Belgio Tokyo 2021

Belgio: Van Aert leader, ma in serbo c’è la sorpresa

22.07.2021
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Guardano tutti a lui. Sembra strano visto che sabato a Tokyo sarà al via anche Tadej Pogacar, ossia l’ultima maglia gialla, colui che tutto vince, eppure la maggior parte degli addetti ai lavori (e non) indica in Wout Van Aert il grande favorito nella sfida per l’oro olimpico su strada e forse non potrebbe essere altrimenti mettendo insieme quello che il campione del Belgio ha fatto al Tour, vincendo in salita (la tappa del Mont Ventoux), a cronometro e in volata (queste ultime due in sequenza e a fine Grande Boucle).

Mentre Van Aert compiva le sue mirabilie, Sven Vanthourenhout, il cittì belga promosso alla strada dopo i tanti successi colti nel medesimo ruolo nel ciclocross, era già a Tokyo con Remco Evenepoel e Mauri Vansevenant, arrivati con largo anticipo e ha visionato il percorso con attenzione, studiato nei minimi particolari. Tornando in camera al villaggio olimpico belga con tanti dubbi, neanche troppo nascosti.

Vanthourenhout belgio 2021
Il cittì belga Sven Vanthourenhout, un lungo e glorioso passato nel ciclocross, ora alla strada
Vanthourenhout belgio 2021
Il cittì belga Sven Vanthourenhout, un lungo e glorioso passato nel ciclocross, ora alla strada

Van Aert e il problema del peso

«E’ un percorso estenuante – ha dichiarato ai cronisti di Standaard.be – con salite e discese senza sosta. Non è solo l’ascesa al Mikuni Pass che mi dà da pensare, perché prima ci sarà il Monte Fuji che fiaccherà le gambe a tanti. E’ un tracciato per gente leggera sui passaggi con pendenze dal 15% in su». Considerando che toccheranno punte del 22 per cento e che Van Aert non è proprio un peso piuma, i timori di Vanthourenhout sono giustificati.

E’ anche vero però che il Belgio ha costruito una squadra capace di cambiare faccia alla gara in molte maniere. Certo, Van Aert è la punta, ma con lui c’è l’esperienza di Greg Van Avermaet che è pur sempre il campione uscente, ci sono due corridori come Vansevenant e Tiesj Benoot che aiutano ma sanno anche vincere. E poi c’è un certo Remco Evenepoel…

Evenepoel campionato belga 2021
L’ultima occasione d’incontro fra Van Aert ed Evenepoel è stata al campionato nazionale, vinto dal primo
Evenepoel campionato belga 2021
L’ultima occasione d’incontro fra Van Aert ed Evenepoel è stata al campionato nazionale, vinto dal primo

Belgio già al passo col clima

Il talentino della Deceuninck Quick Step, a detta di chi era con lui negli ultimissimi giorni, è raggiante, con uno stato d’animo che non aveva da tempo. A differenza di molti altri, non solo suoi connazionali ma anche altre formazioni che hanno scelto di spostarsi con poco anticipo (una categoria della quale la nostra nazionale fa parte) Evenepoel è da tempo a Tokyo quindi sarà tra i più acclimatati, come fuso orario e come abitudine alle particolari condizioni atmosferiche. Chissà che Vanthourenhout non scelga di cambiare ruoli a poche ore dal via…

«Il recupero però mi spaventa poco – ha tenuto ad affermare il cittì – in fin dei conti chi era qui prima ha recuperato dopo un paio di giorni, quindi confido che sabato siano tutti al massimo. Io dico che è una gara che si presta a molte interpretazioni, dove può vincere anche un corridore di seconda schiera, per questo devono essere tutti pronti a recitare il ruolo del protagonista. Van Aert? Bisognerà vedere come assorbirà le pendenze del Mikuni Pass».

Van Aert Tokyo 2021
Appena chiuso il Tour, Van Aert è partito la sera stessa da Parigi per Tokyo, con Benoot e Van Avermaet
Van Aert Tokyo 2021
Appena chiuso il Tour, Van Aert è partito la sera stessa da Parigi per Tokyo, con Benoot e Van Avermaet

Van Aert fa pretattica?

E lui, il vincitore degli Champs Elysees? Arrivato a Tokyo dopo essersi imbarcato la sera stessa dell’arrivo a Parigi, ai taccuini presenti all’aeroporto ha dichiarato candidamente: «Per il momento non è rimasto molto nelle gambe, ma c’è tempo per recuperare». Intanto Vanthourenhout (che d’altronde lo conosce bene essendo stato il mentore dei suoi trionfi iridati sui prati) ha subito portato i ragazzi del Belgio a fare una prima sgambata di 70 km a 30 di media. La caccia all’oro è appena cominciata…

Tutti contro Merckx, ma Merckx non si piglia

18.07.2021
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Ci hanno provato tanti e in tutti i modi, ma finora Merckx non aveva mai immaginato di poter condividere la corona con un altro. Cederla mai. Quella con Lance Armstrong è stata un’amicizia, avendo visto crescere l’americano accanto a suo figlio Axel e certo nello strapotere del texano, il grande belga poteva aver visto la sua stessa protervia di certi giorni. Eppure dopo gli inizi, era stato chiaro che in ogni caso e pure senza le nefandezze che ne hanno spazzato la carriera, si sarebbe trattato di un dominio limitato al Tour de France e poco altro.

Al Tour del 1969, Merckx vinse sei tappe e le tre maglie, lasciando Pingeon a 18′ e Poulidor a 22′
Al Tour del 1969, Merckx vinse sei tappe e le tre maglie, lasciando Pingeon a 18′ e Poulidor a 22′

Remco si farà

Così ci hanno provato con Evenepoel, facendolo con troppa insistenza e per giunta alle spalle di Remco, che non ha mai avuto interesse a svegliare il leone addormentato. Ma in Belgio il ciclismo è religione e la cosa peggiore a un certo punto è l’integralismo di certe posizioni. Merckx infatti non l’ha presa bene. Essendo campione di scuola antica, sfrontato in bici ma rispettoso nel resto del tempo, si è sentito in dovere di rispondere.

