Pidcock Mtb Tokyo 2021

Pontoni, visto Pidcock che capacità di guida?

01.08.2021
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A mente fredda, che cosa ha permesso a Tom Pidcock di conquistare la medaglia d’oro olimpica nella Mtb? Messa da parte la concitazione del momento e delle ore immediatamente successive, rileggendo la gara è facile notare come il britannico abbia potuto godere di un elemento in più rispetto agli specialisti puri: la sua capacità di guida, che gli permetteva di guadagnare terreno nei tratti più difficili, nelle discese più tecniche, nei passaggi sui pietroni che hanno messo in crisi anche affermati campioni.

Pidcock Vdp Tokyo 2021
Pidcock vede cadere Van Der Poel davanti a sé: quel passaggio così difficile farà la differenza per il britannico
Pidcock Vdp Tokyo 2021
Pidcock vede cadere Van Der Poel davanti a sé: quel passaggio così difficile farà la differenza per il britannico

Una lettura che trova d’accordo il nuovo cittì della nazionale italiana di ciclocross Daniele Pontoni e dalla quale prendiamo il via per parlare anche del futuro del britannico: «E’ indubbio che Pidcock avesse qualcosa in più nella guida, infatti guadagnava nei tratti più tecnici perdendo poi nei passaggi più pedalabili. Questa andatura a elastico è stata frutto di tattica o solo di diverse caratteristiche tecniche? Probabilmente lo sa solo lui, io comunque già all’inizio del secondo giro ero sicuro della sua vittoria».

Questa capacità di guida gli deriva dalla sua pratica del ciclocross?

Sicuramente l’attività sui prati gli ha fornito un bagaglio importante, ma bisogna considerare anche quel che gli ha dato madre natura. Pidcock ha un baricentro basso che gli permetteva di affrontare al meglio i passaggi più tecnici, soprattutto i passaggi su sassi che hanno messo in difficoltà tanti.

Pidcock Lussemburgo 2017
La prima vera apparizione di Tom Pidcock, vincitore ai mondiali di ciclocross juniores 2017
Pidcock Lussemburgo 2017
La prima vera apparizione di Tom Pidcock, vincitore ai mondiali di ciclocross juniores 2017
I vantaggi visti nella Mtb possono emergere anche su strada?

Domanda complessa: ricordo quando lo vidi per la prima volta, ai mondiali di ciclocross 2017 in Lussemburgo, gara junior, il classico corridore che lo vedi e ti chedi: «Ma questo da dove è uscito fuori?». Quello che ha fatto su strada mi ha stupito enormemente, soprattutto per quanto fatto in breve tempo, così giovane. E’ come Van Der Poel: qualsiasi bici inforca, riesce ad emergere. Poi non va dimenticato chi è dietro di lui, lo staff, la squadra della Ineos Grenadiers che lo supporta al 100 per cento e che gli permette di tradurre su strada la sua capacità muscolare.

Parlavi prima di baricentro basso: è sempre un vantaggio?

Dipende dal percorso e dalle condizioni climatiche: su tracciati fangosi e ghiacciati, nei tratti più tecnici ha sicuramente un vantaggio, nei piattoni è diverso e il vantaggio svanisce.

Ora Pidcock è atteso alla Vuelta e poi ai mondiali in Belgio, su strade che lo hanno già messo in ouce
Ora Pidcock è atteso alla Vuelta e poi ai mondiali in Belgio, su strade che lo hanno già messo in ouce
Secondo te dopo questo oro che cosa farà: già si sa che ora tornerà alla strada e farà la Vuelta, ma si farà rivedere in Mtb?

Diciamo che non la mollerà del tutto, è probabile che voglia difendere il titolo a Parigi 2024, ma certamente si dedicherà di più a strada e ciclocross, Magari programmerà qualche incursione d’estate per i grandi appuntamenti titolati, ma il calendario dovrà essere studiato approfonditamente.

In Italia troveremo un Pidcock?

Sì, se lo naturalizziamo… Scherzi a parte, è molto presto per noi. Abbiamo delle buone leve fra esordienti e allievi, ma è prematuro dare giudizi di merito, devono lavorare. Anche agli Europei Giovanili di Mtb in Val d’Aosta si è visto che ci sono nazioni nettamente avanti nella struttura, nell’approccio al ciclismo moderno. Noi dobbiamo formare gli atleti del futuro con progetti a lungo termine, che contemplino l’attività a 360 gradi.

Daniele Pontoni, Jesolo, Giro d'Italia Ciclocross 2020
Pontoni, nuovo cittì azzurro, sta preparando l’inizio della stagione di Coppa del mondo
Daniele Pontoni, Jesolo, Giro d'Italia Ciclocross 2020
Pontoni, nuovo cittì azzurro, sta preparando l’inizio della stagione di Coppa del mondo
Intanto la stagione del ciclocross inizierà presto, porterai i ragazzi alle prime prove di Coppa del mondo negli Usa?

Il progetto è quello, avere 4-5 ragazzi da portare anche per visionare percorso e logistica dei prossimi mondiali. I ragazzi saranno divisi fra i due sessi e verranno anche da altre attività attuali, Mtb o strada. E’ presto per fare dei nomi, ma sto valutando tutta una serie di situazioni.

La prossima stagione si preannuncia molto ricca, tra la Coppa del mondo allargata e l’introduzione della Coppa Europa: c’è materiale sufficiente per coprire tutti gli eventi?

Io sono sempre stato convinto che è meglio avere tanta scelta, poi starà ai tecnici, sia nazionali che di società, indirizzare i ragazzi verso gli appuntamenti giusti. D’inverno ci possono essere tante variabili, tra infortuni e malanni di stagione che cambiano i programmi. Noi dobbiamo pensare a un discorso complessivo e avere tante possibilità è un aiuto.

Bettiol Tokyo 2021

Scusa, Ballan, esistono ancora gli accordi in corsa?

