Vince la Kopecky, domina la Sd Worx, Cecchini racconta

03.04.2022
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Oudenaarde esplode in un boato quando Lotte Kopecky vince la volata a tre, per di più battendo un’olandese, la Van Vleuten. Perché okay la sportività per Van der Poel, ma dopo una doppietta “orange” tra gli uomini, una vittoria olandese anche tra le donne sarebbe stato troppo. Qui già i musi erano lunghi per l’assenza di Van Aert. Per fortuna la campionessa nazionale ha tenuto alte le sorti del Belgio. Lei e le sue compagne del Team Sd Worx hanno davvero corso alla grande.

Una raggiante Elena Cecchini ci racconta la corsa della sua SD Worx
Una raggiante Elena Cecchini ci racconta la corsa della sua SD Worx

Dominio Sd Worx

Il Fiandre delle donne scatta dalla piazza di Oudenaarde, in linea d’aria 400 metri dietro l’arrivo. E’ una vera Ronde. Il clima è esattamente quello degli uomini. E se le danno di santa ragione anche loro. Anzi, forse anche di più. 

E’ Elena Cecchini, compagna di squadra di Lotte Kopecky che ci porta nella corsa.

«Con questa squadra certe corse si sentono all’inverosimile – racconta soddisfatta Elena, come se avesse vinto lei stessa – Avevamo un po’ di pressione perché dopo questo “tre su tre” della Trek-Segafredo… Sapete, c’è un po’ di competizione!

«A parte gli scherzi, le gare scorse forse erano un po’ troppo facili per noi, per il nostro stile di corsa e oggi che c’era la possibilità tutte noi abbiamo fatto il possibile per vincere».

Ordini di scuderia

La festa ad Oudenaarde prosegue. I bar, i camioncini dello street-food e i ristoranti continuano a lavorare. E c’è da festeggiare per il podio che qui, come protocollo vuole, vede il primo uomo e la prima donna insieme. 

«Lotte – continua Elena – è una grande campionessa e per lei vincere la Ronde con il tricolore sulle spalle credo sia il massimo. Penso che non ci sia qualcosa di più bello in carriera. Se lo merita, ce lo meritiamo».

«Si lavorava per la Kopecky. Soprattutto in quella situazione nel finale con due su tre delle nostre. La Van Vleuten è fortissima, ma si sa che Lotte in volata ha qualcosa in più. Pertanto quelli erano gli ordini di scuderia, anche perché facendo così anche Chantal (Van den Broek-Blaak, ndr) per radio mi ha detto che sapeva di poter fare podio. E averne due sul podio qui è una grande cosa».

Koppenberg spartiacque 

Una corsa più dura quella donne rispetto al passato. Più chilometri (quasi dieci), ma soprattutto rispetto allo scorso anno è stato inserito il Koppenberg: 600 metri terribili. E questo ha influito sull’andamento della corsa. E’ stato un po’ uno spartiacque.

«Dal Koppenberg in poi – spiega Elena – essere lì davanti è stata durissima. Molte, io compresa,  dopo quel muro non abbiamo avuto più le gambe. Il mio lavoro era di aiutare a tenere davanti le ragazze proprio fino al Koppenberg e poi semmai entrare nell’attacco successivo. E in quest’ultimo passaggio mi sono un po’ mancate le gambe appunto».

«Però siamo state unite e poi per radio avevamo il supporto di Anne Van der Breggen, che in una gara così con la sua esperienza sa bene cosa significa soffrire in quei momenti, come sul Paterberg. Ci ha detto che le ragazze erano tutte stanche e quindi dovevamo continuare. E’ bello essere parte di questa squadra in giornate così».

«Bisogna anche considerare che siamo quasi alla fine delle prime classiche, per cui tante sono pronte per le Ardenne, ma tante altre iniziano ad essere stanche».

Applausi a Oudenaarde

Si dice sempre che il ciclismo femminile sia in crescita. Ebbene, oggi più di altre volte, tutto ciò è stato palpabile. Oudenaarde ha preparato un’accoglienza incredibile. Al via davvero tanti tifosi e gente con autografi e cartoline come per gli uomini.

In particolare ci ha colpito un bambino, Lino, sette anni, piccolo ciclista. Appassionatissimo. Conosceva tutte le ragazze e alle sue preferite regalava una maglia fatta con una sorta di “Lego” che riproduceva i colori del team a cui apparteneva. Tutte si sono fatte la foto.

«Davvero una partenza molto bella – ha detto la Cecchini – Sul palco mi sono fermata un attimo a guardare la piazza di Oudenaarde per godermi il momento. E’ sempre bellissimo correre qui. Nelle settimane scorse abbiamo avuto questo tempo un po’ anomalo, ma il Belgio è questo. Secondo me sono giornate come oggi, dove piove, dove c’è qualche fiocco di neve, dove c’è il pubblico che ti ripagano. Che ne vale la pena».

Van der Poel urla di gioia, Pogacar di rabbia. Ma che Fiandre!

03.04.2022
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Il Giro delle Fiandre numero 106 è racchiuso in un chilometro, l’ultimo. Un rettilineo. Una volata. L’epilogo della Ronde è incredibile. Mathieu Van der Poel e Tadej Pogacar davanti si marcano come due pistard e dietro Valentin Madouas e Dylan Van Baarle risalgono come due frecce. Sembra la famosa Liegi del 1987, con Argentin che da dietro piomba su Criquelion e Roche.

Però che duello. I più forti erano, i più forti sono stati. Le fiammate sui muri. La potenza superiore dei due su tutti gli altri. L’allungo di Pogacar sul Kwaremont. La folla sui muri. Ragazzi, questo è spettacolo puro.

