Marchiori e la vita dello sprinter moderno

02.05.2021
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Leonardo Marchiori fa parte delle ruote veloci del gruppo. Giovanissimo, 23 anni a giugno, con il corridore dell’Androni Giocattoli Sidermec cerchiamo scoprire come si allena un velocista e cosa significa essere velocisti.

Eh sì perché non basta essere ciclisti e fare gli sprint, per definirsi tale. E’ qualcosa che viene da più “lontano” a quanto pare. Ne abbiamo già parlato con Sabatini, con Chicchi, con Nizzolo. Stavolta vogliamo sentire uno sprinter della nuova, nuovissima, generazione.

Marchiori quest’anno è stato secondo al Gp Slovenian Istria vinto da Maestri
Marchiori quest’anno è stato secondo al Gp Slovenian Istria vinto da Maestri
Leonardo, cosa fa un velocista in corsa?

Se è una gara veramente adatta a lui… non fa nulla in gruppo. Mangia e beve per tutta la gara. Negli ultimi chilometri deve limare il più possibile senza prendere vento. Basta un battito di più e rischia di perdere lo sprint.

E tu riesci a limare bene?

Nelle categorie giovanili sì. Quest’anno, al primo anno tra i pro’, non dico che non sappia più farlo, ma avendo corso poco sono rimasto un po’ spiazzato. Ma già nelle ultime corse le cose sono migliorate. Mi sono detto: devi stare più calmo. All’ultima tappa del Belgrade Banjaluka per esempio, a 15 chilometri dall’arrivo ho anche rotto la bici. Sono rimasto tranquillo, sono rientrato e ho raggiunto le prime posizioni senza prendere un filo di vento (e ha fatto terzo nella tappa finale, ndr).

Tra i pro’ si ha la sensazione che limare sia più facile per certi aspetti e meno per altri, cioè che ci sia più ordine in gruppo, ma che si vada anche più forte: è così?

Si va più forte quello sì, ma non so se sia più facile. Negli under 23 negli ultimi chilometri se sei un po’ dietro, ti sposti a destra o a sinistra, dai una sgasata e risali. Qui no. Se fai quella sparata poi non hai l’energia per fare la volata. L’hai già fatta! Se poi hai un treno come quello della Jumbo-Visma o della Deceuninck-Quick Step è sicuramente più facile.

Il velocista impara a limare o è un qualcosa che ha dentro di sé?

Si può migliorare ma se hai paura… hai paura. Qualcosa devi avere dentro. Io per esempio già da bambino non sono mai stato un attaccante, uno che partiva da lontano. E’ sempre stato così. Non dico tra i Giovanissimi perché lì le gare durano tre chilometri, ma già da esordiente e allievo ho capito che potevo vincere in volata stando coperto.

Immaginiamo che per sgomitare, limare, certe caratteristiche fisiche, come una certa altezza e tanta potenza, aiutino…

Sì, ma serve cattiveria agonistica soprattutto. Non ti puoi spaventare alla prima spallata. Se prendi una spallata devi restare impassibile e ridarla più forte! Io per esempio non sono altissimo, sono 170 centimetri per 72 chili.

Grande cura per l’allenamento a secco: non solo palestra ma anche core stability
Grande cura per l’allenamento a secco: non solo palestra ma anche core stability
Un Ewan, insomma. Lui è anche più piccolo di te…

Più un Cavendish! Sì, ma troppo devo imparare da loro!

Veniamo agli allenamenti del velocista moderno. Chi ti segue?

Andrea Fusaz. E’ il primo anno che sono con lui. Mi piace moltissimo. Ascolta un sacco i miei feedback e per gli allenamenti punta molto sulle mie caratteristiche. Gli altri mi dicevano: sei veloce di tuo, lavoriamo sul resto. Così facevo più salita, ma a cosa mi serve arrivare con i primi 30 in salita e poi non vincere una volata? Un altro che mi segue, che mi sta vicino, è mio fratello Samuele. Lui mi fa fare dietro moto, ha corso nelle categorie giovanili e questo è importante perché comunque ha colpo d’occhio, sa cosa mi serve.

Qual è la tua settimana standard quando non sei alle corse?

La palestra non manca mai. Almeno una vola a settimana la faccio, per lavorare sulla forza. Con Fusaz per esempio, non facciamo partenze da fermo, perché secondo lui si sviluppa meno forza che con esercizi specifici sulla pressa. Per esempio, con le partenze da fermo faccio un lavoro che se riportato sulla pressa sarebbe come fare 10 ripetute con 200 chili, mentre se lavoro direttamente in palestra ne faccio 6 con 240 chili. Poi faccio parecchio core stability: addominali, dorsali, squat monopodalico, esercizi di equilibrio. Altra cosa, quando faccio la forza quasi mai vado anche in bici. Poi dipende dal periodo. Se la devo aumentare non ci vado, faccio quella mezz’oretta di riscaldamento prima e basta. Se invece la devo mantenere dopo la palestra faccio un’ora, un’ora e mezza al massimo.

E le salite?

Beh sono di Mestre…

Per forza quindi sei un velocista!

Eh sì! Per le salite prendo la macchina. Vado poco oltre Treviso e lì tra Montello, San Boldo, Cansiglio, scelgo il percorso a seconda di quello che devo fare.

Torniamo alla tua “settimana tipo”: il giorno dopo la palestra cosa fai?

Un lungo, visto che il giorno prima la bici o non l’ho usata o l’ho fatto pochissimo. Faccio anche 5 ore e mezza, ma senza lavori. E’ il giorno in cui mi sposto in auto.

Come prosegui nei giorni successivi?

Poi c’è un giorno di riposo completo, che io inserisco sempre. Lo faccio per rigenerarmi. A questo seguono due giorni di lavori specifici. In uno faccio degli sprint e nell’altro dei lavori ad alta intensità: 30”-30”, 3×3′ a tutta.

E gli sprint come li fai?

Quasi mai in pianura. Le faccio da 15” o 10”. Da 15” le faccio di rapporto (53×12-11) in salita e le altre da 10” in “agilità” (con rapporto libero) solitamente a scendere dai cavalcavia. E’ un lavoro particolare che serve per velocizzare. In pianura magari le faccio nel giorno in cui faccio dietro motore.

Un giorno di palestra, uno di distanza, uno riposo e due di specifici: mancano all’appello altri due giorni…

Magari il giorno dopo gli specifici faccio 3 ore di aerobico o dietro motore. Ma vorrei dire che la mia settimana non è proprio una settimana. Non conosco la mia tabella così a lungo. Con Fusaz ci sentiamo spesso e ogni 3-4 giorni mi dà il programma.

Passiamo dalla bici alla tavola. Il peso è un problema per te?

Quest’inverno tra il Covid e il fatto che sono stato fermo tre mesi ammetto che non ero super magro, ma neanche super grasso. Ero l’8,5% di massa grassa, poi allenandomi sono sceso al 7%. Comunque non sono fissato con il peso. Io mangio tutto, ma bene: riso, pasta, pollo… cerco di evitare cibi non sani, limito dolci e quantità. Fusaz non è un nutrizionista, ma mi dà qualche semplice consiglio. Dove mangio tanto è a colazione. E il cappuccino, proprio non manca mai!

