Wout sfinito? Viaggio tra i preparatori per studiare il suo stacco

06.10.2021
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«Ho bisogno di tre settimane di stacco». Wout Van Aert ha apertamente reclamato il suo riposo al termine della classica delle pietre. L’asso belga tra il mondiale e la Roubaix è sembrato stanco. O quantomeno non brillantissimo.

Anche un fenomeno quindi ha bisogno di riposo? E cosa succede a non fermarsi mai e a tirare costantemente la carretta? E con il ciclocross che lo aspetta come farà? Quanto è importante riposarsi? Tutte queste domande le abbiamo poste a quattro preparatori, anche di generazioni differenti, del panorama italiano ma dal richiamo internazionale: Paolo Slongo, Michele Bartoli, Pino Toni e Paolo Artuso.

Secondo Slongo, Van Aert ha toccato l’ultimo picco di forma durante la crono iridata
Secondo Slongo, Van Aert ha toccato l’ultimo picco di forma durante la crono iridata

Slongo: il picco contro Ganna

«E’ fondamentale staccare e recuperare – dice il preparatore della Trek Segafredo – Van Aert, per parlare del caso specifico, era uscito dal Tour, ha puntato poi alle Olimpiadi e al mondiale… quindi dopo questo lungo tour de force è giusto che stacchi tre settimane. Ma anche quattro direi. Ci stanno tutte.

«Se stacchi in stagione, può andare bene anche una settimana, ma d’inverno no. Poi lui ha il cross. Riprenderà soffrendo nelle prime corse e visto che il mondiale sarà a fine gennaio, sarà pronto per quel periodo, quindi se si ferma subito è in tabella per farsi trovare pronto. E poi bisogna vedere come stacchi. Stare fermo, fermo è una cosa, se invece si va a camminare, nuotare o in Mtb… è tutt’altra. 

«Van Aert non si ferma mai? Ma alla lunga tutto ciò logora. Logora chiunque, anche un campione come lui. Se tu programmi bene i tuoi impegni puoi fare tutto, ma se non stacchi mai e sei sempre sul pezzo alla fine salti. E soprattutto ti accorci la vita come atleta. Non credo che lui sia andato in overtraining, ma che sia in calando di forma sì. Per me il picco lo ha raggiunto nella crono iridata. Per stare a pochissimi secondi da Ganna ha sviluppato wattaggi enormi. Ha provato a dare il tutto e per tutto, ma da lì in poi il calo è stato evidente».

Durante la Roubaix Van Aert si è fatto trovare spesso dietro: un chiaro segno di scarsa lucidità per un atleta del suo calibro
Durante la Roubaix Van Aert si è fatto trovare spesso dietro: un chiaro segno di scarsa lucidità per un atleta del suo calibro

Toni: staccherà di meno

«Stacco tre settimane: queste parole dette dopo una Roubaix ci stanno – dice Toni – Una gara del genere ti resta addosso per giorni. Pensiamo solo alle mani. Per un po’ neanche riesci ad appoggiarti al manubrio. Io per esempio temevo per le donne, invece la Bastianelli ne è uscita alla grande.

«L’entità dello stacco dipende anche da che atleta si ha di fronte. C’è chi corre e chi rincorre (o deve lavorare per altri) e non tutti fanno la stessa fatica. Quindi si arriva in certi momenti della stagione con un livello di fatica differente. Poi un campione come lui in teoria ha un’altra capacità di recupero ed ha necessità di staccare meno».

«Lo stacco è importantissimo, ma sinceramente tre settimane mi sembrano tante. Con dieci giorni un atleta del genere torna come nuovo. Se pensiamo che dopo un Tour con 5-6 giorni di riposo vanno fortissimo e vincono le Olimpiadi… Bisognerebbe avere il calendario alla mano per sapere le sue gare. Ci sono due tipi di stop: quello nel bel mezzo della stagione e quello alla fine, in cui è importante staccare anche di testa. Anche perché, non dimentichiamolo, lui ogni volta ha corso per vincere e questo conta tanto». 

Al Tour de France il belga ha spinto forte: ha vinto in salita, in volata e a crono
Al Tour de France il belga ha spinto forte: ha vinto in salita, in volata e a crono

Artuso: tanti “sforzoni” al Tour

«Una gara come la Roubaix la senti anche per dieci giorni a livello muscolare – spiega Artuso – magari sul piano metabolico la smaltisci in un giorno o due come un tappone, ma su quello fisico i piccoli danni muscolari che vai a creare non sono pochi, quindi ci sta che fosse molto stanco in quel momento.

«Per dire se 3-4 settimane sia tanto o poco bisognerebbe conoscere i suoi impegni a venire. Di certo lui è a tutta da tanto tempo: la primavera, il Tour, le Olimpiadi, il mondiale… e non ha mai corso al risparmio. Anche al Tour, dopo il ritiro di Roglic soprattutto, la squadra ha corso in modo diverso ed è stato chiamato a dei super “sforzoni”. La fatica si è accumulata nei mesi e la Roubaix è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Non so che carichi di lavoro abbia fatto: sarebbe interessante per capire.

«Ci sono due tipi di stacco: quello nella stagione, che serve per assimilare il lavoro fatto (over reaching). E poi c’è quello più profondo, in cui devi perdere la condizione per ritrovare poi altri picchi. E quest’ultimo è importante per ristabilirsi anche a livello ematico e mentale».

Van Aert (27 anni) da sempre alterna il ciclocross e la strada
Van Aert (27 anni) da sempre alterna il ciclocross e la strada

Bartoli: deve scegliere

E partendo da quest’ultima frase ci si può collegare a Michele Bartoli, per il quale ripristinare le scorte è fondamentale.

«Vero, Van Aert era stanco e secondo me anno dopo anno si troverà sempre più in difficoltà – dice secco l’ex grande corridore toscano – e come lui anche Van der Poel. Sono due campioni, ma sono due umani, non due macchine e le energie fisiche non sono infinite. Se pensate che io dico ai miei atleti, che non fanno il cross, di staccare 3-4 settimane, figuriamoci lui. Dico ai miei ragazzi di non pensare di essere ciclisti in quel periodo. Certo, un po’ di vita la devono fare, ma devono staccare soprattutto a livello mentale. Se ne dovrebbero andare ai tropici!

«Per Van Aert che ha il cross, staccare è più difficile. Io non credo che lui starà tre settimane senza bici, altrimenti comprometterebbe la sua stagione del ciclocross. Potrebbe aver detto quella frase sulla base di uno sconforto momentaneo».