«Dovrà migliorare su molti terreni – ha detto dopo il Giro d’Italia – ha vinto grandi classiche come San Sebastian, ma deve ancora imparare molto. A leggere certe interviste, sembra quasi che si senta arrivato, ma deve mangiare ancora molti panini. E’ andato al Giro d’Italia e forse lo ha sottovalutato. Non c’è niente di sbagliato, adesso l’ha capito: prima di correre, bisogna imparare a camminare. Ha detto bene Lefevere: miracoli non se ne fanno. Per me nel 1967 fu uno shock. Avevo corso la Parigi-Nizza e due volte il Midi Libre, ma nella terza settimana del Giro mi spensi, pur avendo vinto sul Blockhaus e uno sprint di gruppo. D’altro canto, mi piace molto Van der Poel. Secondo me, lui potrebbe diventare in futuro un corridore da Giri».

Evenepoel, da ragazzo intelligente qual è, non ha nemmeno provato a controbattere. «Eddy Merckx – si è limitato a dire, facendo l’inchino – ha il diritto di mettere chiunque al suo posto, visto il suo palmares».

Sul podio di Libourne, due giorni fa, Merckx ha applaudito Pogacar
Sul podio di Libourne, due giorni fa, Merckx ha applaudito Pogacar

Un sorriso per Cavendish

Questa volta… l’attacco è su due fronti. Da una parte c’è Cavendish, che oggi potrebbe battere il record delle tappe vinte al Tour. E poi c’è Pogacar che a 22 anni ha vinto la Liegi e il secondo Tour e dovunque vada, punta e vince. Lo sloveno non ha mai fatto proclami, stando alla larga dalla maestà belga. E forse proprio per questo, Eddy ha cominciato a guardarlo con occhi diversi.

«Non ho visto Cavendish per parecchio tempo – ha detto – ma ricordo che nel primo periodo alla Quick Step, durante i criterium a volte ha dormito a casa mia con alcuni altri corridori. Lui era l’unico che puliva la sua stanza. Non conosciamo molto del suo carattere, ma quello che mi è restato in mente è la sua grande gentilezza. Quanto al record, devo dire che dormo tranquillo e non ho incubi. Quel numero non è mai stato una fissazione, il ciclismo segue la sua strada. E’ tutto normale e persino divertente. Ciò che ha fatto è meraviglioso, il suo ritorno. Se può, deve divertirsi ancora. Però di certo non si possono paragonare le nostre vittorie. Lui potrebbe essere il più grande sprinter di tutti i tempi, ma le mie sono state ottenute in modo diverso, non ha senso neppure discuterne. Io ho fatto 2.800 chilometri in testa al gruppo, lui ne ha fatti sei».

La grandezza di Eddy fu anche in quella dei rivali: qui Gimondi. Per questo Pogacar ha bisogno di Bernal, Evenepoel e Roglic
La grandezza di Eddy fu anche in quella dei rivali: qui Gimondi. Per questo Pogacar ha bisogno di Bernal, Evenepoel e Roglic

L’abbraccio a Pogacar

La stilettata, portata col sorriso, introduce il discorso su Pogacar e questa volta Merckx è meno netto, forse perché ha riconosciuto uno sguardo vagamente simile e dei modi rispettosi che gli vanno a genio. E poi corre anche lui su una Colnago.

«Vedo in lui il nuovo cannibale – ha detto Eddy – se non gli succede niente potrà vincere certamente più di cinque Tour».

La maglia gialla, che si è ritrovato con il grande belga sul podio di Libourne, ha accettato di buon grado il complimento e poi ha fatto un passo indietro

«E’ un onore – ha detto – essere sullo stesso podio con Eddy Merckx. Lui è un eroe del ciclismo. Io non mi sento un eroe, ma spero di invogliare molti bambini a correre in bicicletta».

Se Eddy fosse stato sul podio della crono di ieri però, forse una battuta gliel’avrebbe mollata. Lui avrebbe fatto di tutto per vincerla. Come nel 1969, quando al pari di Pogacar vinse le tre maglie, ma portò a casa sei tappe e rifilò 18 minuti a Pingeon e 22 a Poulidor. La sua ammissione tuttavia è quasi un’investitura.

Baronchelli 2016

Baronchelli, storia di un italiano precursore di VDP

06.06.2021
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Domenica scorsa, nel giorno della chiusura milanese del Giro d’Italia, fra le manifestazioni collaterali era prevista una ciclopedalata pubblica: fra i tanti partecipanti uno era il più omaggiato, un signore quasi sulla settantina, ma che nulla ha perso dell’antico carisma, che ne aveva fatto uno dei campioni più amati a prescindere dai risultati: Giovanbattista Baronchelli.

«Era esattamente un anno, 7 mesi e 15 giorni che non salivo in bici», racconta, quasi la lontananza dalle due ruote sia stata una condanna e forse un po’ lo è stata, dopo aver chiuso il suo negozio di bici che ad Arzago d’Adda ha gestito per tantissimo tempo con suo fratello Gaetano, lo stesso che condivideva la sua attività agonistica: «Abbiamo chiuso il 25 ottobre 2019, appena prima che scoppiasse la pandemia. Dovevamo andare in pensione, ma ce ne siamo quasi pentiti visto quel che è successo e il boom del mercato ciclistico».

Il rimpianto è un po’ parte integrante della sua vita, anche ripensando alla sua carriera: «Ho lottato contro grandissimi campioni, sono stato secondo al mio primo Giro d’Italia facendo tremare un certo Eddy Merckx e secondo a un Mondiale dietro Bernard Hinault, ma è sempre secondo, chi lo ricorda? Nel ciclismo conta chi vince…».

Baronchelli Hinault 1980
Hinault davanti a Baronchelli, nel durissimo mondiale di Sallanches 1980, oro e argento
Baronchelli Hinault 1980
Hinault davanti a Baronchelli, nel durissimo .ondiale di Sallanches 1980, oro e argento

Ricordando il Lombardia

Se gli si chiede quali sono i ricordi più belli, Baronchelli non citerà quei pur eccezionali risultati: «No, sono legati al Giro di Lombardia che ho vinto due volte, la seconda arrivando da solo vicino al Duomo. Per un lombardo la “classica delle foglie morte” è tutto, farlo davanti al Duomo è unico, un sogno realizzato».