Spiegaci un po’…

Dipende dall’allenamento. Se è un lungo blando, mangio meno carboidrati e più proteine. Se invece è intenso e corto mangio più carboidrati.

Ma non dovrebbe essere il contrario?

Bisogna considerare che le proteine quando si rientra ci sono sempre. E comunque negli allenamenti ad alta intensità si bruciano moltissimi zuccheri. Io poi in bici mangio molto, ogni 30′. E ricorro molto ai liquidi, alle borracce con le maltodestrine. Parto con due borracce e ho con me un paio di bustine dietro che riempio quando sono finite le prime due. Mentre il cibo solido lo prendo quando faccio la distanza.

Anche in allenamento Marchiori utilizza le maltodestrine nella borraccia
Anche in allenamento Marchiori utilizza le maltodestrine nella borraccia
Pranzo e cena?

Pranzo, come detto normale: pasta, riso… le solite cose, mentre a cena sto leggero: un secondo e verdure. Stop. Cerco di alternare le proteine: una volta le uova, una la carne, una il pesce…

Cos’è per te la salita?

Mi difendevo bene nelle categorie giovanili. In un gruppetto di 20 corridori ci arrivavo. Il fatto è che i 20 corridori degli under 23 sono i 100 dei pro’ e i 150 se siamo al Tour! So che devo migliorare, ma è un qualcosa che spero e credo possa accadere con le gare.

E cos’è lo sprint per il velocista?

E’ adrenalina pura.. In 10” devi finalizzare 4 ore di gara. Quando rivedo le volate in tv mi sembrano lente. E ripenso: potevo muovermi di qua, potevo passare di là. Ma poi non è così. Quando sei lì sei il toro che vede rosso e non capisci più niente. Tante volte ai 10 chilometri ti dici: sono già a tutta non ce la faccio. Poi arrivi all’ultimo chilometro e ti butti nella volata.

Pistard poco resistenti su strada? Questione di priorità

14.04.2021
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Parlando con Marco Milesi, diesse della Biesse-Arvedi Group era emerso il discorso della fatica che fanno i suoi pistard quando gareggiano su strada, dei loro limiti in fatto di resistenza. Qualcosa che meritava di essere approfondito. Ne abbiamo così parlato con Diego Bragato, tecnico del Centro Studi della Federazione, in cui è il referente delle squadre nazionali, che lavora fianco a fianco con Marco Villa. Mentre lo contattiamo, tanto per fare un esempio, sta andando al raduno dei biker azzurri della downhill.

Diego Bragato a bordo pista (foto Instagram)
Diego Bragato a bordo pista (foto Instagram)
Diego, dicevamo della difficoltà dei pistard su strada, specie in termini di resistenza…

E’ un discorso molto ampio, ma etichettare un pistard come poco resistente mi lascia qualche dubbio. Penso a Ganna, a quel che ha fatto nel finale della Sanremo dopo 300 chilometri, o a Viviani che lo scorso anno in due mesi ha concluso Tour e Giro senza mai rischiare il tempo massimo. O ancora all’inglese Ethan Hayter, che ha chiuso la Coppi e Bartali nei primi dieci ed è un riferimento per la pista inglese. Piuttosto credo che gli atleti lavorino su delle priorità.

Però Milesi ha detto che dopo un’ora i suoi pistard perdevano resistenza.

Scartezzini e Lamon hanno un po’ più di esperienza, ma gli altri sono giovani e comunque tutti loro hanno dato priorità alla pista. Dovevano essere pronti per le gare di Coppa del mondo che ci sarebbero dovute essere (alcune sono saltate, ndr) tra aprile, maggio e giugno, pertanto hanno lavorato molto su qualità come forza massima, esplosività e hanno tralasciato i lavori sulle salite lunghe. Mentre per Ganna e Viviani le loro priorità per la pista sono previste per agosto. In più vanno dette altre due cose.

Quali?

Che loro due hanno un altro motore. Un motore che viene da anni di esperienza e da volumi di lavori nel WorldTour che si accumulano. Anche Milan è nella loro situazione, ma lui ha iniziato adesso.

Parlando di priorità in effetti i “pistard prestati alla strada” fanno anche cinque sedute settimanali in pista…

Diciamo che quelle sono sessioni particolari. La settimana di routine prevede una seduta in pista, per il resto si allenano su strada facendo tanto volume. Gli manca un certo numero di gare, ma quello dipende anche dalla situazione legata al Covid. Per questo a febbraio siamo andati ad allenarci a Tenerife cercando proprio di fare volume.

Scartezzini ha corso alla Coppi e Bartali. Anche Bertazzo, ma con il suo team (Vini Zabù)
Scartezzini ha corso alla Coppi e Bartali
Puoi farci un esempio della loro settimana standard?

Il lunedì fanno palestra e un’uscita in bici molto easy. Il martedì si lavora sulla forza: partenze, forza esplosiva, forza massima… Il mercoledì si ripete il tutto ma su pista: con altre intensità e con la specificità del gesto usando la bici da strada e rapporti più lunghi. Il giovedì fanno il lungo, dalle 4 alle 5 ore in base al periodo: sono previste delle salite e dei cambi di ritmo. Il venerdì è dedicato alla velocizzazione, quindi volate, alte cadenze… Il sabato si scarica se magari si corre la domenica o comunque si fa recupero. La domenica, o si corre o si fa una distanza, ma con all’interno dei lavori molto intensi.

Tu li sentivi durante la Coppi e Bartali, cosa ti dicevano la sera a fine tappa?

Sapevano che avrebbero fatto molta fatica, però noi gli avevamo chiesto di metterla in preventivo, di stringere i denti, perché sarebbe stata importantissima. In allenamento quegli sforzi non li replichi.

Ed è stata redditizia questa gara?

Sì – risponde con decisione Bragato – siamo stati soddisfatti. L’obiettivo è stato raggiunto e appena sono tornati in pista si è visto subito che avremmo potuto incrementare, come abbiamo fatto, i carichi di lavoro. Una volta assimilata la corsa a tappe la qualità del lavoro che puoi fare aumenta, si recupera meglio.

E lo avete visto dai test del lattato o da altro?

No, nessun test. Lo abbiamo visto dal ripetersi dei tempi col passare delle ripetute e poi anche dalle sensazioni che avevano i ragazzi. 

Il lavoro in palestra non manca mai per i nostri azzurri
Il lavoro in palestra non manca mai per i nostri azzurri
Comunque allenarsi tanto e correre poco non è facile. La gara è un momento di stimolo, di scarica di adrenalina, di verifica con sé stessi e con gli altri. Essere atleta e non gareggiare può essere frustrante…

Esatto, soprattutto con il livello molto alto che si è raggiunto. Oggi non puoi improvvisare niente e non ti puoi nascondere e si vede dai lavori che hai fatto (o non hai fatto). Fanno fatica i grandi campioni se non sono pronti…

E per il post Tokyo? Hai già pensato ad una loro “riconversione” da stradisti? Per riconversione intendiamo una loro maggiore attenzione alla strada…

Sono scelte personali ma ad ottobre ci saranno i mondiali su pista e poi ripartono le qualificazioni per Parigi 2024. Inoltre alcuni di questi ragazzi sono inseriti nei corpi militari proprio perché corrono in pista. Certo, avranno bisogno di fare delle corse a tappe, perché sono quelle che ti danno una certa continuità fisica e mentale per lo sforzo da riprodurre poi in pista, ma non credo ci saranno delle riconversioni.