31.07.2021
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I giorni passano, ma alcuni temi scaturiti dalle prove olimpiche su strada continuano a rimanere lì nella testa. Riguardando la gara maschile, ad esempio, è rimasta la sensazione che le cose potevano andare diversamente con un diverso approccio psicologico da parte di alcuni big, quando davanti è rimasta la “sporca dozzina” a giocarsi le medaglie. Abbiamo allora convocato Alessandro Ballan, che oltre ad essere l’ultimo campione del mondo in maglia azzurra è uno che le classiche le ha vissute con il cuore, vincendo e/o lottando, identificando due momenti cardine. Il primo è quando Tadej Pogacar ha lanciato la sua offensiva, trovandosi alla ruota McNulty (USA) e Woods (CAN). Lo statunitense è suo compagno all’Uae Team Emirates, eppure non si sono dati un cambio. Collaborare non sarebbe servito a entrambi?

La stessa situazione si è ripresentata poco più avanti, questa volta con protagonisti Alberto Bettiol (nella foto di apertura all’arrivo) e Rigoberto Uran, in gara per nazionali diverse, ma uniti dalla militanza per l’EF Education First. Anche qui la comunione d’intenti poteva aiutare a gestire la situazione? Parola a Ballan: «E’ un discorso interessante, ma non semplice da fare: quando indossi la maglia della nazionale, dimentichi tutto il resto della stagione e corri per essa».

Pogacar Tokyo 2021
Pogacar a sinistra, McNulty a destra, in mezzo Van Aert: lo sloveno e l’americano avrebbero potuto aiutarsi?
Pogacar Tokyo 2021
Pogacar a sinistra con van Aert all’arrivo: sul Mikuni Pass con McNulty poteva fare il vuoto?
In passato però ci sono stati esempi eclatanti in tal senso: a Sydney 2000 il podio fu tutto Telekom con due tedeschi e un kazako, quindi questi discorsi si facevano…

Il principio di per sé è giusto, tanto più in una gara come l’Olimpiade dove a vincere sono in tre. Dovrebbe venire naturale collaborare con chi è del tuo club perché salire sul podio serve a tutti. Non ci sarebbe neanche bisogno di parlare, però…

Però?

Giudicare da fuori è sempre troppo semplice. Se hai collaborato con colui che è un avversario, puoi avere problemi – sottolinea Ballan – magari non sei più convocato e alla maglia della nazionale tengono tutti tantissimo. Vanno sempre valutate quali erano le strategie singole, certamente però la corsa spesso porta a unire gli sforzi per un intento comune.

Ballan Varese 2008
Alessandro Ballan e la sua vittoria mondiale a Varese, scaturita all’ultimo giro grazie a un accordo fra azzurri
Ballan Varese 2008
Alessandro Ballan e la sua vittoria mondiale a Varese, scaturita all’ultimo giro grazie a un accordo fra azzurri
Non è però che a volte i corridori faticano a prendere l’iniziativa, quando c’è da improvvisare?

E’ parzialmente vero, si va talmente forte che si fa fatica a ragionare. Quando passai io professionista, non avevo né procuratore né preparatore atletico, oggi i ragazzi che accedono al mondo dorato dei professionisti hanno chi pensa a qualsiasi cosa per loro, quindi questa desuetudine a ragionare per proprio conto c’è ed emerge soprattutto in gare come l’Olimpiade dove le radioline erano vietate. In certe gare però prendere l’iniziativa può essere la scelta decisiva, a me accadde…

Quando?

Proprio al mondiale di Varese: tutta la squadra era votata alla causa di Paolo Bettini, quando ci disse che non aveva la gamba per vincere ci mettemmo d’accordo noi a provare qualcosa a turno nell’ultimo giro, così nacque il mio attacco vittorioso.

Van Vleuten e Van der Breggen (a destra) sul podio della crono olimpica. Il loro strapotere gli si è ritorto contro su strada
Van Vleuten e Van der Breggen (a destra) sul podio della crono. Il loro strapotere gli si è ritorto contro su strada
Un altro tema è scaturito dalla gara femminile, con le olandesi sconfitte. La cittì aveva detto alla vigilia di aver costruito un Dream Team, ma la gara ha dimostrato che non basta mettere insieme i corridori, soprattutto se hanno tutte le stesse caratteristiche e nessuna si vuole sacrificare per le altre…

La gara femminile ha dimostrato innanzitutto che il bello del ciclismo resta il fatto che non è mai scontato e che può vincere anche una che nessuno aveva considerato. Io mi sono trovato a commentare gli europei dello scorso anno e mi accorsi della tattica sconsiderata della nazionale olandese. Vinsero l’oro con la Van Vleuten, ma corsero malissimo, ognuna per sé, con attacchi sconsiderati che mandavano in crisi le proprie compagne di squadra. Quando hai molti galli nel pollaio, non sai mai chi prima scatta, ognuna cerca la vittoria. Se scegli di avere più leader è difficile creare un gioco di squadra.

D’accordo, ma allora non sarebbe stato meglio puntare su due leader, mettendo però a loro disposizione altre due atlete pronte a sostenerle mettendo da parte le proprie ambizioni?

Sicuramente, ma sarebbe stata una scelta coraggiosa e molto difficile da fare. In questo caso la mancanza di un rapporto diretto tramite la radiolina ha penalizzato non poco le olandesi. Ognuna faceva quel che voleva, sarebbe servita una voce autorevole che richiamava la squadra all’ordine quando si è capito che la fuga non si riprendeva senza un vero impegno. Certe volte le direttive esterne servono…

Carapaz, dopo l’oro arriva la ruggine

30.07.2021
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Il sorriso gentile di Carapaz di colpo lascia il posto a uno sguardo mesto e ad un tono sorprendentemente duro, che non ti aspetti da un ragazzo che ha appena conquistato l’oro. Il campione olimpico parla, l’oro si macchia di ruggine e in Ecuador esplode la polemica.

«Per me è un giorno speciale – dice – per questo me lo godrò da solo. Sono un atleta partito senza l’appoggio del suo Paese. In Ecuador non hanno mai creduto in me, perciò questo oro è mio e di tutti quelli che mi hanno aiutato. So che ora tutti vorranno festeggiare questa medaglia, che però appartiene solo a quelli che mi hanno realmente appoggiato».