Come pistard

Lo sloveno sembra averne di più dell’olandese. E’ lui che fa la selezione maggiore sul secondo passaggio dell’Oude Kwaremont. Tira per tempi decisamente più lunghi quando sono in fuga ed è sempre lui che costringe ad una “svirgolata” VdP sul Paterberg. Però il risultato non cambia: Mathieu è sempre alla sua ruota.

Quattrocento metri. VdP, in testa, si sposta sul lato destro vicino alle transenne. Pogacar non si muove. Non si muove, ma si volta. Madouas e Van Baarle li vedono. Vedono che sono quasi fermi e spingono a più non posso.

Questa rimonta fa partire un po’ più lunghi del previsto i due mattatori che forse non hanno un rapporto ideale, soprattutto Pogacar. Lo sloveno si risiede cerca di cambiare, ma si trova incastrato da Van Baarle.

Centocinquanta metri all’arrivo. Siamo nel pieno dello sprint, ma il campione della Alpecin-Fenix non lo sta disputando con il suo ormai vecchio compagno di fuga, bensì con Madouas. Il francese è partito lunghissimo e chiaramente non ho più le gambe per i 50 metri finali. VdP invece ha energia da vendere in confronto. Stavolta il Fiandre è suo.

Tra incubi e gioia

Van der Poel si gioca ancora una volta la Ronde. Ancora un testa a testa. E forse inizia a rivedere i fantasmi di un anno fa, quando si trovò nella stessa identica situazione, ma con Asgreen al posto di Pogacar. Forse anche per questo cerca di risparmiare ogni briciolo di energia. E forse anche per questo la sua fidanzata, Roxanne incrocia le mani come per pregare dietro l’arrivo. 

E le sensazioni di un secondo posto bis sono più che reali dopo l’arrivo.

«Ho lavorato tantissimo per questo Giro delle Fiandre – ha detto Mathieu – ci tenevo troppo. Non sapevo neanche se sarei potuto esserci fino a qualche settimana fa. Sul Paterberg stavo quasi per mollare, poi ho trovato altre energie. Pogacar mi ha fatto soffrire, mi ha spinto al limite. Per fortuna che nel finale sono riuscito a risparmiare un po’. Sapevo e ho detto stamattina che Pogacar poteva essere il mio alleato migliore, ma credo anche che forse era il più forte e se avesse vinto lo avrebbe meritato».

E questa ammissione non è cosa da poco per l’olandese. “I mostri” del 2021 non possono che essere vivi. E dal Paterbeg e con tutto quel rettilineo lungo e dritto ce n’era di tempo per rivederli. Questa non è una volata di potenza, ma di energie. Solo loro due possono sapere quante ne avevano.

«Mi sono fatto ancora delle domande negli ultimi chilometri – ha raccontato Van der Poel – sono stato nella stessa situazione per il terzo anno consecutivo. Mi prendevo cura di Tadej e non degli altri dietro. La volata di Pogacar? Deve farne qualcuna in più…».

Ahi, ahi Pogacar

Il Fiandre di Pogacar invece dura 50 metri di meno. Lo sloveno smette di pedalare. Si sbraccia. E continuerà a sbracciarsi fin dopo il traguardo. Per la prima volta lo vediamo furioso. Non ci sta. Tornando al discorso delle energie, che solo loro due possono sapere davvero, Tadej si sente defraudato di quello che magari per lui e per le sue gambe, era un successo assicurato.

Qualche secondo dopo dopo l’arrivo gli sfila a fianco il corridore della Ineos-Grenadiers, Van Baarle. L’olandese cerca il suo sguardo, ma Pogacar replica stizzito con gesti plateali. Ci teneva veramente tanto a questo Giro delle Fiandre. Lo ha perso, probabilmente sa che un po’ di colpa è anche la sua per non aver azzeccato la volata, ma anche stavolta se andiamo a vedere il bicchiere è mezzo pieno per lui. 

Infatti, se prima c’era qualche dubbio su una sua reale possibilità di vittoria al Fiandre, adesso si ha la certezza che questa corsa la può vincere. Forse più della Sanremo.

«E’ stata un’esperienza bellissima – ha detto il capitano della UAE Emirates – bella atmosfera, incredibile. Sul momento c’è stato un po’ di disappunto dopo la volata. Mi sono trovato con la strada chiusa, non ho potuto dare il mio meglio negli ultimi 100 metri. E tornerò, sicuro!».

Il podio finale. Doppietta olandese con Van der Poel e Van Baarle. Terzo Madouas
Il podio finale. Doppietta olandese con Van der Poel e Van Baarle. Terzo Madouas

Neanche la radio

Ma i dubbi sulla volata restano. Ha sbagliato lui? E’ stato chiuso? Certi momenti sono sempre concitati e mai facili da gestire. Su una cosa però Tadej ha ragione: non è riuscito ad esprimere il suo massimo. E forse per questo brucia ancora di più.

E in certi casi neanche la tecnologia, leggi le radioline, possono fare molto. 

«Se l’ho avvertito per radio? L’ultima volta che gli ho parlato – spiega il suo diesse Fabio Baldatoè stato ad un chilometro e mezzo dall’arrivo. Gli ho detto: Tadej, attenzione perché hanno 25”. Poi gli ho fatto i complimenti e ho chiuso la comunicazione per due motivi. Primo perché noi dalla tv in auto vediamo la corsa con circa 15” di ritardo e poi perché al chilometro finale c’era la deviazione delle ammiraglie.

«Sapete, finché la corsa riesci a scorgerla qualcosa gli dici, ma se non lo vedi c’è poco da fare. Giusto che facesse la sua corsa. Ma credo che non si possa criticare questo corridore perché sbaglia una volata. Insomma, quarto al primo Fiandre…».

