Preparazione: capitolo immenso e in continua evoluzione. Oggi i professionisti (e non solo più loro) hanno una “scaletta” ben definita: la parte con l’attività alternativa, i due ritiri, il blocco della forza, i lavori specifici, gli strumenti… Ogni cosa è ponderata al dettaglio. Eppure basta andare indietro di 20 anni che le differenze ci sono. E forse proprio in quel momento le cose stavano cambiando, come ci dice Paolo Savoldelli, il quale ci racconta la sua esperienza.
Il bergamasco sapeva graffiare e non solo per le sue due vittorie al Giro d’Italia, ma anche nelle singole tappe e nelle gare di un giorno. Lui stesso, come vedremo, è passato attraverso un cambiamento della sua preparazione.
Paolo, quando riprendevi ad allenarti in vista della stagione successiva?
Se l’obiettivo era il Giro, come accadeva quasi sempre, a novembre ero in sella, cioè un mese dopo, ma anche più, aver chiuso la stagione. Però se si puntava alle classiche bisognava saperlo già prima del termine della stagione, per anticipare il più possibile la chiusura e soprattutto la ripresa, visto che queste gare arrivavano prima. Io ho sempre corso abbastanza presto in ottica Giro e poi sì, facevo anche qualche classica (ha vinto anche un Laigueglia, quello del 1999, ndr). Alla fine la Sanremo mi “capitava” sempre e arrivavo anche davanti, ma non essendo veloce sapevo che non l’avrei vinta.
Quando iniziavi facevi attività alternative o saltavi subito in bici?
Un po’ di palestra la facevo, ma non troppa e con carichi leggeri, altrimenti mettevo su massa. Poi avrei perso troppo tempo per togliere quei chili.
A proposito di chili: ingrassavi molto?
Quei 4-5 chili che ci stanno (va considerato che Savoldelli è alto 1,80, ndr). La svolta avvenne nell’inverno tra il 2001 e il 2002, quando iniziammo ad andare al caldo. In quel modo potevi allenarti di più, spendere meno energie e di conseguenza mangiavi anche meno. Fummo i primi ad andare a cercare quei climi e l’altura: Namibia e Teide. Ferrari (il medico emiliano è stato fra i preparatori più lungimiranti nel ciclismo, ma nel 2012 per le note vicende legate al doping, l’agenzia americana antidoping lo inibì a vita dall’esercizio della professione sportiva, ndr) ci arrivò prima degli altri e lo aveva già fatto con la sua esperienza nell’atletica leggera.
In effetti con temperature maggiori si tende a mangiare meno, poi una volta era anche più freddo. E tu hai sentito subito la differenza?
Sotto ai cinque gradi non migliori la tua condizione in bici. Ogni seduta è poco allenante perché il muscolo è più “pesante”, è troppo duro. Molte volte prendevo la macchina e andavo con Ivan Gotti in Liguria o verso Montecarlo. Lì il clima era più mite anche se si pedalava sempre a bassa quota.
Quindi riprendevi con un po’ di palestra e ore di sella. Quando facevi i lavori specifici?
Dopo un po’ che avevo iniziato. Ai tempi facevamo anche la ruota fissa, che oggi si è persa. Lavori di cadenza e frequenza, anche con la bici normale. Poi a gennaio iniziavano i ritiri e lì si faceva qualcosa di più come chilometri e lavori. Ma con il passare degli anni s’iniziava sempre prima. Anche perché si era visto che se tu arrivavi preparato alle prime corse, allora ti allenavi e queste ti davano benefici. Se invece arrivavi indietro erano solo frustate e fuorigiri che non facevano bene. Gli altri non ti aspettavano mica! Una volta s’iniziava tutti al Laigueglia o al Giro del Mediterraneo, poi le cose iniziarono a cambiare e arrivavi a queste gare con gente che aveva già 15 giorni di corsa nelle gambe.