Prima di concludere, Bragato vuol sottolineare l’impegno e la dedizione che ci mettono i nostri pistard tra le tante difficoltà che comporta la pista italiana.

«Un plauso sia per coloro che corrono nel WorldTour, che sono competitivi su entrambi i fronti pur con molti impegni, che per gli altri del gruppo. Da noi non è come in Danimarca in cui ci sono i professionisti su pista, per i quali l’attività su strada non è la priorità. Da noi c’è questo mix complesso. E tutto ciò ci dice quanto siano professionali i nostri ragazzi».

Una giornata sul Teide con Antonio Nibali

03.04.2021
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La Trek-Segafredo, o meglio il suo “gruppo Giro” è in ritiro a Tenerife sulle alture del Teide. Nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico questa è una delle palestre preferite dai corridori. Clima buono, altezza importante, strade per (quasi) ogni evenienza e poche distrazioni sono gli elementi che la rendono speciale. Di questo gruppo fa parte anche Antonio Nibali e con lui cerchiamo di scoprire la “giornata in quota” del corridore.

In questa situazione la routine è ancora più marcata. I tempi sono scanditi esclusivamente da allenamenti e alimentazione.

Antonio Nibali esce da una buona Coppi e Bartali, dove ha lottato per maglia dei Gpm
Antonio Nibali esce da una buona Coppi e Bartali
Antonio, siete in altura: si esce subito “forte” o si osserva un periodo di adattamento?

Siamo arrivati il 29 marzo e resteremo quassù per sedici giorni. La prima uscita si fa un po’ più piano, perché ti manca il fiato, hai i battiti alti… Inoltre venivamo da alcune corse e così nelle prime sedute si va tranquilli sia per recuperare un po’ che per adattarci.

Quanto dura questo acclimatamento?

Tre giorni: due di bici e uno di riposo. Poi si inizia a fare sul serio.

A che quota siete di stanza?

A 2.110 metri.

Come si svolgono queste prime uscite?

Si fanno tre e quattro ore cercando di restare sempre in quota. E si va ad un ritmo regolare, piano, piano…

Piano, piano… quanti battiti? Che velocità fate?

Eh, il nostro piano magari sono 27 all’ora o anche più di media. Diciamo che siamo sui 140 battiti. S’imposta un passo regolare ma che al tempo stesso ti consenta di fare chilometri

Il Teide è un vulcano, uno s’immagina il classico “cono”: come fate a restare sempre in in alto? Scendete da un versante e ad una quota “X” vi rigirate, oppure avete a disposizione altre strade?

Qui c’è un altopiano. E’ un po’ vallonato ma si riesce a stare sul filo dei 2.000 metri sempre. Di pianura vera e propria però non ce n’è.

Pianura non ce n’è: ti capita mai di utilizzare i rulli allora per simularla? O per scioglierti?

Normalmente no, ma c’è chi li usa. I rulli servono per recuperare uno “sforzone” fatto nel finale di un allenamento o di una gara, ma almeno io se faccio uno sforzo massimale in allenamento poi eseguo una fase di defaticamento per smaltire l’acido lattico.

Dopo questi giorni iniziali di ambientamento s’inizia a fare sul serio.

Esatto, le uscite si allungano e i ritmi si alzano un po’. Si fanno poi anche dei lavori, soprattutto di potenziamento.

Facci un esempio di lavoro di potenziamento… E soprattutto c’è differenza tra il farlo a casa e in quota?

Essendoci meno ossigeno fai più fatica, però è anche vero che qui in particolare puoi farlo anche in modo più prolungato. Ci sono salite da un’ora e più. A casa (Nibali vive nelle Marche, ndr) dove le trovo così lunghe? Cosa facciamo: magari 5′ di Sfr e 2′ di agilità, il tutto per quattro volte. Poi fai 5′ di recupero blandissimo e riparti. Così fino a fare un’ora di Sfr.

Antonio è molto attento all’alimentazione sia in corsa che in allenamento
Antonio è molto attento all’alimentazione sia in corsa che in allenamento
A quale intensità esegui le tre fasi: Sfr, agilità e recupero?

Le Sfr sui 300 watt direi, i 2′ in agilità sui 220-230 watt a 90, anche 100 rpm, e la fase di recupero è a sensazione, comunque molto tranquilla.

Prima abbiamo accennato ai battiti, mediamente quanto si alzano rispetto alla norma?

Io ne ho 6-7 in più ma, soprattutto se si è freschi, possono essere anche 10 in più.

In questo ritiro che dura due settimane piene quante distanze fai?

Sono dodici sedute, quindi almeno tre distanze.

E quanto sono lunghe?

Circa 175 chilometri: facciamo 6 ore, con 5.000 metri di dislivello.

Caspita! E il tempo passa in fretta?

Ma sì dai, alla fine siamo un bel gruppo e tra una risata e l’altra passa bene.

Antonio a colazione nel ritiro sul Teide con la sua omelette
Antonio a colazione nel ritiro sul Teide con la sua omelette
Invece di lavori massimali non ne fai?

No, è molto difficile che capiti. Anche perché poi si scende da qui e si va a correre solitamente. E certi ritmi li raggiungi in corsa.

Capitolo alimentazione: è come a casa o c’è differenza?

In linea di massima è come a casa. Forse si mangia qualche proteina in più perché si va un po’ più sotto sforzo.

E come le assumente queste proteine: a tavola con il cibo o con gli integratori?

Dipende, ognuno fa i suoi calcoli della quantità proteica giornaliera che deve assumere e se non ci arriva fa un’aggiunta con quelle in polvere.

Giorno della distanza: cosa mangia Antonio Nibali a colazione?

Mi sveglio alle 8 e alle 8,15, giusto il tempo di andare in bagno e vestirsi, sono a colazione. Per prima cosa prendo un caffè, così mi sveglio! Poi io mangio il porridge: yogurt o latte, frutta secca, cerali e qui, che si trova molta buona, metto anche la papaya. Poi mangio un’omelette, solitamente con prosciutto e formaggio, meno spesso liscia. E se ho particolarmente fame aggiungo una fetta di pane e marmellata.

E partite alle?

Alle 9,30 massimo partiamo.

Durante la seduta cosa mangi?

I massaggiatori ci preparano dei paninetti al prosciutto o le rice cake. Di solito ci mettono anche della frutta secca come mandorle o noci. Anche se la mia preferita è quella con il cocco.

E mangi con cadenze predefinite o a sensazione?

