Quando la notte si fece buia e sembrava che Ryder Douglas non riuscisse a trovare lo sponsor, ai ragazzi del Team Qhubeka continental venne detto che il progetto di solidarietà attraverso le bici non sarebbe morto e che per loro avrebbero comunque provato a cercare un budget. Poi è arrivata Assos e la musica è cambiata, ma Daniele Nieri sapeva che la sua squadra avrebbe in ogni caso proseguito.
Siete affiliati in Italia, ma di fatto la percezione è un’altra…
In effetti non ci sentiamo tanto italiani. Anche se lo staff è tutto di qui, abbiamo comunque un massaggiatore, il preparatore e il manager che sono sudafricani. Cerchiamo di non correre troppo in Italia e quando ci siamo, la federazione ci mette i bastoni fra le ruote. Ci obbligano a far partire i quattro italiani per avere i due stranieri. Così se uno degli italiani si ammala, non possiamo correre le gare nazionali. Così non correremo a Extra Giro, perché non abbiamo i quattro italiani.
Per cui fate tanto estero?
Bisogna confrontarsi a livello europeo, siamo spessissimo in Francia, che tecnicamente offre di più. Tante gare a tappe e tanta qualità, mentre il Belgio ad esempio ha quasi soltanto corse di un giorno. All’estero troviamo un modo di correre diverso da quello italiano.
Quanto siete legati alla squadra WorldTour?
Parecchio. Non si è fatto il ritiro causa Covid, ma avere Henao con noi alla Coppi e Bartali ha offerto ai giovani l’esempio di come viva un professionista. In più il corridore della WorldTour si lega ai giovani e ancora adesso Sergio chiede come stiano quelli con cui ha corso. E poi è positivo il fatto che possiamo mandare corridori in stage ogni volta che se ne crea l’occasione. Per Puppio correre con i grandi la Nokere Koerse e la Koksijde Classic al Nord è stato una svolta mentale clamorosa che con noi non avrebbe fatto.
I quattro italiani sono il numero minimo per avere l’affiliazione?
Esatto e cerchiamo sempre di prenderli per ogni specialità. Quando è passato Marchiori, abbiamo preso Coati. Puppio potrebbe aver preso il posto di Konychev e Guasco di Sobrero. E poi ci sono gli africani, con cui il lavoro è di maggiore costruzione.
In che senso?
Il gruppo eritreo è quello qualitativamente migliore. Tesfatsion, che ora è all’Androni, è un talento vero. Rnus Byiza è un altro e debutterà domenica a San Vendemiano. Amanuel Ghebreigzabhier che ora è alla Trek-Segafredo è un corridore vero. Ma quando arrivano qua, hanno bisogno di due anni per adattarsi alla nuova vita e al nuovo modo di correre. Sarebbe bello che potessero arrivare da juniores, ma non si può per i permessi e per la scuola, così per compensare si cerca di tenerli per quattro anni.
Avere quattro italiani per loro è un freno oppure uno stimolo?
E’ uno stimolo. Tesfatsion ha imparato tanto da Sobrero, Battistella, Konychev e Mozzato. Il trattamento è uguale per tutti, anche se loro quando arrivano hanno paura che si facciano differenze. Poi vedono che i materiali e i compensi sono uguali per tutti e si tranquillizzano, anche se poi alle corse si lavora per chi va più forte. In corsa l’uguaglianza la danno le gambe.
Avete corso mai a casa loro?
Con il Covid non si può, ma nel 2019 Battistella ha vinto una tappa al Tour de Limpopo e nello stesso anno abbiamo corso al Tour of Rwanda. In quelle occasioni è bello anche andare con Qhubeka a consegnare le biciclette ai bambini.
Ecco, la mission di Qhubeka: quanto se ne rendono conto i corridori?
Lo capiscono i giovani e anche i più grandi, come Henao e Aru. E gli africani per contro si rendono conto di quello che Qhubeka fa per loro. E’ dura, ma è bello. Ieri pioveva e un ragazzo, che aveva le ciabatte, si è tolto i calzini per non sporcarli. Un italiano sarebbe passato e poi ne avrebbe messo un paio pulito.