Pochi sanno però che Baronchelli, classe 1953, 58 vittorie in carriera, è stato un antesignano: avesse corso ora, sarebbe stato uno come VDP, Pidcock, Van Aert, pronto a passare da una disciplina all’altra: «Il fuoristrada mi è sempre piaciuto: facevo ciclocross d’inverno e quando stavo per chiudere la mia carriera, iniziò a diffondersi la moda della mountain bike. La trovavo molto più divertente del ciclismo su strada, poi era una parte importante delle vendite al negozio, così iniziai a praticarla e intorno a me si formò una squadra arrivata a oltre 120 iscritti».

Merckx Baronchelli 1974
Il podio del Giro ’74, con Baronchelli neoprò finito a 12″ da Merckx, terzo Gimondi a 33″
Merckx Baronchelli 1974
Il podio del Giro ’74, con Baronchelli neoprò finito a 12″ da Merckx, terzo Gimondi a 33″

Seconda carriera in Mtb

Nel corso degli anni (e sono stati tanti, una vera seconda carriera agonistica durata anche più della prima) Baronchelli ha collezionato un’infinita serie di vittorie in Mtb, divenendo un’autentica icona dell’Udace, ma quei successi hanno un sapore diverso, è come se stesse rubando qualcosa a qualcuno: «Mi allenavo giusto un paio di volte a settimana, uscendo alle 5 di mattina. Ci andavo più per stare con gli amici e incontrare clienti del negozio. Non m’importava vincere, m’importava esserci…».

Questa sua poliedricità gli è rimasta nel sangue e gli consente di guardare il ciclismo attuale con occhi diversi: «La padronanza del mezzo è fondamentale, a me dispiacque non aver potuto fare la pista, mi sarebbe servita molto. Oggi ad esempio Evenepoel è il maggior talento esistente, ma paga la totale mancanza di controllo del mezzo: al Lombardia, in quella curva a sinistra, avrebbe piegato per evitare il muretto. Al Giro erano caduti davanti a lui, ma gli è preso il panico ed è finito contro il guard-rail. In quell’attimo di secondo devi avere la freddezza di capire che è meglio piegare che andare dritto».

Che cosa dovrebbe fare allora il belga? «I suoi dirigenti dovrebbero affrontare il problema, fargli fare un anno intero di Mtb, in maniera intensiva, senza pretendere alcun risultato, perché ha vent’anni e può ancora imparare tanto. Così gli svanirebbe anche quella paura inconscia che gli è rimasta da quel maledetto giorno. Ma sono disposti a fare un simile investimento? Con me non avvenne…».

Evenepoel Lombardia 2020
Il recupero di Evenepoel al Lombardia 2020: una caduta frutto dei suoi problemi di guida
Evenepoel Lombardia 2020
Il recupero di Evenepoel al Lombardia 2020: una caduta frutto dei suoi problemi di guida

La scarsa pazienza dei dirigenti

Torniamo allora indietro nel tempo…: «Un mese dopo il Giro del ’74, quello della sfida con Merckx, caddi e mi spezzai l’omero in tre punti. Dovetti subire tre operazioni. Avrei dovuto ricominciare piano, ma alla Scic non erano di quest’avviso: iniziai il ’75 vincendo il Laigueglia e una tappa in Sardegna, ma arrivai al Giro spompato e alla fine presi anche l’epatite. Avevo chiesto troppo al mio fisico e mi presentò il conto».

Il ciclismo attuale, così variegato e che passa attraverso varie discipline, è una dimensione che gli piace molto, ma in Italia si fa fatica a tenere il passo: «Mancano gli sponsor, il problema è tutto lì. Ai miei tempi tutti i grandi, Merckx compreso, correvano per squadre italiane, adesso gli italiani vanno all’estero a fare i gregari. Il problema è che non ci sono proprio le aziende che possano investire nel ciclismo, la crisi economica del nostro Paese si fa sentire ancora tantissimo. Ma vedere gente come Caruso e Moscon che corrono per gli altri proprio non lo tollero…».

Lefevere, l’estro di Julian e l’ego di Remco. Parla il capo

01.06.2021
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Patrick Lefevere ci mette la faccia e si carica sulle spalle la Deceuninck-Quick Step, che al Giro d’Italia ha suscitato qualche perplessità e per l’ennesima volta è stata costretta a fare mercato tenendo conto di un budget non certo illimitato. Vanno via Benett e Almeida, restano Evenepoel e Alaphilippe. Al suo fianco rimane Specialized, che nel 2022 legherà la sua sponsorizzazione al team belga e probabilmente a quello in cui finirà Peter Sagan. Mentre sul fronte dei marchi, nello squadrone belga si sussurra che dovrebbe approdare anche il maglificio Castelli in odore di lasciare il Team Ineos Grenadiers. Al netto di tutto ciò, oggi con Patrick, 66 anni e dirigente sportivo dal 1979, parliamo dei due gioielli di casa, Remco e Julian, per capire il suo punto di vista.

Lefevere mantiene il suo team ai vertici facendo spesso scelte dolorose
Lefevere mantiene il suo team ai vertici facendo spesso scelte dolorose
Vincere il Giro a 21 anni, al primo assaggio e senza aver corso per 9 mesi…

Non c’era tempo perché corresse prima, per come era pianificata la sua preparazione in altura. Si è rovinato tutto quando a gennaio è stato costretto a fermarsi ancora. A quel punto avremmo potuto e forse dovuto cambiare i nostri piani, ma avevamo fatto quella scelta e sarebbe sciocco rinnegarla adesso.

In un’intervista con Het Laaste Nieuws hai detto che l’ego di Remco ne è uscito ammaccato.

Dico tante cose, a volte vengono anche ingigantite. E’ un fatto però che quel ragazzo non avesse mai perso. Ha vinto tutto da junior e anche i suoi primi due anni da professionisti sono stati pieni di vittorie. Questo Giro è stato la sua prima sconfitta.

Forse c’erano troppe attese: avete creduto davvero che fosse più grande di Merckx?