All’incirca mangio ogni 40′, se invece l’allenamento è più easy quando ho fame. Comunque può capitare che quando ci si ferma i massaggiatori ci chiedano se vogliamo una barretta o una rice cake in più e se ne ho voglia la prendo.

rice cake
Le rice cake sono ormai usatissime dai corridori anche in allenamento
Le rice cake sono ormai usatissime dai corridori anche in allenamento
Borracce: quante ne consumate? E sono con acqua o anche con altro?

Qui sul Teide fa parecchio caldo quindi se ne consumano. Normalmente sono solo con acqua, ma dopo tre ore ci sta che ce ne sia una con delle maltodestrine. Diciamo che ogni tre borracce d’acqua ce n’è una di maltodestrine.

Poi tornate in hotel…

Facciamo una doccia e poi andiamo a mangiare. Non mangiamo molto perché è già tardi. Prendiamo del riso o della pasta. Di solito è in bianco e ci si aggiunge una scatoletta di tonno. Niente verdura. Non si mangia altro, semmai un po’ di frutta.

E a cena?

Dopo aver fatto il massaggio ed esserci riposati andiamo a cena. Ed è la classica cena dopo la distanza, ma va considerato anche che dopo questo allenamento lungo, il giorno dopo noi facciamo scarico, quindi non è abbondantissima. Si mangia un’insalata o una zuppa o una vellutata, del pollo o del salmone o una fettina di carne, verdure alla piastra e semmai della frutta o un yogurt.

Niente dolcetto?

Nulla. E che siamo in vacanza!

Palestra tutto l’anno e bilanciere in mano

01.04.2021
5 min
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Palestra, elemento sempre più imprescindibile nella preparazione di tutti gli sport. Anche del ciclismo. Una volta, 20 anni fa non 100, i diesse ti dicevano di andare a comperare persino il pane in bici. Di non camminare, di non fare le scale… Bici e soltanto bici. Adesso in palestra si lavora tutto l’anno. E lo fanno anche gli scalatori.

Ne parliamo con Marco Compri. Laureato in Scienze Motorie, è direttore sportivo di terzo livello e soprattutto collabora con la Federciclismo e il Centro Studi, dove si occupa dei lavori “a secco” degli atleti.

La forza al centro

«Esatto, mi occupo della gestione dei volumi e dei carichi dei nostri pistard – conferma Compri – oggi la palestra si fa tutto l’anno, ma sono cambiate tante cose. La componente forza è l’altra faccia della medaglia del ciclista. Ci sono la componente metabolica e, appunto, quella della forza. Semplificando al massimo possiamo dire che gli scalatori fanno più riferimento alla prima e i velocisti alla seconda.

«La cultura della palestra sta tornando in modo prepotente perché si ha la necessità di avere dei picchi di forza molto importanti. Oggi in tanti spingono il 54-55 e non è possibile pensare di farlo in modo efficace senza eseguire dei lavori specifici. In bici puoi fare dei lavori sulla forza, ma certi picchi non li raggiungerai mai. E questo è importante per i velocisti, ma non è di minor rilevanza per gli scalatori».

Ed è in quest’ultima frase che sta la chiave del discorso. Avere dei picchi alti è importante anche per gli scalatori perché se decade la forza, decade anche la resistenza. Se si dispone di un picco di forza elevato, migliora l’efficienza della pedalata e soprattutto lo scalatore può lavorare con carichi maggiori nel lungo periodo.

I balzi sono un esercizio di forza e al tempo stesso di equilibrio
I balzi sono un esercizio di forza e al tempo stesso di equilibrio

Richiami o no? 

Ricorrendo alla palestra e ai pesi con una certa costanza ha ancora senso parlare di richiami? Oppure sarebbe meglio definire la palestra come “parte integrante della preparazione?

«Il lavoro – dice Compri – è cambiato perché è cambiato l’approccio alla palestra. Fino a 5-6 anni fa si facevano dei lavori a basso carico: il lavoro era finalizzato alla resistenza. Adesso invece è finalizzato alla forza. In pratica si fanno più serie e meno ripetute ma con più peso (esempio con numeri a caso: prima si facevano 2 serie da 30 ripetute con 10 chili, adesso si fanno 4 serie da 10 ripetute con 40 chili, ndr).

«Di base – riprende Compi – i corridori ricorrono alla palestra in modo importante in due momenti della stagione: all’inizio e nella pausa maggiore, ma poi non la tralasciano per oltre dieci giorni. Quando si fanno questi richiami si lavora con l’80-85% del proprio carico massimale (se ho un massimale di 100 chili, lavoro con 85 chili, ndr). Ma perché si lavora con una certa regolarità? Perché è diverso l’approccio agli attrezzi. Prima si ricorreva molto ai macchinari, adesso si tende a lavorare a corpo libero e con il bilanciere. E se fai passare troppi giorni, poi perdi il picco e l’efficienza del gesto stesso. E anzi, rischi di farti male. Molti atleti appena finiscono il Giro d’Italia, per esempio, riprendono immediatamente con il lavoro in palestra, altrimenti i loro massimali decadono sensibilmenteı».

Una vecchia foto di Miguel Angel Lopez impegnato con il bilanciere
Una vecchia foto di Miguel Angel Lopez impegnato con il bilanciere

I segreti del bilanciere

Si preferisce utilizzare un attrezzo a corpo libero come il bilanciere anziché i macchinari perché oltre alla forza, non va trascurata la stabilità. Aspetto che gli atleti della mountain bike, anche per altre ragioni, hanno capito con molti anni in anticipo

«Nella preparazione di un ciclista – spiega Compri – non va trascurata la gestione del mezzo. La bici è stabilizzata dal ciclista, ma il ciclista per stare in equilibrio deve attivare molti muscoli. Serve quindi fare del “core stability” intervenendo anche su arti superiori, addominali, glutei… Ma se io lavoro sui singoli distretti muscolari senza “raccordo”, il lavoro resta incompleto. Lo squat fatto con il bilanciere attiva 272 muscoli contemporaneamente, se invece metto il peso in un punto isolato non li attivo tutti. Elimino tutto ciò che mi stabilizza. Fare lo squat col bilanciere anche se meno specifico è più funzionale.

«Altra cosa che si sottovaluta: con il macchinario la velocità di esecuzione e la forza impressa sono costanti. Con il bilanciere c’è il momento iniziale che richiede un grande sforzo per rompere l’inerzia. E di conseguenza cambia anche la velocità del gesto».

Canola alla pressa, macchinario valido ma meno efficace del bilanciere secondo Compri
Marco Canola
Canola alla pressa, meno efficace del bilanciere secondo Compri

Scalatori vs velocisti

Se facessimo una sfida di pesi sapremmo già chi vincerebbe, è chiaro. Gli obiettivi di scalatori e velocisti sono diversi. Ma com’è la palestra dell’uno e quella dell’altro? 

