Velocista in Italia, la solitudine e il velodromo che non c’è

10.11.2021
6 min
Salva

Fare il velocista (su pista) in Italia è molto suggestivo, ma in fondo è come vendere frigoriferi agli esquimesi. E d’altra parte le ultime scelte della Federazione fanno capire che l’intenzione di mettere mano al settore sia per ora piuttosto tiepida. Partendo da questo presupposto, sentire la voce di Matteo Bianchi è la cosa giusta da fare per raccontare che cosa significhi aver scelto le specialità veloci in Italia.

Matteo vive a Laives, sud di Bolzano. E proprio lì dove i più sognano i tornanti e le altezze delle Dolomiti, un bel giorno di qualche anno fa lui decise di guardare più in basso e di andare contro il comune modo di vivere il ciclismo.

«Velocisti si nasce o si diventa – sorride – io lo sono diventato. A un certo punto decidi se specializzarti nelle discipline di endurance o quelle veloci. Io ho corso su strada da allievo e fino al primo anno da junior, poi ho scelto. Il passaggio non è facile. In Germania ci sono squadre che fanno solo tornei di velocità, perché hanno un calendario completo. Qui non c’è niente di tutto questo. Le società danno la precedenza alla strada, devi avere la fortuna di trovarne una disposta a farsi carico della spesa in cambio di una visibilità davvero minima. Io per questo devo ringraziare tanto la Uc Trevigiani-Campana Imballaggi, perché ci crede e mi dà una grandissima mano. Essere velocista su pista da under 23 è un’altra cosa. Fai quasi un altro sport».

La voce sicura, vent’anni compiuti il 21 ottobre, il senso di ottimismo e fiducia che permea attraverso le parole. Matteo racconta di essersi diplomato, di essersi preso poi un anno sabbatico e ora di essere iscritto a Economia in una facoltà online che gli permette di conciliare lo studio e lo sport. Ma qua il problema è proprio il suo sport che non si concilia con quello che abbiamo a disposizione nella culla del ciclismo.

Che cosa fa un velocista?

Si allena e in teoria corre. Al velocista serve una parte di fondo, per cui esci con la bici da corsa. Ma siccome su strada i lavori specifici non puoi farli tanto bene, allora fai anche tanta pista e tanta palestra. D’estate mi sono allenato a Dalmine e a Montichiari. La mia ragazza vive a Milano, per cui ho una buona base logistica. Ma adesso Montichiari è chiuso e probabilmente dovrò allenarmi in velodromo all’aperto anche d’inverno, tra Dalmine e Busto Garolfo. Ci sarebbe anche quello di Mori, che è vicino casa mia, ma non c’è nessuno che possa aiutarmi dietro moto e allora non va bene. Di sicuro la stagione comincerà per tutti lo stesso giorno e quello che altri fanno al chiuso, dovrò riuscire a farlo comunque.

Si può parlare di solitudine del velocista?

E’ brutto da dire, ma è così. A volte parlo con amici e rivali olandesi e tedeschi e sentire il racconto di come vivono e si allenano loro fa pensare. In Italia siamo fermi, per colpa di tutti e di nessuno. Per fortuna da gennaio scorso assieme a Miriam Vece siamo entrati nel Gruppo Sportivo dell’Esercito, che ci aiuta con le spese. Ma l’Esercito non può costruire un velodromo per due-tre atleti.

Perché Amadio parlando di te ha fatto riferimento al Centro Uci di Aigle?

Sono un sacco di mesi che spingo per andarci. Il guaio è che non ci sono posti. Hanno un ostello che fa da base per i ragazzi della pista e ora sono pieni (il centro di Aigle nasce per dare supporto agli atleti di Paesi poco sviluppati, difficile reclamare un posto per gli italiani, oltre quello già ottenuto da Miriam Vece, ndr).

Quest’anno Villa lo ha portato in Coppa del mondo a San Pietroburgo
Quest’anno Villa lo ha portato in Coppa del mondo a San Pietroburgo
Sarebbe una soluzione?