Van Dijk, Balsamo, Longo: prove d’intesa alla Trek-Segafredo

02.04.2022
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Prendi Elisa Longo Borghini e la Balsamo e aggiungi allo stesso tavolo anche Ellen Van Dijk. Un simile concentrato di bandiere non è facile da trovare. La campionessa italiana, quella del mondo e quella d’Europa. Tutte con le insegne della Trek-Segafredo. Mancano 24 ore al Giro delle Fiandre e il Belgio s’è vestito di bianco, ammantando le strade di neve e aggiungendo insidie a un percorso già di per sé complicato.

I discorsi si legano, le domande e le risposte vengono snocciolate con quell’andare impersonale delle conferenze online. Anche se da ieri in Italia lo stato d’emergenza è alle spalle, il dannato Covid continua a circolare. Van Aert ha appena rinunciato al suo più grande obiettivo. Le squadre sono decimate e adesso al danno immediato si somma il sospetto di quel che il Covid potrebbe lasciarti addosso. Troppi malanni saltati fuori senza causa apparente. Per questo alcune squadre tengono ancora chiuso e sebbene con una punta di fastidio, c’è da capirle.

Orgoglio di figlia

«E’ sempre bello vestire questa maglia – dice Balsamo – ed è sempre speciale correre in Belgio. Il Fiandre sarà corsa dura, ma abbiamo una super squadra e diverse soluzioni. Sono venuti su i miei genitori ed è davvero bello. Quando ero piccola, mi hanno trasmesso l’amore per la bicicletta. Averli accanto e vincere come a Gand è stato bellissimo».

Il riferimento è alla foto dell’esultanza con suo padre Sergio dopo l’arrivo di Wevelgem. In quegli occhi c’è un mondo. L’amore del padre, lo slancio della figlia. L’orgoglio dell’uno e il gusto di averlo reso felice dell’altra.

Balsamo ha vinto tre corse in fila, ma sempre con il sole: come andrà al Fiandre?
Balsamo ha vinto tre corse in fila, ma sempre con il sole: come andrà al Fiandre?

Dannata sinusite

«Questa primavera sta venendo un po’ dura – ragiona Longo Borghini – non ho una gran forma. Mi sono presa una sinusite dopo la Strade Bianche e ci sto ancora combattendo. Domenica sarò alla partenza, ma non so cosa aspettarmi. Però mi conoscete, mi piace correre. Ci sarò, ma parleremo di tattiche domani. Penso spesso alla mia vittoria nel Fiandre del 2015, fu grandioso. Ci penso perché vincere qui è speciale per la carriera. Per questo spero che una mia compagna possa provare quella sensazione o che tocchi nuovamente a me».

Aveva 24 anni, se ne andò da lontano con la sua maglia della Wiggle-Honda, mentre Rochelle Gilmore a furia di incitarla rischiò quasi l’infarto. Elisa sembra più tranquilla da quando in squadra è arrivata Balsamo, ma si capisce che il morale non sia dei migliori. Nei giorni scorsi ha aiutato, ma questa sarebbe una corsa per lei.

Elisa Longo Borghini è alle prese con una fastidiosa sinusite già dalla Strade Bianche
Elisa Longo Borghini è alle prese con una fastidiosa sinusite già dalla Strade Bianche

Kopecky provoca

«Il Koppenberg sarà una bella sfida – dice Van Dijk – non è nel finale, ma darà la svolta. Tutte vorranno stare davanti. Il Fiandre non è una corsa che si presti a chissà quali ragionamenti tattici alla vigilia. Di sicuro non si potrà tenere chiuso. In corsa può succedere tutto. Elisa Balsamo è la migliore in caso di arrivo allo sprint, ma non so se finirà in volata. Vedo ragazze come Van Vleuten, Kopecky, Vollering e Vos che proveranno a portare via la fuga. Siamo professioniste, non ci saranno problemi».

Ellen è una che ama attaccare. Alla Gand s’è piegata di buon grado alla causa di Elisa Balsamo, ma sin da ieri le rivali hanno cominciato a chiedersi come mai la Trek corra in modo così difensivo e lei s’è sentita un po’ pungere l’orgoglio.

Van Dijk è campionessa europea e finora ha lavorato per la Balsamo. Ha vinto una tappa alla Valenciana
Van Dijk è campionessa europea e finora ha lavorato per la Balsamo. Ha vinto una tappa alla Valenciana

Ragazze nell’ombra

«E’ facile andare d’accordo – interviene la Longo – perché ci conosciamo bene. Sappiamo che se portiamo Elisa ai 200 metri, lei vince la corsa. E poi ci siamo Ellen ed io che corriamo insieme da quattro anni. Siamo complementari e sappiamo come integrarci. Il fatto è che la gente è abituata a vedere quello che succede nei finali. La verità è che la nostra squadra entra in azione molto prima. Ci sono altre ragazze che lavorano nell’ombra da prima».

Viene da pensare che all’appello manca per giunta Lizzie Deignan, ferma ai box per la maternità annunciata il 24 febbraio. Se ci fosse stata anche lei, allora sì che l’imbarazzo per la scelta sarebbe stato trabordante.

Fra le gregarie della Trek-Segafredo anche ragazze che lavorano lontano dai riflettori come Leah Thomas
Fra le gregarie della Trek-Segafredo anche ragazze che lavorano lontano dai riflettori come Leah Thomas

Sfida a Consonni

«C’è buona comunicazione fra noi in corsa – precisa Elisa Balsamo, che si sarà sentita tirata per la manica – e domenica sarà più che mai necessario. Il Fiandre è duro. In più sarà freddo e bagnato, quindi sarà anche peggio perché io preferisco il sole e le corse asciutte. So che tanti team vorranno andare full gas per non arrivare in volata. Io combatterò per sopravvivere alle salite ed eventualmente arrivare in fondo. E chissà che magari in uno sprint di gruppo, non trovi Chiara Consonni con cui duellare. E’ in forma, quando sta così, tiene anche sugli strappi. Però non sento pressioni su di me, siamo tante. Farò del mio meglio e vedremo come va a finire».

