Le lunghe giornate del massaggiatore in ritiro

19.12.2021
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In queste settimane abbiamo parlato spesso di ritiri. Abbiamo visto come si svolge quello del preparatore, più di qualche volta abbiamo parlato dei corridori, stavolta vi facciamo vedere com’è il ritiro dal punto di vista del massaggiatore. Per farlo abbiamo “bussato” alla porta di Yankee Germano, ormai colonna portante del gruppo di Patrick Levefere.

La Deceuninck-Quick Step ha finito il suo primo training-camp giusto ieri e con il massaggiatore friulano siamo entrati nei meccanismi e nelle stanze dello squadrone belga.

Dalle corse ai ritiri, Yankee è sempre pronto a supportare i suoi atleti
Dalle corse ai ritiri, Yankee è sempre pronto a supportare i suoi atleti
Yankee cosa fa il massaggiatore in ritiro?

Tante cose direi! Cura la parte del vestiario, il plan delle gare, gestisce i rifornimenti e chiaramente esegue i massaggi.

Il plan delle gare? Cosa intendi…

Ci si porta avanti con l’organizzazione degli eventi a cui si deve prendere parte in stagione. Io per esempio nei giorni scorsi stavo lavorando già sul Giro d’Italia. Con il diesse Bramati abbiamo parlato soprattutto del Giro, visto che entrambi saremo presenti nella corsa rosa. Quest’anno si parte dall’Ungheria e noi ci siamo organizzati con due squadre dello staff. Una squadra che va in Ungheria, e una che si recherà direttamente in Sicilia e farà tutta la parte italiana del Giro. La prima squadra poi presumibilmente proseguirà con il Giro di Ungheria da lì a pochi giorni.

Interessante…

In pratica si decidono i mezzi che andranno in Ungheria e anche chi ci andrà. Chiaramente diesse e corridori sono gli stessi, e credo anche io… Però gli altri due massaggiatori per esempio faranno solo tre giorni e la stessa cosa vale per i mezzi dei meccanici.

In ritiro invece cosa fai? Raccontaci la tua giornata…

Mi sveglio alle 7-7:30 e vado a fare colazione. Terminata la colazione, con gli altri massaggiatori, ci spostiamo nello “stanzone officina”. Lì prepariamo il bancone dei rifornimenti. Sistemiamo le barrette, prepariamo le borracce, i tortini di riso… In più sotto alle sedie iniziamo a sistemare le borse del freddo. Ogni corridore infatti ha una sedia dove si prepara prima di uscire. Lì, trova le sue scarpe, il suo casco… Le sedie sono già divise per gruppi: i velocisti, il gruppo classiche, il gruppo grandi Giri.

E dal bancone sono i corridori che prendono i rifornimenti o trovano già un “sacchetto” personalizzato?

No, prendono loro ciò che vogliono o ciò che il nutrizionista gli ha detto di prendere. Non ci sono sacchetti. Su ogni barretta però c’è scritto cosa contiene. Sistemato il bancone, poi passiamo ai frigo sulle auto, curando la parte dei liquidi.

Sedie e bancone dei rifornimenti pronto, merito dei massaggiatori
Sedie e bancone dei rifornimenti pronto, merito dei massaggiatori
E poi cosa fate?

Poi ci spostiamo nella zona delle ammiraglie. Portiamo la “borsa del freddo” nell’ammiraglia che segue quel determinato gruppo, così che ogni atleta possa averla a disposizione nell’allenamento. Successivamente, dopo che i corridori sono partiti abbiamo anche noi il nostro momento di relax. Ci facciamo un caffè, scambiamo qualche chiacchiera, due risate… 

Beh, ci sembra giusto…

Una volta che la parte dell’allenamento è sistemata, noi massaggiatori torniamo a sistemare i materiali. Per esempio torneremo a Calpe il 6 gennaio, quindi le scorte di barrette non le rimandiamo in sede in Belgio, ma le stiviamo in un’apposita stanza che l’hotel ci ha riservato. E la stessa cosa vale per il vestiario: mantelline, cappellini, divise… che dovranno essere distribuite nel ritiro successivo. Facciamo un bell’inventario così che nulla manchi al momento opportuno. 

Successivamente, immaginiamo tornino i corridori dall’allenamento…

Esatto, quando loro rientrano noi ci occupiamo delle auto. Scarichiamo borracce, frigo, borse del freddo, laviamo le ammiraglie stesse e poi vediamo il plan dei massaggi: chi deve massaggiare chi.

Ma quindi la borsa del freddo non la cura il corridore stesso?

In teoria dovrebbe farlo lui, ma ce ne occupiamo noi. Più che altro valutiamo se qualche indumento va lavato oppure no. Se per esempio una mantellina è stata indossata solo per un breve tratto di discesa e non lascia cattivi odori, la riponiamo nella borsa, altrimenti, chiaramente, la laviamo.

Prima, Yankee, hai parlato di plan dei massaggi. Spiegaci meglio…

In questi ritiri ci sono anche i neo professionisti e i nuovi acquisti. Noi abbiamo l’abitudine che tutti i corridori devono provare tutti i massaggiatori. E’ importante passare per una mano diversa ed avere un’esperienza fra tutti noi. Così quando si va alle corse quel corridore e quel massaggiatore già si conoscono. 

Squadra in allenamento e i massaggiatori lavorano in hotel (foto Instagram)
Squadra in allenamento e i massaggiatori lavorano in hotel (foto Instagram)
Quindi non hai dei corridori già segnati? Chi fa il plan?

No, non si hanno “corridori fissi” in ritiro. Il piano massaggi lo fa Frederick Pollentier, figlio dell’ex professionista. Lui è il più esperto, in questa squadra. Frederick è un po’ il responsabile dei massaggiatori, il capo.

A che ora cominciano i massaggi?

I massaggi cominciano verso le 17, perché dopo che tornano dall’allenamento i corridori vanno prima a pranzo e poi riposano un pochino. A quel punto iniziamo i massaggi.

Quanti corridori devi trattare?

Solitamente ne trattiamo due a testa. Ogni massaggio dura circa un’ora. Poi, dopo che si è finito, si risistema tutto, e si va a cena tutti insieme.

E dopo, ancora lavoro?

No, dopo stiamo tutti insieme… Non potendo uscire per le norme anti-Covid che dobbiamo rispettare in squadra, andiamo nella sala delle bici, lo stanzone del mattino, e ascoltiamo un po’ di musica, giochiamo a freccette e loro che sono fiamminghi mi insegnano qualche parolaccia in fiammingo! Dopo un po’ però, stanco, vado in camera perché il giorno dopo si ricomincia.

Ecco l’Arkea, “WorldTour mascherata” coi tre Giri nel mirino

18.12.2021
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Ritrovarsi praticamente nei panni di una WorldTour pur essendo una professional. E’ la lieta notizia che qualche giorno fa ha toccato la Arkea Samsic. La squadra francese, la migliore professional dopo la Alpecin-Fenix, in seguito alla revoca della licenza alla Qhubeka da parte dell’UCI, ha di fatto allargato questa opportunità ad un altro team.