Naturalmente avevamo sperato in meglio, non dico di no, ma io non ho mai detto che avrebbe vinto il Giro. Abbiamo assecondato i suoi desideri, ma non sono così pazzo. Sapevamo che la tappa di Montalcino, dopo l’incidente del Lombardia, sarebbe stata un passaggio chiave. Remco non poteva iniziare il Giro in modo normale. A gennaio poteva soltanto nuotare, si è allenato solo negli ultimi tre mesi. Nelle Fiandre qualcuno però credeva che potesse fare un miracolo. Non possiamo giudicarlo per quello che si è visto.

Lefevere netto: il Giro ha fatto assaggiare a Evenepoel per la prima volta la sconfitta
Il Giro ha fatto assaggiare a Evenepoel per la prima volta la sconfitta
Però al netto di tutto questo, si è messo Almeida al suo servizio.

L’ho detto prima che il Giro partisse e lo ripeto ora. Ci conosciamo da anni e sapete che la maglia del team è la cosa più importante per me, non la bandiera o una nazione, e così deve essere anche per i corridori. Quando abbiamo chiesto ad Almeida di aiutare Remco, aveva appena preso 6 minuti nella tappa di Sestola, sarebbe stato lo stesso a parti invertite. Queste sono le nostre regole.

Quale sarà ora il programma di Remco?

Ora recupera e a fine settimana faremo il punto. Si voleva tenerlo un po’ fermo, ma si sta aprendo la possibilità che faccia i campionati nazionali, strada e crono, prima delle Olimpiadi.

A proposito di Olimpiadi, perché Alaphilippe si è chiamato fuori?

Perché sta per diventare padre e vuole essere presente. E poi perché vuole fare bene al Tour. Ha cambiato programma. E’ appena disceso da Sierra Nevada e farà il Giro di Svizzera invece del Delfinato, poi i campionati nazionali e il Tour. Gli ho detto che mi auguro vinca altri tre mondiali, ma l’esperienza di correre il Tour con la maglia iridata resta per ora irripetibile. Andrà in Francia per fare cose alla Alaphilippe e vedrete che di riflesso si ritroverà anche in classifica.

Almeida al servizio di Evenepoel dopo i 5’58” persi a Sestola. Lefevere non ammette equivoci
Almeida al servizio di Evenepoel dopo i 5’58” persi a Sestola
E’ stato pesante tenerlo?

Sicuramente parliamo di una cifra importante e l’acqua non è tanto profonda da non rendercene conto. Ma lui voleva rimanere e abbiamo trovato l’accordo. E’ un personaggio che corre in modo aggressivo e sa vincere. E’ simpatico. Fa gruppo. Sta bene con noi.

Con lui al Tour ci sarà Bennett?

Bennett e il suo treno, che si prenderà sulle spalle un bel po’ di pressioni, in modo che Julian sia più libero. Per Sam sarà l’ultimo anno con noi, si dice che tornerà alla Bora, ma ancora non ci sono certezze. E così per il prossimo anno, ci affideremo alle volate di Jakobsen, perché sono certo che il suo ritorno sarà un successo.

Porterete anche Cavendish al Tour?

Chi?

Cavendish, Mark Cavendish…

Sì, avevo capito. Mark ha fatto poche corse, è stato anche sfortunato, perché alcune che doveva fare sono state cancellate. Si è ritirato alla terza tappa della Vuelta Andalucia, dicendo che non era una corsa per velocisti e il giorno dopo ha vinto Greipel. Il Tour forse è troppo duro per lui ora.

Come stanno i quattro italiani?

Bagioli è stato sfortunato, non corre da Laigueglia e speriamo possa fare una bella seconda parte di stagione. Di Ballerini siamo contenti. Masnada ha fatto 40 giorni di altura e ha dovuto ritirarsi dal Giro per una tendinite. E Cattaneo lo aspettiamo al Tour. Il ciclismo non è una scienza esatta. Lavori tanto, poi speri che tutto vada bene. Ogni anno, all’inizio della stagione, faccio lo stesso discorso ai corridori: «Sono già stato diverse volte a Lourdes, ma non ho mai visto miracoli».

Evenepoel

Il Giro di Evenepoel ai “raggi X”: sfumature e dettagli

29.05.2021
7 min
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Per alcuni doveva essere la sua consacrazione definitiva e magari anche la maglia rosa di Milano. Per altri doveva solo fare esperienza e ritrovarsi dall’infortunio: c’erano tante aspettative e pressioni su Remco Evenepoel.

Qui più che parlare di cosa ci si aspettava dal belga, vogliamo analizzare il suo Giro d’Italia, spulciando piccoli dettagli e comportamenti tenuti tappa per tappa. E non solo in corsa.

Remco nella crono di Torino, chiusa al 7° posto. Ottimo avvio
Remco nella crono di Torino, chiusa al 7° posto. Ottimo avvio

Leone a Torino

Le prime frazioni sono filate con il sorriso stampato sulla bocca. Il ritornello stava quasi diventando un “disco incantato”: «Sono contento di essere tornato in gara dopo l’incidente al Lombardia», diceva Evenepoel.

E con il sorriso, ma anche con tanta determinazione il gioiellino di Lefevere si lancia dalla rampa della crono di Torino. Cosa ci ha colpito? La scioltezza con cui ha guidato la sua bici da crono. Solo Ganna ha fatto (e rischiato) di più, segno che ci credeva e che si allena molto su quella bici. L’ultima volta che Remco aveva affrontato Pippo a crono era stato in Argentina un anno fa e lo aveva schiantato. Su tali presupposti si potrebbe dire che il belga abbia perso una battaglia invece è stato il primo tra gli uomini di classifica.

Nelle due tappe successive non commette errori, né atti particolari se non che corre davanti, scortato dai compagni il che fa pensare che in Deceuninck-Quick Step ci credono eccome e non ci sia solo la storiella dell’esperienza. Tutto scorre tranquillo e la gamba sembra esserci.

A Sestola si salva

A Sestola, primo arrivo duro e con brutto tempo, Remco perde 10”. Si fa un po’ sorprendere nel momento dell’attacco. Per la prima volta resta solo. Tuttavia quello è, crono a parte, uno dei momenti migliori del suo Giro. Di certo lo è sulla gestione dei nervi. Piove, è solo, è il primo vero banco di prova, resta indietro, nel finale ci sono degli avvallamenti in discesa affatto semplici… Lui però si rimbocca le maniche e perde molto meno di quel che ci si poteva aspettare dopo gli attacchi di Landa e Bernal.

