Alla “scoperta” del derny. La tattica sul filo dei 70 all’ora

23.11.2023
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Alla Sei Giorni di Gand abbiamo avuto l’occasione di “riscoprire” e ammirare da vicino il derny, sia la specialità, sia la moto-bici da cui prende il nome la specialità stessa. Il pistard si mette a ruota del pilota e via di corsa per tutta la gara (in apertura foto Sei Giorni Lotto Flanders).

Il derny entra in scena anche alle Olimpiadi per il Keirin, l’unica specialità che prevede l’utilizzo di un mezzo motorizzato in tutto il programma dei Giochi. Chiaramente i mezzi devono rispondere a canoni ristrettissimi di prestazioni ed utilizzo. Insomma si è voluto eliminare la variabile relativa al mezzo tecnico.

Al Kuipke le curve strette schiacciavano moltissimo. Si toccavano i 70 all’ora (foto Sei Giorni Lotto Flanders)
Al Kuipke le curve strette schiacciavano moltissimo. Si toccavano i 70 all’ora (foto Sei Giorni Lotto Flanders)

Velocità e tattica

A Gand il derny era una delle specialità più dure per le caratteristiche della pista: corta (166,66 metri) e con curve super pendenti (52 gradi). Va da sé che una volta arrivati a centro curva e in uscita, gli atleti erano schiacciati moltissimo sulla bici, specie se si considera che si andava anche a 70 all’ora. Pertanto le manche del derny, anche in virtù del fatto che erano inserite all’interno di un programma serale molto fitto, erano ben più corte dei 25-40 chilometri previsti dal regolamento UCI.

L’andatura impostata in partenza iniziava dai 40 all’ora e man mano saliva. Per questa sfida i pistard montavano i rapporti più lunghi dell’intera kermesse. L’olandese Havik per esempio utilizzava un 58×15 che, ci dicono, essere bello lungo sullo specifico anello fiammingo. Ma d’altra parte le velocità finali erano altissime.

Un po’ moto, un po’ bici

Il derny prende il nome dalla moto stessa, Derny appunto, un marchio francese che nacque nei primi decenni del 1900. Era una “moto leggera”, in pratica su un telaio di bici più robusto veniva installato un motore che era agevolato dalla spinta dei pedali. All’inizio vi furono organizzate gare specifiche su strada. Cera una cronoscalata del Ventoux, per dire. E sempre il derny era uno dei simboli della mitica Bordeaux-Parigi, che tra l’altro ritornerà il prossimo anno.

A parte qualche apparizione sporadica, l’arrivo su pista avvenne nel dopoguerra, nel 1948 in Giappone. E non è un caso che negli anni molti corridori di livello fossero del Sol Levante. Ma anche l’Italia con Guido Bontempi, Claudio Golinelli e Ottavio Dazzan ha avuto interpreti di assoluto valore.

La foto di rito dopo le manche del derny, spesso vinte da Van den Bossche (in foto) o dal compagno Jules Hesters
La foto di rito dopo le manche del derny, spesso vinte da Van den Bossche (in foto) o dal compagno Jules Hesters

Il pilota conta

A Gand i derny erano a motore termico. Oggi nei velodromi e ai Giochi sono elettrici, ma il concetto di velocità che va ad aumentare gradualmente resta lo stesso.

«E’ l’atleta che decide il passo – ci ha detto Michele Scartezzinise dice “Op” il pilota deve calare un po’, se dice “Alè” deve aumentare. E’ una gara molto tattica, si dice sempre che non si parte forte ma poi si aumenta più rapidamente di quel che sembra. Conta molto anche la sensibilità del pilota, che in certe fasi almeno deve essere bravo a non strappare».

Tuttavia quest’ultima affermazione non ha più valenza sui derny di ultimissima generazione. Questi infatti sono elettrici e controllati da remoto per l’aumento della velocità così da annullare la variabile relativa al pilota.

Nelle Sei Giorni però si resta fedeli alla vecchia linea, come ci ha detto uno dei piloti del Kuipke: «I corridori preferiscono questo tipo di derny e non quello elettrico, perché sentono il rumore che li aiuta a regolarsi. Riescono a capire meglio i distacchi. E, cosa non secondaria, il rumore del motore che sale di giri fa salire l’adrenalina».

E questo è verissimo, anche noi la prima sera siamo stati rapiti da questo crescendo motorizzato.

Il pilota gioisce per la vittoria di Lindsay De Vylder da lui guidato (foto Sei Giorni Lotto Flanders)
Il pilota gioisce per la vittoria di Lindsay De Vylder da lui guidato (foto Sei Giorni Lotto Flanders)

Come funziona?

Vince chi, al termine dei giri stabiliti, taglia per primo il traguardo. Il regolamento dice che la moto non va superata, ma bisogna fare un distinguo. Ci sono infatti delle varianti. Nelle prove ufficiali, mondiali, Olimpiadi… il pilota, unico per i finalisti, si sposta a 750 metri dall’arrivo: è questa appunto la specialità del Keirin, riservata ai velocisti. Nelle Sei Giorni invece il derny resta in pista fino alla fine e di fatto è parte integrante delle sfide.

Anzi, il pilota tante volte è più coinvolto dell’atleta stesso. Almeno così ci è sembrato a Gand. Quando vincevano urlavano più i piloti che i corridori! Ma ci sta, in fin dei conti il saper valutare le distanze per le rimonte, le velocità e gli spazi soprattutto è anche merito loro.

«Sembra facile ma non è così – ha detto Ron Zijlaard, uno dei piloti più esperti – anche noi dobbiamo prendere confidenza con la pista. Arriviamo un giorno prima per girare un po’. E’ importante che l’atleta si senta in una zona comfort, a suo agio.

«Noi che guidiamo dobbiamo essere anche in grado di capire gli altri. Se si muovono molto sulla bici allora si può attaccare. Dobbiamo sederci bene per fargli prendere meno aria possibile. E’ anche importante non stare nelle turbolenze di chi è davanti». Insomma c’è più tattica di quel che si possa immaginare.