«Avesse 34 anni okay: fai 2-3 anni a tutta, cross e strada, e via… ma è ancora giovane. Cosa succede a non staccare? Che non reintegri mai le riserve della stagione precedente. Chi non riposa bene recupera al 99%. Se ogni anno togli l’1% al tuo motore dopo dieci anni hai perso il 10%. E per ripristinare le scorte e azzerare le fatiche fisiche e mentali c’è solo una cosa: il riposo. Altro che corsa, Mtb, piscina… a cosa serve fare queste cose ai fini della prestazione di tanti mesi più in là per atleti di questo livello? Non si riposano bene e basta. Se Wout dovrà scegliere? Glielo auguro presto. Ho sempre detto che mi piace più di tutti e non vorrei perdesse la sua supremazia».

Slongo, che cosa ti sembra dei lavori di Martinez?

16.09.2021
4 min
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Letto come si allena Lenny Martinez, abbiamo sottolineato alcuni passaggi che più di altri ci hanno colpito e ci siamo rivolti a Paolo Slongo. Il veneto, che oggi è uno degli allenatori della Trek-Segafredo, ha lavorato per anni nella nazionale juniores e ha chiaro il lavoro che si chiede oggi a uno junior di alto livello.

«Quando correvo io e negli anni dopo – dice – come volumi non si faceva poi tanto di meno. Su quello che fa non c’è tanta differenza rispetto agli italiani. Però avere le tabelle dei dietologi, oppure l’uso del potenziometro, le ripetute che fa… Fa già lavori che fanno i professionisti. E questo forse è la prima anomalia».

Prima corsa del 2021 a marzo nel Gp Saint Etienne per Martinez, in Coppa di Francia (foto Instagram)
Prima corsa del 2021 a marzo nel Gp Saint Etienne per Martinez, in Coppa di Francia (foto Instagram)
E’ sbagliato?

Non in sé, oppure fisiologicamente, però bisogna essere consapevoli che così si bruciano le tappe. Secondo me il nocciolo della questione è questo. Anche la Francia nel professionismo ha buoni corridori come noi, ma nessuno che vince un grande Giro. Come mai? Io non voglio più lavorare con allievi e juniores, perché se gli dico che devono divertirsi senza magari guardare i chili in più, se gli dico che va bene sbagliare, mi guardano male. La categoria secondo me deve tornare quella che era. Cioè per andare avanti quasi bisogna tornare indietro alle vecchie abitudini.

Cosa pensi del fatto che Martinez usi rapporti più lunghi? Ha senso tenere quella regola?

Alcuni studi dicono che comunque già da allievo puoi lavorare sulla forza senza danneggiare lo sviluppo. Cioè possono comunque allenarla, ma anche in questo io vorrei tornare alla scuola vecchia, per cui a quell’età si devono curare più le abilità che le prestazioni.

In che senso?

Faccio sempre l’esempio di Ivan Basso, che da professionista magari non era un drago in discesa, perché magari quando aveva 15 anni non ha lavorato abbastanza su questo. Faccio anche l’esempio di Sagan, che per il freddo faceva ciclocross o mountain bike. Sono cose che da giovani si imparano meglio, perché non hai la componente paura e ti viene tutto automatico. E poi ci sarebbe da parlare delle dotazioni.

Paolo Slongo è stato il preparatore di Nibali di tutta la carriera, dalla Liquigas all’Astana, dal Bahrain alla Trek Segafredo
Paolo Slongo è stato il preparatore di Nibali di tutta la carriera, dalla Liquigas all’Astana, dal Bahrain alla Trek Segafredo
Cioè?

Sempre quando correva la mia generazione, c’era la regola per cui ti davano ruote con 36 o 32 raggi e basso profilo. Adesso invece l’allievo ha le stesse ruote di Nibali, quindi non c’è una progressione di miglioramento. In più il discorso delle ruote anche per noi era soprattutto per non creare differenze fra classi sociali diverse, così il figlio del contadino aveva le stesse ruote del figlio dell’industriale. Leggo i vostri articoli, per ritrovare i talenti bisogna ritornare alla multidisciplina e al mettere i piedi per terra

Cosa pensi dei 170 chilometri in allenamento?

Sono un po’ tanti, come sono tante le 4-5 ore. Anche i 177 chilometri in gara forse li ha fatti partecipando con la nazionale a qualche corsa di under 23 se in Francia gli danno questa possibilità. Ma più che le distanze, mi concentrerei sugli strumenti e il tipo di lavori.

Che tolgono margini?

Margini e stimoli, che tolgono importanza alla gavetta. Se da allievo corri con il Chorus, sogno di diventare dilettante o professionista per avere il Record.

Sul podio di Ortonovo, Martinez con il trofeo di vincitore del Giro della Lunigiana
Sul podio di Ortonovo, Martinez con il trofeo di vincitore del Giro della Lunigiana
La sensazione è che si ragioni per averli professionisti a 20 anni. 

Magari ci sarà un ciclismo in cui ottieni tutto entro i 25 anni e poi smetti. Come Pogacar, che ha raggiunto risultati che un tempo avremmo detto impossibili. Magari il nuovo orizzonte sarà pieno di corridori che fanno 6-7 anni ad alto livello e poi mollano. E tutto sommato il vero nodo è proprio questo. Che cosa si chiede a questi ragazzi e dove vogliamo portarli.

Slongo, il dietro motore e qualcosa da sapere

11.09.2021
5 min
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Il dietro motore sta diventando sempre più importante nelle preparazioni attuali. Spesso si vedono corridori gareggiare molto poco, ma essere competitivi e brillanti già alla prima corsa del loro rientro. A volte sono addirittura vincenti. Roglic ne è forse l’esempio migliore. Ma non è il solo…

Paolo Slongo, preparatore attualmente in forza alla Trek-Segafredo, che di questo particolare allenamento è un grande esperto può dirci molto. Lui ci ha costruito molti dei successi di Vincenzo Nibali. Il suo scooter rosso è quasi una leggenda. Lui davanti e lo Squalo a ruota. 

I dati di un computerino fissati sullo scooter del preparatore (screenshot da video, Slongo)
I dati di un computerino fissati sullo scooter del preparatore (screenshot da video, Slongo)

L’efficacia del dietro motore

«Il dietro motore con la motocicletta o comunque con lo scooter è molto efficace – dice Slongo – Simula, se non sostituisce, la gara e il ritmo gara. Perché tu puoi anche fare i tuoi bei lavori a soglia e magari anche oltre, ma li fai a velocità più basse. Al medio-soglia magari vai a 40 all’ora, con il dietro motore vai a 55. Su una salita vai a 18, dietro moto vai a 22. Questo instaura una sorta di “gara” dell’atleta con lo scooter. Il corridore è più stimolato e fa il vero ritmo gara».

E, aggiungiamo noi, pedala anche in modo differente. Cambia la cadenza o comunque spinge un rapporto più duro e cambia anche un po’ la posizione. Queste piccole differenze vanno ad incidere anche sul piano neuromuscolare, le stesse differenze che poi si riscontrano in gara.