E poiché proprio la stessa Alpecin aveva di fatto già gli stessi diritti in quanto era la prima nella classifica delle professional, ecco che “l’invito” è stato esteso al team di Quintana, secondo nel ranking UCI ProTeam.

In questi giorni l’Arkea, come moltissime altre squadre, è in ritiro in Spagna, lungo la costa Valenciana per lavorare a testa bassa… e rifare i programmi. La squadra francese infatti potrà prendere parte a tutti e tre i grandi Giri e avrà le porte spalancate per molte altre gare del WorldTour, ma certo a far gola sono soprattutto Giro, Tour, e Vuelta.

Verre, in maglia Colpack-Ballan, è approdato quest’anno nel team francese (foto Twitter)
Verre, in maglia Colpack-Ballan, è approdato quest’anno nel team francese (foto Twitter)

Onori ed oneri

Di contro, ritrovarsi all’improvviso di fronte ad una situazione di calendario del tutto nuova ha creato dello scompiglio. Bello partecipare ai tre grandi Giri, ma è anche un impegno. Come si dice: onori ed oneri. A volte le stesse squadre WorldTour lamentano la difficoltà di prendere parte ad alti livelli a tutte e tre le grandi corse a tappe, figuriamoci cosa può significare tutto ciò per una squadra più piccola.

L’Arkea conta trenta corridori. Ma non tutti sono di primissimo livello. L‘organico è buono, ma allestire tre formazioni altamente competitive per altrettanti Giri è un’altra cosa. E potrebbe quasi essere controproducente.

Tuttavia sembra già che non si voglia rinunciare a nessuno dei tre grandi appuntamenti e allora cosa dobbiamo aspettarci? Proviamo ad ipotizzare un calendario, partendo dai corridori nella rosa, dai percorsi e da quanto hanno dichiarato i capitani stessi.

Warren Barguil, al Giro per vincere una tappa?
Warren Barguil, al Giro per vincere una tappa?

Occasione Giro?

Con tre grandi Giri da fare e con un italiano in rosa, Alessandro Verre, ecco che la squadra francese potrebbe venire al Giro d’Italia con un team di giovani, ma non solo... L’idea sarebbe quella di fare esperienza, di andare a caccia delle tappe e di mettersi in mostra.

La partecipazione al Giro inoltre sarebbe anche una base per quello che è l’obiettivo dichiarato del 2023 e cioè diventare una WorldTour a tutti gli effetti. A quel punto l’Arkea avrebbe già preso le misure anche con la corsa rosa, a cui non ha mai preso parte, ma soprattutto avrebbe fatto esperienza con il triplice grande impegno nell’arco della stagione.

E questo fa “scopa” con quanto detto qualche tempo fa dal team manager, Emmanuel Hubert: «Il WorldTour nel 2023 è l’obiettivo dichiarato, ma prima dobbiamo diventare una professional molto forte».

Senza contare che l’altro big, Warren Barguil ha espresso il desiderio di venire in Italia. «Mi piacerebbe molto venire al Giro, vincere una tappa nella corsa rosa è quel che mi manca. E mi piacerebbe correre chiaramente anche il Tour», ha detto il 30enne bretone.

Bouhanni, il velocista del team, è uno dei corridori più rappresentativi del team
Bouhanni, il velocista del team, è uno dei corridori più rappresentativi del team

Parigi o morte

E poi c’è il Tour de France. Chiaramente questo è il big goal per il team, tanto più che parliamo di una squadra francese. E’ lecito ipotizzare un approccio al Tour in pompa magna, con l’artiglieria pesante tutta schierata: da Quintana a Bouhanni, da Barguil ad Anacona.

Però ci chiediamo anche che senso possa avere schierare tutti i migliori corridori nella corsa francese, sapendo poi il livello in campo degli avversari. Se pensiamo che lo scorso anno alla fine hanno vinto solo otto squadre, e chiaramente solo WorldTour (Alpecin di Van der Poel a parte, ndr), un po’ c’è da riflettere. 

E’ vero che conta più la visibilità che offre il palcoscenico della Grande Boucle, piuttosto che il risultato, però ci sono anche delle valenze tecnico-sportive da tenere in conto. Specie se si vuole primeggiare nella categoria professional come dichiarato da Hubert. Per l’Arkea vincere delle gare, magari di livello inferiore, è importantissimo.

Quintana (31 anni) è alla terza stagione nell’Arkea (foto Twitter)
Quintana (31 anni) è alla terza stagione nell’Arkea (foto Twitter)

Nairo e la Vuelta

Infine c’è la Vuelta. La corsa spagnola da anni è nelle corde del team francese. La Vuelta è anche un po’ “l’esame di riparazione” per chi non ha raccolto molto durante la stagione, ma è obiettivo primario per altri. C’è chi vi punta sin dall’inizio: pensiamo a Enric Mas della Movistar, per esempio, e pensiamo proprio a Nairo Quintana.

E a proposito di Nairo, molto ruota attorno al colombiano. A prescindere dal fatto che Quintana è in scadenza di contratto, ha espresso – si legge su Marca, giornale colombiano – la volontà di prendere parte alla Vuelta. E in teoria le volontà del corridore non dovrebbero essere secondarie.

I tecnici dell’Arkea si ritrovano così di fronte ad un bel “tetris”. Lavorare con certi obiettivi e certe ambizioni è comunque uno stimolo, specie se questo sembra fuori portata. Stanno sicuramente lavorando a testa bassa e stanno ponderando bene i programmi da fare, visto che alle nostre richieste ci hanno detto che prima di gennaio non si conosceranno i programmi definitivi.

Il lavoro del coach in ritiro. Ritmi serrati da mattina a sera

08.12.2021
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Qualche giorno fa abbiamo parlato con Cenghialta del grande lavoro che si svolge in occasione del ritiro pre-stagionale: colloqui con i corridori, foto ufficiali, prove di vestiario… Ma in tutto ciò un ruolo importante lo gioca il preparatore centrale, il “chief coach” come si usa dire oggi.

Restiamo in casa Astana Qazaqstan Team e scopriamo come gestisce il suo lavoro Maurizio Mazzoleni, appunto il coordinatore degli allenatori del team kazako.

«In Astana siamo tre preparatori, Notari, Cucinotta ed io – dice Mazzoleni – abbiamo suddiviso i ragazzi in tre gruppi principali. Ed ognuno tiene sotto controllo il suo. Poi ci sono anche Aurelio “Yeyo” Corral, che è il responsabile dei materiali e della crono e viene dalla UAE, e Marino Rosti che segue la parte posturale e mental coach del lavoro. Lui è una figura molto importante ed esegue spesso sedute individuali».

L’Astana si sta allenando ad Altea, in Spagna (foto Instagram)
L’Astana si sta allenando ad Altea, in Spagna (foto Instagram)

Non solo chilometri

Il capo allenatore è un vero collettore del team, quasi al pari del primo diesse, in questo caso Giuseppe Martinelli. In questa fase dell’anno in particolare Mazzoleni deve raccogliere e coordinare moltissime informazioni tanto con i corridori quanto con il personale. Impossibile impostare il lavoro sul posto. Di fatto Maurizio parte col “foglio” già scritto.