Non sente la pressione, ma ripete queste parole come un mantra da qualche settimana. In realtà, se hai vinto così tanti titoli fra strada e pista, la pressione è un problema per gli altri.

Le ragazze partiranno domenica mattina da Oudenaarde alle 13,25 e ancora a Oudenaarde arriveranno intorno alle 17,45 dopo 158,6 chilometri, 11 muri e 6 tratti in pavé. Lo scorso anno vinse Annemiek Van Vleuten. In 18 anni di storia, fra le italiane soltanto Elisa Longo Borghini (2015) e Marta Bastianelli (2019) hanno vinto il Giro delle Fiandre. Domenica saranno entrambe in corsa.

Masciarelli ci racconta il Vanthourenhout dietro le quinte

27.12.2021
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Quando hai diciotto anni e vivi in Belgio per respirare ed imparare il ciclocross, devi avere buoni esempi da seguire. Lorenzo Masciarelli è un talento nato in una famiglia di ciclisti e per lui uno di quegli esempi è Michael Vanthourenhout, suo compagno alla Pauwels Sauzen-Bingoal. 

Il belga classe ’93 è una garanzia di risultato anche se forse, dopo il titolo europeo U23 nel 2013 e mondiale U23 nel 2015, tra gli elite ha raccolto meno di quello che avrebbe dovuto o potuto. La concorrenza poi di due Dioscuri come Van Aert e Van der Poel non l’ha aiutato molto.

Lo scorso 19 dicembre, però, Vanthourenhout ha saputo ritrovare il sorriso conquistando la prova di Coppa del mondo a Namur, la seconda dopo quella di Tabor a novembre 2020, e centrando così l’undicesima vittoria in carriera.

Contattiamo il giovane Masciarelli – ormai fisso ad Oudenaarde nel cuore delle Fiandre, che nella foto di apertura è il primo da sinistra, con Vanthourenhout e il grande capo Mario De Clercq – per parlarci di questo alto e magro crossista. Siamo al termine del collegiale, nel giorno deputato alla cosiddetta distanza per chi fa questa disciplina. Due ore scarse su strada, una e mezza di ciclocross e, se le temperature non sono troppo basse, un’altra mezzora su strada per rientrare a casa.

Lorenzo com’è allenarsi con Vanthourenhout?

Molto bello, si impara sempre qualcosa. E io lo studio bene da vicino. Ho la fortuna di essere in una squadra molto forte. Anche Iserbyt, seppur più solitario nelle uscite, e Sweeck sono dei riferimenti per noi giovani.

Lo conoscevi già da prima?

No, mi piaceva curiosare su Instagram. E ho iniziato a farlo quando da allievo, venendo qui in Belgio, mi sono reso conto di quanto fosse seguito dal pubblico. E poi, naturalmente, va fortissimo.

Che tipo di crossista è?

Tecnicamente è pazzesco, è un esempio di completezza. Ma è sulla sabbia, sul fango alto o nella neve, quindi dove si scende tanto con la ruota, che dà veramente il meglio di sé. E’ uno dei migliori in quelle condizioni. Poi è forte e velocissimo nel saltare gli ostacoli con la bici, anche più di Van Aert e Van der Poel. Su alcuni percorsi può guadagnare tanti secondi rispetto agli avversari con queste manovre. Gli manca forse un po’ di potenza. Rispetto a Iserbyt o al solito Van Aert, riesce a spingere un po’ meno.

A Vermiglio, nella Coppa del mondo corsa sulla neve, è arivato secondo
A Vermiglio, nella Coppa del mondo corsa sulla neve, è arivato secondo
Fra voi ci sono dieci anni di differenza. Che rapporto hai con lui?

Splendido. Siamo diventati buoni amici e per me, che lo vedevo come un idolo, è davvero una grande emozione. Alla fine di ogni allenamento mi fermo a parlare con lui, ci scambiamo impressioni. Mi dà sempre consigli sulla pressione delle gomme, sul vestiario o su altro. Pensate che lo scorso ottobre a Fayetteville, nella prova di Coppa del mondo, lui era tutto concentrato nel riscaldamento pre-gara. E quando mi ha visto passare accanto, mi ha fermato per darmi gli ultimi suggerimenti sulle gomme. Non me lo sarei mai aspettato, aveva altro a cui pensare.

Ci sembra di capire che caratterialmente sia una persona alla mano…

Sì, molto. Con lui ho molto dialogo. E’ un ragazzo cui piace stare in compagna e scherzare, anche in allenamento. Si vede poi che ama andare in bici. Si diverte quando pedala, come se stesse giocando.

Secondo te su strada potrebbe fare bene?

Va molto forte anche lì, ha caratteristiche da scalatore. Di gare su strada ne fa, ma non gli interessano tanto. La realtà del ciclocross qui in Belgio è clamorosa, è lo sport nazionale. Credo guadagni di più che andando su strada. Qua gli ingaggi alle corse per i crossisti forti come lui sono alti, secondo me anche migliori di qualche stradista.

A proposito di Fayetteville, dove Vanthourenhout ha fatto terzo a ottobre, il 30 gennaio ci saranno i mondiali. Che risultato può fare?

Bisogna vedere se cambieranno o meno il percorso, so che gli organizzatori ci stavano pensando. Forse non è un tracciato molto tecnico, come potrebbe piacere a lui. Secondo me può lottare per la top five e Iserbyt lo vedo un po’ più avvantaggiato di lui. Attenzione però, se ci sarà il fango, allora è Michael ad essere favorito. Ha già fatto un secondo posto ad un mondiale col fango (dietro a Van Aert a Valkenburg nel febbraio 2018, ndr). Poi la vittoria di Namur gli ha dato tanto morale e quando lui sta bene è sempre là davanti per la vittoria.