Malucelli impegnato in una sessione di dietro motore a fine allenamento
Malucelli impegnato in una sessione di dietro motore a fine allenamento

La simulazione di gara…

Ma quanti tipi di dietro motore ci sono? Sostanzialmente, Slongo ne conta tre: la simulazione della gara, “l’accompagnamento” a fine distanza e lo scioglimento. Ma è certo il primo quello più importante.

«Atleti ben strutturati ed esperti possono fare delle simulazioni gara anche due volte a settimana. Poi ognuno si prepara per il suo settore: chi per la crono, chi per le volate, chi per la salita. Per esempio, chi deve preparare una volata, viene portato alle velocità che di solito si raggiungono per lo sprint e poi il corridore esce di scia per fare la volata. Il cronoman farà le sue sedute con la bici da crono a ritmi elevati. E poi c’è il lavoro per la salita. Generalmente si fanno salite lunghe di 10-12 chilometri. Possono essere fatte: in modo regolare, con qualche lavoro specifico, a ritmo gara o con degli scatti che simulano degli attacchi… ».

Chris Froome, Domenico Pozzovivo, Zoncolan, Giro d'italia 2018
Le frullate di Froome hanno messo in difficoltà anche molti scalatori puri, avere quel ritmo era un’impresa
Chris Froome, Domenico Pozzovivo, Zoncolan, Giro d'italia 2018
Le frullate di Froome hanno messo in difficoltà anche molti scalatori puri, avere quel ritmo era un’impresa

Seguendo Froome e Contador

«Per esempio, noi riproducevamo gli attacchi di Froome. Con la telemetria era relativamente facile. In quegli anni Contador, Froome… avevano un loro modo di attaccare che era più o meno sempre lo stesso. Quindi io tra video, cronometro e dati dei corridori riuscivo a capire come attaccavano (intensità e durata). Avendo sullo scooter un altro computerino vedevo perfettamente i dati dell’atleta e così potevo “tirargli il collo”».

«Anche se si simulavano delle gare, la mia accelerazione non era del tutto a sorpresa perché Sky a quei tempi aveva una specie di copione per i suoi attacchi. Oggi un Pogacar è meno prevedibile e si guardano più i watt/chilo. Io avevo il mio cronometro e rispettavo i “tempi Sky” per lo scatto. Per esempio Froome faceva 20”-30” molto forti, con alte cadenze, poi “mollava” per un minuto e ripartiva… fin quando non restava solo e si metteva a velocità di crociera. Contador faceva 30” in piedi con un rapporto molto lungo e poi si sedeva per un minuto e mezzo circa. E i suoi affondi duravano per 10′-12′. Quindi cercavo di rispettare queste tempistiche. In questo caso è la moto che comanda e il corridore deve seguire. Se vedevo che i battiti di Vincenzo non erano scesi a dovere in quel lasso di tempo tra un’accelerazione e un’altra io davo gas lo stesso. Poi bisognava anche capire quando si poteva forzare la mano e quando no. Serviva una certa sensibilità».

Il Giro sul Pordoi. Slongo tendeva a simulare la gara su questo valico ad oltre 2.200 metri di quota
Il Giro sul Pordoi. Slongo tendeva a simulare la gara su questo valico ad oltre 2.200 metri di quota

Quella volta sul Pordoi

Per farci capire ancora meglio, Slongo racconta un aneddoto vissuto negli anni d’oro dell’Astana, quando c’era ancora Michele Scarponi.

«Scedevamo dal San Pellegrino e andavamo verso il Pordoi. Lì iniziavo con lo scooter la salita in progressione fino ad arrivare all’ultimo chilometro che si era al massimo. Fino ai 2.000 metri guardavo soprattutto i watt, oltre mi concentravo sulle frequenze cardiache. Si arrivava in vista del finale che magari Scarponi scattava, Nibali rispondeva, rilanciava e poi si “fermava”. Io, che con lo Scooter continuavo regolare, li riprendevo e loro si mettevano di nuovo a ruota e di nuovo a scattare. La stessa cosa la fecero Vincenzo e Caruso sul Teide.

«Quando vedi certi campioni fare certe performance, sei davvero soddisfatto anche te. Sai che hanno lavorato bene».

Gli azzurri a ruota della macchina. Questa tipologia di dietro motore però non è molto allenante secondo Slongo
Gli azzurri a ruota della macchina. Questa tipologia di dietro motore però non è molto allenante secondo Slongo

E dietro la macchina?

Ma c’è poi il dietro motore anche per sciogliersi. Questo viene fatto a volte anche stando dietro macchina. Tuttavia si fa un po’ perché per non intralciare il traffico e un po’ perché è davvero poco allenante, per non dire nullo.

«Non si riesce neanche a rispettare una cadenza regolare – spiega Slongo – Devi smettere di pedalare altrimenti vai addosso alla macchina. Bisogna considerare che dietro macchina praticamente non si lavora, mentre dietro scooter è come essere a ruota di 10-15 corridori. Fare dietro macchina è quasi più un qualcosa di psicologico, un “massaggio naturale”. I battiti sono bassissimi. E’ uno scarico totale.

«Ed è un dietro motore non troppo impegnativo anche quello che si fa a fine distanza: un po’ per fare del ritmo, un po’ per far “passare prima i chilometri”. Nell’ultima ora ci si mette a ruota dello scooter ad un ritmo regolare, ma buono».

Bisogno di riposo? Caruso si goda pure il suo mese di stop

31.08.2021
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Questa idea di Damiano Caruso di prendersi un mese di stop a ottobre è stata meravigliosamente destabilizzante. Guidone Bontempi ad esempio ha storto il naso. Il ciclismo vive di pratiche consolidate, che vanno dalle gambe in alto dopo la corsa al fatto che con il passare degli anni serva aumentare la quantità di allenamento per tenere testa ai più giovani. Così se un corridore di vertice di colpo cambia direzione, il sistema vacilla. Anche se il sistema, ad esempio non tiene conto che il corridore in questione viva a Ragusa. E anche questa è un’eccezione cruciale e inedita.

Ne parliamo con Paolo Slongo, oggi tecnico della Trek-Segafredo, che ha lavorato con Caruso negli anni alla Liquigas e seppure non ne conosca gli ultimi sviluppi, può inquadrare il discorso e riferirlo anche a un altro illustre… anziano del nostro ciclismo. Quel Vincenzo Nibali che ha preparato per le vittorie più belle.

Slongo ha lavorato con Caruso a partire dal 2011 alla Liquigas
Slongo ha lavorato con Caruso a partire dal 2011 alla Liquigas
Uno stop di quattro settimane…

Bisogna conoscere la storia del corridore. Sapere se si tratti di un cambiamento dell’ultima ora o di un’abitudine consolidata. E’ normale che per la testa un lungo stacco dopo una stagione intensa come quella di Damiano sia una necessità, ma io non andrei oltre le tre settimane.