«Tutto è programmato già prima del via – spiega il tecnico – allenamento ed extra allenamento. Questo training camp è il più importante dell’anno in quanto è l’unico in cui si è davvero tutti insieme. A parte il briefing del mattino del primo giorno, poi ognuno ha un suo programma individuale, perché okay l’allenamento al mattino in gruppo, ma poi al pomeriggio c’è chi ha la visita di idoneità, chi deve andare dal nutrizionista, chi ha un test biomeccanico…

«E’ davvero tantissimo il lavoro da fare e infatti lo dico sempre ai ragazzi: non subite il training camp ma sfruttatelo. È il momento dell’anno in cui avete a disposizione moltissime figure professionali per lavorare in un certo modo, per risolvere i dubbi sul campo. Parlate a lungo anche coi meccanici, gli dico.

«Avere il supporto reale è un valore aggiunto, perché poi già quando si è alle corse si è più concentrati sulla prestazione del momento. Insomma sarebbe errato pensare al ritiro solo come un grande volume di allenamento in bici. I tempi vanno sfruttati al meglio. Una volta si “perdeva tempo” con i giovani per farli ambientare, oggi invece un Gazzoli della situazione e già formato. Non devo stare a spiegargli i file o come funzionano certi strumenti».

Martinelli, Mazzoleni e Cenghialta a colloquio
Martinelli, Mazzoleni e Cenghialta a colloquio

Il test è una… foto

Non solo per il grande volume di allenamento, la parte in sella ha un peso specifico molto importante a partire dai test.

«Noi – riprende Mazzoleni – ne facciamo uno già nei primi giorni. E una… foto di come bisogna lavorare, non una valutazione fine a se stessa. Questo test scandisce i ritmi di allenamento degli atleti. Io poi, così come gli altri preparatori, vado in ammiraglia. In questo modo ho l’occasione di vedere dal vivo tante più cose che non vedrei con i soli file da remoto o parlando al telefono con l’atleta. In ammiraglia viaggiano sempre un diesse, un meccanico e appunto un preparatore. E’ la stessa “formazione” che si ha quando si va in altura».

In ritiro si fa gruppo e si affinano anche molte dinamiche che poi ci si ritrova in corsa
In ritiro si fa gruppo e si affinano anche molte dinamiche che poi ci si ritrova in corsa

Ritmi serrati

Tempi scanditi, grande intensità di lavoro non tanto in bici, ma nel complesso. E’ questo il momento più importante dell’anno per gettare le basi del lavoro, anche dal punto di vista logistico. Lo stesso Cenghialta ci disse che non aver fatto il raduno a dicembre l’anno scorso si è sentito, ha inciso negativamente sul resto della stagione.

Mazzoleni, per esempio, di buon mattino, analizza i file del percorso e dà ancora uno sguardo al report della giornata precedente. Se poi è in altura, segue il risveglio muscolare a digiuno dei ragazzi. Altrimenti, come in questo caso in Spagna, terminata la colazione, in attesa che i ragazzi siano pronti, verifica i mezzi e le scorte dell’allenamento con meccanico e massaggiatore. E poi salta in ammiraglia. Spesso salta il pranzo o mangia al rientro al volo. Poi passa al lavoro d’ufficio, quindi va a cena.

In ritiro si hanno a disposizione molte figure: dal massaggiatore al nutrizionista, dal mental coach allo psicologo (foto Righeschi)
In ritiro si hanno a disposizione molte figure: dal massaggiatore al nutrizionista, dal mental coach allo psicologo (foto Righeschi)

Pomeriggio delicato

E a proposito di… ufficio, in questa fase rientra il colloquio con i diesse, passaggio a dir poco importante del lavoro del preparatore in ritiro.

«Questa seconda parte della giornata – dice Mazzoleni – serve per stilare il calendario gare con i diesse, programmi che abbracciano un arco temporale di almeno sei mesi, ma in qualche caso arrivano fino ad ottobre. Chiaramente possono subire delle variazioni ma per l’80-90 per cento vengono confermati. E questo è molto importante ai fini della prestazione. E’ importante per il corridore e per il coach che lo segue ed è importante perché sono frutto di un ragionamento sulla performance (preparatore) e tecnico (diesse) ben preciso.

«A questo punto si parla con l’atleta, si ascoltano i suoi feedback ed eventualmente si fanno delle modifiche, ma generalmente il corridore accetta la decisione dello staff tecnico, perché è una decisione logica e fatta al fine di farlo andare forte. Un buon tecnico capta la volontà del corridore già prima di tirare giù il programma».

Tante ore di ammiraglia, tante ore di scrivania, ma un preparatore quando riposa in ritiro? «Per riposare – conclude Mazzoleni – basta la notte! Il training camp di dicembre è e deve essere un momento proficuo per tutto l’anno».

Squadre e vaccino: alla Bike Exchange sono messi così

04.12.2021
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Quello che succede nella società civile lo vedi anche in gruppo. Da quando il Covid si è impossessato delle nostre vite, siamo tutti un po’ biologi e un po’ dottori, come quando dilagava il doping e in giro era pieno di ematologi. Perciò, mentre nelle strade c’è chi si batte nel difendere il proprio diritto a non vaccinarsi e chi cerca di spiegargli perché sia illogico, anche nelle squadre si sono vissuti dissidi analoghi. Con l’aggiunta dei tanti dubbi legati alle conseguenze che il vaccino avrebbe sulla carriera degli atleti. Le voci girano. E come ci sono mamme impaurite per la fertilità delle figlie, ce ne sono altre preoccupate per il rischio che il vaccino danneggi il cuore degli atleti.

Con Baroncini ai mondiali U23 di Leuven: Guardascione era parte della spedizione azzurra
Con Baroncini ai mondiali U23 di Leuven: Guardascione era parte della spedizione azzurra

Andiamo dal medico

Di solito davanti a dubbi di questo tipo ci si rivolge al medico e così abbiamo fatto, chiamando in causa Carlo Guardascione. Il dottore varesino della Bike Exchange è agli ultimi giorni di attività… borghese, perché a breve partirà con la squadra per il ritiro di Cambrils, in Spagna.

«I corridori – racconta – hanno vissuto e ancora vivono da quasi due anni nel sistema dei tamponi. Come tanti non hanno potuto lavorare, quindi sanno che cosa abbia significato l’arrivo del vaccino. Ci sono state resistenze ideologiche, ma in proporzione ho avuto più difficoltà a convincere i miei figli».

Qual è la situazione vaccinale della vostra squadra?

Il team femminile è vaccinato al 100 per cento con la doppia dose. Noi dello staff medico abbiamo tutti anche la terza dose. Mentre i maschi sono vaccinati al 95 per cento. Fanno eccezione uno dubbioso che fa resistenza, ma ovviamente non vi dico il nome. E uno che ha avuto il Covid ed è in quella finestra in cui può ancora aspettare. Fra il personale ci sono due no vax, ma sanno che per entrare nel magazzino serve il green pass, quindi vivono di tamponi.

Al Tour dello scorso anno, senza i vaccini, si viveva da un tampone all’altro
Al Tour dello scorso anno, senza i vaccini, si viveva da un tampone all’altro
Come farete in ritiro?