Scortato dai compagni nella tappa di San Giacomo (tappa 6)
Scortato dai compagni nella tappa di San Giacomo (tappa 6)

Voglia di rosa

Le tappe passano, la fatica inizia a farsi sentire. Remco però continua a recuperare posizioni in classifica generale (è secondo) e anzi punta alla maglia rosa. E’ un furetto pronto persino a sprintare sui traguardi volanti pur di indossarla come verso Foligno. Un atteggiamento che ci è piaciuto, sia nei confronti del Giro sia per il suo entusiasmo.

Ma non corriamo avanti e facciamo un passo indietro. Ascoli, Guardia Sanframondi, Campo Felice: si affrontano tappe impegnative, nervose, tatticamente delicate e spesso corse sotto l’acqua. E’ forse questo il nemico principale di Evenepoel: la pioggia in discesa.

Evenepoel
Il forcing potente a Campo Felice, dove è quarto e sfiora la maglia rosa
Evenepoel
Il forcing potente a Campo Felice, dove è quarto e sfiora la maglia rosa

Assaggi di fatica sugli Appennini

Scendendo da Forca di Presta attorno a lui la Deceuninck piazza degli uomini. Remco fa un po’ l’elastico: a volte è in fondo al gruppo, anche un po’ rigido, e a volte è davanti. E’ evidente che ha delle difficoltà. Difficoltà che però non sono di gambe, in quanto in quella stessa tappa, a San Giacomo, arriva con Bernal staccando i migliori. 

Qualcosa di simile lo ripete due giorni dopo a Campo Felice. Nel giorno della consacrazione di Bernal, Remco resta imbrigliato nel tratto sterrato tra le transenne e un corridore. Smette di pedalare, mentre Egan scappa. Nei 400 metri finali forse è il più veloce in assoluto, rimonta 7-8 corridori. Chiude quarto, senza abbuoni e sfiora la maglia rosa.

In ritardo con Almeida a Montalcino. Alla fine Remco pagherà poco di 2′ da Bernal
In ritardo con Almeida a Montalcino. Alla fine Remco pagherà poco di 2′ da Bernal

Lo schiaffo di Montalcino

Ogni mattina in mix zone Evenepoel è letteralmente preso d’assalto dai giornalisti, belgi soprattutto. E lui imperterrito continua a ridere e a dispensare tranquillità. Noi invece qualche dubbio iniziamo a nutrirlo. Il sorriso c’è, ma inizia ad essere inespressivo, “vuoto”.

Nel giorno di riposo va in scena un conferenza stampa fiume. Remco non sta fermo un attimo, ride. Parte il refrain: «Sono già contento di essere qui –  ma poi aggiunge – se pensavo di non poter vincere il Giro non sarei neanche partito». La bomba è definitivamente innescata. Lo stress della corsa inizia a salire e il giorno dopo a Montalcino quella bomba scoppia.

Una tappa delicata, complicata per un veterano, figuriamoci per un novellino (dal quale media e tifosi si aspettano la luna). Scricchiola sul primo sterrato ma in qualche modo anche grazie all’Astana ci mette una pezza, poi crolla prima di nervi e poi (un po’) di gambe nel secondo. In quel momento cambia tutto il suo Giro. Si stacca la radiolina, non vuol parlare con l’ammiraglia. Almeida prima lo aspetta, poi lo la lascia lì, poi lo riaspetta. Dieci minuti di totale blackout. Sembrava si ritirasse. La cosa “strana” di questa crisi era che nonostante davanti menassero forte, Remco non perdeva poi così tanto. Nei tratti su asfalto andava quasi come i migliori e se non hai gambe questo non puoi farlo. A fine tappa, il diesse Bramati ancora in ammiraglia è delusissimo, ma più per l’atteggiamento. «Stasera riordineremo le idee», ci disse a botta calda.

Evenepoel
Prima e dopo le tappe Remco era sempre gentile con i tifosi, dandogli la propria borraccia
Evenepoel
Prima e dopo le tappe Remco era sempre gentile con i tifosi, dandogli la propria borraccia

Il crollo…

Remco continua a sorridere, ma è un sorriso senza entusiasmo. Forse ha capito che in bici si soffre anche. Va lodato però il suo comportamento. Continua a correre nelle posizioni che contano del gruppo (ma non più in salita e si vede già verso Bagno di Romagna), si muove bene. Sul piano tecnico non sbaglia un colpo: mantellina quando serve, alimentazione (notiamo che mangia spesso), ha sempre la borraccia nel portaborraccia e lo vediamo anche quando a fine tappa fra le transenne dopo l’arrivo le regala ai tifosi. Sotto questo punto di vista è ineccepibile.

Ma il destino lo aspetta al varco. Anche se fai tutto bene, un grande Giro e il meteo non sono facili da domare. Neanche se ti chiami Evenepoel. Il gelo della Sacile-Cortina lo respinge. E lo fa già prima del Giau. Adesso sì che forse inizia a pagare anche sul piano fisico. Arriva stremato nella Perla delle Dolomiti, ma non molla ancora.

Il ritiro

Sfrutta il giorno di riposo e ci riprova verso Sega di Ala. Di fatto il suo Giro finisce sul Passo di San Valentino, penultima ascesa di giornata. Il sole lo aiuta e lui si apre la maglia. Rispetto ai giorni dello Zoncolan e del Giau si muove proprio in modo diverso sulla bici, tuttavia si stacca quasi subito. E’ solo, non ha compagni. Si mette con la testa bassa e mulina il rapporto. Ad un tratto si riaccoda alla scia delle ammiraglie. In questi casi il corridore sa che il gruppo non è lontano e con ancora maggiore piglio rientra sulla maglia rosa. Da applausi, se non altro per il carattere.

Poi però in discesa cade. Riemergono (forse) i fantasmi del Lombardia e prende una forte botta al braccio sinistro. Gli ultimi 35 chilometri sono uno stillicidio. Arriva a Sega di Ala scortato dai compagni che in precedenza gli erano dietro a 36’28”. La squadra lo ferma: «Continuare così adesso non ha più senso».  «Tornerò», dice lui. E noi glielo auguriamo, in fin dei conti è un patrimonio del ciclismo mondiale.