Lasciati da soli

Di colpo tornano alla memoria le immagini del suo ritorno a Quito dopo la vittoria del Giro d’Italia e quella commozione si ferma contro questa durezza. Carapaz non indietreggia, anzi rilancia.

«Alla fine – dice – non hanno mai creduto in me, ad eccezione di poche persone. Perciò adesso sono qui che mi godo quest’oro, ma bisogna seguire gli atleti che davvero meritano. Abbiamo dovuto trovare un massaggiatore. Siamo venuti da soli. Abbiamo approfittato del personale di Ineos (la squadra in cui corrono Carapaz e Narvaez, ndr) che era qui con l’Inghilterra e l’Irlanda. Abbiamo chiesto aiuto alla gente per questo e sono loro che ci hanno davvero dato una mano quando ne avevamo bisogno».

Ministro duro

L’Ecuador non è messo bene, fra crisi economica e crisi sanitaria. C’è un nuovo presidente, Guillermo Lasso, eletto lo scorso 24 maggio, ma il cammino è lunghissimo. Così se qualcuno pensava che l’oro del ciclista più amato avrebbe aiutato a non pensarci, avrà presto dovuto rivedere le sue stime. E la ruggine affiora.

Sebastian Palacios, Ministro dello Sport che ha seguito la delegazione a Tokyo, ammette la mancanza di tecnici e personale e risponde con un video.

«Siamo qui per accompagnare gli atleti – dice – e monitorare come si svolgono il coordinamento e la logistica del Comitato Olimpico Nazionale. E purtroppo abbiamo visto cose che hanno catturato la nostra attenzione, che ci preoccupano e ci fanno indignare proprio come si è indignato Carapaz. Nel momento in cui abbiamo vissuto uno dei momenti più incredibili nella storia dello sport ecuadoriano e siamo orgogliosi per la conquista e il trionfo di Richard Carapaz, dopo le sue dichiarazioni di atleta e ciclista, che capisco e condivido, ci sono alcune cose che so e che si dovrebbero chiarire sulla partecipazione dell’Ecuador ai Giochi Olimpici».

Quattro anni fa

La ruggine fra questi atleti e il Comitato olimpico ecuadoriano in realtà è vecchia di 4 anni. Te ne rendi conto seguendo lo scambio di tweet fra Carapaz e Narvaez dopo la vittoria.

Risale tutto ai Giochi Bolivariani del 2017, che si svolgevano a Santa Marta, in Colombia. E’ scritto in un comunicato ufficiale diffuso pubblicamente il 13 novembre di quell’anno.

Vi si legge che i due, più Caicedo (il vincitore dell’Etna 2020) vennero trovati ubriachi in una pizzeria dopo aver lasciato il ritiro della squadra. Il Comitato Olimpico emise appunto quel comunicato, che Narvaez deve aver conservato da allora nel suo telefono. C’è scritto anche che i ciclisti mancarono di rispetto ai delegati che erano andati a cercarli. Che furono riportati a forza in hotel, da cui gli fu impedito di uscire. E che in seguito all’episodio, la Commissione etica del Comitato chiese l’apertura di un procedimento disciplinare a loro carico.

Nel suo tweet, Narvaez ironizza sul fatto che ora avranno una medaglia da aggiungere al procedimento. Mentre Carapaz gli risponde di pensare a qualcosa di meglio e aggiunge tre emoticon con un sorriso, la medaglia d’oro e un boccale di birra.

Il Comitato risponde

Il Comitato olimpico ovviamente risponde. Scrivono di aver provveduto all’emissione dei biglietti aerei e di aver fornito ai due atleti le indicazioni per l’ingresso sicuro in Giappone. Poi spiegano, pubblicando anche le foto, che una delegazione, tra cui un medico e un fisioterapista, ha incontrato i ciclisti. Il dottor Pablo Sarmiento ha emesso un rapporto al riguardo.

«Abbiamo proceduto a valutarli – scrive – sapendo che i loro colleghi europei li aiutavano con i massaggi, ma che richiedevano stivali di decompressione. Richard Carapaz ha ricevuto la terapia per 45 minuti. Abbiamo discusso delle loro condizioni mediche prima della competizione, hanno detto che si sentivano bene, ma che avevano bisogno di una squadra che li aiutasse con l’idratazione…».

Sempre nel referto del medico si legge che dopo la vittoria di Carapaz gli atleti hanno indicato di non avere bisogno di assistenza medica, ma che la struttura medica sarebbe stata comunque a loro disposizione.

Dopo la vittoria, per qualche minuto il sorriso è mutato in un ghigno amaro che ha portato la ruggine in superficie
Dopo la vittoria, il sorriso è mutato in un ghigno che ha portato la ruggine in superficie

L’oro e la Vuelta

Ci sono rancori difficili da smaltire, ma per fortuna la soddisfazione della vittoria ha portato non solo ruggine, ma anche felicità vera.

«E’ incredibile – ha detto Carapaz aspettando la consegna della medaglia – qualcosa ancora difficile da digerire. Sono molto emozionato. Ero convinto di averlo nelle gambe. L’ho provato al Tour, volevo vincere anche là, ma non è stato possibile. Qui era una lotteria e ho cercato di fare del mio meglio. Eravamo in due, abbiamo cercato di sfruttare il lavoro degli altri. Narvaez mi è stato sempre molto vicino, aiutandomi e portandomi l’acqua. Sapevo che McNulty pedalava davvero forte e che potevo trarne vantaggio. E’ stato un attacco intelligente. Abbiamo iniziato a collaborare ed è stato fondamentale. Io in discesa, lui in pianura. Alla fine sapevo che ero il più forte e non era necessario attaccare. Ho solo continuato, ho continuato, ho continuato e al traguardo ero da solo».

Non ci sono immagini del ritorno di Carapaz in Ecuador, ma visto che il campione olimpico è atteso alla Vuelta, probabilmente ha deciso di fermarsi in Europa. Era decisamente inatteso che il momento della vittoria più bella potesse avere un simile strascico di ruggine. Resta da capire dove sia esattamente la verità e se troveranno il modo prima o poi di ricomporla.