Lorenzo chiudiamo con te. Come sta procedendo la tua crescita?

Bene, sono contento. Sto facendo tanta esperienza e sto migliorando. La squadra mi dà tranquillità, non ho pressioni da nessuno.

Sette giorni dopo, Asgreen non smette di volare

12.04.2021
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Il segno premonitore che avrebbe potuto vincere il Fiandre è stata la chiamata di Rolf Sorensen, sorride Kasper Asgreen, che fino a quel momento era stato il solo danese capace di vincere il Fiandre.

Solo un altro danese aveva vinto il Fiandre: Sorensen nel 1997
Solo un altro danese aveva vinto il Fiandre: Sorensen nel 1997

«Mi ha telefonato prima del weekend – racconta il corridore della Deceuninck-Quick Step – e mi ha spiegato perché fosse convinto che potevo riuscirci anche io. Se un corridore come lui ti chiama e ti dice certe parole, la fiducia cresce parecchio».

Tutto in 10 metri

Una settimana dopo la vittoria del Fiandre, Asgreen ha ancora addosso lo stesso stupore dei primi minuti dopo un successo che molti a un certo punto ritenevano impossibile. Come fai a battere Van der Poel in una volata a due, visto che l’olandese lo scorso anno aveva liquidato allo stesso modo Van Aert?

A Herning 2017 ha vinto la cronometro individuale U23
A Herning 2017 ha vinto la cronometro individuale U23

«Mathieu mi ha passato all’ultimo chilometro – dice – e in quello stesso momento, Tom Steels (tecnico e preparatore del team, ndr) mi ha detto via radio che avevamo 35 secondi sul secondo gruppo. Era un bel margine da giocarci, così ho deciso di rischiare che la velocità si abbassasse. Mi sono messo a ruota e ho preso il controllo. Quando abbiamo iniziato lo sprint, ho pensato di lanciarlo molto lungo. L’unica speranza era che dopo tutti quei chilometri potessi avere più forza di lui. E Van der Poel a un certo punto si è seduto. Quando sono passato sulla riga, ricordo di essermi detto: ha funzionato! Con gli allenatori abbiamo lavorato tutto l’inverno sullo sprint e la forma è arrivata nel momento giusto. L’avevo sentito nelle settimane precedenti. Tutti quei mesi di duro lavoro raccolti negli ultimi 10 metri della corsa. Ha funzionato! Ho proprio pensato questo, passando la riga bianca».

Caduta morbida

Il racconto va avanti ripescando nella memoria i momenti chiave della corsa e della carriera, con lo sguardo ancora incantato.

Ad Harelbeke, Asgreen aveva già fatto la selezione sul Taoenberg
Ad Harelbeke aveva già fatto la selezione sul Taoenberg

«Il Fiandre – ricorda – era la corsa dei miei sogni sin da quando ho iniziato a seguire il ciclismo, con le sue salite e la distanza. Ma serve anche fortuna. Nella caduta, ad esempio. Mi è andata bene perché non sono finito nel mucchio, ma mi hanno colpito da dietro. E’ stato un atterraggio morbido. Se doveva accadere, è accaduto nel modo più indolore. Steels è arrivato alla svelta, mi ha dato la bici e sono potuto ripartire. E a quel punto il fattore decisivo è stato il gioco di squadra con Alaphilippe sul Taienberg, quando prima ha attaccato lui e poi mi sono mosso io con Mathieu e Van Aert».

Coincidenza oppure no, sul Taienberg aveva fatto la differenza decisiva anche nel Gp E3 Saxo Bank di Harelbeke. Questione di sensazioni o di pendenze, al Fiandre il… giochino ha funzionato nuovamente.

In attesa della premiazione, Asgreen rivive la corsa con gi occhi increduli
In attesa della premiazione, rivivendo la corsa con gi occhi increduli

«La squadra ha lavorato in modo eccellente – dice – ed è questo il bello di farne parte. Comanda il gruppo. Sono tre anni che sono qui e la mentalità Wolfpack ha permesso a tanti giovani di migliorare e a tanti di noi di vincere grandi corse. Ma credo che avere l’aiuto di uno come Julian sia speciale. Spero che arrivi presto anche per lui il momento di vincere un’altra corsa importante».

La prima corsa

E quella prima corsa con la maglia della Deceuninck-Quick Step, Kasper ce l’ha ancora davanti agli occhi. Era il 4 aprile del 2018.

Sul podio del Fiandre, per Asgreen un sogno realizzato al 3° tentativo
Sul podio del Fiandre, un sogno realizzato al 3° tentativo

«La decisione di cambiare squadra (correva nel Team Virtu Cycling, ndr) fu abbastanza improvvisa – racconta – e ricordo che mi trovai sul pullman durante il meeting di quella prima corsa come un oggetto misterioso. I compagni e i direttori sprtivi non sapevano chi fossi e che cosa potessero aspettarsi da me. Alla fine chiusi tutti i buchi fino a 3 chilometri dall’arrivo e cogliemmo con Fabio (Jakobsen, ndr) una bella vittoria nella Scheldeprijs del 2018. Quando arrivai sul pullman, erano tutti eccitati e contenti per il lavoro che avevo fatto. Io mi sentivo come se la corsa l’avessi vinta anche io. E a guardare gli sguardi dei ragazzi quando sono tornato da loro nel giorno di Pasqua, si vedeva chiaro nei loro occhi che era come se il Fiandre lo avessero vinto anche loro».

E Milan si prepara a passare dal pavé alla pista

05.04.2021
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Eppure c’è un italiano che è andato via dal pavé di Oudenaarde col sorriso sulle labbra ed è Jonathan Milan. Alla partenza se ne stava accanto ai compagni con un sorriso un po’ nervoso, come quando nel debutto c’è qualcosa che ti sfugge e finché non si parte ti resta addosso un po’ di inquietudine. Poi la corsa è partita e le sensazioni sono andate al loro posto. Fatica. Nervosismo. Alta velocità. Poi, fatto il proprio lavoro, la resa. Nonostante tutto, il bello del Nord. E alla fine, parlando con lui ai piedi del pullman, si ha la sensazione che il gigante friulano (è alto 1,94) si sia anche divertito. Bene così!