Perché?

Perché poi serve più tempo per ricostruire. Ma c’è da capire che cosa si intenda con stacco. Se nelle quattro settimane capita il giro in mountain bike oppure la camminata o la palestra, ecco che non si tratta di un vero stacco e in qualche modo il corpo resta attivo. Tante volte un corridore abituato a fare una media di 4 ore al giorno, dice che non fa niente, perché il giretto di un’ora per lui è obiettivamente poca cosa. E poi comunque dipende dai programmi della squadra.

Damiano Caruso, funghi, inverno, Monti Iblei
Andare a funghi è uno dei passatempo di Damiano quando è a casa. E si tratta pur sempre di camminare per ore nei boschi, altro che stop
Damiano Caruso, funghi, inverno, Monti Iblei
Andare a funghi è uno dei passatempo di Damiano quando è a casa. E si tratta pur sempre di camminare per ore nei boschi
Quando lo vogliono competitivo, insomma.

Esatto. Se devi andare in Australia e poi vuoi lottare per le classiche, quattro settimane a ottobre le recuperi difficilmente. Ma se l’obiettivo è il Giro d’Italia, allora hai tutto il tempo.

Damiano ha parlato del fatto che il vero segreto per la ripresa a novembre sia il clima di Ragusa.

E ha ragione, mentre ci sono corridori che per trovare un meteo favorevole devono partire per la Spagna. Il clima della Sicilia lo aiuta in maniera considerevole, senza fargli perdere troppi giorni di allenamento. E se puoi lavorare bene a novembre, dicembre e gennaio, ecco che la preparazione segue un binario ottimale.

Caruso arrivò alla Liquigas nel 2011 dopo due anni alla Lpr
Caruso arrivò alla Liquigas nel 2011 dopo due anni alla Lpr
Quindi si può sfatare il luogo comune sui lunghi stop?

Più che altro sono dell’idea che non abbia senso e sia anche improponibile che con il passare degli anni si debbano aumentare le ore di lavoro. Ho un archivio storico di tutti i miei atleti e si vede bene come in un monte di 80 ore mensili, con il passare degli anni vada cambiando la suddivisione dei lavori. Non puoi aumentare la quantità, rischi di passare 24 ore al giorno in sella. La qualità ti permette di fare la differenza. La progressione non fa male, però bisogna misurarla avendo tutti i dati alla mano. Prendiamo Nibali…

Prendiamolo.

Vincenzo ha lavorato tanto, ma ha margini. Può aumentare i volumi all’interno dello stesso monte di ore, perché non è arrivato a fare il massimo. Questa gestione gli ha reso la vita più lunga e lavorando nel modo giusto può essere ancora competitivo. Magari non per vincere un Giro, ma per essere più brillante.

Quindi Caruso non ha commesso eresia?

Se lui è convinto e se la squadra gli fa il programma giusto, che si goda pure il suo ottobre di stacco. La testa in certi casi è più importante delle gambe.

Slongo e i giorni olimpici di Elisa: dal Giro alla crono di domani

27.07.2021
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Paolo Slongo mette a segno un altro colpo. Dopo i tanti trionfi con Nibali, a Tokyo arriva il bronzo con Elisa Longo Borghini e, incrociamo le dita, potrebbe non essere finita. Eppure la piemontese era uscita da un Giro Donne non troppo positivo, ma nel finale della gara olimpica ha mostrato il colpo di pedale dei giorni migliori.

La medaglia di bronzo della Longo Borghini
La medaglia di bronzo della Longo Borghini

Doppia uscita “anti-sonno”

Ma come è stata la metamorfosi della Longo Borghini dalla corsa rosa a quella olimpica? A spiegarcelo è proprio Slongo, preparatore della Trek-Segafredo, che ha continuato a seguire Elisa anche a distanza, con una preparazione minuziosa, fatta di dettagli e accortezze al “millimetro”.

«La gara nel finale si è messa meglio di come era stata. Ed Elisa è stata brava a raccogliere quel bel risultato. Un medaglia olimpica, ragazzi…», dice con commozione Slongo.

«Siamo partiti per il Giro Donne vedendo come si metteva. Dopo la seconda tappa abbiamo capito che non si sarebbe potuto lottare per la classifica e così abbiamo provato a fare del lavoro per le Olimpiadi, specie nelle due fughe in cui è entrata. In quelle occasioni Elisa ha accumulato tanta fatica che gli è servita.

«Quando è tornata a casa ha staccato un po’, soprattutto di testa. In bici è uscita sempre. Faceva dalle due alle tre ore a sensazione. Niente lavori. Poi il 17 è partita e il 18 è arrivata a Tokyo. Quei due giorni sono stati di “riposo” totale. Dal 19 ha ripreso a pedalare. Per farla adattare al fuso orario le facevo fare la doppia uscita. Ma la seconda era davvero una passeggiata. Più che altro non doveva stare in camera, altrimenti il sonno prima o poi ti prendeva. Doveva riuscire subito “a prendere la notte”, superando il problema del fuso orario».

Gli azzurri del ciclismo non alloggiano nel villaggio olimpico, ma fuori Tokyo. Tuttavia meglio non stare troppo in camera per smaltire il fuso
Gli azzurri del ciclismo non alloggiano nel villaggio olimpico, ma fuori Tokyo. Tuttavia meglio non stare troppo in camera per smaltire il fuso

Sensazioni a confronto

La Longo Borghini in Giappone faceva quindi due ore la mattina e un’oretta e mezza al pomeriggio. Al mattino faceva un po’ meno proprio perché sapeva che sarebbe riuscita.

«Nei primi due giorni a Tokyo ha solo pedalato. Poi ha iniziato ad inserire dei piccoli lavoretti: Sfr, lavoro intermittente come per esempio 2×5′ facendo 20”-40”… un qualcosa che simulasse la gara. E anche il giorno prima della corsa ha fatto un paio di medi. Meglio partire un po’ “stanca” e non con il cuore che sale troppo velocemente. Cosa che poteva essere fuorviante». 

La gare (strada e crono) si avvicinano e la tensione sale. Elisa ha determinate sensazioni, che sono diverse da quelle dei dati che invia a Slongo.

«Lei diceva di non sentirsi super, ma io vedevo che reagiva bene. Abbiamo analizzato la gara ieri e chiaramente i dati sono legati allo strano andamento tattico che si è visto. Se la polacca in fuga non si fosse staccata le olandesi non si sarebbero svegliate e addio medaglie. Addio anche per Elisa.

«Invece sull’attacco ho visto che andava. Non erano i suoi migliori valori assoluti, ma con quel clima e quella temperatura si livellano molto. I valori vanno contestualizzati. Faccio un esempio. Un corridore ha 400 watt alla soglia, ma se dopo tre settimane scala il Ventoux con il caldo e ne fa 370 non vuol dire che è andato piano».