Olimpiadi in archivio, per Leuven ci serve un Bettiol da Fiandre

30.07.2021
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Probabilmente la sensazione del crampo Bettiol la conosce bene. Ci sono atleti che in qualche modo vi sono predisposti e siccome lo sanno, sono consapevoli anche di tutto quello che serve per scongiurarli. Il guaio è che forse le solite precauzioni non bastano se vai a correre le Olimpiadi in Giappone. Quando tutto viene spostato al limite, lo stress fisico s’impenna e puoi ritrovarti di colpo inchiodato su un dolore che conosci e contro cui hai poco da fare. Lo ha spiegato benissimo Malori stamattina. Perché, oltre al toscano, ne ha fatto le spese anche Izagirre nella crono e chissà quanti altri dal nome meno illustre, nei torridi giorni giapponesi. In archivio le Olimpiadi della strada con tutto quello che di bello ci hanno lasciato, si volta la pagina.

Moscon doveva essere il suo punto di appoggio nel finale dei Giochi, ma il crampo lo ha tradito
Moscon doveva essere il suo punto di appoggio nel finale dei Giochi, ma il crampo lo ha tradito

«Ne ho parlato con il dottore – ha detto Bettiol dopo la cronometro – e non ci siamo dati spiegazioni. Bisognava stare attenti alla dose di caffeina, ma abbiamo fatto in modo di non eccedere. Semplicemente è il mio fisico che ogni tanto, quando va fuori soglia, viene preso dai crampi. L’unica nota positiva è che nel 2019 alla Strade Bianche ho avuto i crampi e dopo un mese ho vinto il Fiandre. In più mettiamoci che qui in Giappone il clima è molto umido, quindi può succedere…».

Verso Leuven

Sulla strada di Alberto, il cui contratto con la EF Education-Nippo arriverà sino al 2023, si staglia ora il campionato del mondo, cui giungerà tramite la Vuelta. Ce lo aveva raccontato quando lo incontrammo a Livigno alla fine di giugno: la corsa spagnola sarà funzionale alla sfida iridata e la squadra lo ha accontentato.

La tappa vinta al Giro gli ha aperto le porte della nazionale. Lui l’ha messa in archivio ed è ripartito
La tappa vinta al Giro gli ha aperto le porte della nazionale. Lui l’ha messa in archivio ed è ripartito

«Dentro di me, porto via da queste Olimpiadi delle buone sensazioni – ha detto – sapendo che comunque siamo a metà della stagione. La prima parte si è conclusa con il Giro d’Italia, la seconda è appena cominciata con una bella prova alle Olimpiadi e prosegue con la Vuelta e il campionato nel mondo».

Una bella crono

La bella prova è più quella della crono di quella su strada, nonostante fosse partito per la prima come principale speranza azzurre e non avesse nulla da perdere nella seconda. Lo stesso Bradley Wiggins, a Tokyo con Eurosport, ha commentato positivamente la sua gara.

Tre giorni dopo la prova su strada, Alberto ha corso la crono, cogliendo l’11° posto
Tre giorni dopo la prova su strada, Alberto ha corso la crono, cogliendo l’11° posto

«A crono Bettiol è questo – ha detto Alberto – anche se rispetto ai grandi specialisti, come Dennis e Dumoulin, devo ancora migliorarmi e ci riuscirò piano piano con la mia squadra. Sono riuscito a dare il massimo fino all’arrivo, è difficile per me trovare dei punti in cui potevo spingere di più. Quando si riesce a dare tutto, è positivo. Ho rimpianti solo per la strada, anche se non potevo fare di più perché non è dipeso da me. Siamo stati una squadra con la S maiuscola, attualmente questo è il nostro livello. Ovviamente per quanto riguarda la corsa su strada non abbiamo adesso in Italia corridori che possano vincere una Liegi o il Lombardia. E alla fine l’Olimpiade è stata una grande classica. Abbiamo fatto del nostro meglio, abbiamo cercato di collaborare, siamo stati squadra».

Per vincere il mondiale, visto il percorso, servirà un uomo da Fiandre e Bettiol il Fiandre lo ha vinto. E’ l’unico fra gli italiani in attività a poterlo dire. Speriamo che per fine settembre, tutto si incastri nel giusto verso e che in qualche modo i crampi di Tokyo portino bene. Perciò, caro Betto, fai un bel respiro e buon ritorno a casa.

Da Tokyo ai mondiali in Africa, c’è un ciclismo in rampa

29.07.2021
5 min
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Le Olimpiadi sono l’evento sportivo più importante a livello globale e di conseguenza in questa manifestazione emergono numerose storie e racconti su tutti gli angoli del mondo. In questo caso si parla del ciclismo e dell’Africa, un movimento in grande ascesa che nella prova su strada ha mostrato i grandi miglioramenti avvenuti nel corso degli anni.

Nel 2013 la squadra venne coinvolta nella solidarietà di Qhubeka in Africa
Nel 2013 la squadra venne coinvolta nella solidarietà di Qhubeka in Africa

Abbiamo chiesto il parere di qualcuno che in questo campo opera da tempo: Daniele Nieri, diesse del Team Qhubeka Assos che ha sposato il progetto alla base di questo team: aiutare i ragazzi africani e dare voce in capitolo al ciclismo di laggiù.

Partiamo da lontano, come è nato l’interesse verso questo movimento?

Personalmente ho conosciuto la prima realtà ciclistica di questo continente 9-10 anni fa, ad un Giro di Malesia. Mi colpirono per l’organizzazione, erano avanti per essere all’inizio. Si chiamavano MTN, una squadra continental. Il ciclismo africano ha preso sempre più piede con l’impegno dell’associazione benefica Qhubeka che si è unita alla MTN. Nel 2012 la squadra è diventata WorldTour e questo ha dato uno sprint in più, sono arrivati corridori e tecnici da tutto il mondo.

Aiutaci a conoscere meglio la fondazione Qhubeka.