Remco a casa è una dura lezione per la Deceuninck

27.05.2021
4 min
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Remco Evenepoel lascia il Giro e torna a casa pieno di lividi, anche se forse le ferite peggiori se le porta dentro. Vero che il ragazzo è giovane e abbastanza sicuro di sé da farsene presto una ragione, eppure in tutta la storia c’è più di qualcosa che non convince. E la Deceuninck-Quick Step forse questa volta non è stata impeccabile. Si disse prima del via e si ripete oggi: quale senso ha avuto far rientrare il ragazzo al Giro dopo 9 mesi che non correva, puntando per giunta al bersaglio grosso? Serve a poco ora dire che così non era, basta andarsi a rileggere le dichiarazioni e ripercorrere le tattiche giorno dopo giorno.

Remco va a casa dopo la caduta di ieri, ma anche dopo la paura di Montalcino, la fatica dello Zoncolan e la batosta di Cortina. «Ovviamente – ha detto – è triste lasciare la gara e il mio primo grande Giro troppo presto, ma alla fine è stata una bella esperienza e spero di tornare un giorno di nuovo. Auguro il meglio a tutti i miei compagni di squadra per le tappe rimanenti».

Settimo nella crono di Torino, si parlava già di prodigio
Settimo nella crono di Torino, si parlava già di prodigio

Basso, 21 anni fa

La vicenda ne ha richiamata alla memoria una ancora più insolita, per le abitudini italiane, che nel 1999 riguardò Ivan Basso. Il varesino allora era campione del mondo under 23, uno dei giovani più promettenti a livello mondiale, e come tale aveva ripreso la stagione con la Zalf Fior. La Riso Scotti di Davide Boifava, con la quale aveva firmato, aveva acconsentito a lasciarlo per la primavera nella squadra di Castelfranco, finché qualcosa iniziò a scricchiolare. Perché non farlo restare tutto l’anno, chiesero, fino al mondiale di Verona? Quando Boifava capì che la stagione rischiava di prendere una brutta piega si impuntò. E Basso, terzo al Palio del Recioto e sesto al Gp Liberazione, cambiò maglia e senza alcun assaggio di professionismo debuttò al Giro d’Italia.

Bloccato psicologicamente sugli sterrati, con Almeida che lo aspetta
Bloccato psicologicamente sugli sterrati, con Almeida che lo aspetta

Damiani racconta

Sull’ammiraglia della squadra viaggiava Roberto Damiani, oggi alla Cofidis, che di lì a poco proprio per le sue attitudini sarebbe passato nella Mapei Giovani, antesignana delle attuali continental. Che cosa ha visto Damiani in questa gestione di Evenepoel? E in che modo l’avrebbe impostata se avesse vuto fra le mani il giovane talento belga, come a suo tempo ebbe Basso, poi Cancellara e Pozzato?

«Quella volta con Basso – ricorda – alla fine decidemmo noi. Ivan non prendeva una posizione, ma del resto era ingiusto pretendere che un ragazzo di 19 anni potesse scegliere una cosa del genere. Così lo portammo al Giro con un’idea precisa. Doveva fare esperienza. E dopo una settimana sarebbe andato a casa. Ricordo che lo presentammo ai vecchi del gruppo, a sceriffi come Cipollini e anche Pantani, e lui riuscì a farsi benvolere. La difficoltà più grande di quel Giro fu mandarlo a casa».

L’arrivo di Evenepoel è stato meno sommesso. Anzi, non sono mancati gli squilli di tromba…

E chi le ha suonate le trombe? Non so perché abbiano deciso di farlo debuttare qui, senza fare un Tour of the Alps o il Romandia. Lo ha deciso la squadra. Si sarebbe potuto dire che veniva per fare una prova. E se poi fosse andato davvero bene, ci sarebbe stato tutto lo spazio per esaltarlo.

Il suo caso è diverso da quello di Basso, ma…

Ma un corridore di 20 anni con quel talento resta comunque un patrimonio da tutelare, nonostante quello che dice e che gli si permette di dire. E’ vero che Evenepoel ha già più esperienza di quel Basso, ma il Giro d’Italia resta il Giro d’Italia.

Sullo Zoncolan, il primo cedimento vero, con 1’30” da Bernal
Sullo Zoncolan, il primo cedimento vero, con 1’30” da Bernal
Ora dicono che non fosse venuto per vincere.

Neanche io ho mai creduto che sarebbe successo. Quando sul pullman si parlava della corsa e dei protagonisti, eravamo tutti abbastanza sicuri, direttori e soprattutto i corridori, che non avrebbe potuto fare classifica nella terza settimana. Ma la Deceuninck-Quick Step è venuta perché credevano che potesse fare un grosso exploit.

Da cosa si capiva?

Dal fatto che dovunque andasse, aveva sempre tre uomini accanto. Dal fatto che Almeida è stato messo al suo servizio praticamente da subito. In questi casi si dice che le aspettative modificano il risultato. E loro erano venuti per vincere e provarci.

Lefevere ha rilasciato un’intervista a Het Laaste Nieuws, dicendo che Remco non aveva mai perso, che l’euforia di venire al Giro montata nelle Fiandre sia stata difficile da gestire e che il ragazzo esce da questo Giro con il morale ammaccato…

Non ho letto l’intervista, ma portarlo qui non è stata necessariamente una buona operazione. L’ego è proprio quello che ha permesso a Evenepoel di fare le grandi cose che tutti abbiamo visto. Ha dimostrato qualità non comuni. E non credo fosse necessario danneggiare il suo ego, mandandolo contro un muro alto come il Giro d’Italia e poi a casa così malridotto. Tutelare il talento, anche dalle aspettative troppo alte, significa proprio questo.