La società è stata chiara. In ritiro tutti i vaccinati verranno con un tampone rapido, che possiamo fargli noi o in una qualunque farmacia. Quelli non vaccinati avranno bisogno del tampone molecolare, che però sarà a carico loro.

Dicono che il vaccino possa favorire la miocardite.

Dicono tante cose, noi in quanto medici ci siamo informati e abbiamo avuto notizie più precise. Se prendi il Covid, hai un’elevatissima probabilità di prendere la miocardite. Succede perché la polmonite interstiziale può propagarsi e arrivare a lambire il cuore, provocando miocardite o pericardite. La miocardite da Covid può portare alla morte, ma si può anche curare. Un dilettante che seguo ha avuto il covid e la miocardite.

E’ guarito?

E’ stato fermo per tre mesi, ha fatto tutti gli esami ed è potuto ripartire.

Esiste anche la miocardite da vaccino?

Non ho avuto casi, ma si parla di un’incidenza di uno, due casi ogni 200.000 persone. E’ comunque meno pericolosa di quella da Covid e si cura con il cortisone.

I corridori hanno osservato qualche precauzione nel giorno del vaccino?

Di solito il giorno dell’iniezione e il successivo rimangono a riposo, giusto per evitare che si allenino casomai venisse un po’ di febbre.

Gli atleti non vaccinati sono costretti a ricorrere al tampone
Gli atleti non vaccinati sono costretti a ricorrere al tampone
E quelli che hanno avuto il Covid hanno ripreso facilmente?

Non esiste una regola uguale per tutti, può essere facile o molto complicato. Ne ho avuti quattro, tre completamente asintomatici, uno con un po’ di febbre. Alla fine hanno effettuato tutti gli esami previsti dall’ordinamento italiano, anche se qualcuno non era di qui, e al massimo avranno perso un mese di attività.

I corridori dovranno fare la terza dose?

Quando sarà il momento, senza dubbio. Una ragazza l’ha già prenotata per gennaio, visto che si sono vaccinati tutti fra luglio e agosto. Al massimo ci sarà qualcuno che chiederà di aspettare fine stagione.

L’inverno di Valverde: riposo, ambiente e… la solita fame

29.11.2021
5 min
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Meno di dieci parole per chiuderla definitivamente: «2022 va a ser mi último año, sí o sí». Il 2022 sarà il mio ultimo anno, accada quel che accada. C’è poco da fare però, quando Valverde parla di ritiro, c’è sempre chi dà di gomito. Un po’ come quando si parla di Rebellin, ma con dieci anni in meno. La Movistar ha chiuso il primo ritiro a Pamplona e questa volta il murciano ha tagliato corto con una serenità mai vista prima.

«Intendiamoci – ha detto Alejandro allo spagnolo Marca – il Lombardia è finito a quel modo perché Pogacar ha avuto l’intuizione di anticipare, ma io non mi sentivo inferiore a nessuno. Non smetto perché credo di non farcela più, ma perché ho 42 anni e ho vinto tutto. Fare il professionista è molto esigente, richiede tanti sacrifici. E probabilmente è arrivato il momento di prendermi cura di me stesso e del mio corpo».

Il 16 novembre, al progetto di piantumazione nell’area di Sanguesa. Qui Mas, Valverde, Martin e Oyarbide (foto Movistar Team)
Con Sara Martin al progetto di piantumazione di Sanguesa (foto Movistar Team)

Prima l’ambiente

I suoi tifosi hanno sorriso vedendolo con la zappa in mano, mentre piantava un leccio (foto di apertura). Nei primi giorni di novembre, infatti, la Movistar ha partecipato alla piantumazione di mille alberi nell’area spoglia di Sanguesa, coinvolgendo Unzué e alcuni dei corridori più rappresentativi: Valverde in testa, Mas, Lourdes Oyarbide e Sara Martin.

L’operazione si è svolta anche con il patrocinio di Volvo, che fornisce le ammiraglie al team. Le mille piante dovrebbero neutralizzare circa 200 tonnellate di anidride carbonica per i prossimi 40 anni. E questo consentirebbe a Movistar di compensare le 176 tonnellate di emissioni di carbonio prodotte nel 2019, grazie al calcolo effettuato proprio da Volvo e riconosciuto dal Ministero per la Transizione Ecologica.

Al Lombardia si è sentito al livello dei primi: «Pogacar ha vinto grazie a una grande mossa tattica»
Al Lombardia si è sentito al livello dei primi: «Pogacar ha vinto grazie a una grande mossa tattica»

Dal Belgio al Giro

Il programma già stilato è di tutto rispetto. Giro, Vuelta e niente Tour. Anche se con la consueta generosità dice che se la squadra lo chiedesse, potrebbe valutarlo: «Ma solo per aiutare. Normalmente non mi interessa farlo. Il Giro invece mi ha affascinato nel 2016, per l’affetto dei tifosi e per gli scenari. E la Vuelta… è la Vuelta. Ci sarà una tappa nei dintorni di Murcia e dicono che sarà disegnata come piace a me. Sarebbe un bel modo di salutare».

Passerà da queste parti già a marzo, per la Strade Bianche, dopo il debutto a Maiorca, poi Valencia, Murcia e Andalucia.

«Dopo questo primo blocco – spiega – riprenderò fiato e deciderò se fare Catalunya o Paesi Baschi preparando la Freccia Vallone e la Liegi. L’Amstel è da vedere. Sono corse difficili, dure e imprevedibili. Alla Liegi (vinta 4 volte, ndr), ad esempio, devi essere sempre concentrato perché da un certo punto in poi ogni azione può essere quella giusta. Alla Freccia Vallone (vinta 5 volte, ndr) non puoi sbagliarti di un solo metro, perché il Muro d’Huy non perdona…».

Cercasi erede

La Movistar intanto studia. Dopo la rivoluzione tecnica che ha visto l’allontanamento di Arrieta e la separazione da Miguel Angel Lopez, la squadra spagnola è in cerca di nuovi riferimenti. Il presente parla di Enric Mas e Ivan Sosa. Il primo arriva del secondo posto della Vuelta e il sesto del Tour. Il secondo arriva dal team Ineos Grenadiers dopo tre stagioni di su e giù. In attesa di capire se dalla nidiata dei giovani potrà farsi avanti qualcuno in grado di non far rimpiangere il vecchio murciano, saranno loro gli uomini su cui puntare.

«Enric Mas – dice Valverde, parlando quasi come un dirigente – sembra molto più esperto e fiducioso. Penso che stia facendo passi importanti a poco a poco. Farà sicuramente bene. Per quanto riguarda Sosa, abbiamo grandi aspettative su di lui. Ha molte qualità. Ha vinto due volte a Burgos e nel 2019 mi ha quasi impedito di vincere in Occitania. Farà bene. Sosa è pronto per guidare la squadra».

Se c’è la salute…

Alejandro, della cui squadra giovanile abbiamo raccontato da poco, chiude strizzando l’occhio a se stesso. Ammettendo di smettere per scelta e non perché non si senta più in grado di reggere il confronto.