«Poniamo – conclude Compri – che la gara obiettivo sia fra sei mesi. Il velocista in questo lasso di tempo lavora costantemente con carichi pari all’85-90% del suo massimale al di là di quello che farà in bici o se farà anche delle gare. Lo scalatore, invece, per i primi due mesi lavora allo stesso modo dello sprinter, con le stesse percentuali di carico, poi inizia a lavorare sulla forza in bici, con le classiche Sfr (e non solo quelle). Ogni tanto torna in palestra ma fa esercizi a corpo libero come balzi, squat monopodalico… e lo fa perché deve mantenere la forza. Per il velocista, che cerca di aumentarla, questo non va bene».

Morelli, cos’è l’assuefazione all’allenamento?

25.03.2021
5 min
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Anni ed anni di allenamento. Chilometri, ripetute, altura, ritiri… Il fisico può assuefarsi per davvero? Si può abituare? Può succedere che una seduta da 200 chilometri e 3.000 metri di dislivello non porti più benefici o miglioramenti?

Ne parliamo con Andrea Morelli, uno degli storici preparatori del Centro Mapei Sport. «Se si applicano sempre gli stessi metodi il corpo non migliora più – dice – smette di rispondere agli stimoli. Si parla infatti di “minor stimolo allenante”, cioè quanto devo fare per migliorare. Non è detto che per migliorare 10 devo fare 100, posso anche fare 50. Ma con il tempo questa soglia di assottiglia sono costretto a fare di più di quel 50 e non è facile cambiare le cose».

Andrea Morelli, Fabian Cancellara
Tra i tanti campioni passati tra le mani di Andrea Morelli c’è anche Cancellara
Andrea Morelli, Fabian Cancellara
Tra i tanti campioni passati tra le mani di Andrea Morelli c’è anche Cancellara

Gli stimoli giusti

«Spesso – dice Morelli – accade che per continuare a migliorare ci si allena troppo e si creano due condizioni: over reaching e over training. Il primo è uno stato di affaticamento del fisico che dopo 4-7 giorni di recupero o riposo non solo passa, ma può anche portare dei miglioramenti. Il secondo è invece uno stato più complesso: il corpo non riesce più a perfomare, sei sempre stanco ed è uno stato che si protrae per periodi molto lunghi, anche mesi. Subentrano aspetti psicologici, ormonali… e non solo fisiologici.

«Ci sono dei modelli matematici (Performance Modeling) nei quali vedi che se per 20-30 giorni applichi lo stesso stimolo non migliori più, si chiama stagnazione. Ma attenzione, la realtà poi è diversa. Variano il clima, la temperatura, l’aspetto psicologico… E poi ogni anno è diverso dall’altro».

Margini al limite

Sulla base di questo argomento, ci viene da pensare a Nibali. Si è staccato dal suo storico preparatore, Paolo Slongo. Sembra che il siciliano abbia sentito l’esigenza di cambiare metodo di lavoro, probabilmente di sentire e provare altri stimoli. Ma certo a 36 e passa anni, non è facile intraprendere un nuovo cammino. Di certo è lodevole, perché ci dice della voglia dello Squalo di mordere ancora.

«In generale – riprende Morelli – i professionisti hanno margini di miglioramento che diminuiscono con gli anni. Si è costretti a fare carichi crescenti a fronte di miglioramenti piccolissimi, specie per gli atleti fortissimi. Con gli anni tutti i meccanismi si ottimizzano. L’atleta impara ad utilizzare gli zuccheri, a consumare di meno, arriva al top dal punto di vista tecnico, la sua pedalata è efficiente. Si chiamano “marginal gains” e serve una grandissima motivazione per continuare su quella strada, per limare qualcosa».

In poche parole è un po’ come un imbuto che si restringe sempre di più. Servono più sacrifici, si può migliorare poco e tutto deve essere sempre al top. In più c’è l’aggravante che magari il soggetto sia arrivato al suo massimo. In questo caso può solo mantenere.

I corridori della nuova generazione sono più portati a lavorare ad alte intensità
I corridori della nuova generazione sono più portati a lavorare ad alte intensità

La testa conta

«Quindi l’assuefazione esiste – riprende Morelli – ci sono esempi di atleti molto longevi che continuano a performare, ma magari nel corso degli anni hanno optato per gestioni diverse, con lunghi stacchi durante le stagioni. A 35 anni non si può più pensare di fare quel che si faceva a 25 anni, già solo il recupero cambia. Magari prima quell’atleta riusciva ad andare forte in tutte la gare, adesso invece deve selezionare dei periodi.

«Io poi sono rimasto molto colpito da questi giovani di oggi nei grandi Giri. Di solito la terza settimana era favorevole a coloro che avevano una certa esperienza e abitudine a certi sforzi, invece lo scorso anno non è stato così. E neanche possiamo dire perché gli altri sono andati piano. No, sono loro che hanno fatto prestazioni particolari. Pertanto questa cosa la dobbiamo considerare. Ha risvolti psicologici non secondari sugli altri».

Morelli parla spesso dell’importanza della testa. L’aspetto psicologico è primario per lui. In tal senso ricorda come Basso ed Evans, pur sapendo di fare una cosa sbagliata, chiedevano a lui e al professor Aldo Sassi di eseguire un super allenamento prima di un grande appuntamento.

«Ivan in particolar modo voleva fare una seduta distruttiva di 8 ore, 8 ore e mezza. Ne nascevano anche accese discussioni. Però se lui usciva bene da questa seduta sapeva che era pronto per il Giro o l’appuntamento a cui puntava. Si sentiva forte e pronto. A quel punto si cercava solo di fargliela fare in un momento che non fosse troppo deleterio, cosicché avesse il tempo di recuperare».

Nibali verso Prati di Tivo alla Tirreno. Il siciliano è arrivato 16° a 1’27” da Pogacar
Nibali verso Prati di Tivo alla Tirreno. Il siciliano è arrivato 16° a 1’27” da Pogacar

In corsa per vincere, sempre

Certo, pensare che Nibali a Prati di Tivo, nell’ultima Tirreno, sia andato più forte di un minuto rispetto al 2013 e che a sua volta si sia staccato fa riflettere noi ed è una potenziale “botta” per l’atleta.

«Sicuramente dall’anno scorso stiamo assistendo a delle prestazioni straordinarie, però occhio a fidarsi solo dei numeri. Oggi si sbandierano i dati della potenza, soprattutto quella normalizzata che è un po’ più alta, perché “fa molto figo” e fa audience… Dal punto di vista dell’atleta dico che può essere soddisfatto perché ha visto che è migliorato, dall’altra lui stesso dice: okay sono migliorato, ma ho anche preso più di un minuto. Bisogna vedere quanto siano reali tutti quei dati».

Infine c’è un punto di vista che espone Morelli molto interessante. Riguarda Nibali, ma non solo lui sia chiaro.

«Una volta – conclude Morelli – si andava alle gare anche per allenarsi. In alcune corse, soprattutto se eri forte, potevi non essere al top e fare quel lavoro che in allenamento evidentemente non riesci a fare. Lo stimolo psicologico non può essere lo stesso se devi fare delle ripetute forti, certi livelli di fatica non li raggiungi in allenamento. Dopo un po’ stacchi. In corsa invece puoi tenere duro e andare oltre. Adesso tutto ciò non è più possibile. Nel caso di Nibali, pensando a Prati di Tivo, magari otto anni fa lui non era a tutta».