Vi ricordate di lui, no? Due anni al Cycling Team Friuli continental. Il tricolore della crono. Vittorie in linea. La scalata in pista al quartetto azzurro. Il passaggio fra qualche discussione (secondo il suo tecnico Bressan era troppo presto) al Team Bahrain Victorious. La condivisione della preparazione, fra gli allenatori del vecchio team e Paolo Artuso dell’attuale. Il debutto nel WorldTour. E davanti alle ruote la probabile partecipazione alle Olimpiadi di Tokyo nel quartetto.

La ricognizione sui muri per prendere le misure con il pavé del Nord
La ricognizione sul pavé per prendere le misure
Come è andata?

Super bene, un’ottima emozione e un’ottima sensazione. Ho cercato di fare quello che mi avevano chiesto i ragazzi, penso di averlo svolto al meglio delle mie possibilità, delle mie capacità. La squadra è contenta.

Si parla dal basso verso l’alto, con il rischio di crampi per il braccio che tiene il registratore. “Johnny” indossa il cappello del team e la mascherina nera, per cui il sorriso soddisfatto si intuisce dagli occhi che brillano, come abbiamo imparato a capire negli ultimi due anni fra gli under 23.

Nei primi 130 chilometri al servizio del team, poi una sfida con se stesso
Nei primi 130 chilometri al servizio del team
Che cosa ti preoccupava alla partenza?

In queste corse, ho sempre un po’ di timore di non riuscire ad aiutare i miei compagni al meglio. Di non riuscire a tirare fino a quel chilometraggio. Di non riuscire ad arrivare fresco, tra virgolette (ride, ndr) fino a quel chilometraggio. Ecco, queste sono le mie paure. Poi magari sono sciocchezze, ma per uno come me che in gruppo ancora non sa come muoversi per bene, perché facendo il salto di categoria sono tutte cose diverse, un po’ di apprensione alla partenza la generano.

Che cosa ti avevano chiesto di fare?

Far prendere i settori davanti ai ragazzi. Tenerli nelle prime posizioni dal chilometro zero fino al 130 (fino al primo passaggio sul Qwaremont, dove la corsa iniziava il circuito dei muri, ndr). Ho cercato di svolgere il mio lavoro al meglio. Penso di esserci riuscito, ero su che parlavo con i ragazzi e mi hanno detto che ho fatto bene.

Jonathan Milan
Era dicembre, quando andammo a trovarlo a Buja, scattando questa foto sul pavé di casa…
Jonathan Milan
La foto sul… muro di Buja, durante la visita di fine 2020
Avevi mai corso su strade simili?

No, proprio no. Avevo fatto la Roubaix da junior, ma è proprio un’altra cosa

Quando venimmo a casa tua lo scorso inverno, facemmo una foto sul… muro di Buja: hai trovato qualche differenza?

Sono molto più duri (la risata questa volta è di entrambi, ricordando quella foto fatta proprio pensando a un giorno come questo, ndr). Cercavo di farli abbastanza di agilità, per tenere un po’ la gamba sempre in movimento. Per non irrigidirla più di tanto. Quando si prendevano i muri, si andava sempre belli spinti. Se vai a buttare giù rapporti a metà gara, la gamba dopo un po’ salta.

Usando la fantasia e tutta la prudenza del caso, può essere una corsa adatta a te?

Fantasticando può essere, se si prepara bene. Se in questi anni si farà una buona crescita, e sono fiducioso che sarà così al 100 per cento, per me sì. Potrebbe essere una corsa in cui raccontare qualcosa di bello.

Finito il racconto, si torna sul pullman, che sta per ripartire: si torna a casa
Finito il racconto, si torna sul pullman, che sta per ripartire: si torna a casa
Quali sono ora i programmi?

Rientrando ho una Coppa del mondo su pista a Hong Kong con la nazionale (13-16 maggio, ndr). Sarà molto importante andare a vedere come sono messe le altre nazionali. Che sviluppi tecnici hanno fatto, le bici e il vestiario. Poi sarò al Giro di Slovenia oppure alla Coppa del mondo di Cali, in Colombia (3-6 giugno). Poi gli europei di pista (23-27 giugno, ndr). Poi si vedrà. Il grande appuntamento della stagione, se me lo merito, saranno le Olimpiadi.

Come pensi che sarà il passaggio dal pavé al parquet?

Andrà gestito, ma c’è tempo. Avremo degli incontri con Marco Villa in pista per vedere a che punto eravamo rimasti. Riprendere il ritmo è sempre difficile, ma arriveremo a Hong Kong ben preparati.

Italiani: la resa amara di Trentin e Colbrelli

04.04.2021
3 min
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Trentin passa ed è così arrabbiato che smoccola qualcosa e tira dritto. Per gli italiani non è stata una Pasqua di resurrezione, anzi. Si può tranquillamente dire che, al netto di qualche sfumatura, abbiamo subito un’altra crocifissione.

C’erano belle attese per gli italiani, non per tutti, ma francamente proprio l’uomo del Uae Team Emirates poteva essere l’uomo in più, quello ammesso alla mensa dei grandi. Se non altro perché alla Gand e prima ad Harelbeke, nei tratti di salita era sembrato uno dei più in palla. Ma le cose non sono andate e la sua voce è arrivata soltanto dopo, in una nota più malinconica del suo rabbioso sfilare verso il pullman.