La numero uno. Hai la pista, la palestra, un allenatore e talenti di alto livello con cui confrontarti e crescere. Nel 2019 mi invitarono per dieci giorni di stage e mi trovai benissimo. Poi concordo che vivere lassù in certi giorni possa essere duro affettivamente, ma sono cose da sopportare se hai un traguardo da raggiungere.

Essere velocista significa gonfiarsi come Harrie Lavreysen che domina il settore?

Negli ultimi dieci anni la velocità è cambiata. Mi sono confrontato più volte con Roberto Chiappa, che è stato l’ultimo velocista di alto livello dell’Italia, e sono cambiati i rapporti e il modo di fare le volate. Erano dei giganti anche loro, ma correvano in modo molto diverso da oggi.

Con che rapporti si corre?

Sono diversi in qualifica e in finale e per arrivare a quelli dei big, c’è da lavorare tanto. Da junior facevo il lancio con il 53×13, ora uso il 63×13-14. Quelli forti davanti mettono il 70. Ci si arriva per step, adesso non avrei la forza per lanciarlo. Negli anni di Chiappa usavano rapporti più corti e facevano sprint più brevi ad altissima frequenza di pedalata. Ora la volata finale del keirin dura praticamente per tre giri.

Come è fatta la settimana del velocista?

Varia in base ai programmi e alle gare. Di solito comunque fai 3 sedute in palestra, 3 in pista, a volte la doppia sessione e un giorno di recupero. Poi hai il giorno in cui esci su strada, inserendolo magari quando fai palestra, e lì dipende se hai o meno la disponibilità del velodromo.

La volata nel keirin ormai è lunghissima e dura per gli ultimi tre giri
La volata nel keirin ormai è lunghissima e dura per gli ultimi tre giri
Che cosa vuoi dire?

Che se hai la pista, i lavori specifici li fai lì. Ma se come adesso la pista non c’è, allora devi provare a farli su strada. Solo che la bici da strada non è abbastanza performante, non è fatta per certe sollecitazioni e allora ci sarebbe quasi da usare su strada la bici da pista.

Senza freni e col fisso: ti è mai capitato?

Non ancora, ma so che si fa. Devi trovare una strada poco trafficata per fare partenze da fermo, senza arrivare mai al picco massimo di velocità. Altrimenti su strada fai 3-4 ore ed è anche il modo per distrarti un po’, perché quando lavori in pista devi essere molto concentrato.

Hai già un’idea di calendario per il prossimo anno?

Di solito il primo picco stagionale è a luglio con gli europei. Per prepararli si fanno internazionali di classe 1-2 e magari da elite non vai alle gare under 23. Prima del Covid i Paesi più frequentati erano Repubblica Ceca e Germania.

Al momento, in partenza Bianchi usa il 63×13-14. I big spingono anche il 70
Al momento, in partenza Bianchi usa il 63×13-14. I big spingono anche il 70
In Italia cosa c’è?

A proposito di solitudine, in Italia non c’è niente. Dalle Sei Giorni estive il programma veloce è stato cancellato e magari li capisco se si trovano al via solo dieci atleti.

Allora perché un ragazzino dovrebbe appassionarsi a uno sport che non vede neanche in tivù?

Bella domanda (ride, ndr). In tivù riesci a vedere due gare all’anno, perché Eurosport almeno trasmette i mondiali. Ora è nata la Champions League, vediamo come andrà. Io mi appassionai da allievo, dopo aver partecipato ai tricolori. Prima facendo tutte le specialità, poi capendo che continuando nella velocità avrei avuto più risultati e più soddisfazioni.

In questa Italia che non si decide, le Olimpiadi di Parigi sono un obiettivo o un miraggio?

Un obiettivo. Bisogna vedere come evolve la situazione già quest’anno, perché mancano solo tre anni che nella vita di un atleta non sono tanti. Possiamo puntare alla qualifica, se però cambia il metodo di lavoro anche qua. Se potessi, andrei subito fuori. Forse, stando così le cose, è il solo modo per puntarci seriamente.