«Non sto peggio delle altre stagioni – dice – sicuro meglio del 2020. Per tutto quello che è successo al mondo, quello è stato un anno strano e per me in modo particolare. Abbiamo finito con la Vuelta l’8 novembre e abbiamo ricominciato subito ad allenarci per il 2021. Anche l’ultima stagione di conseguenza è stata particolare, con segnali di un buon Valverde (per lui tre vittorie e sette podi, ndr), ma lontano dal migliore. Quest’inverno mi sono preso un mese di riposo e adesso ho ripreso regolare e senza voler forzare i tempi. Sono contento del modo in cui arrivo al debutto. Con allegria, ambizione e tranquillità. Se la salute mi assiste, sarà di sicuro un buon anno».

Guardini dice basta, restano i ricordi e le giuste osservazioni

14.11.2021
7 min
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Questa volta basta davvero, la malinconia è stemperata dalla rassegnazione. Già lo scorso anno Andrea Guardini era stato a un soffio dal dire basta e se non fosse stato per le due vittorie al Giro di Romania a fine 2020, lo avrebbe probabilmente fatto. Quelle due fiammate invece gli fecero cambiare idea, come ci aveva già raccontato all’inizio di questa stagione. Ma adesso, con il Covid che ha tolto di mezzo l’attività orientale di cui era il re incontrastato, trovare un motivo per andare avanti è diventato più duro delle salite di cui sono zeppe le corse europee. Per il veronese, che per costituzione fisica e natura delle fibre è uno degli ultimi velocisti puri in circolazione, questo ciclismo è diventato impraticabile.

«Ho cercato squadra fra le professional – dice – speravo che quello fra le continental fosse stato solo un passaggio, ma dopo il Covid hanno tutte mantenuto gli organici che avevano. Dopo quelle due vittorie non potevo smettere e devo dire grazie a Stefano Giuliani per avermi aperto ancora una volta le porte. Abbiamo fatto i salti mortali per avere un buon calendario, abbiamo chiuso al Giro di Sicilia. Voi non avete idea quanto pesi sulle squadre più piccole il costo dei continui tamponi…».

Andrea Guardini, Mark Cavendish, Vedelago, Giro d'Italia 2012
Giro d’Italia 2012, tappa di Vedelago: Guardini vince e Cavendish s’infuria
Andrea Guardini, Mark Cavendish, Vedelago, Giro d'Italia 2012
Giro d’Italia 2012, tappa di Vedelago: Guardini vince e Cavendish s’infuria

Scinto, amore e odio

La favola di Guardini era iniziata in pista: velocista come Bianchi e come quegli specialisti estinti che si sta cercando di ricostruire in vista delle Olimpiadi. Solo che al tempo la cultura della pista era ai minimi termini e negli anni in cui Guardini era under 23 sotto la guida di Gaetano Zanetti (2008-2010), il velodromo di Montichiari era stato appena terminato. Il richiamo della strada fu più forte, la pista non garantiva assegni a fine mese e così Andrea passò professionista con Scinto. Era velocissimo, ma sulle salite faceva troppa fatica. Un modo per passarle però Scinto lo trovava sempre, in gruppo se ne rideva, e alla fine ci scappò anche una tappa al Giro d’Italia davanti a Mark Cavendish, che non la prese proprio bene.

«Lui si arrabbiò – dice – più con se stesso. Per tenere la maglia rossa della classifica a punti, aveva voluto fare un traguardo volante che non era proprio piatto. Riuscì a vincerlo, ma spese troppo e in finale vinsi io. Un ragazzino. Quel giorno non mi ero staccato e non ero dovuto rientrare. Ma se quel Giro lo avessi finito, la maglia nera non me l’avrebbe tolta nessuno. Dio solo sa quanti chilometri feci da solo nelle retrovie. Con Scinto avevo un rapporto di amore e odio. Tante volte lo odiavo, perché mi diceva le cose in faccia. Con Luca ho formato il mio carattere…».

Andrea Guardini, Tour of Oman 2015, 2a tappa
In Oman nel 2015 vince la prima tappa e poi combatte con le salite
Andrea Guardini, Tour of Oman 2015, 2a tappa
In Oman nel 2015 vince la prima tappa e poi combatte con le salite

L’Astana e Zanini

Convinti di poterci lavorare, lo presero all’Astana, affidandolo alle cure di Zanini e inaugurando un periodo molto positivo in termini di vittorie. Furono 18 in quattro stagioni: parecchie al Tour de Langkawi, ma anche all’Eneco Tour e al Giro di Danimarca. Finché gli organizzatori disegnavano le tappe di volata pensando alla velocità, Guardini trovata pane per i suoi denti. Quando si iniziò a pensare che 2.500 metri di dislivello fosse il minimo sindacale, per lui e quelli con le sue caratteristiche, l’unico approdo felice rimasero le corse dell’Asia, fra la Malesia e la Cina. Dalla Astana passò per un anno alla UAE Team Emirates senza vincere, di lì alla Bardiani per due anni e 5 successi.

«Ormai il ciclismo è come la Formula Uno – dice – ci sono squadroni con budget enormi, per cui è praticamente impossibile combattere ad armi pari per le professional, figurarsi per le continental. L’altro giorno commentando un vostro articolo su Facebook, ho proposto il budget-cap, il tetto al budget, che hanno imposto proprio in Formula Uno, che forse sarebbe opportuno anche qua. Altrimenti la forbice è destinata ad ampliarsi ulteriormente. Se corri in una continental, non hai uno stipendio che ti permetta di pagarti i ritiri. E se devi fare le cose al 70 per cento, non ne vale più la pena. Non vinci, impossibile. E io adesso mi sento pronto per dire basta».

Abi Dhabi Tour 2015, Andrea Guardini, Daniele Bennati, Tom Boonen
Abi Dhabi Tour 2015, Guardini si lascia alle spalle Daniele Bennati e Tom Boonen
Abi Dhabi Tour 2015, Andrea Guardini, Daniele Bennati, Tom Boonen
Abi Dhabi Tour 2015, Guardini si lascia alle spalle Daniele Bennati e Tom Boonen

L’anima dilaniata

Questa volta c’è lucidità, l’anno scorso c’era la paura. Ma tutto sommato, con una bimba di due anni e mezzo che ormai capisce tutto, una casa pagata in Valpolicella e con i risparmi giusti per guardarsi intorno senza paura del futuro, in un giorno di fine stagione Andrea si è guardato allo specchio e ha preso la decisione.

«Prima o poi si deve scendere di sella – dice – e imparare un mestiere. Ho smesso con tanta voglia di stare in bici e continuare a farne il mio lavoro. Voglio prendere la tessera da guida cicloturistica. Un pizzico di rammarico c’è, ma non mi sono dilaniato l’anima come l’anno scorso, quando non riuscivo a concepire di non trovare una sistemazione adatta al caso mio. Ora smetto con serenità. Mi hanno chiuso l’Asia, circa il 60 per cento del mio calendario con almeno 30 volate l’anno adatte a me. Qui rimane Cavendish, ma anche lui si era perso e c’è voluta la Deceuninck-Quick Step per ridargli smalto. Stando così le cose, ho perso il mio potere contrattuale, non cercano più il velocista puro, ma uno che sia resistente. Uno come Grosu, che merita di andare avanti perché è più completo di me, anche se probabilmente meno veloce. Non è una decisione presa a cuor leggero…».