Il progetto è nato nel 2005, il fondatore è Anthony Fitzhenry, Qhubeka significa “andare avanti” in lingua Nguni, idioma parlato da alcune popolazioni del Sud Africa. E’ nato dalla necessità di migliorare gli spostamenti dei ragazzi verso le scuole, quindi scollegato dal mondo professionistico, anzi è legato allo sviluppo dell’ambiente. L’organizzazione regala delle bici ogni 100 alberi piantati o 100 tonnellate di rifiuti raccolti. Tutti i destinatari di una bici devono poi seguire dei corsi su manutenzione e sicurezza del mezzo.

Tu come hai avuto i primi contatti con questo ambiente?

In modo casuale, la squadra cercava un magazzino vicino a Lucca e mi hanno contatto, offrendomi un ruolo di meccanico. Piano piano poi sono diventato direttore sportivo con i giovani, un po’ italiani e un po che arrivano dall’Africa.

Cosa ti entusiasma di più in questo progetto?

La voglia dei ragazzi è incredibile, poi sono proprio delle persone fantastiche, gentili e pronti ad ascoltarti in tutto per tutto. Hanno tanta voglia di imparare perché sono consapevoli che quel che fanno non si riflette solo di loro, ma su tutta la popolazione africana. Sono degli apripista.

Quella degli atleti africani è stata una crescita esponenziale, tu l’hai vissuta in prima persona, raccontacela un po’…

Quando ho iniziato io, l’organizzazione era poca o comunque mal gestita, questi Paesi non avevano una tradizione legata alla bici e quindi è stato complicato entrare nel tessuto sociale.

Teklehaimanot è stato il primo atleta africano a vincere la maglia a pois al Giro del Delfinato
Teklehaimanot è stato il primo atleta africano a vincere la maglia a pois al Giro del Delfinato
Cioè?

In Africa i corridori in generale iniziano a correre tardi, quando sono juniores, quindi per loro diventa più difficile emergere perché molti meccanismi li sviluppano dopo. Per esempio, la loro prima difficoltà è stare in gruppo, perché nelle loro corse il divario è così ampio che dopo 10 chilometri rimangono già in 5 o 6.

Dal punto di vista atletico sono molto validi, li vediamo spesso in fuga o in testa al gruppo a tirare…

Sono più che validi – esclama – gli atleti africani sono atleti di fondo, dotati di grande resistenza come si vede nelle gare podistiche. La differenza rispetto alla corsa a piedi sta nel fatto che per correre in bici serve molta tattica e per loro questo è un punto debole. Se notate, nelle corse sono spesso in coda al gruppo o al vento.

Qual è stato l’evento scatenante per la passione verso il ciclismo?

Il 2015 ha fatto conoscere l’Africa ciclistica, Teklehaimanot è stato il primo atleta africano a vincere la maglia a pois al Giro del Delfinato ed ha indossato la medesima maglia al Tour de France al termine della sesta tappa.

Come si costruisce una tradizione in un continente così vasto e differente in tutte le sue parti?

Non è un lavoro facile, devi pensare a questi atleti come se fossero dei pionieri. Tutti fanno conoscere al loro Paese il ciclismo tramite le proprie gesta. Il materiale, come bici e attrezzatura, viene portato nei Paesi di riferimento dai ragazzi, ma non si è ancora entrati nell’ottica “tecnica”. Per quello Qhubeka si sta impegnando, ma la strada è ancora lunga. Molto dipende dagli investimenti delle federazioni.

Quali sono gli obiettivi presenti e futuri per questo territorio?

Il presente è in continuo crescendo, ora molte squadre hanno in gruppo uno o due corridori africani, l’obiettivo primario è far crescere questo numero (in apertura Amanuel Gebreigzabhier, eritreo della Trek-Segafredo, ndr). Nel futuro, invece, sulla base dei progressi raggiunti fin ora, non nascondo che il sogno sarebbe vedere uno di questi ragazzi che lotta per vincere corse prestigiose, come un Tour. Loro si avvicinano a questo sport grazie a quel poco che riescono a vedere in televisione. La Grande Boucle è la prima corsa che vedono, non conoscono il Giro d’Italia o altre corse, solo il Tour de France.

Un anno da segnare sul calendario è il 2025, quando i mondiali di ciclismo saranno in Africa

Sarà l’anno della svolta, lì ci potrebbe davvero essere la consacrazione definitiva per il ciclismo in questo territorio. Il 24 settembre verrà dato l’annuncio del Paese ospitante (in lista ci sono Rwanda e Marocco ndr). Il Rwanda ospita già una delle poche gare africane di classe 1. Sarebbe davvero speciale se venissero disputati in quest’ultimo paese, si entrerebbe in contatto con il vero spirito africano.

Sul futuro, Cassani abbottonato: ora pensiamo al mondiale

29.07.2021
3 min
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Dall’Olimpiade al mondiale, Davide Cassani guarda già al futuro. Al termine della cronometro maschile a cinque cerchi di ieri al Fuji Speedway che ha visto il nostro Filippo “Top” Ganna fermarsi a 1”74 dal podio, abbiamo intercettato il commissario tecnico azzurro prima del suo rientro in Italia (domani) per preparare gli altri appuntamenti della stagione.

Davide Cassani fa ora rotta su europei e mondiali, poi il Consiglio Generale ridiscuterà il futuro dei tecnici azzurri
Davide Cassani fa ora rotta su europei e mondiali, poi il Consiglio Generale ridiscuterà il futuro dei tecnici azzurri
Come hai visto Filippo dopo la crono?

In un percorso di 44 chilometri con 800 metri di dislivello ha fatto una super gara. Purtroppo, per meno di due secondi non ha preso una medaglia o per quattro l’argento. Poi, guardate anche Van Aert cosa ha fatto: i primi due sono corridori che vincono i Grandi Giri, più leggeri. Più di così Pippo non poteva fare.

Alla vigilia vi aspettavate questo riscontro?

E’ andato anche più forte del previsto. Al primo intertempo era in testa, poi sugli strappi duri ha pagato. I miei favoriti alla vigilia erano Van Aert, Roglic, Dumoulin ed Evenepoel insieme a Filippo.