Il Giau spegne la luce di Remco, che non si arrende

24.05.2021
3 min
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Di colpo si è spenta la luce. La lezione è stata ben più pesante di quanto si aspettasse. Non è dato sapere se all’interno della squadra qualcuno lo avesse avvertito che sarebbe successo o fossero davvero tutti convinti che Remco Evenepoel, al primo Giro e dopo 9 mesi senza correre, sarebbe potuto durare più di dieci giorni ad alto livello. Con un po’ di sano realismo era logico aspettarsi che il giovane e fortissimo belga si sarebbe scornato contro la durezza dello Zoncolan, sebbene continuasse a lanciare proclami di cui oggi forse s’è pentito, mentre tutti intorno sembravano non rendersi conto che il ciclismo sia più serio di così.

E se sul Mostro friulano Remco si era dovuto inchinare senza tuttavia prostrarsi, il Giau e il freddo lo hanno portato brutalmente sulla terra, infliggendogli una lezione pesante come 24’05” di ritardo, dalla quale siamo certi che uscirà più forte. Secondo alcuni si ritirerà, ma conoscendo il suo orgoglio non ne siamo convinti per niente. Remco si rimetterà in sesto e magari proverà a vincere la cronometro di Milano.

A Montalcino, con Almeida che lo aspetta, ma lui è blocccato
A Montalcino, con Almeida che lo aspetta, ma lui è blocccato

Prove di bluff

«Perdere così tanto tempo – ha detto dopo la doccia e un bagno di realismo – dimostra che non ho fatto una buona tappa e che sentivo davvero la stanchezza alle gambe. Avevo già detto prima che non avevo aspettative rientrando in gara dopo quel lungo infortunio e con solo due mesi di allenamento, non credo che qualcuno pensasse che sarei potuto essere al massimo della forma per tre settimane».

In realtà il pensiero è stato avallato da dichiarazioni belle nella loro sfrontatezza. Ma se neppure Merckx al primo Giro riuscì ad andare oltre il 9° posto e due tappe vinte, sarebbe stato a dir poco incauto pensare che Remco avrebbe potuto fare meglio, in un ciclismo che nel frattempo ha visto impennarsi il livello medio delle prestazioni.

Sul Giau si è spenta la luce: eccolo da solo, con i migliori ormai lontanissimi
Sul Giau si è spenta la luce: eccolo da solo, con i migliori ormai lontanissimi

Fattore paura

E così fra i nodi venuti al pettine e le fasi su cui lavorare, dopo la paura di Montalcino, ora c’è la tenuta sulle grandi salite. Quel giorno in Toscana, proprio al rientro da un brutto incidente come il suo (ricordate cosa ci aveva detto al riguardo la psicologa Erika Giambarresi?), Remco che non aveva mai provato le strade bianche si è ritrovato a guidare ad alta velocità la bici che sembrava scappargli di sotto. Non è stato un problema di gambe, a giudicare dai watt espressi, ma di sicurezza nella guida che il trauma precedente ha reso anche più problematico.

«E’ stato un duro colpo – ha detto – ma allo stesso tempo è un processo di apprendimento che sono sicuro mi aiuterà in futuro. Sono felice per Almeida, che ha lavorato duramente per me negli ultimi due giorni e merita di essere tra i primi 10. Quindi d’ora in avanti aiuteremo lui nelle restanti tappe per raggiungere questo obiettivo».

Almeida ringrazia. Dice di aver corso per vincere la tappa. E chissà se pensa allo sfogo di qualche giorno fa, quando accusò la squadra di averlo fermato per aspettare Remco che non andava avanti. Il giorno dopo era tutto sanato. E da qui inizia un altro Giro per la Deceuninck-Quick Step.

Ugrumov Riccione 2021

Remco, un Berzin con più testa. Parola di Ugrumov

23.05.2021
4 min
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C’era una volta uno scalatore venuto dal freddo di Riga, quando ancora la Lettonia era parte dell’Unione Sovietica. A cronometro non era niente male, così si concentrò sui grandi Giri, diventando presto uno dei massimi interpreti, solo che quello era il periodo di gente come Miguel Indurain e Marco Pantani, così Piotr Ugrumov divenne l’eterno piazzato: 2° al Giro ’93, 2° al Tour ’94, 3° al Giro ’95, ben 7 volte nella Top 10 di una corsa di tre settimane.

Finita la carriera, Piotr Ugrumov, che nel frattempo si era innamorato dell’Italia più che della Spagna dove pure aveva corso da professionista, prese casa a Rimini e ha iniziato a lavorare con i più giovani, per trasmettere tutta la sua vasta conoscenza: «Lavoro con i ragazzi dell’Euro Bike Riccione – dice nel suo italiano dove l’accento russo ormai si confonde con quello romagnolo – ma è solo l’ultimo capitolo di un lungo viaggio».

Sei sempre rimasto in Romagna?

No, ho iniziato a Salò con i più giovani passando poi per Padova, Rimini, per 7 anni sono anche stato dirigente alla Katusha, dove coordinavo il lavoro dei direttori sportivi. Ma niente è più divertente di lavorare con i ragazzi, spiegare loro la posizione in bici, insegnargli a guidare, vedere che a inizio anno non finiscono neanche le corse e alla fine arrivano sempre nei primi 10. Vale come una vittoria…

Ugrumov Rosslotto 1997
Ugrumov ha corso da pro dal 1989 al ’99: qui con la Rosslotto nel 1997. 9 le sue vittorie
Ugrumov Rosslotto 1997
Ugrumov ha corso da pro dal 1989 al ’99: qui con la Rosslotto nel 1997. 9 le sue vittorie
Hai nostalgia del ciclismo professionistico?

Ho vissuto di ciclismo agonistico per 25 anni, facevo qualcosa come 32 mila chilometri l’anno, ho fatto più di 20 grandi Giri, insomma è stata una parte importante della mia vita. Ma ora è un ciclismo molto diverso dal mio.

Perché?

Basta guardare le bici. Ai miei tempi avevi i manettini al telaio, come alla mia Bianchi del ’95, un pacco pignoni da 7-8, ora ci sono 11 rapporti, ora misurano le bici che non devono pesare più di 6,8 chili, la mia ne pesava 9 e ci facevo Giro e Tour.

Ugrumov Mondiali 1993
Ugrumov con Indurain ai Mondiali del ’93: in quell’anno fu 2 al Giro e 7° al Lombardia
Ugrumov Mondiali 1993
Ugrumov con Indurain ai Mondiali del ’93: in quell’anno fu 2 al Giro e 7° al Lombardia
Tu eri abituato a fare almeno due grandi Giri a stagione: credi sia possibile anche al giorno d’oggi, puntando alla classifica in entrambi?