Tutto ciò combacia perfettamente con quel che ci ha detto Pino Toni pochi giorni fa: gli atleti della nuova generazione sono più portati a fare allenamenti ad alta intensità in vista delle gare. E chi sfruttava appunto le gare non ha più questa possibilità.

Vincenti senza gare. Toni ci spiega come e perché…

23.03.2021
5 min
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Pogacar non corre da mesi si presenta al UAE Tour e vince. Roglic (quasi) la stessa cosa: va alla Parigi-Nizza e se non fosse stato per quelle cadute nella tappa finale, di fatto aveva dominato la gara francese. Come è possibile arrivare alle corse ed essere subito competitivi? Proviamo a capirne qualcosa di più con Pino Toni, preparatore toscano di lungo corso di molti campioni e di molti team.

Pino Toni dirige il centro Cycling Project Italia in Toscana
Pino Toni dirige il centro Cycling Project Italia in Toscana
Pino, ma allora è possibile davvero arrivare alle gare importanti senza aver già corso e vincere?

Oggi ti puoi allenare benissimo lontano dalle gare, se hai metodo.

Definiamo metodo…

Il problema non è sulla quantità, ma sulla qualità. Per fare gli allenamenti ad alta intensità dei avere una grossa motivazione – fa una breve pausa, Toni – che poi è quella che manca a molti corridori, mentre con alcuni personaggi come Roglic si può fare. Abbiamo esempi di corridori, anche importanti e forti, che se dopo i loro camp non raccolgono buoni risultati. E di solito sono i corridori più vecchi, ma non perché non abbiano voglia, ma perché sono cresciuti con altri metodi. I giovani sono più predisposti anche mentalmente a lavorare con le alte intensità.

Quindi parliamo di ritmo alto. E come si fa?

Con tanto dietro motore, dietro scooter preferibilmente. Vi dico che alcuni, non dei top rider, che non avevano la possibilità di fare il dietro motore hanno utilizzato bici elettriche modificate, altrimenti dopo una certa velocità il motore “staccava”, per abituarsi a certi ritmi, certe velocità e certe cadenze in salita. Non so, sinceramente, che benefici ne abbiano tratto ma è successo. Per dire quanto sia importante lavorare sul ritmo.

Che tipo di lavoro si esegue dietro motore?

Si cerca di simulare molto la corsa, quindi almeno 3 ore e 30′ tra salita e pianura con un occhio sempre sul display del potenziometro (fondamentale per allenarsi senza gare, ndr) per regolarti sui tuoi dati. Oggi ci sono dei test che dicono della tua velocità di accumulo e di smaltimento dell’acido lattico. E questo è fondamentale per allenarsi senza gare.

Un allenamento di Toni dietro moto basato su velocità di accumulo e scarico dell’acido lattico
Un allenamento di Toni dietro moto basato su velocità di accumulo e scarico dell’acido lattico
Facciamo un esempio…

Ho una soglia a 350 watt, se mando il corridore a 400 watt, la sua soglia di accumulo di 0,7 millimoli di acido lattico al minuto, so che impiego 5′ per portarlo a saturazione. A quel punto lo tengo lì fino ad esaurimento. In questo modo si abitua a lavorare in acido lattico. Quando poi torno in pianura e lo metto a 280 watt, fa comunque un alto ritmo, ma smaltisce l’acido lattico alla velocità di una millimole al minuto. Qualche giorno fa ho fatto un lavoro simile con un ragazzo: io sullo scooter e lui dietro in bici.

Oltre al dietro motore poi cosa si fa?

Ripetute intense di due, un minuto, 30”… insomma tutte cose intense. Come ho detto i giovani di oggi non hanno problemi con questi lavori, idem biker, pistard e ciclocrossisti, ma gli stradisti puri di vecchia generazione fanno più fatica a sopportarli, anche sul piano mentale.

Quindi la corsa resta il miglior allenamento per la maggior parte dei corridori?

Per il 70% del gruppo sì, altri dico “ni”, perché se dietro alla corsa subentra anche tanto stress bisogna fare una scelta sulle gare da fare. Uno come Roglic che quando si presenta “deve” vincere si capisce bene che non puoi sempre portarlo a correre. Prendi chi ha vinto la Tirreno e poi magari doveva andare al Catalunya. Un conto è fare 75 giorni di corsa “normali” e un conto è farne 50 sempre per dover vincere. Uno che calibrava le corse era Contador che quando andava, andava per vincere.

Noi abbiamo riferimento alle corse a tappe, ma è possibile fare tutto ciò per le corse di un giorno?

No, direi. Se mi dici che punti alla Liegi devi correre anche le gare prima, serve brillantezza subito. Quelle le prepari alla “vecchia” maniera. Magari fai una corsa a tappe di una settimana o cinque giorni e tiri forte in una tappa o due senza stare a pensare troppo alla classifica e allora ti sì ti presenti alla Liegi.

Per Toni, Ganna fa parte di quei pochi corridori che possono allenarsi e vincere subito
Per Toni, Ganna fa parte di quei pochi corridori che possono allenarsi e vincere subito
Quanto fuori soglia si fa i questi allenamenti?

Soprattutto nelle ultime due settimane se ne fa parecchio. Roglic, che mi sembra fosse al Teide prima della Parigi-Nizza, ne ha fatto molto secondo me. Sapete, dobbiamo pensare comunque che parliamo di corridori molto forti proprio perché hanno potenza, sono potenti proprio sui numeri. E sulla base di questi loro valori riescono ad allenarsi meglio. Una volta che hanno ritrovato la capacità di “fare watt” diventano automaticamente anche resistenti. Perché? Perché con tutta quella forza a parità di sforzo gli altri vanno, che so, all’80% e loro al 75%: ecco che durano anche di più e al tempo stesso hanno più margine. Sono proprio impostati diversamente.

Ma si fa solo intensità?

No, alla fine le ore le fanno anche perché è importante “imparare” a stare in sella, a mangiare. Comunque non contano tanto ore o chilometri, che poi alla fine si fanno, ma la qualità. Quando fai dietro motore difficilmente termini con meno di 40 di media il che significa che in 4 ore hai fatto 160 chilometri. Ho visto i volumi della Bahrain Victorious sul Teide: in 16 giorni di ritiro, 12 effettivi di allenamento, hanno fatto un qualcosa come 39.000 metri di dislivello. Se poi devi costruire da zero o quas anche l’aspetto performante, è tutto più difficile. Se devi dimagrire lo è ancora di più. Guardate che queste cose possono farle 7-8 atleti al mondo, non di più.

Chi sono secondo Toni?

Quelli che immaginiamo: Van Aert, Pogacar, Roglic, Pidcock… per l’Italia potrebbe farlo Ganna.

Fuori soglia, quando si deve andare “a tutta”

02.03.2021
5 min
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Soglia e fuori-soglia, argomento sempre delicato quando si parla di preparazione. E anche i corridori, di ogni fascia d’età non ne restano insensibili. Sanno che sono quelli i lavori più duri, e che fanno fare la differenza.