Elisa nella crono del Giro del Giro d’Italia Donne
Elisa nella crono del Giro del Giro d’Italia Donne

Verso la crono di domani

Slongo ha ripetuto con Elisa Longo Borghini quel che riuscì a fare a Rio 2016 con Nibali: vale a dire arrivare al meglio nel giorno X.

«Il Gap di Elisa rispetto al Giro si è livellato parecchio. E infatti chi ne aveva di più nel finale erano proprio Elisa e la Van Vleuten. Anche per questo sono speranzoso per la crono. Dati alla mano, analizzando anche le altre, stimiamo possa arrivare tra il 5° e 8° posto, ma appunto vedendo come è andata su strada…

«Il percorso della crono è abbastanza duro, ma meglio così che tutto piatto. E’ un po’ meno per specialiste. Le olandesi sono di nuovo le favorite, ma occhio anche alle americane».

In questi giorni giapponesi, la Longo Borghini ha già usato la bici da crono. Lo ha fatto anche in qualcuna delle uscite pomeridiane.

«E lo stesso ha fatto dopo il giorno in cui ha fatto la distanza. Dopo la prova in linea ha usato soprattutto la bici da crono ovviamente per trovare il giusto feeling. Trek ha fornito le bici nuove prima del Giro. Elisa ha svolto dei test in pista. Avevano cambiato il manubrio. Adesso è un po’ più lunga. Se prima i gomiti erano a 90°, ora l’angolo è un po’ più aperto. Ma per il resto le misure sono quelle del Giro Donne».

Riscaldamento Dorelan

Il riscaldamento pre gara? Non è sempre utile

15.05.2021
2 min
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Come per il defaticamento, anche il riscaldamento è un concetto che nel ciclismo contemporaneo sta prendendo sempre più piede. E come per il defaticamento, anche in questo caso non tutte le tappe necessitano di un lavoro preventivo, come spiega il preparatore della Trek-Segafredo Paolo Slongo: «Nelle tappe di pianura, quelle che hanno una prima parte filante e senza difficoltà non c’è riscaldamento perché sono gli stessi chilometri iniziali che servono a sciogliere le gambe».

L’andatura per così dire turistica ha un senso in questa veste?

Sì, anzi dirò di più: normalmente gli organizzatori predispongono i primi chilometri ad andatura controllata, per passare nel centro città e già quel tratto serve al bisogno dei corridori, che sono così pronti quando viene dato il via effettivo. Nelle tappe più complicate la situazione è naturalmente diversa.

Come si agisce in quei casi?

Quando è prevista una cronometro, oppure c’è una salita già nelle primissime fasi, i corridori arrivano prima alla partenza e fanno 15-20 minuti di riscaldamento sui rulli o ciclomulini. Se si tratta di salita, sarà un allenamento blando, solo per sciogliere i muscoli, per le cronometro si lavora 25 minuti con ripetute fino alla soglia o anche oltre, con volatine di 5-10 secondi. In quel caso controlliamo anche la frequenza cardiaca e il wattaggio, che ci dice quanto il corridore ha un residuo di stanchezza dei giorni precedenti.

Slongo Nibali Dorelan
Slongo e Nibali in un’immagine di Archivio: il siciliano ha sempre avuto bisogno di un riscaldamento breve
Slongo Nibali Dorelan
Foto di archivio, Slongo e Nibali: il siciliano non fa mai grandi riscaldamenti
Gli allenamenti sono uguali per tutti?

Di massima sì, ma a decidere sono gli allenatori personali. Le variazioni sono minime, possono cambiare qualcosa anche in base all’età dei corridori, a sue abitudini acquisite nel corso degli anni.

Il riscaldamento in altre specialità di resistenza come ad esempio l’atletica è acquisito da sempre, come mai nel ciclismo se ne parla sono in epoca recente?

Il riscaldamento si è sempre fatto, come detto sfruttando le parti iniziali di gara. Il parallelismo con atletica vale soprattutto per le cronometro, dove lo sforzo è massimale sin dall’inizio e comporta anche un innalzamento della temperatura, che per il corridore alla partenza raggiunge anche i 37,5°.

Nibali ad esempio come si regola?

Solitamente non si è mai scaldato tantissimo, quel che bastava per essere pronto al via delle crono. Altri facevano molto più lavoro sui rulli, Vincenzo ha sempre avuto bisogno solo di qualche minuto per sciogliere la muscolatura.

Le cadute di Nibali e dei suoi avversari. Quale bilancio?

18.04.2021
7 min
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Quante cadute nella carriera di Nibali. Alcune lo hanno coinvolto in prima persona e altre lo hanno riguardato in quanto legate ai suoi avversari. Quella di pochi giorni fa è l’ultima di una lunga serie. Lo Squalo, già operato, dopo la scivolata in allenamento che gli è costata la frattura composta del radio del polso destro, ha una placca che gli consentirà di pedalare sui rulli a breve, ma certo pensando all’imminente Giro d’Italia perde non poco.

Tirreno Adriatico 2021
Vincenzo Nibali (36 anni) è alla sua 17ª stagione da professionista
Tirreno Adriatico 2021
Vincenzo Nibali (36 anni) è alla sua 17ª stagione da professionista

A favore e contro

Facciamo un breve preambolo. Spesso si è detto che Nibali abbia ottenuto le sue vittorie in virtù delle cadute di avversari importanti. 

Si è sentito dire: «Ha vinto il Tour perché si sono ritirati Froome, prima, e Contador, poi». «Ha vinto il Giro del 2016 perché Kruijswijk si è schiantato addosso ad un muro di neve scendendo dal Colle dell’Agnello». E fu additato persino per il Giro (dominato) del 2013: «Lo ha conquistato perché Wiggins si è fermato». Di fronte a queste frasi, che certamente indicano fatti reali ma non concreti ai fini della corsa, urge fare un’analisi.

Sulle strade italiane Wiggins si è trovato spesso ad inseguire
Sulle strade italiane Wiggins si è trovato spesso ad inseguire

Wiggins già staccato

Partiamo proprio dall’ultima frase. Wiggins in quel Giro d’Italia alzò bandiera bianca dopo 12 tappe, alla 13ª non partì in seguito alla caduta verso Treviso. Ma va detto che quando Sir Bradley se ne tornò in Inghilterra aveva già 2’05” di ritardo proprio dallo Squalo, in maglia rosa. Ma che le cose per lui non girassero nel modo giusto si era capito anche prima, nella crono di Saltara (8ª tappa) quando avrebbe dovuto spaccare il mondo, invece arrivò secondo dietro Dowsett e con appena 10″ di vantaggio su Nibali. Forse la caduta fu un pretesto…

Nella tappa del pavè abilità di Nibali (in giallo) nello schivare le cadute
Nella tappa del pavè abilità di Nibali (in giallo) nello schivare le cadute

Tour 2014, era già primo

Tour de France 2014. Saper correre in bici, districarsi sul pavè, stare davanti fa parte del ciclismo. Nibali e la sua Astana avevano preparato al meglio la temibile tappa con i settori in pavè della Roubaix. Certo, tutto deve andare bene, ma spesso la fortuna aiuta gli audaci, in questo caso i più freschi e lucidi. Inoltre, cosa da non trascurare, lo Squalo era già in giallo quel giorno in quanto aveva vinto la seconda tappa.