Tornando alla prova su strada: cosa è mancato?

Sull’ultima salita, c’erano 12 corridori di 12 nazioni differenti e l’Italia era presente. Ci ha fermato un crampo, perché Alberto stava bene e si è visto anche come è andata ieri. Bettiol l’ho portato non per la tappa che ha vinto staccando Cavagna, ma per quando a Sestola è restato coi primi o quando a Sega di Ala ha resistito in salita per stare vicino al suo compagno di squadra

Dopo le Olimpiadi, Ganna verso i mondiali crono in Belgio? Il piano per l’immediato futuro dovrebbe essere questo
Dopo le Olimpiadi, Ganna verso i mondiali crono? Il piano per l’immediato futuro dovrebbe essere questo
Il riscatto a cronometro di Ganna arriverà già al mondiale?

Ci proviamo, perché il percorso sarà totalmente pianeggiante. Per tornare sul risultato di ieri, non parlerei di delusione, ma di rammarico, disdetta. Per 20 metri ha perso il bronzo, per 80 l’argento: gli vanno soltanto fatti i complimenti.

E per la gara in linea hai già un’idea?

Con diversi corridori abbiamo già fatto un programma di massima e per alcuni prevede la Vuelta.

Ci fai qualche azzurro che potrebbe essere protagonista nella corsa iridata?

Colbrelli, Trentin, ma anche Nizzolo e Bettiol possono dire la loro: è un percorso che si addice alle loro caratteristiche. Per fare un esempio, la Slovenia punterà su Mohoric.

«Bettiol è andato a Tokyo non per la tappa vinta al Giro – dice Cassani – ma soprattutto perché ha dato ha dato grandi segnali in salita»
«Bettiol a Tokyo non per la tappa vinta al Giro – dice Cassani – ma per i segnali in salita»
Che cosa ha rappresentato per te quest’Olimpiade?

Un’emozione straordinaria, soprattutto per uomini di sport come noi, che mi porterò sempre dentro.

Se diciamo Parigi 2024?

Sarà tutta un’altra cosa e Ganna avrà tre anni in più e da 25 a 28 anni c’è solo da guadagnarci.

Magari lo schiererai anche per la prova in linea?

Bisogna vedere quali sono le intenzioni del presidente (Cordiano Dagnoni è con i 5 azzurri della strada nella foto di apertura, ndr), perché mancano ancora 3 anni ai Giochi.

Malori, che cosa insegna la crono di Tokyo?

29.07.2021
5 min
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Il giorno dopo, rileggendo le immagini della crono olimpica e degli ordini di arrivo, ancora con Malori tiriamo le somme e cerchiamo fra i dettagli. L’ultima giornata olimpica su strada ci insegna qualcosa? Iniziamo immancabilmente da quella macchina da guerra slovena di nome Primoz Roglic.

«Mi piace da matti – dice Malo – perché cade, si rimbocca le maniche, torna e vince. Lo aveva fatto l’anno scorso dopo la batosta del Tour e lo ha rifatto quest’anno. Gli sloveni hanno un carattere diverso da tutti gli altri, ricordo anche quelli con cui ho corso alla Lampre. Se una corsa va male, loro pensano subito alla successiva. Se mi fosse successo come lui al Tour del 2020, sarei stato per un mese a prendermela col mondo, invece lui è ripartito, ha fatto un gran mondiale, ha vinto la Liegi e poi la Vuelta. Lo stesso Pogacar, che ha vinto il primo Tour al penultimo giorno, non ve lo sareste immaginato esultare come un matto? Invece zitto e buono. Anche quest’anno: secondo Tour e giusto qualche sorriso. Roglic uguale. Gli hanno fatto quella bella… torta alla Parigi-Nizza (il riferimento è al fatto che il gruppo gli avrebbe fatto pagare la vittoria non concessa a Mader, lasciando che perdesse la corsa nella tappa del giorno dopo, ndr). Lui zitto è ripartito e ha vinto i Paesi Baschi. Poi è caduto al Tour. Zitto e ha vinto le Olimpiadi a cronometro. Lo ripeto, mi piace da matti…».

Kung 4° con il tempo di Dennis, ma per 40 centesimi non ha preso il bronzo: il primo fra i reduci del Tour
Kung 4° con il tempo di Dennis, ma per 40 centesimi non ha preso il bronzo: il primo fra i reduci del Tour
La crono, appunto…

Pensavo risultasse più facile. Come a Rio, che sembrava dura, ma alla fine vinse comunque uno specialista come Cancellara. La regia ha lavorato malissimo facendoci vedere solo la salita dell’intertempo, ma i punti duri erano dovunque. Sennò non veniva fuori solo una media di 48. E qui secondo me va fatta notare una cosa interessante.

Quale?

Ricordate il discorso già fatto per Van Aert sul tempo giusto per arrivare in Giappone? Dicemmo che le soluzioni erano due. Arrivare due settimane prima per acclimatarsi sul serio, oppure andare all’ultimo momento e correre, come hanno fatto quelli del Tour, senza che il corpo percepisse lo stravolgimento del nuovo ambiente. Non è stato per caso che nella prova su strada i primi 8 venivano tutti dalla Francia, tre giorni prima. Ieri invece dei primi 5 solo Kung ha fatto il Tour.

Malori aveva previsto che Dumoulin potesse fare un grande risultato. Argento e carriera che riparte
Malori aveva previsto che Dumoulin potesse fare un grande risultato. Argento e carriera che riparte
Che cosa significa?

E’ successo quello che dicevamo. Sono arrivati dal Tour facendo il viaggio la sera stessa e senza recuperare. Hanno corso, andando forte. Poi hanno iniziato a risentire del cambio di ambiente e la corsa in linea ha fatto traboccare il vaso. La conferma è Van Aert. Come è possibile che volasse su strada e ieri non andasse avanti? Roglic invece non correva dalla prima settimana del Tour. Dennis e Dumoulin dal Giro di Svizzera. Si sono allenati bene ed ecco il risultato.