Oggi vediamo che molti atleti di vertice preferiscono allenarsi e poi puntare a quella determinata gara, qualcuno lo chiama “metodo Contador”: tu eri per questo approccio oppure preferivi correre?
Io avevo bisogno di correre perché quello che ti dà la gara non te lo dà nessun allenamento. Oggi con gli strumenti che ci sono e con tutta la conoscenza che si è accumulato con l’altura si svolge un lavoro ideale, soprattutto per chi punta alle corse a tappe. E così arrivano pronti. Pensiamo solo alle salite. Andavi al Giro che di fatto non avevi mai affrontato scalate di 20 chilometri, ma per tutti era così. Poi sono iniziati i ritiri in quota. Sul Teide potevi fare salite anche di 30 chilometri. Arrivavi al Giro che eri pronto. I primi a capirlo fummo noi. Fu un vantaggio. Poi lo fecero anche gli altri. Le prime volte saltavi dopo 15 chilometri, poi dopo 20, poi 22… ma se al Giro c’era lo Stelvio tu eri pronto.
Pensando alla tua preparazione e a quelle attuali cosa ti colpisce?
Oggi i ragazzi sono tutti molto più magri di noi. Noi non avevamo un dietologo o un nutrizionista. Mangiavamo molta pasta, nessuno sapeva nulla d’intolleranze… oggi tutto è molto più scientifico. E nessun aspetto, anche oltre l’alimentazione, è lasciato al caso. Ogni 5-6 anni cambia tutto. Anche ai miei tempi, ne ho vissuti almeno due di cambiamenti. E più è grande è il motore e più hai bisogno di allenarti.
Perché?
Perché un corridore piccolo e magro non deve fare troppo, altrimenti entra subito in condizione e poi tende a sfinirsi. Uno più grande recupera di più, ha più forza e quindi deve fare di più.
Prima hai accennato agli strumenti. Tu hai usato sia il cardio che il potenziometro, però ti affidavi anche alle sensazioni?
L’Srm arrivò nel 2000 e fu una svolta. Ha fatto capire a tutti che con i rapporti più agili si sviluppavano più watt. Restai colpito quando feci le Sfr e avevo watt più bassi di quando andavo agile in salita a 90 rpm. Indurain lo ha capito prima degli altri, Armstrong ne è stato il più grande interprete. Avevo anche il cardio, ma questo era più altalenante. Ricordo che un giorno feci una salita nelle vicinanze di casa. Salivo a 400 watt con 175-178 battiti, un bel lavoro. Il giorno dopo feci la stessa salita, sempre a 400 watt ma avevo 155 pulsazioni. Se fossi andato dietro al cardio avrei sbagliato allenamento. Poi è chiaro che le sensazioni erano e sono importanti e che il corridore deve conoscersi e saperle interpretare.
E con l’abbigliamento? Oggi ci sono capi tecnologici. Come ti vestivi?
I capi erano migliorati molto già ai miei tempi, soprattutto sul fronte del freddo. Ma per me la vera differenza oggi si è fatta con quelli estivi: quelli sì che sono leggeri, traspiranti, comodi. Come mi vestivo? A strati. Indossavo i gambali e i copriscarpa. E sopra non indossavo la termica perché il sudore mi si appiccicava addosso e sarebbe stato un problema per la discesa. Usavo una maglia intima pesante e sopra una più leggera, quindi manicotti e uno smanicato in Gore-Tex. In questo modo ero in grado di spogliarmi in salita in vista della discesa, per la quale avevo una mantellina a maniche lunghe.
Con quanti chilometri arrivavi alla prima corsa?
Non ricordo di preciso, ma se iniziavo il 10-11 febbraio credo 5.000-6.000 chilometri ce li avevo. A cambiare davvero le cose, a dare un impulso forte, fu Pierino Gavazzi. A fine carriera non vinceva più, faceva tanta fatica. Aveva la Sanremo in mente e così un anno decise di non fermarsi dopo il finale di stagione. Nelle prime gare dell’anno andò fortissimo. Questo per me ha inciso moltissimo.