Io dico di sì, forse anche per fare doppietta come Pantani nel ’98. Serve innanzitutto fortuna, non avere problemi tecnici e di salute per tutto l’anno, ma se fisico e testa reggono si può ancora fare. Secondo me è prima di tutto una questione psicologica.

C’è qualcuno nel ciclismo attuale nel quale ti rivedi?

Io ero uno scalatore puro che andava forte anche a cronometro, direi che Bernal è quello che mi assomiglia di più, ma la domanda è un’altra: i giovani campioni di oggi avranno la durata che avevamo noi? Noi rimanevamo sulla breccia anche per un decennio. In questo senso chi mi impressiona di più è Valverde che a 41 anni va ancora così forte, quello è davvero un grande campione. Quelli di oggi dureranno altrettanto? Solo il tempo potrà dare una risposta

Ugrumov Giro 1995
Ugrumov e Berzin, compagni e avversari al Giro ’95, vinto da Rominger (il primo a sinistra)
Ugrumov Giro 1995
Ugrumov e Berzin, compagni e avversari al Giro ’95, vinto da Rominger (il primo a sinistra)
Restiamo in tema di paragoni: tu correvi con un certo Evgeni Berzin, che fece saltare il banco al Giro del ’94. Trovi delle somiglianze con Remco Evenepoel?

Sì, il paragone è giusto. Berzin a 20 anni era già stato campione del mondo di inseguimento, quindi entrambi sono emersi molto presto. Il belga è un fenomeno fisico, secondo me, ma resta sempre l’incognita se questo rendimento così alto da giovanissimo lo esaurirà prima del tempo. Si diceva la stessa cosa di Cunego, ricordo.

Perché sei così scettico sui giovani odierni?

E’ come una macchina nuova: se la porti subito a giri elevati e la spingi sempre al massimo, si logora prima. Credo che per costruire la carriera di un corridore sia anche importante saperlo dosare, gestire al meglio. Tornando a Berzin ed Evenepoel, Evgeni era uno che voleva tutto e subito, spero che Evenepoel sia consigliato meglio, ma sembra un ragazzo concentrato e che sa ragionare. Staremo a vedere…

Evenepoel: «Stupito da me stesso. Credo alla vittoria»

18.05.2021
3 min
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E qualche ora dopo Egan Bernal ecco parlare Remco Evenepoel. Il belga ha scelto di dedicarsi ai giornalisti dopo la sgambata. La sua conferenza è stata accompagnata, anzi introdotta, dall’annuncio di Patrick Lefevere del prolungamento di altri sei anni di contratto con Quick Step

Ma se Egan era più serio, Remco non stava fermo un attimo. Dondolava con le spalle e rideva, “irriverente” come in bici, anche se voci dal gruppo dicono si sia calmato parecchio.

Evenepoel stremato a Campo Felice
Evenepoel stremato a Campo Felice

Stupito da se stesso 

In realtà poi il giovane belga è molto più serio di quello che lascia sembrare. Ed è anche sensibile.

«Sono contento di essere in questa posizione al mio primo grande Giro – dice Evenepoel – quando sono in corsa non penso molto, ma poi quando salgo sul bus e guardo le classifiche resto un po’ stupito. E’ da tanto che non correvo. E’ incredibile quello che sto facendo. Sono secondo in classifica e per ora sta andando tutto bene.

«Per questo non sento pressioni, ma sono solo felice di essere qui, di poter correre se penso a come stavo nove mesi fa. Ma al Giro d’Italia ci credo. Se non avessi pensato di poter vincere, non sarei stato sulla rampa di lancio di Torino. Sto bene, sono qui al passo dei migliori scalatori. Vedremo le grandi montagne cosa diranno».

A Torino Remco ha dato a Bernal 20″ in 8,6 chilometri. Non poco pensando alla crono finale
Remco a Torino ha rifilato a Bernal 20″ in 8,6 chilometri.

La rivalità con Bernal

«Non siamo rivali. Corriamo per lo stesso obiettivo. Per me è un onore competere con chi ha vinto il Tour de France. In passato ci siamo incontrati solo un paio di volte, ma questa è la prima vera sfida. E comunque il Giro d’Italia non si riduce solo a me e a Bernal, ci sono tanti altri corridori, come Vlasov, Ciccone e Caruso che sono vicinissimi. E anche Yates. Insomma non eliminerei nessuno dei primi dieci in classifica».

Remco si sta riabituando a questi sforzi. Lui stesso, dopo le prime tappe, aveva ammesso di avere bisogno di questo… rodaggio, ma la forza ce l’ha eccome. Nell’arrivo di Campo Felice si è toccato con un corridore a circa 400 metri dall’arrivo, poco dopo l’affondo di Bernal. Ne aveva almeno otto davanti (Bernal e Ciccone esclusi) ed è arrivato quarto. 

Deceuninck-Quick Step e Ineos-Grenadiers: per la vittoria finale conterà molto la squadra
Deceuninck e Ineos: per la vittoria conterà molto la squadra

Sfida tra squadre

Intanto domani c’è una tappa importantissima verso Montalcino. Una frazione che a Remco non sembra preoccupare. In casa Deceuninck-Quick Step le classiche sono il pane quotidiano e avranno consigliato al meglio il giovane belga forte dell’esperienza con la Strade Bianche.

«No, non ho fatto sopralluoghi – dice Remco – mi fido di quello che mi hanno detto i meccanici. Di certo domani la gara esploderà. Si sprecheranno molte energie, ci sarà polvere, sarà dura. E immagino sarà più facile perdere tempo che guadagnarne».

Quella tra Egan e Remco è anche una sfida tra due squadroni: la Ineos-Greandiers domina nei grandi Giri e la Deceuninck-Quick Step nelle classiche. In tal senso l’ago della bilancia è a favore del colombiano, gli inglesi ormai sanno bene come gestire certe situazioni, però la Deceuninck quando punta difficilmente sbaglia e l’esperienza di pochi mesi fa con Almeida gli sarà stata utile.