Però hanno corso anche loro su strada…

Senza i fuorigiri degli altri, di Van Aert ad esempio. Il confronto insegna. Roglic dopo il Tour avrà preso la bici da crono e pensato solo a questo giorno. Ha usato la corsa in linea, come dicono gli spagnoli, per togliere il catrame dal motore. Ed è arrivato perfetto alla crono.

Ganna 5° a meno di 2″ dal podio: ora porterà la sua rabbia su pista
Ganna 5° a meno di 2″ dal podio: ora porterà la sua rabbia su pista
A noi sembra, visto il percorso, che Ganna abbia fatto una buonissima crono.

Sono d’accordo. Viste le strade è arrivato a due secondi dalla medaglia dietro gente che in salita è molto più forte di lui. Non dimentichiamo che Pippo pesa più di 80 chili e Tokyo non era Imola. Se la crono fosse stata veloce, allora accostare la preparazione su pista sarebbe stato possibile. Perciò credo che Ganna abbia una grandissima condizione e in pista se la squadra sarà all’altezza, potrebbe guidarci a un oro storico nel quartetto.

Ti sei accorto però che rispetto al solito continuava a scivolare sulla sella?

Molto strano, stavo per dirlo io. L’ho visto tanto scomposto, mentre di solito è da manuale del cronoman ed è lui che insegna agli altri. Non trovava il ritmo, era irregolare. Il fatto di spostarti sulla sella, se la posizione che hai è perfetta come la sua, è la spia del fatto che non ti senti al top. Ti sposti cercando gli angoli migliori, ti scomponi. Quando stai bene invece, trovi rapporto e posizione. Secondo me Pippo ha capito subito di non avere le gambe per vincere. E a maggior ragione ha fatto una super crono. C’erano giorni in cui non ero in condizione e mi sembrava di avere la sella troppo bassa, ma nessuno ovviamente l’aveva toccata.

Uran ha chiuso all’8° posto: uno dei 3 corridori fra il 4° e il 10° posto ad aver finito il Tour
Uran ha chiuso all’8° posto: uno dei 3 corridori fra il 4° e il 10° posto ad aver finito il Tour
A questo punto in pista avrà condizione e… rabbia?

Con un Ganna così, per quanto gli gireranno le scatole, l’oro nell’inseguimento potrebbe essere a portata di mano. Al tricolore di Faenza (quarto a 12 secondi dal podio, ndr) non si è arrabbiato più di tanto, perché sapeva di aver lavorato per questi giorni. Ma qui, da campione del mondo in carica, aver mancato la medaglia per meno di due secondi ti fa arrabbiare, eccome. Posso dire un’altra cosa?

Prego.

Hanno stufato con queste crono, che sono cronoscalate. Posso capire durante un Tour, con Pogacar contro Roglic, ma nelle gare titolate, almeno una crono veloce vorranno metterla?

Cosa dici dei crampi di Izagirre?

Che il corpo a un certo punto non ce la fa più. Spingi il muscolo troppo in là e lui ti presenta il conto. L’esperienza insegna. Come Bettiol. Non a caso, due come Carapaz e Uran, abituati a gestirsi nei viaggi intercontinentali, se la sono cavata decisamente bene. Roglic ha fatto una grande crono, ma pensando alla strada, anche se da italiano non dovrei dirlo, ha vinto quello che se la meritava di più.

De Vecchi 2008

Dalle radici della Bmx fino a Tokyo, aspettando Fantoni

28.07.2021
4 min
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La presenza di Giacomo Fantoni nel torneo olimpico di Bmx a Tokyo è l’ultimo capitolo di una storia frastagliata, quella dell’Italia in una specialità che finora non è mai riuscita veramente ad attecchire da noi. Eppure i trascorsi sono lontani ed anzi gli inizi erano stati molto promettenti: il Trofeo Topolino attirava sempre grandi numeri di ragazzini appassionati delle due ruote, molti di loro hanno sviluppato proprio grazie alla kermesse intitolata al personaggio Disney la propria passione ciclistica, che poi ha preso altre strade. E’ il caso ad esempio di Gianluca Bonanomi, uno dei primissimi campioni del mondo della specialità.

Il corridore lombardo, oggi 53enne direttore commerciale di Merida Italia, prese spunto dal Bmx per sviluppare la sua carriera: «Ricordo che le finali si disputavano al Motor Show di Bologna, davanti a tantissimi spettatori. Erano gli inizi degli anni Ottanta, poi passai al motocross, ma mi ruppi il ginocchio e ripresi a pedalare. La passione per le specialità adrenaliniche però non mi aveva lasciato, così mi dedicai alla downhill». Con grande profitto, considerando che vanta 5 titoli italiani e un bronzo europeo.

Gianluca Bonanomi, Merida
Gianluca Bonanomi, 5 titoli italiani e un bronzo europeo nella downhill, tra i precursori nella Bmx
Gianluca Bonanomi, Merida
Gianluca Bonanomi, 5 titoli italiani e un bronzo europeo nella downhill, tra i precursori nella Bmx

La mancanza delle grandi città

Da allora tanta acqua è passata sotto i ponti, ma la Bmx ha faticato a ritrovare quei fasti una volta che l’iniziativa del Trofeo Topolino è venuta meno: «L’Italia paga la scarsità di impianti, racchiusi tutti nel Nord Italia, ma soprattutto il fatto che non ci siano impianti nelle grandi città. E’ questo il vero controsenso: si spendono cifre astronomiche per riempire le città di stadi di calcio, possibile che non si trovino spazi e fondi per gli impianti di Bmx che non occupano così tanto spazio?».

Bonanomi, che gestisce l’impianto di Garlate («Abbiamo avuto il via libera per i fondi regionali per ampliare la pista e portare la partenza a 8 metri come per le principali gare internazionali») ha indirizzato anche i suoi figli Andrea e Riccardo verso la Bmx, da cui poi sono “emigrati” verso la downhill: «Io dico che il futuro della Bmx è comunque roseo, dietro Fantoni abbiamo 4-5 ragazzi che sono ai vertici internazionali nelle categorie giovanili, se lavoreranno bene, già a Parigi 2024 avremo delle soddisfazioni».