Mister Langkawi

L’Oriente gli mancherà, ne parla come di una seconda patria e solo chi è stato a correre laggiù o c’è andato per raccontarne le gare può capire la passione della gente su quelle strade umide e caldissime.

«Ho vinto cinque volte la tappa di Kuala Lumpur al Malesia – dice – come cinque volte Parigi al Tour, facendo le ovvie proporzioni. Smetto con un piccolo record di 24 tappe vite al Tour de Langkawi. La cosa bella di laggiù è che quando passi, vedi intere scolaresche a bordo strada, ti rendi conto della passione di un’intera Nazione. Mi dispiace non esserci più tornato dal 2019, se avessi potuto scegliere una corsa in cui dire addio, avrei scelto quella. Mi sono divertito tantissimo. Quando arrivavo al foglio firma, mi chiamavano “Mister Langkawi”».

Ormai i percorsi sono diventati molto duri e arrivare in volata era improbabile
Ormai i percorsi sono diventati molto duri e arrivare in volata è sempre più difficile

La Roubaix e la galera

Nel raccontare aneddoti, salta fuori quella volta con la Uae in cui si ritirò durante la Roubaix, ma siccome non c’era posto sull’ammiraglia dei massaggiatori, gli fu detto di andare al traguardo in bici. Sfinito com’era e volendosi risparmiare i tratti in pavé, impostò la destinazione sul Garmin e si mise a pedalare. Le auto gli suonavano all’impazzata. Finché arrivò un furgone della Gendarmerie, che lo fermò.

«Va bene eroe dell’Inferno del Nord – gli disse il gendarme – ma lei sta pedalando in autostrada».

Lo caricarono a bordo. Lo portarono al commissariato. Ma Andrea non aveva documenti e neppure il cellulare: era tutto sul pullman a Roubaix. Perché lo rilasciassero, serviva qualcuno che venisse a garantire per lui. Per fortuna ricordò a memoria il numero di sua moglie e riuscì a chiamarla. E lei, contattando su Facebook le mogli di altri corridori della squadra, alla fine trovò il riferimento di un massaggiatore e quello andò a liberare il malcapitato corridore arrestato in autostrada. Cui l’indomani Het Nieuwsblad dedicò un’intera pagina.

Per costruire il futuro, Andrea riparte dalla famiglia e dalla casa in Valpolicella (foto Instagram)
Per costruire il futuro, Andrea riparte dalla famiglia e dalla casa in Valpolicella (foto Instagram)

Sono schegge che il tempo metterà in ordine, perché possa raccontarle a sua figlia e agli amici. Cala il sipario, restano nella memoria i primi articoli a casa sua. La cameretta con le coppe dei primi successi. Sua madre. I suoi occhi buoni che in volata diventavano quelli del peggior felino. E i tanti chilometri in cerca di fortuna, fino a diventare come Marco Polo, l’uomo dell’Oriente. In qualche modo anche “Guardia” ha fatto un pizzico di storia di questo sport. Se un giorno passeremo dalle sue parti in Valpolicella, davanti a un bicchiere di vino, siamo certi che altri aneddoti da raccontare salteranno ugualmente fuori. Per ora, buona fortuna Andrea. E buona strada.

Gilbert, l’Inferno, il doping, Remco, Pogacar e Armstrong

03.10.2021
6 min
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La banalità non è mai appartenuta a Philippe Gilbert. E se prima aveva il suo bel da fare a gestirsi la vita da star a suon di vittorie, il lockdown e un infortunio di troppo (il secondo, al Tour del 2020) gli hanno lasciato come eredità il gusto e la possibilità di parlare chiaro. Non tutti lo fanno e ne avranno i loro motivi. Quando però accade, viene idealmente da sedersi ad ascoltare. Così alla vigilia della Roubaix, di cui è l’ultimo vincitore, il belga che da anni vive a Monaco dove ha anche aperto un negozio di bici (The Bike Shop), ha raccontato a L’Equipe un po’ dei suoi pensieri.

Sulla Roubaix

«Indosserò il pettorale numero 1, è un riconoscimento e un vero orgoglio. Nessuno avrà dubbi che sia io l’ultimo vincitore, ma in termini di ambizioni non è la stessa cosa. Posso anche dire che non ne ho. Già, in termini di equipaggiamento, non avrò lo stesso vantaggio di due anni fa quando correvo sulle migliori bici al mondo. Ricordo Nils Politt che era con me nel finale (foto di apertura, ndr). Pensai che probabilmente era forte quanto me, ma non aveva la stessa bici.

«In questi giorni non ho sentito lo stesso fervore della primavera. Non abbiamo il solito accumulo di pressione, quello che inizia ad Harelbeke poi alla Gand-Wevelgem e al Giro delle Fiandre. La Roubaix è il culmine di un ciclo della stagione, mentre qui arriviamo senza un punto di riferimento. Sono mesi che non corriamo sul pavé. Penso che per stare bene alla Parigi-Roubaix, abbiamo bisogno di quelle gare che permettono al corpo di acclimatarsi, di sopportare le sofferenze. La gamba deve girare sul pavé di Roubaix. Due anni e mezzo fa al via a Compiegne sapevo di essere pronto per la vittoria, non sono sicuro che stamattina molti possano dire lo stesso».

Gilbert è nato il 5 luglio del 1982, vive a Monaco dove ha aperto un negozio di bici
Gilbert è nato il 5 luglio del 1982, vive a Monaco dove ha aperto un negozio di bici

Sul lockdown e il ciclismo

«Il Covid ha cambiato tutto. Spesso avevo la sensazione guardando le gare che tutti avessero ancora più fretta di vincere, come se ogni corsa fosse l’ultima che facevano. Improvvisamente, gli atleti maturi come me hanno cominciato a soffrire. Sono uno che ha bisogno di allenarsi, mi ha disturbato non poter lasciare Monaco per andare verso l’entroterra francese. E anche se adesso tutto è tornato normale, ho l’impressione che ci stiamo divertendo molto meno. Sarà una semplice evoluzione, ma non riconosco più il mio sport.

«Anche io a 39 anni non sono più lo stesso corridore di prima, questo è certo. Ho sempre avuto grandi stagioni. Prima che l’UCI fissasse i limiti, correvo dai 95 ai 100 giorni all’anno e non perdevo mai più di un mese intero senza essere all’altezza. Oggi per me è tutto più complicato».

Qui Gilbert alla Gand 2021: come sarà la Roubaix senza queste gare prima?
Qui Gilbert alla Gand 2021: come sarà la Roubaix senza queste gare prima?

Sul tempo che passa

«Proprio la sera della vittoria a Roubaix, un giornalista mi fece per la prima volta la domanda quando mi sarei ritirato. Mi sorprese e un po’ mi infastidì. Ricordo che gli risposi duramente se volesse che me ne andassi, se gli dessi fastidio. Ora questo tipo di domanda mi tocca a ogni intervista e mi infastidisce seriamente. Ho annunciato che arriverò alla scadenza del mio contratto alla fine del 2022, ma non so come andrà a finire la mia carriera. Forse questa sarà la mia ultima Parigi-Roubaix, forse no. Non ho ancora idea del mio programma per la prossima stagione, la domanda sorgerà soprattutto per i grandi Giri. Questo è ancora il mio posto, alla mia età? Ne ho parlato durante il mondiale con Tchmil, Darrigade e Zoetemelk. Mi hanno consigliato di approfittare di quest’ultimo anno per accumulare ricordi.

