sempre dell’Ecuador (la prima nel ciclismo) grazie all’acuto della Locomotiva del Charchi.
L’arrivo di Carapaz fra il pubblico: l’oro olimpico è il suo. Ecuador in festaL’arrivo di Carapaz fra il pubblico: l’oro olimpico è il suo. Ecuador in festa
Carapaz nella storia
Ecco la sua emozione, una volta che se l’è messa al collo: «È stata una giornata un po’ pazza. Una corsa dura, io ho avuto pazienza e aspettato il mio momento, poi ho trovato sulla mia strada un buon compagno di fuga (lo statunitense McNulty, ndr) e le gambe dei giorni migliori. Quando siamo arrivati ad avere 20” di vantaggio sugli inseguitori, sapevamo che erano in ballo le medaglie così ho dato il massimo. Una volta entrato nell’autodromo non mi sono mai voltato. C’erano tanti corridori buoni dietro, quindi ho pensato solo ad andare a tutta. In Ecuador saranno impazziti». Una festa destinata ad echeggiare fino al suo ritorno il patria.
E una festa che è già iniziata, almeno sui social. Il presidente dell’Ecuador, Guillermo Lasso, si è subito complimentato su Twitter esprimendo un senso di grande orgoglio. E anche le altre zone ecuadoriane lo hanno fatto: dal Charchi (la sua provincia) al Macará, dalle Ande all’Amazzonia e persino alle Galápagos.
Van Aert è stato colui che più di tutti ha lavorato per chiudere su Carapaz e McNultyIl belga Van Aert ha lavorato più di tutti per chiudere su Carapaz e McNulty
Van Aert, ancora secondo
Al traguardo della prova in linea, situato nella prefettura di Shizuoka, si è respirata finalmente aria olimpica, dopo giorni in cui il pubblico era stato costretto a vedere le competizioni solamente in tv. In questa zona, infatti, il numero di contagi è decisamente più basso rispetto all’area di Tokyo e così si sono potute aprire le porte agli spettatori locali. Sorrisi nascosti dalle mascherine, bambini che corrono felici nel lungo corridoio antistante alle tribune: immagini che restituiscono uno sprazzo di normalità in questa situazione d’incertezza che ormai ci avvolge da più di un anno e mezzo. Un regalo del ciclismo all’Olimpiade.
Applausi per tutti, anche per i corridori più attardati, anche a meritare le urla più calorose, insieme, al trionfatore in solitaria, sono stati altri due grandi protagonisti del Tour de France, che si sono dati battaglia fino all’ultimo millimetro, a suon di colpi di reni. A spuntarla è stato il belga Wout Van Aert, arrabbiatissimo al traguardo per un altro argento proprio come lo scorso anno al Mondiale vinto da Julian Alaphilippe.
«Corro sempre per vincere – ha detto il belga – ma sono molto più felice che a Imola. Ho sempre un argento al collo, ma una medaglia olimpica ha un peso decisamente più importante di una mondiale. Oggi ho trovato sulla mia strada un ragazzo più forte, io ho fatto del mio meglio, fino allo sprint finale».
Ci riproverà tra tre anni a Parigi, qualunque sarà il percorso, considerata la sua poliedricità. D’altronde, Wout ha già dimostrato che la capitale francese e i suoi Campi Elisi gli piacciono proprio. Prima però l’attende la prova contro le lancette: «Per mercoledì penso di avere buone possibilità. Dopo il Tour de France, ho recuperato, mi sono adattato al fuso orario e al caldo, quindi anche nella prova contro il tempo punto al massimo risultato possibile». Top Ganna è avvisato.
Al termine della volata, Pogacar allunga il braccio verso Van Aert (che risponde all’abbraccio). Sono stati i più attiviAl termine della volata, Pogacar allunga il braccio verso Van Aert (che risponde all’abbraccio). Sono stati i più attivi
Dal giallo al bronzo
Si è arreso al fotofinish, ma era contento del bronzo conquistato, invece, il padrone degli ultimi due Tour, Tadej Pogacar. L’incredibile sloveno ha corso come sempre all’attacco, dando spettacolo ed è stato ripagato, dimostrando di essere sempre più anche un uomo da corse di un giorno.