De Vecchi Pechino 2008
Una fase del torneo olimpico di Pechino 2008, con De Vecchi davanti. Due le sue presenze olimpiche
De Vecchi Pechino 2008
Una fase del torneo olimpico di Pechino 2008, con De Vecchi davanti. Due le sue presenze olimpiche

De Vecchi, il primo olimpico italiano di Bmx

Se si parla di Bmx in Italia non si può prescindere da Manuel De Vecchi, l’uomo che rappresentò l’Italia agli esordi della specialità alle Olimpiadi, a Pechino nel 2008 e lo fece anche in maniera importante, arrivando alle semifinali e non finendo lontano dall’ingresso nei fantastici 8. De Vecchi, presente anche nel 2012 a Londra, chiuse proprio con la seconda presenza olimpica la sua carriera: «Il bello è che già dall’anno dopo lo sviluppo della struttura italiana fu deciso, con un impianto stabile a Verona invidiatoci in tutto il mondo».

Anche De Vecchi, che oggi continua a lavorare alla sua azienda di famiglia LS-Logistica Sanitaria («veniamo da mesi terribili, di lavoro duro e psicologicamente molto sofferto») pensa che finalmente qualcosa si stia muovendo anche a livello culturale: «Abbiamo bisogno di un numero maggiore di impianti per richiamare le famiglie: per i ragazzi pedalare in Bmx è molto più sicuro che andare su strada e si possono avere risultati importanti. Io grazie al Bmx ho girato tutto il mondo…».

Fantoni Tokyo 2021
Giacomo Fantoni scenderà in gara giovedì 29 luglio alle 3 ora italiana per i quarti di finale
Fantoni Tokyo 2021
Giacomo Fantoni scenderà in gara giovedì 29 luglio alle 3 ora italiana per i quarti di finale

Ora comanda l’Europa

Rispetto ai suoi tempi, la geografia della specialità è cambiata? «Relativamente: l’epicentro ormai si è spostato in Europa dove Francia e Olanda sono le scuole di riferimento, ma l’attività principale, il “business” è sempre negli Usa. La presenza di Fantoni a Tokyo è comunque importantissima, la dimostrazione che anche in Italia si possono fare le cose per bene».

Che cosa rappresenta gareggiare alle Olimpiadi? «E’ qualcosa di unico, io neanche lo speravo perché quando iniziai la mia attività non si pensava nemmeno che la Bmx entrasse nel programma olimpico. Essere nello stesso Villaggio con tutti i campioni sportivi è qualcosa che ricorderò sempre. Mi sono sentito profondamente italiano, con gli altri atleti che tifavano per me, un’esperienza unica».

Anche i figli di De Vecchi fanno Bmx, «ma non li alleno io perché sono sempre stato contrario ai genitori che interferiscono. E poi mio figlio non mi ascolta… Però cresce bene e se vorrà continuare avrà il mio appoggio».

Da Roglic a Pogacar, il momento d’oro del ciclismo sloveno

28.07.2021
3 min
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Brillano gli occhi di Andrej Hauptman e sotto la mascherina si può immaginare un sorriso a trentadue denti. E’ l’età dell’oro per il ciclismo sloveno che, non contento di dominare in lungo e in largo i grandi Giri (2 Vuelta di Spagna con Roglic e 2 Tour de France con Pogacar) dall’autunno 2019 ad oggi, ora fa incetta anche di prove di un giorno. Oltre alle due Liegi-Bastogne-Liegi conquistate uno dopo l’altro (prima Roglic a ottobre 2020, poi Pogacar ad aprile 2021), i due funamboli sloveni ora vantano una medaglia olimpica a testa: al bronzo in volata di Tadej nella prova in linea di sabato scorso ha fatto seguito la cavalcata d’oro di Primoz nella cronometro odierna. Nessun’altra nazione è riuscita ad andare a bersaglio in entrambe le prove maschili: e pensare che annoverano soltanto due milioni di abitanti.

Lo sloveno è stato sempre in testa e ha marcato la differenza in salita
Lo sloveno è stato sempre in testa e ha marcato la differenza in salita
Dopo la caduta al Tour de France, ti aspettavi di vedere Primoz sul gradino più alto del podio all’Olimpiade?

Perché no? Quando si è ritirato dal Tour, gli ho lasciato qualche giorno perché aveva bisogno di sbollire la rabbia, visto che era andato lì per vincerlo e aveva dovuto rinunciare alle sue ambizioni per una caduta. Era deluso, poi quando ci siamo sentiti mi ha detto: «Vediamo come sto». Poi, se un corridore come lui dice che fa l’Olimpiade, vuol dire che è a posto.

Perché non schierare Pogacar nella crono?

La decisione finale l’abbiamo presa perché avevamo solo un posto e non abbiamo cambiato idea.

Dove Primoz ha fatto la differenza?

Difficile dirlo, è andato forte in tutta la crono. Lui è stato regolare per tutta la gara, mentre altri hanno avuto più alti e bassi.

E’ l’epoca d’oro della Slovenia?

Viviamo un sogno ciclistico. Godiamocelo finché dura così.

Il momento d’oro sloveno continua. A Tokyo anche il bronzo di Pogacar
Il momento d’oro sloveno continua. A Tokyo anche il bronzo di Pogacar
Un momento che è cominciato con te…

No, ben prima. Dai primi pro’ che c’erano in Italia: Cerin, Paulic, Bonca. Ognuno di loro ha messo un sassolino nel mosaico, anche io nel mio piccolo. Voglio ringraziare anche la Federazione italiana perché con i nostri ragazzi delle categorie esordienti, allievi, juniores e under 23 possiamo correre gare nazionali in Italia. Da quell’accordo, il ciclismo sloveno è cresciuto e adesso siamo qua.

Avete lavorato tanto con le scuole?

Molto, ma c’è ancora tanto da fare perché non abbiamo tanti ciclisti. Ci sono regioni in Slovenia, come Capo d’Istria, in cui non abbiamo un movimento al top, però adesso si sono trovati questi Mohoric, Tratnik, Polanc che veramente vanno forte.