«Però non c’è frustrazione. So da dove vengo e so quanto abbiano pesato le due cadute del Tour (nel 2018 e appunto nel 2020). Ogni volta sullo stesso ginocchio, il sinistro. La seconda soprattutto ha avuto conseguenze pesanti. Non sono più lo stesso. Prima i corridori prendevano la mia ruota per posizionarsi nel posto giusto, ora sono io che mi metto dietro qualcuno che sta per attaccare. Magari sembra un piccolo dettaglio, ma per me è un enorme cambiamento nel modo di correre».

Evenepoel è stato suo compagno da neopro’: i due sono spesso in contatto
Evenepoel è stato suo compagno da neopro’: i due sono spesso in contatto

Sui vecchi tempi

«Sono un ciclista diverso dai ragazzi di oggi. Sono sempre stato molto serio, ma prima in gruppo ridevamo di più. C’erano corse che cambiavano, fughe e taciti accordi tra le squadre per lasciarsele andare, mentre oggi si litiga in partenza e ci sono anche uomini forti che si mettono davanti. Prima i distacchi arrivavano fino a venti minuti, potevamo anche fermarci per un caffè, ma sapevamo che il gruppo sarebbe arrivato. Ora con tre minuti di vantaggio, una fuga può arrivare fino in fondo. E’ cambiato tutto, abbiamo meno tempo per ridere.

«Sono spesso in contatto con Evenepoel e soprattutto con i suoi genitori, che mi chiedono consiglio perché non ha un manager e non ha intorno grandi persone. E’ un corridore fenomenale, fisicamente e mentalmente, ma quello che gli sembra più importante oggi è la sua immagine. Aumentare i follower sui social e temo che questo si ritorcerà contro di lui. Non lo sto criticando, ma gli consiglio spesso di mollare un po’, perché i social non sono la vita reale. Tra le persone che lo seguono, ci sono tanti account falsi, società di marketing e cose del genere. Il resto sono fan che ovviamente sono esigenti con lui. Per lui va tutto veloce, ma è anche colpa sua perché ha fretta di arrivare».

La ricognizione sul pavé di Gilbert dei giorni scorsi, pre la Roubaix in cui avrà il numero uno
La ricognizione sul pavé di Gilbert dei giorni scorsi, pre la Roubaix in cui avrà il numero uno

Sui giovani

«Oggi il ciclismo è più coerente di quando ho iniziato. Per molto tempo mi sono chiesto cosa ci facessi in mezzo a quelli che giravano con le sacche di sangue. C’era un abisso tra gli anziani e noi. Di conseguenza, abbiamo imparato a vincere molto più tardi rispetto alla generazione attuale. Ovviamente loro si stanno comportando come avremmo dovuto fare anche noi, ma non lo sapevamo. E visto che ci riescono, sono più ambiziosi di noi alla stessa età.

«Solo che alcuni sono totalmente disconnessi dalla realtà, vivono in un altro mondo senza preoccuparsi dei più grandi. Alcuni però sono rispettosi. Quando vedo Pogacar venire con sua moglie nel mio negozio di biciclette a Monaco e aspettare il suo turno come tutti gli altri per fare una regolazione sulla sua bici, lo trovo rassicurante. E’ gentile e semplice nonostante abbia vinto due volte il Tour de France. Armstrong al suo posto non si sarebbe nemmeno mosso da casa, avrebbe mandato uno dei suoi compari».

Aru, vigilia un po’ strana dell’ultima settimana da corridore

31.08.2021
4 min
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Hai dormito un po’?

Quasi tre ore oggi pomeriggio, per quello non ho risposto subito.

La pennichella pomeridiana è fatta, ora ti manca di andare a guardare i cantieri e sei pronto per la pensione.

Vedo che non hai perso la simpatia, in questi giorni…

Tarda serata del secondo riposo della Vuelta, la risata arriva all’unisono. Fabio Aru sta vivendo l’ultima settimana da corridore. E anche se la sua scelta di ritirarsi al termine della corsa spagnola l’abbiamo masticata per giorni, il boccone è ancora impegnativo da deglutire. Conoscendolo, la provocazione è sferzante, ma utile per capire. Questo non sarà un altro caso Dumoulin, anche se in fondo quasi ce lo auguriamo. Il mal di stomaco pare alle spalle, almeno a giudicare dalla fuga con Majka (foto di apertura). Sarebbe stato brutto doversi ritirare dall’ultima corsa della carriera.

Tre settimane di corsa per salutare gli amici dopo una carriera di 9 anni tra i pro’. Qui con Caruso
Tre settimane di corsa per salutare gli amici dopo una carriera di 9 anni tra i pro’. Qui con Caruso
Come stai?

Un po’ meglio di quattro giorni fa. L’ho vista veramente brutta, l’altro giorno dopo ho rischiato di non partire. Ho avuto dissenteria, ho rimesso, ma sono riuscito a salvarmi. Andando a El Barraco ho avuto buone sensazioni, solo che Majka le ha avute migliori. Per due ore e mezza sono stato bene, poi mi sono proprio spento. Speriamo di aver recuperato e di continuare a farlo nella tappa di domani (oggi per chi legge, ndr). Perché poi ricominciano le salite.

Come stavi prima?

Il secondo posto alla Vuelta Burgos mi ha dato fiducia, mi sentivo veramente bene. Sono stato male fra la settima e la nona tappa. L’obiettivo, adesso si può dire, era entrare nei dieci ed era fattibile. Senza puntare troppo in alto, bisogna essere realisti. Ora ci sono ancora quattro tappe in cui potrò dire la mia. Non è la Vuelta che mi aspettavo, purtroppo, ma è quella che mi è toccata.

E’ arrivato alla Vuelta dopo il secondo posto di Burgos, in ottime condizioni
E’ arrivato alla Vuelta dopo il secondo posto di Burgos, in ottime condizioni
L’annuncio che a fine Vuelta smetterai di correre…

Quando l’ho annunciato, mi ero già abituato all’idea. A meno che uno non sia un folle, certe cose non le dici se non sei sicuro. Ci pensi e ci ripensi varie volte. Il fatto di averlo detto prima della Vuelta e non alla vigilia di una corsa secca mi sta dando la possibilità di godermi la mia storia di corridore, con tutti i pro e tutti i contro. Avrei fatto a meno del mal di stomaco, ma fa parte del pacchetto.

In gruppo cosa dicono?

Ogni giorno, anche se per caso, arrivano corridori che mi parlano. Mi chiedono perché. Ascoltano la mia risposta, poi la corsa continua. L’altro giorno è venuto Jakobsen, con cui prima non avevo mai parlato.