Ma proprio perché l’argomento è delicato, ne abbiamo parlato con tre preparatori per avere diversi punti di vista. Una volta si faceva più fuori soglia? Quanto tempo fuori soglia fa un professionista in una settimana? Come lo gestisce? Queste le domande “gettate” sul piatto…

Pino Toni dirige il centro Cycling Project Italia in Toscana
Pino Toni dirige il centro Cycling Project Italia in Toscana

Oltre il limite per migliorare

Partiamo dall’esperto tecnico toscano, Pino Toni.

«Io dico che una volta si faceva meno fuori soglia – spiega Pino Toni – c’era gente che arrivava al Giro senza averne fatto, era un ciclismo più endurance. Si era dei diesel totali, altrimenti gente di 72 chili non avrebbe vinto il Tour. Ora invece se ne fa tanto, ma tanto, di più. Il ciclismo è più esplosivo.

«Poi c’è modo e modo di farlo. Puoi fare cose molto brevi che non vanno a stressare il sistema aerobico e cose più lunghe, anche fino ad un’ora che invece lo stressano eccome. L’obiettivo di questi lavori è aumentare i “giri del motore” e la capacità di utilizzare altri metabolismi come l’acido lattico stesso, i chetoni… per avere energia».

Secondo Toni si fa più forza e più fuori soglia. E questo rende i ciclisti più muscolati e più prestativi.

«I lavori massimali sono di 40”, ma anche di un minuto, tre minuti: si lavora sulla capacità di recupero e appunto si sfruttano altre forme di energia oltre all’ossigeno muscolare. Lontano dalle gare un pro’ fa anche un’ora e 20′ di fuori soglia in Z5 e Z6 (le intensità più alte), ma bisogna vedere come. Oggi quando si parla di medio non è più come in passato che ci si metteva lì regolari.

«Oggi in un medio ci sono dei momenti in cui si va oltre la soglia. Magari devi fare un’ora di medio e ogni 3′ hai un minuto in Z5 ecco che a fine lavoro hai passato un quarto d’ora fuori soglia. E molto duri sono anche gli intermittenti più brevi, i 30”-30” o i 40”-20”. Alla fine compreso il recupero la media è superiore alla soglia. Quindi se ne devi fare dieci per esempio, ecco che hai passato 5′ fuori soglia. Alcuni corridori che puntano a vincere, di lavori così non hanno una programmazione, ma li fanno ad esaurimento».

«E’ importante – chiude  Toni – fare questi lavori perché vai oltre le tue possibilità ed è questo che ti fa migliorare».

Claudio Cucinotta è oggi uno dei preparatori dell’Astana
Claudio Cucinotta è oggi uno dei preparatori dell’Astana

Più qualità meno quantità

Parola adesso al preparatore friulano che, più o meno, è sulla stessa lunghezza d’onda del collega toscano.

«Quanti allenamenti massimali a settimana? Dipende – dice Claudio Cucinotta – Dipende dal periodo, dall’atleta, dall’obiettivo. In linea di massima oggi si tende a fare più qualità che quantità. Le 6-7 ore sono una rarità, magari le si fanno prima di una classica particolare. Oggi la distanza standard è di cinque ore, cinque ore e mezza. Ma in queste ore si mette della qualità.

«Se siamo ad un mese dal via delle gare e il corridore già punta a vincere, allora farà sicuramente dei lavori fuori soglia, se invece può partire più tranquillamente sfrutterà le gare per fare dei fuorigiri. Se invece siamo nel pieno della stagione in settimana ne farà di meno».

A questo punto Cucinotta fa una distinzione importante.

«Facciamo riferimento ad un fuori soglia di potenza (riferimento ai watt) o cardiaco (riferimento alle pulsazioni). Perché c’è una bella differenza. Io posso fare 10×15” a tutta ma sul piano cardiaco ho fatto poca cosa, mentre su quello della potenza sono andato molto fuori la soglia. A questo punto torniamo alla domanda di prima: quanto si passa fuori soglia in una settimana? Un atleta medio nel mese antecedente alle gare sul piano cardiaco fa 5′-10′, su quello muscolare anche mezz’ora o più».

Ma quindi esiste un limite oltre il quale fare del fuori soglia non è più costruttivo, ma “distruttivo”? Secondo Cucinotta questo limite non esiste, o comunque non è univocamente definito. Dipende da molte cose, anche dall’atleta stesso dal saper sopportare certi carichi.

«C’è un valore, il W’, che descrive la capacità anaerobica di un atleta. La curva potenza/tempo è creata dai punti massimi di potenza che l’atleta riesce a sopportare per un determinato tempo. Per esempio (dò dei numeri a caso) 3′ a 700 watt; 10′ a 450 watt, un’ora a 350 watt… Uno scalatore può avere una CP molto alta ma un W’ basso e il velocista al contrario».

Paolo Slongo è lo storico preparatore di Nibali, oggi alla Trek Segafredo
Paolo Slongo è lo storico preparatore di Nibali, oggi alla Trek Segafredo

Più capacità aerobica

Infine passiamo allo storico preparatore di Vincenzo Nibali. La sua posizione è leggermente diversa rispetto ai primi due tecnici.

«Io ho idea – spiega Paolo Slongo – che, come tutte le zone di allenamento, la soglia e il fuori soglia si possano allenare e il fisico possa riuscire a consumare più di quello che riuscirebbe normalmente, ma credo anche che oltre un certo limite non si possa andare, non si possa allenare. E che alcuni siano più portati. Per questo per me è più importante alzare la soglia. In salita o in una crono sono al pari di un altro atleta ma ho una soglia maggiore riesco a ritardare l’accumulo di acido lattico o al contrario posso attaccare».

«Il fuori soglia richiede dei tempi fisiologici ben determinati. Se vai oltre un certo accumulo la prestazione decade. In tanti fanno i 30”-30” o 40”-20” e ripropongono questa “strategia” anche in gara. Ma da qualche anno, dall’era Sky, è un po’ cambiata la cosa. Cronometro alla mano, vediamo che i corridori in una salita finale fanno forcing di 3′-4′ a tutta e poi “recuperano”. Per questo si tende ad allenare un fuori soglia di 4-5′. E poi molto dipende dal soggetto. Da quanto lo tollerano. Per esempio, tra i tanti che ho avuto, Sagan era quello che riusciva a starci di più».

«Quanto ci si sta in una settimana? Se siamo lontani dalle gare e chi lo fa già punta dico 30-40′ di lavoro anaerobico. Brevi simulazioni di gara, dietro moto, sessioni di 4′ con recupero di 3′. Sono lavori tosti, anche mentalmente. Quindi se ne fanno 1-2 a settimana. Sagan era uno che li digeriva bene, proprio perché ci era portato, e anche Basso, lui però perché sapeva “morire” sulla bici».

Pierino Gavazzi lanciò “l’inverno moderno”

26.01.2021
3 min
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L’immagine che tutti abbiamo di Pierino Gavazzi è lui che vince la Sanremo davanti a Saronni. Il lombardo, anche se rispetto a molti altri campioni ha vinto “poco”, è rimasto nel cuore degli appassionati per il suo carattere di attaccante, di corridore mai domo, furbo… Un Taccone, un Chiappucci, un Bitossi. Gente così non la puoi dimenticare.