«Sono felicissimo per il terzo il posto – ha detto Pogacar – perché ho dato il massimo. Sono super, super contento di essere stato in grado di salire sul podio dei Giochi Olimpici. Ho attaccato da lontano perché mi sentivo bene, sono scattato senza pensarci troppo e un attimo dopo mi sono pentito. Ho pensato: ma quando finisce questa salita? Ad ogni modo non ho rimpianti, con il mio forcing ho selezionato il gruppo dei migliori con cui me la sono giocata fino alla fine, quindi va bene così».
Davide Cassani si è preso un paio d’ore per fare mente locale e quando risponde si capisce che ha già parlato con i corridori. Anche perché i corridori sono già partiti: stanotte dormiranno a Tokyo e domattina prenderanno il volo per l’Italia. Il cittì azzurro racconta e parte da Bettiol e il suo crampo
«Era arrabbiato nero – dice – ha finito che neppure era stanco. E’ arrivato a una curva, si è alzato per rilanciare e gli è arrivato addosso il crampo. Era il nostro uomo di punta. Lo avevamo visto andare forte, ma certo ci è mancata la resistenza mostrata dagli scalatori usciti dal Tour. Però ci siamo mossi bene. I ragazzi hanno cercato di portare Alberto davanti all’ultima salita. E sembra strano da dire, ma c’è stato davvero un momento chiave nella corsa, quel maledetto crampo. Sapevamo che su Mikuni Pass sarebbero rimasti in dieci e noi c’eravamo».
Per Cassani si tratta della seconda Olimpiade. dopo Rio 2016
Per il presidente dagnoni si tratta invece della prima edizione dei Giochi
Per Cassani si tratta della seconda Olimpiade. dopo Rio 2016
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Pensi che nell’avvicinamento si potesse fare di più?
Che cosa? Non comando a casa degli altri, non stava a me chiedere di mandare questo o quel corridore al Tour.
Il caldo è stato così decisivo?
Soprattutto nelle prime due ore era asfissiante. Tanti sono saltati per quello. E alla fine sono arrivati gli scalatori, perché è stata una corsa dura, durissima.
Gli azzurri secondo Cassani hanno fatto quel che gli è stato chiestoGli azzurri secondo Cassani hanno fatto quel che gli è stato chiesto
Scalatori usciti dal Tour. Abbiamo già parlato della necessità di dare i nomi con largo anticipo: se non fosse stato così, avresti valutato Cattaneo e altri usciti bene dal Tour?
Ma ho dovuto dare i nomi prima del 5 luglio, poco da dire. Sono soddisfatto della squadra, hanno fatto tutto quello che gli ho chiesto e che avevamo concordato.
Può avervi penalizzato il fatto di essere arrivati solo quattro giorni prima? Quelli del Tour sono arrivati in extremis…
Mentre i fratelli Yates ed Evenepoel sono arrivati due settimane prima e anche loro non hanno tirato insieme granché.
Caruso ha fatto la sua parte, provando a lavorare per il teamCaruso ha fatto la sua parte, provando a lavorare per il team
Bettiol era davvero arrabbiato?
Era nero. Quando ti arriva un crampo del genere, non riesci neanche a spiegarti il perché. Se ha bevuto poco o altro. Si è ricordato e ci raccontava di aver avuto i crampi anche alla Strade Bianche, nell’anno in cui poi vinse il Fiandre.
Quello che è successo oggi può dare indicazioni per la crono?
Può insegnare che il caldo è un brutto cliente, ma per il resto c’è poco in comune. Ganna e Bettiol sono qua con me e per Pippo il problema è che non c’è un solo metro di pianura.
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