Alla partenza per Colbrelli e Trentin aspettative ben più alte: erano gli italiani più attesi
Alla partenza per Colbrelli e Trentin aspettative ben più alte

«Questa è una corsa stregata per me – fa sapere – non sono mai riuscito a concretizzare più di tanto. In questa campagna del Nord non sono stato molto fortunato, ho sempre forato nei momenti critici, eccezion fatta per la Gand-Wevelgem. Oggi ho sperato che la fortuna girasse un po’, ma niente da fare. La parte positiva è la mia condizione fisica, ma allo stesso tempo è anche frustrante».

Un’altra foratura

L’ennesima foratura lo ha appiedato proprio nel momento in cui si faceva la selezione. E la cosa è indubbiamente fastidiosa, visto che proprio una foratura lo aveva costretto a inseguire ad Harelbeke. A margine dell’incidente, che ci può stare, alla partenza abbiamo riscontrato le diverse scelte tecniche nel team, diviso fra l’uso dei tubolari e quello dei tubeless.

Certo la rivincita a Roubaix sarebbe stata sacrosanta. E anche se non si capisce perché mai la Francia non abbia consentito lo svolgimento della classica del pavé, dato che il modello fiammingo e quello italiano dimostrano che il ciclismo si possa svolgere in sicurezza, c’è poco di cui rammaricarsi. Se non si può, come ha detto Asgreen, vuol dire che non si può.

Dopo la foratura ha provato il rientro sul Qwaremont, spendendo tutto
Dopo la foratura ha provato il rientro sul Qwaremont

Colbrelli e i crampi

E poi c’è Colbrelli, dopo che Ballerini è rimasto coinvolto nella caduta del Kanarieberg, quindi ha lavorato come un fabbro e alla fine si è fermato. Per il corridore della Bahrain Victorious, invece, il Fiandre non è andato decisamente bene. E i 4 minuti sul traguardo potevano essere anche molti di più, tale era il morale con cui li ha affrontati.

«Ho forato nel momento peggiore – racconta – mentre si andava veramente forte. E a quel punto ho voluto fare una stupidata. Visto che il gruppo si era rotto, ho voluto fare la sparata e rientrare proprio sul Qwaremont. Ma mi è costato un sacco di energie e alla fine mi sono venuti i crampi. Peccato, perché speravo in qualcosa di meglio. Ma guardiamo avanti».

La spedizione dei nove italiani è finita come temevamo e guardando verso le Ardenne viene da chiedersi se lo scenario sia migliore. Almeno possiamo sperarlo. Per ora si fa rotta su Scheldeprijs e poi da mercoledì si inizierà a guardare verso la seconda parte del programma del Nord.

Qwaremont fatale a Van Aert: «Non ero in giornata»

04.04.2021
3 min
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Van Aert si sta sciroppando tutte le interviste della zona mista senza saltarne una con la stessa tenacia mostrata sul Qwaremont. Avrebbe diritto ad avere un diavolo per capello, come quei corridori che sono sfilati davanti ai giornalisti fingendo di non riconoscerne i cenni. Ma il campione è colui che ci mette sempre la faccia e in questo momento Van Aert non si sta sottraendo alle domande che prevedibilmente lo trafiggono. Era il favorito numero uno e un po’ se l’era anche tirata. La squadra era pronta a prendersi la corsa sulle spalle. Poi però sull’ultima salita le gambe hanno detto basta. Chissà se sarebbe cambiato qualcosa con una tattica meno sbarazzina, senza rintuzzare in prima persona gli attacchi di Alaphilippe e Van der Poel.

Quando Van der Poel ha sentito l’odore del suo sangue e ha affondato i denti sul Qwaremont, il belga ha dovuto arrendersi. E Dio solo sa quanto gli sia costato cedere… all’amico Mathieu, dopo essersi ritrovato nuovamente in fuga con lui e un altro corridore della Deceuninck-Quick Step. L’anno scorso era toccato ad Alaphilippe, questa volta c’era Asgreen.

«Ma non ci sono scuse da cercare – dice con voce calma e vari sorrisi ironici – per vincere un monumento come questo serve essere perfetti e io oggi non avevo questo superfeeling con la corsa e con la bicicletta. Sono arrivato sesto, chiaro che c’erano altre attese. Perciò non ci sono scuse».

Alla partenza, con Pedersen, Sagan, Van der Poel e Alaphilippe
Alla partenza, con Van der Poel e Alaphilippe
Che cosa è successo?

Lo capisci subito se hai le gambe per fare la differenza e io oggi non le avevo. Ho cercato di sopravvivere, ma non è bastato.

Hai mai sperato di poter rientrare, gestendo la crisi?

La verità? Mai, ma perché sapevo di non essere in una delle mie giornate. Non come alla Strade Bianche, dove il cedimento è stato di qualche secondo. Questa volta le forze se ne stavano andando. Non so neanche se possa avere avuto una crisi di fame.

Quando te ne sei accorto?

Quando mi hanno staccato. Ma a parte gli scherzi, l’ultimo Qwaremont è stato il momento in cui sono saltato. Ho provato a tenere duro, ma lo senti se riesci a gestire la fatica o se invece la fatica ti sta tirando a fondo.

Sul Qwaremont è crisi, i primi vanno, il gruppo arriva
Sul Qwaremont è crisi, i primi vanno, il gruppo arriva
La resa finale si è vista però solo sul Paterberg.

Da una parte speravo che davanti si guardassero e forse, se dietro di me non ci fosse stato un gruppetto così forte, avrebbero potuto farlo. Invece loro hanno tirato dritto e io per un po’ ho cercato di resistere, per tenermi il terzo posto. Il Paterberg è stata una vera lotta. E quando mi hanno preso, ho anche rischiato di restare indietro. Perciò alla fine questo sesto posto non è neppure da buttare via.

Credi di aver pagato gli sforzi del cross?