E non l’ha dimenticato neanche Paolo Savoldelli, quando l’altro giorno ci parlò del suo essere stato innovatore per quel che riguarda la preparazione. «Gavazzi fu il primo a non fermarsi d’inverno e questo aprì una nuova strada», aveva detto più o meno il Falco Bergamasco.

Pierino Gavazzi vince la Sanremo del 1980 davanti a Saronni
Pierino Gavazzi vince la Sanremo del 1980 davanti a Saronni

Età e stop

Non potevamo quindi non ascoltare Pierino stesso.

«Il non fermarmi più – spiega Gavazzi – era legato all’età. Avevo notato che con il passare degli anni facevo sempre più fatica a prendere il ritmo. Per entrare in forma impiegavo ogni stagione due o tre settimane in più. Così cercavo di tenermi in attività.

«Un po’ però l’ho sempre fatto. Anche quando ero giovane qualche camminata la facevo. Ai miei tempi si correva otto mesi ed erano otto mesi filati. Oggi chi punta alle classiche, chi punta ai Giri… fanno due mesi e poi spariscono. Senza contare che le gare erano più lunghe e si facevano più chilometri. Mediamente tra corse e allenamenti mi attestavo tra i 37-38.000 chilometri l’anno, ma una stagione che feci Giro, Giro di Svizzera e Tour arrivai a 43.000» .

Camminate e ciclocross

«Mi accorsi che avevo bisogno di tenermi in attività a 34 anni. E così dall’inverno successivo, a 35 anni, non mi sono più fermato (Pierino ha corso fino a 41 anni, ndr). Dopo il Lombardia continuavo un’altra settimana. Poi ne facevo un paio senza bici, ma andavo a camminare. Quindi iniziavo con il ciclocross e due anche tre uscite settimanali con la bici da corsa. Da dopo Natale o dai primissimi giorni dell’anno, iniziavo la preparazione vera e propria. Bastavano un po’ di giorni di bel tempo e riprendevo.

«La differenza la sentivo eccome. Questo metodo mi ha consentito di vincere il Laigueglia a 39 anni. Comunque non ero il solo a fare così, anche altri meno titolati lo facevano».

Gavazzi è lombardo e dalle sue parti, specialmente all’epoca, faceva freddo davvero in quei mesi. Lui cercava il “tepore” dei laghi.

«Esatto, mi spostavo sul Garda o sul Lago d’Iseo, lì in qualche modo ruscivo ad allenarmi bene. Poi a fine gennaio si andava in Liguria, prima, e in Toscana, poi. Andavamo a Follonica o più su verso Camaiore».

Pierino Gavazzi (dietro) e Gibì Baronchelli durante un cross (foto Carugo)
Pierino Gavazzi durante un cross (foto Carugo)

Lo “stacco” estivo

Quando era più giovane invece Gavazzi pedalava ancora un po’ dopo il Lombardia, ma sostanzialmente fino a Natale non toccava la bici, faceva appunto solo qualche camminata. L’idea del cross gli è venuta dopo. Ma visti i buoni risultati gli abbiamo chiesto cosa pensasse degli stradisti attuali che fanno cx, a partire da Fabio Aru.

«Aru viene da due anni bui, cerca il riscatto. Il cross di certo ti dà qualcosa, ma io penso ai belgi. Quelli davvero non staccano mai e fanno il cross in modo agonistico di brutto. Mi chiedo quanto davvero potranno durare. Van Aert e Van der Poel sono portati per le classiche, ma la loro attività nel cross è molto impegnativa. E’ vero che io non mi fermavo mai, ma ai miei tempi dopo il campionato italiano, prima delle premondiali, c’era un mesetto buono. Facevo due settimane di scarico, pedalavo poco, ma riuscivo ad arrivare a fine stagione senza avere il serbatoio vuoto».

Kratos al fianco della Eolo-Kometa

21.01.2021
3 min
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C’è molta curiosità attorno alla Eolo-Kometa la formazione nata da un’idea di Ivan Basso e Alberto Contador, di cui vi abbiamo parlato in questo articolo, che quest’anno debutterà nella categoria Professional.
Tra i nuovi sponsor spicca anche il marchio Kratos, azienda varesina di integratori sportivi completamente naturali.
Kratos prende spunto dal Greco antico dove era la personificazione mitica della forza. Il nome è stato volutamente scelto per rappresentare una linea di integratori naturali che garantiscano forza ma nello stesso tempo benessere fisico e mentale, grazie all’utilizzo di ciò che di meglio la natura è in grado di offrire.

Proteine Kratos
Per rifornire direttamente i muscoli c’è Protein
Proteine Kratos
Per rifornire direttamente i muscoli c’è Protein

Tutto naturale

Per realizzare gli integratori Kratos vengono utilizzate esclusivamente materie prime naturali attentamente selezionate. Non vengono assolutamente aggiunti coadiuvanti tecnologici ed elementi derivati da chimica industriale.
Ogni singolo integratore viene prodotto basandosi su uno studio approfondito della Medicina Naturale e da una continua e sempre aggiornata attività di ricerca, il tutto con la finalità di sviluppare nuovi ed efficaci sistemi a protezione della salute.

Kratos IN solubile
Kratos IN è un integratore di sali minerali in polvere
Kratos IN solubile
Kratos IN è un integratore di sali minerali in polvere

Un sistema sinergico di integrazione

Dal 2006 l’azienda varesina ha iniziato a lavorare alla realizzazione di un “Sistema di Integrazione Sinergico” studiato espressamente per gli sportivi. La gamma è composta da prodotti specifici da assumere prima, durante e dopo lo sforzo.
Per la fase che precede la competizione sono previsti una serie di prodotti naturali idonei a preparare il corpo allo sforzo da sostenere. Ulteriori prodotti sono pensati per sopportare i carichi di lavoro previsti durante una gara oppure nel corso di un allenamento intenso. Per finire ci sono i prodotti specifici per riequilibrare, ossigenare e drenare i liquidi in eccesso a seguito dell’attività sportiva.
Ulteriori prodotti sono pensati per il mantenimento dello stato di forma raggiunto attraverso l’allenamento.

Incontro Kratos Eolo-Kometa
Uno degli incontri avvenuti durante il ritiro in Spagna della Eolo-Kometa
Incontro Kratos Eolo-Kometa
Uno degli incontri avvenuti durante il ritiro in Spagna della Eolo-Kometa

Una sana alimentazione

Alla base di ogni prodotto Kratos c’è la ferma convinzione che sia estremamente importante insegnare agli atleti ad alimentarsi in maniera corretta e naturale anche perché l’integrazione non può andare a sostituire una sana alimentazione. Per questo motivo durante il primo ritiro in Spagna della Eolo-Kometa un nutrizionista Kratos ha organizzato una serie di incontri di gruppo con gli atleti per spiegare loro come alimentarsi e come integrarsi correttamente.

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