E Contador? Lo spagnolo cadde nel giorno della Planche de Belle Fille. In una discesa, tra pioggia e nebbia, battè schiena e ginocchio, salvo poi scoprire che era la sua tibia ad aver fatto “crack”. L’Astana dello Squalo rallentò persino il ritmo pur di verificare le condizioni di Alberto. Ma poi dovette andare.

In quelle tre settimane Nibali volò letteralmente. Vinse tre tappe e si presentò a Parigi con 7’37” sul secondo, Jean Cristophe Peraud.

Kruijswijk, finì addosso ad un muro di neve scendendo dall’Agnello al Giro 2016
Kruijswijk, finì addosso ad un muro di neve scendendo dall’Agnello al Giro 2016

L’olandese e l’Agnello

Giro 2016. Uno dei più drammatici. Il siciliano non ingranava. L’olandese Kruijswijk invece tappa dopo tappa faceva la formichina e guadagnava terreno. A tre tappe dal termine vantava un qualcosa come 4’43” su Nibali. Il corridore della Nl-Jumbo però aveva smesso di essere il più brillante come nelle frazioni precedenti, inoltre non avendo una grande squadra aveva speso molto.

L’esatto opposto di Vincenzo. Le sue gambe tornarono forti proprio sul versante in salita dell’Agnello. A volte ad un campione basta poco per prendere fiducia e poter tornare a disporre di tutti i suoi cavalli. Mettiamoci poi che aveva anche una super squadra ed ecco che l’impresa si realizzò il giorno dopo verso Sant’Anna di Vinadio. Nibali sesto, rifilò oltre un minuto all’olandese e prese la maglia rosa a 24 ore dal termine del Giro.

All’ospedale di Bergamo con Tiralongo dopo la caduta al Lombardia del 2013
All’ospedale di Bergamo con Tiralongo dopo la caduta al Lombardia del 2013

I “regali” di Nibali

Finita? Neanche per sogno! Perché se queste sono le “fortune” di Nibali, vogliamo parlare delle sfortune? “Giriamo la frittata”: quante volte gli avversari “hanno vinto perché Nibali è caduto”?

Mondiali di Firenze 2013 (foto in apertura). Nibali ha sulle spalle pressioni enormi, eppure nel finale è lì a giocarsi la corsa con gli altri favoriti. Solo che lui nella prima parte di gara era caduto. Era stato costretto a recuperare, sprecando energie preziose e a correre tutta la gara con evidenti segni e dolori. Quello sforzo presentò il conto nel finale e si dovette accontentare del quarto posto.

Qualche giorno dopo sempre per caduta, fu costretto a lasciare il Giro di Lombardia quando era davanti con i migliori. E un qualcosa di simile, ma senza ritiro, avvenne nella Liegi del 2015 quando fu costretto a rincorrere sulla Redoute.

Nibali fermo sul ciglio della strada a Rio 2016 (screenshot a video, foto indisponibili)
Nibali fermo sul ciglio della strada a Rio 2016 (screenshot a video, foto indisponibili)

La beffa olimpica

Rio de Janeiro 2016. Dopo le critiche per essersi allenato al Tour, lo Squalo si presenta in Brasile in forma perfetta. Nonostante le pressioni enormi, un po’ come per i mondiali di tre anni prima, Vincenzo fa il suo. Corre davanti, stacca tutti in salita e si butta giù in picchiata. E cade. E’ chiaro, il discorso fatto prima per Froome vale anche per lo Squalo, ma quando si è a tutta un errore ci può stare. «Non ero lì per il secondo o terzo posto», aveva detto Nibali.

Si parlò molto di quella scivolata. Lo stesso Vincenzo ci tornò su. Disse che gli era partito l’anteriore, finì nella canalina al lato ma era ancora in piedi, fu proprio il ciglio, dove si sedette successivamente, a catapultarlo a terra. Lo toccò con il pedale destro.

Furono messe sotto accusa le ruote superleggere che lo Squalo ed altri della nazionale avevano usato per l’occasione. Ruote che comunque gli azzurri avevano provato e riprovato. Si disse che il feeling non poteva essere lo stesso rispetto al set usato abitualmente con la squadra.

Vincenzo Nibali, caduta Alpe d'Huez, Tour de France 2018
Vincenzo Nibali e la sua caduta sull’Alpe d’Huez al Tour de France 2018
Vincenzo Nibali, caduta Alpe d'Huez, Tour de France 2018
Vincenzo Nibali e la sua caduta sull’Alpe d’Huez al Tour de France 2018

Quel Tour fa ancora male

E veniamo all’ultima cocente caduta, quella della Tour de France 2018. Nel tempio della montagna, nel “ring” degli scalatori più forti del pianeta, Nibali e gli altri big si stanno sfidando. Verso l’Alpe d’Huez, uno spettatore “tira giù” Nibali. Lui cade, e male, di schiena sulla radiolina. Fa fatica a respirare e a risalire in sella. Ma una volta in bici parte come una locomotiva e nel pieno della bagarre rientra sui migliori, riprendendogli un distacco abissale. I tifosi si fregano le mani. Ci si aspetta un super Tour da Vincenzo. Ma i sogni vengono infranti sulla linea d’arrivo.

Quando Michele Pallini, il suo massaggiatore, è costretto ad aiutarlo per farlo scendere dalla bici capisce subito che qualcosa non va. I dubbi dello stesso Pallini trovano conferma qualche ora dopo all’ospedale di Grenoble: frattura di una vertebra (che tra l’altro ha lasciato qualche strascico). Lo Squalo torna a casa.

La riabilitazione del siciliano è già iniziata (foto Instagram)
La riabilitazione del siciliano è già iniziata (foto Instagram)

Verso il Giro 2021

E veniamo alla più recente caduta. Quella di qualche giorno fa in allenamento. Un’altra scivolata che di fatto complica moltissimo il cammino dello Squalo verso il Giro. Vincenzo non è più un ragazzino ed essere al 101% è fondamentale per lui per poter combattere con gente che ha anche 15 anni in meno. Questi sono giorni cruciali in vista della corsa rosa. C’è chi fa le Classiche delle Ardenne, chi il Tour of the Alps, chi il Romandia.