Non è questo il momento per certe valutazioni. Ho vinto la Gand, oggi non stavo bene. Avremo tempo di analizzare tutto.

Hai fatto tutte le interviste e altri ti aspettano dopo di noi…

Fa parte del mio lavoro, quando va bene e quando va male. Lo accetto. Grazie mille, visto che mi aspettano, credo di dover andare.

Asgreen, volata da duro. E Van der Poel si inchina

04.04.2021
4 min
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Era arrivato secondo dietro Bettiol, ma di quel piazzamento non molti ricordavano. Intorno ci sono i muri, i quadri e le bici del Museo del Giro delle Fiandre, mentre Kasper Asgreen racconta il suo sogno realizzato. Racconta che da più piccolo sognava di diventare come Cancellara, perché tutto sommato a cronometro se la cava anche lui, ma c’è ancora tanto da migliorare. Poi dice che il primo Fiandre di cui ha memoria è proprio quello in cui Fabian si sbarazzò con prepotenza di Boonen sul Muur volando fino all’arrivo. Il danese ha gli occhi trasognati, ma forse nei giorni scorsi le sue sensazioni gli avevano fatto capire di avere le gambe giuste per lasciare in qualche modo il segno.

Asgreen è rimasto coinvolto nella caduta dopo il Kanarieberg
Asgreen è rimasto coinvolto nella caduta dopo il Kanarieberg

L’astuzia sul Paterberg

Ha gestito il finale con la malizia del campione navigato. Il capolavoro probabilmente l’ha fatto sull’ultimo Paterberg, quando Van Aert era ormai staccato e Van der Poel poteva avere per la testa l’idea di andarsene da solo. L’olandese aveva già tentato l’allungo al culmine del Vecchio Qwaremont, facendo capire che mercoledì alla Dwars door Vlaanderen si era nascosto. Così Asgreen ha atteso il tratto più duro dell’ultimo muro e invece di restare sfilato, ha affiancato Van der Poel, completando la scalata accanto a lui. Nel linguaggio dei corridori, quel gesto ha significato che non ne aveva paura. E forse nella testa di Van der Poel si è aperta la piccola crepa che nello sprint ha accelerato la resa.

Nel finale si è parlato con Alaphilippe, ma non hanno deciso gerarchie precise
Nel finale si è parlato con Alaphilippe
Hai sempre pensato allo sprint, oppure avevi paura di Van der Poel?

Negli ultimi 10 chilometri ci siamo guardati negli occhi e non c’è stato bisogno di parlare tanto. Dietro c’era un gruppo con corridori forti e se avessimo esitato, ci avrebbero ripreso. Tanto valeva continuare a tirare e credere di potermela giocare in volata. Il mio sprint dopo una corsa lunga come questa non è tanto male, ne avevo già fatti altri. Anche se lui si chiamava Van der Poel…

Hai vinto il Fiandre.

Le classiche sono sempre state qualcosa di speciale. Mi piaceva guardarle in televisione e partecipare è sempre stato un sogno. Sono venuto su due anni fa per la prima volta e arrivai secondo, forse un segno. E ora è incredibile essere qui da vincitore. 

«In finale è bastato uno sguardo – dice Asgreen – per capire che avremmo dovuto collaborare»
«In finale è bastato uno sguardo per capire che era meglio collaborare»
Quanto sei cambiato da due anni fa?

Penso di essere un corridore molto migliore. Due anni fa era il mio primo sul pavé, nel frattempo ho fatto tanta esperienza. Il Fiandre è un lungo giorno sulla bici, devi fare tutto alla perfezione, per evitare di trovarti senza gambe proprio nell’ultima ora. Devi curare ogni dettaglio, ora lo so meglio di allora.

Sei rimasto dietro la caduta, è stato duro rientrare?

Dopo il Kanarieberg due corridori si sono toccati e hanno provocato un bel mucchio. Io ero dietro e ci sono finito in mezzo, ma ugualmente ho dovuto cambiare bici. In quei momenti lo stress è massimo. C’era tanta gente che voleva rientrare e io con loro. Non è stato facile, temevo che mi sarebbe rimasto nelle gambe, invece per fortuna non ha inciso tanto.

Dopo l’arrivo, Van der Poel si è congratulato con lui con grande affetto
Dopo l’arrivo, Van der Poel si è congratulato con lui con grande affetto
C’è stato un momento in cui hai parlato con Alaphilippe e avete deciso di fare corsa per te?

Con Julian abbiamo parlato veramente molto nel finale, a partire dal Taaienberg. Non abbiamo mai deciso effettivamente di dare la precedenza a uno oppure all’altro. L’importante era avere due corridori forti davanti, poi ci avrebbe pensato la strada.

Peccato non ci sia la Roubaix…

Davvero un peccato, per la condizione che ho. So che gli organizzatori hanno provato sino alla fine, ma se non si può perché costituisce un pericolo per la gente in strada, non si può.

Giro delle Fiandre 2021
Prima del podio, aspettando le premiazioni
Giro delle Fiandre 2021, Dopo l'arrivo, aspettando le premiazioni alle spalle del podio
Dopo l’arrivo, aspettando le premiazioni alle spalle del podio
Che cosa significa correre per la Deceuninck-Quick Step?

Un sogno. Hanno fatto crescere fiori di corridori negli ultimi anni. Anche io sono arrivato qui a 23 anni. Il mio contratto scade, ma non è un problema. Spero che potremo sederci presto per parlare del mio futuro.

Si è sempre parlato di Alaphilippe, Van der Poel e Van Aert, ma tu avevi vinto ad Harelbeke, perché non inserirti tra i favoriti?

E’ naturale che si parli di quei tre, perché sono i migliori al mondo. Hanno vinto tanto, lavorano davvero sodo e meritano tanta attenzione. Oggi sono riuscito a batterli, ma sono ancora di più le volte che loro hanno battuto me.