L’orgoglio sardo da sempre suo compagno di viaggio, qui sugli scarpini Gaerne
L’orgoglio sardo da sempre suo compagno di viaggio, qui sugli scarpini Gaerne
Qualcuno ha detto che l’abbraccio dei tifosi, ora che vai nuovamente forte, ti avrebbe convinto a tornare sui tuoi passi.

Non torno indietro per questo. L’abbraccio dei tifosi mi ha fatto molto piacere. In Spagna mi vogliono bene. Chi ti vuole manifestare del calore lo fa, chi ti disprezza scrive sui social.

Quando hai preso la decisione definitiva?

Dopo Burgos.

Cioè torni competitivo dopo tre anni a masticare sudore e fango e proprio in quel momento decidi di averne abbastanza?

Ma se vi dico tutto adesso, poi che cosa racconto? Voglio avere il tempo per mettere insieme le idee e i pensieri di tutto quello che è successo in questi anni. L’ho detto quando ne sono stato sicuro.

Quando a inizio anno correvi nel cross pensavi già di smettere?

Non ve lo dico per lo stesso motivo di prima (ride di gusto, stavolta la provocazione è sua, ndr).

In salita lo si è rivisto finalmente al suo posto nel gruppo dei migliori
In salita lo si è rivisto finalmente al suo posto nel gruppo dei migliori
Valentina (la sua compagna, ndr) che cosa ti ha detto?

Fra le tante cose che apprezzo della mia famiglia, da Valentina ai miei genitori, c’è che mi hanno lasciato prendere da solo questa decisione perché si tratta della mia vita. Se ne parla. Mi vengono dati consigli. Ma se vedono che chiedo più di quello che possono dirmi, fanno un passo indietro. Sono persone molto intelligenti.

Correre la Vuelta sapendo che sarà l’ultima può far calare l’ambizione?

Mai. Mi scoccia mollare, mi sarebbe scocciato doverlo fare nei giorni scorsi. Ho provato e proverò ancora. Il sogno di lasciare il segno c’è sempre, ma non so se ci riuscirò. Non avrei mai potuto affrontare la Vuelta con le ambizioni al minimo. Vediamo cosa potrò fare nei prossimi giorni. E del resto parleremo dopo, ne avremo certo l’occasione.

Landa cauto al via della Vuelta: «Vengo da dove vengo»

13.08.2021
5 min
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Mikel Landa alla partenza della Vuelta è abbottonato come uno che non vuole dire una parola più del necessario. C’è da capirlo. L’ultima volta che si sentiva fortissimo e un minimo si è sbilanciato è stato al Giro d’Italia. E dopo aver fatto vedere grandi gambe a Sestola, è rimasto coinvolto nella caduta di Cattolica, tornando a casa con qualche costola e la clavicola rotta.

«E’ servita pazienza – dice con un filo di rassegnazione – ciclismo non è solo vincere, ma anche passare momenti difficili, gestirli e riprendere i sogni e i propri obiettivi».

La Vuelta che parte domani gli si addice per strade e spirito di corsa, ma la condizione non è ancora al top. Anche se alla Vuelta Burgos ha tenuto testa a tutti i rivali, compreso Bernal che era certo lì per fare la punta alle armi, ma a farsi staccare non ci sta mai troppo volentieri.

Al Giro dello scorso maggio era in gran forma. A Sestola è arrivato con Bernal e Ciccone
Al Giro dello scorso maggio era in gran forma. A Sestola è arrivato con Bernal e Ciccone

Landa bandiera

Landa è a detta di tutti i giornalisti spagnoli, l’unico corridore di casa che abbia ancora la capacità di infiammare il pubblico. Senza dover per forza definirlo l’erede di Contador e con Valverde in calando, il pubblico e gli addetti ai lavori si sono resi conto che Marc Soler ed Enric Mas non sono all’altezza dei desideri. Così, in attesa che arrivi Juan Ayuso (sulle cui spalle il carico delle attese è già smodato), Landa è la bandiera di quel correre all’attacco che tanto piace al pubblico. In più Mikel è basco, il carattere non gli manca.

Come stai?

Sto bene, sono motivato. Non ho la forma migliore, però verrà durante la corsa.

Si parte da Burgos, praticamente vicino casa…

Mi porta fortuna. Ho vinto la Vuelta la scorsa settimana e avrò i miei tifosi. Vedremo se sarò già in grado di lottare dalle prime tappe e se sarò in grado di farlo sino alla fine. L’obiettivo resta sempre quello: salire sul podio. Ma per vari motivi, tra cui soprattutto la sfortuna, quest’anno non ci sono riuscito.

La sfortuna era in agguato: a Cattolica, caduta, 4 costole rotte e anche la clavicola
La sfortuna era in agguato: a Cattolica, caduta, 4 costole rotte e anche la clavicola
Per questo sembri così… cauto?

Vengo da dove vengo, con quattro costole rotte e la clavicola. A forza di prendere simili botte, la fiducia va un po’ giù. Perciò mi limito a dire che vorrei salire sul podio e lottare per qualche tappa. E poi vedremo.

La Bahrain Victorious è una delle squadre rivelazione dell’anno.

E’ un gruppo tutto nuovo. L’anno scorso era cominciato un primo rinnovamento, ma poi a causa del Covid non si è potuto raccogliere troppo. Abbiamo sempre lavorato bene, seguendo criteri rigorosi e vincenti. E adesso che il periodo sfortunato è finito e abbiamo potuto allenarci in modo completo, i risultati sono iniziati a venire.

Ti aspettavi che Aru, secondo alla Vuelta Burgos, avrebbe annunciato il ritiro dopo la Vuelta?

Onestamente no e penso che sia una pena per i suoi tifosi. Lo vedevo tranquillo, peccato. E’ stato un compagno di squadra e di strada, un amico. La sua vita ha preso un cammino diverso.

Ti senti tra i favoriti della Vuelta?

Direi che quello è un ruolo che compete a Roglic e Bernal, per quello che hanno conseguito finora. Io spero di potermi infilare fra loro e giocarmela. Loro possono metterci le gambe e una grande stagione.

E tu?

Io ci metto una grande voglia di fare e di colmare la lacuna di forma. Spero di trovare l’energia per fare tutto questo ed essere nel vivo della corsa.

In percentuale, a che punto sei?

Non saprei dire, bisognerebbe chiederlo al mio preparatore, ma non so se un numero possa descrivere come sto. Spero di arrivare al 100 per cento durante la corsa, per potermela finalmente godere.

Il Team Bahrain Victorious ha vissuto un cambiamento radicale che al secondo anno sta dando i suoi frutti
Il Team Bahrain Victorious ha vissuto un cambiamento radicale che al secondo anno sta dando i suoi frutti

Maglia speciale

Fra le annotazioni, come si può vedere nella foto di apertura, c’è che il Team Bahrain Victorious ha messo da parte il rosso della maglia per rispetto verso il colore della Vuelta e indosserà un kit speciale di Alé, continuazione della maglia Cripto Art NFT, che mira ad aumentare la consapevolezza sull’obesità e i vantaggi dell’attività fisica nel ridurne  i rischi. Per cui sulla maglia compaiono messaggi in tal senso e iniziative legate alla pratica sportiva, i cui dettagli sono ben spiegati nel sito dedicato. Perciò, non resta che partire.