Si parla di corse che determinano la rifinitura di un lungo processo di lavoro, di gare che danno la cosiddetta brillantezza. Stare a casa non è il massimo. Non solo non si “cattura” quella brillantezza, ma s’interrompe bruscamente il programma di lavoro e il volume programmato. Vincenzo ha già ripreso la riabilitazione, stringendo oggetti e chiudendo “maniglie”. Per il momento si deve accontentare.

Allora, possiamo dire o no che allo Squalo nessuno ha regalato nulla? Voi che ne pensate: il bilancio con il destino com’è?

Vincenzo, il nuovo corso e la caduta…

15.04.2021
4 min
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Nibali è caduto, oggi si opererà. La foto di apertura l’ha postata lo stesso Vincenzo sui suoi profili social. L’appuntamento con Josu Larrazabal l’avevamo preso prima che accadesse, per farci spiegare dal capo dei preparatori della Trek-Segafredo in che modo sia cambiata la preparazione dello Squalo da quando ha scelto di non lavorare più con Slongo. La voce del basco è rassegnata, ma insieme affiora l’esperienza di chi ne ha viste altre e ha lavorato per trovare nuovi obiettivi e soluzioni di emergenza. E’ chiaro che tutti vorremmo Nibali al via del Giro, ma è bene che qualcuno stia già pensando alle alternative possibili per arrivare comunque bene alle Olimpiadi.

«Le fratture del polso – dice – sono una cosa strana. C’è chi dopo dieci giorni era di nuovo in corsa come la Van Vleuten ai mondiali di Imola e chi è diventato matto. Ci sono tanti ossicini e non ne sapremo nulla fino all’operazione. Perciò per ora ci teniamo questo punto di domanda e in giornata ne sapremo di più. E speriamo che tutto il lavoro fatto finora non sia stato per nulla…».

Josu Larrazabal, basco di 39 anni, è il capo dei preparatori Trek-Segafredo
Josu Larrazabal, basco di 39 anni, capo dei preparatori Trek-Segafredo

Schema collaudato

E allora, nell’attesa di sapere, il discorso torna su quel lavoro fatto sul Teide e nelle settimane precedenti, con la sensazione che alla fine i cambiamenti non siano poi così epocali.

«Ma infatti – sorride Josu – alla fine cambia poco. Vincenzo è un atleta esperto e da anni segue lo stesso programma. Il Giro lo prepara con due ritiri in altura, la Tirreno e il Tour of the Alps. Sono strutture di preparazione collaudate in tanti anni. Lui ormai è uno specialista dei ritiri in quota e arrivati a questo punto, non era certo il momento di cambiare in maniera radicale».

Vincenzo sul Teide con Slongo, suo fratello Antonio e Mosca, per preparare il Giro
Vincenzo sul Teide con Slongo, il fratello Antonio e Mosca
Però qualcosa l’avrete pur cambiata, no?

Con le dinamiche diverse che vediamo in gara, abbiamo pensato fosse necessario aggiungere un po’ di intensità. I lavori che prima faceva nell’avvicinamento alle gare, questa volta ha iniziato a farli da prima. Io do un’occhiata a tutti i corridori del team, non mi concentro sul singolo giorno, ma sul lavoro nel medio periodo, dando uno sguardo di insieme. Quando di Nibali si occupava Slongo al 100%, facevo meno, ora lo seguo di più. Ma non gli faccio le tabelle, semmai verifico che non si facciano cambiamenti assurdi. Lui propone e io aggiusto il tiro.

Quindi è Vincenzo che decide la sua preparazione?

Al Teide c’è la linea della squadra, con un programma per tutti i ragazzi del team. Paolo è stato lì con loro, non è che adesso non si parlino più o non lavorino più insieme. Semplicemente c’è più distanza di prima.

Hai detto che non era questo il momento di cambiare: perché siamo a primavera inoltrata o per un fatto di età?

Quando hai una carriera di così tanti anni, più che l’età si valuta l’esperienza. Questi corridori hanno ripetuto per una vita lo stesso programma, sapendo di avere una strada collaudata per il Giro e una per il Tour. Prendi il modello che ti ha dato i risultati migliori, valuti l’esperienza e poi magari aggiungi una modifica in base ai percorsi di gara. Ad esempio, visto che il Giro parte con una crono, lavori di più sull’intensità, per essere pronto subito.

Se coltivi un campo sempre con la stessa coltura, la resa cala. Non è forse lo stesso con gli atleti?

Esatto, uno dei principi dell’allenamento è la variabilità dello stimolo, sennò il corpo si adatta e smette di rispondere.

Finora Nibali era in tabella verso il Giro, ora dipenderà tutto dall’intervento al polso
Finora Vincenzo era in tabella verso il Giro d’Italia
E allora perché non sostituire le due settimane sul Teide con una Volta a Catalunya?

Perché le gare non possiamo controllarle, per cui magari lavoreresti sull’intensità, trascurando però altri aspetti. Anche se è vero che gli atleti più esperti hanno bisogno soprattutto di aumentare l’intensità per raggiungere il massimo livello. Lo abbiamo visto prima con Zubeldia, poi con Mollema. Bisogna aumentare i lavori brevi e intensi, controllando però che non esagerino e per questo la corsa non sarebbe perfettamente gestibile.

Quindi scartiamo la gara?

In gara arrivi prima alla forma, ma trasformi troppo in fretta il lavoro di base che hai fatto e magari ti ritrovi con una condizione priva di grosse basi. L’allenamento è come il salto in lungo.

Che cosa vuoi dire?

Non è detto che se hai più metri per la rincorsa e aumenti la velocità, salterai necessariamente più lontano. Ognuno ha la sua rincorsa, che per noi è la preparazione, il tempo in cui lavori per ingrandire il motore crescendo in modo progressivo. Fai prima dei passi brevi, poi aumenti la falcata e alla fine anche velocità e intensità. Il salto è il momento in cui vai in gara. Perché la rincorsa sia stata azzeccata, deve esserci equilibrio tra le varie fasi.

Il cammino di Nibali verso Rio, Slongo ricorda…

13.04.2021
6 min
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Le vie della preparazione sono infinite. Spesso particolari, insolite, delicate. Altre volte sono molto più semplici e lineari. Di certo non fu semplice, né lineare quella che nel 2016 riguardò Vincenzo Nibali e il suo coach Paolo Slongo. 

Il tecnico veneto giocò le sue carte in modo impeccabile. E solo quella scivolata dello Squalo, che tutti noi ancora abbiamo negli occhi (purtroppo), pose la parola fine ad un’impresa storica. 

Paolo Slongo, oggi alla Trek Segafredo, per anni ha seguito la preparazione di Nibali
Paolo Slongo, oggi alla Trek Segafredo, per anni ha seguito la preparazione di Nibali

Far regredire la forma

«Bisogna fare un preambolo – racconta Slongo – che spiega perché si decise di utilizzare il Tour de France per preparare le Olimpiadi di Rio de Janeiro 2016. Quell’inverno l’Astana, la squadra di Vincenzo all’epoca, aveva deciso di puntare su Nibali al Giro e su Aru al Tour. A quel punto nacque subito l’idea che la gara francese potesse essere l’avvicinamento ideale. Percorso consueto per arrivare al Giro (che Nibali vinse, ndr) e poi il Tour per trovare la condizione per Rio e dare una mano ad Aru.

«Subito dopo il Giro dovevamo far regredire la forma. Come? La settimana successiva Vincenzo uscì pochissimo, forse un paio di volte: due ore molto blande. Se non ricordo male, fece anche qualche giorno di vacanza con la famiglia, ma con la bici dietro. Poi iniziò a fare più ore, ma sempre in tranquillità. E lo stesso fece al San Pellegrino, nessun lavoro specifico. Giusto un po’ di medio. Quindi arrivò al Tour indietro, ma con il pieno di energie».

Slongo, Cassani e Nibali durante il secondo giorno di riposo di quel Tour
Slongo, Cassani e Nibali durante il secondo giorno di riposo di quel Tour

Quanta fatica

Una volta in Francia la stampa si aspettava, o forse sarebbe meglio dire voleva, un super Nibali. Era la maglia rosa, tutti lo volevano ancora sugli scudi, ma le cose chiaramente non andarono bene in corsa. Le critiche non mancarono e le certezze di Nibali vacillarono.

«Fu subito un Tour difficile – dice Slongo – A volte sul lettino dei massaggi di Pallini, Vincenzo diceva che voleva tornare a casa. “Faccio troppa fatica”, ripeteva. Non ci stava. Nella mia mente invece sapevo che uno come lui se usciva bene dal Giro avrebbe avuto la capacità di ritrovare la forma. Ma certo gli seccava restare indietro». 

Ci fu più di qualche battibecco, ma il buon colpo di pedale dell’ultima settimana calmò gli animi. Negli ultimi arrivi in salita lo Squalo teneva le ruote dei migliori. Vide la luce in fondo al tunnel, si tranquillizzò, riprese umore. «E tornò a sorridere», racconta Slongo.

Nibali e Aru in conferenza stampa al Tour 2016: il clima non era dei migliori
Nibali e Aru in conferenza stampa al Tour 2016: il clima non era dei migliori

La stampa contro

«Le critiche non furono poche – continua il tecnico – la stampa ci attaccò e Vincenzo ci restò male. Fu soprattutto Martinello a criticarci e qualcuno lo seguì. Silvio disse che un campione come Nibali non poteva andare al Tour per allenarsi, che era meglio se avesse fatto il Polonia e scelto altre vie. Eppure noi i nostri programmi li avevamo dichiarati già a fine novembre. L’Astana aveva deciso di puntare maggiormente su Aru, che era più giovane, ma in molti non ci credevano. E comunque tante critiche arrivarono perché oltre a Nibali l’Italia non aveva molto altro, quindi le attenzioni erano tutte su di noi. 

«E poi c’è un’altra cosa che alimentò le tensioni. Un conto è stilare, ed accettare, un programma a novembre magari davanti ad un caffé, un conto è portarlo avanti nel bel mezzo della stagione, con altre pressioni ed altri stress. Quell’anno feci un grande lavoro di supporto mentale. Ho sempre filtrato molto a Vincenzo per proteggerlo».

Nibali lavorò molto per la squadra al Tour 2016, anche per fare fatica
Nibali lavorò molto per la squadra al Tour 2016, anche per fare fatica

La gestione del Tour

Al Tour gli uomini di classifica volano. Nibali arranca. Non è facile in questa situazione. Slongo ha detto che tra Giro e Tour non programmò nessun allenamento specifico, ma allora come si sfruttò la gara, che accorgimenti vennero presi? Per esempio, come si può fare la forza in corsa? Non ti metti certo a fare le Sfr con numero sulla schiena (a parte Ullrich al Giro dell’Emilia!). Non è facile allenarsi in gara nel ciclismo di oggi.

«Paolo Bettini è stato un maestro in questo – riprende Slongo – Prendi la salita dietro, diceva, e rimonti il gruppo se vuoi allenarti in gara. Vincenzo in quel Tour venne spesso a prendere le borracce all’ammiraglia e vide, credo per l’unica volta in carriera, cosa succedeva in coda al gruppo, faceva appositamente fatica. Poi va considerata una cosa. Se tu sei davanti certe salite le fai ad una determinata cadenza, ma se sei dietro arranchi a 60 rpm. Fai una forza naturale. Insomma è la corsa che ti porta in forma, ma questo potevo farlo in un Tour con Nibali, che ha un certo motore, un altro lo avrei “ucciso”. Se fossimo andati al Polonia quella settimana centrale di buco non avrebbe poi portato alla condizione che Nibali aveva a Rio. Ha faticato tremendamente nelle prime dieci tappe, ma poi piano piano è migliorato. Ricordo che nel primo giorno di riposo neanche fece la sgambata, che solitamente si fa».

Ciò nonostante non era facile dire a Nibali di staccarsi. Accumulare distacco gli avrebbe consentito di prendere una fuga più facilmente. «Lui però si staccava e poi restava a 3′. Ma prendine 20′ dico io. Sei Nibali, con 3′ non ti lasciano spazio!».

Nibali
Nibali (a destra) a Rio 2016: ultimi istanti prima dell’attacco in cui staccò tutti
Nibali
Nibali a Rio: ultimi istanti prima dell’attacco in cui staccò tutti

E a Rio?

Questa storia merita una piccola appendice. Il Nibali di Rio era stellare. Slongo seguì Vincenzo a sue spese in Brasile. Prese un agriturismo giusto ai piedi della fatidica discesa. Voleva vedere da vicino come andavano le cose e dare supporto allo Squalo.

«Cassani agevolò molto la mia presenza. Addirittura un giorno sulla salita del circuito feci anche un test del lattato a tutti quanti. E sì che erano, o erano stati, quasi tutti miei atleti. C’erano Caruso, De Marchi, Agnoli, Rosa, Aru e Nibali. Stavano tutti molto bene, solo Aru aveva addosso ancora un po’ di fatica del Tour.

«Il giorno della gara facevo la spola tra la tv e il circuito per vederli passare. Così vidi l’attacco di Nibali in salita alla tv, poi scesi in strada. Ma passò Majka. Eppure mi sembrava il più stanco, pensai. Vincenzo invece continuava a non passare. Risalii in camera e lì capii tutto. Fu davvero un peccato. Sarebbe stata la ciliegina sulla torta, per l’Italia, per lui e per me. Anche perché poi Fuglsang che era con me sul San Pellegrino fece secondo ed Aru e Zeits (in Astana anche lui) entrarono nei dieci»