Maini: «Gara nella gara. Non è stata una Vuelta monotona»

12.09.2024
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Sono iniziati ieri gli europei in Limburgo (in modo fantastico per l’Italia con l’oro di Affini e il bronzo di Cattaneo nella cronometro individuale) che la Vuelta sembra già lontana molto più dei quattro giorni che sono trascorsi dalla frazione conclusiva di Madrid. Questo non è altro che la conseguenza dell’effetto-lampo del ciclismo attuale, dove si va sempre più veloce in gruppo e pure nel passare con l’attenzione alla gara successiva.

Noi però abbiamo tirato i freni per un attimo andando a ripercorrere gli highlights della corsa spagnola vinta da Roglic in compagnia di Orlando Maini. Il tecnico bolognese è momentaneamente giù dall’ammiraglia, ma ovviamente resta un assetato di ciclismo. Non si è perso nemmeno una tappa della Vuelta, gara che gli è rimasta nel cuore da quando vinse la Saragozza-Soria nel 1984. Ecco la sua analisi.

Orlando Maini (qui con Canola al GiroE) non si è perso una tappa della Vuelta
Orlando Maini (qui con Canola al GiroE) non si è perso una tappa della Vuelta
Orlando da dove vuoi iniziare?

Partirei dall’ultima tappa solo per indicarvi un dato che mi ha impressionato. Hanno fatto la crono di Madrid a medie orarie folli, dopo una Vuelta molto dura. Kung l’ha vinta sopra i 55 chilometri orari. Solitamente l’ultima crono di un grande giro a tappe è l’indicatore della condizione. E molti stavano bene. Cattaneo e Baroncini sono andati molto forte, Affini appena dietro, ma lui era già andato bene in quella di apertura. Non mi stupisce che i primi tre della crono europea siano reduci dalla Spagna.

Qualcuno dice che è stata una Vuelta noiosa. Cosa rispondi?

Ci sta che il pubblico da casa voglia sempre che tutti i migliori dieci corridori al mondo si scontrino in ogni tappa. Per le volate, in salita o nelle frazioni ondulate. Ma non può essere così perché innanzitutto c’è un calendario molto fitto e le energie vanno dosate. Poi perché il livello medio è altissimo. Si va forte ogni giorno, basta guardare i dati dei computerini dei corridori. Anche nella penultima tappa, che aveva più di 5.000 metri di dislivello in 170 chilometri, sono andati molto forte (oltre 37 km/h di media, ndr). Le differenze sono minime in certi casi.

Alla 6ª tappa O’Connor trova la fuga, vince e guadagna minuti preziosi in classifica. Chiuderà secondo cedendo solo al terzultimo giorno
Alla 6ª tappa O’Connor trova la fuga, vince e guadagna minuti preziosi in classifica. Chiuderà secondo cedendo solo al terzultimo giorno
Alla fine secondo te ha vinto la Vuelta chi doveva vincerla?

Delle tre grandi corse a tappe, quella spagnola è quasi sempre quella col risultato più aperto, specialmente quest’anno. Senza fenomeni come Pogacar, Vingegaard e Evenepoel, il favorito principale era Roglic, anche perché i rivali diretti sulla carta non erano al top. Almeida si è ritirato all’inizio, Adam Yates è andato a corrente alternata, Landa era in buona condizione, ma non abbastanza e Mas è un regolarista cui manca sempre il guizzo decisivo. Tuttavia la vittoria di Roglic non era scontata, nonostante ne avesse già conquistate tre. Infatti abbiamo visto com’è andata. Ha dovuto rosicchiare il vantaggio di O’Connor fino alla fine. Per me è stata una Vuelta che è andata oltre le attese.

In che modo?

Sostanzialmente ogni giorno c’era una fuga numerosa e quindi si assisteva ad una gara nella gara. Una per la vittoria di tappa, l’altra per la generale. Abbiamo visto lampi che hanno reso interessante la corsa. Ad esempio in una di queste azioni da lontano, O’Connor è andato a prendersi un successo parziale, la maglia rossa e alla fine pure il secondo posto finale. Guardate che fare un podio nelle grandi corse a tappe non è facile, anche se non ci sono i soliti tre tenori che dicevo prima.

La fuga di O’Connor ha ricordato quella di Arroyo al Giro del 2010 che gli permise poi di chiudere secondo dietro Basso in classifica. Secondo te ha scombinato i piani di molti uomini?

Penso proprio di sì. Bisogna dire però che rispetto ad Arroyo, O’Connor alle spalle aveva un quarto posto al Tour del 2021 e al Giro di quest’anno, quindi era già abituato a certi piani alti. Però per me ha fatto un grande numero. Idealmente gli do un voto alto perché ha giocato molto bene le sue carte. E’ vero che gli hanno lasciato molto spazio e lui ha guadagnato molti minuti con quella fuga, però gli va dato atto che è stato bravo a crearsi quella occasione. E bravo successivamente a gestire gli sforzi. Tutti pensavano che saltasse prima, invece ha ceduto solo al terzultimo giorno.

La Kern Pharma ha ottenuto tre vittorie (qui con Castrillo a Estación de Montaña Manzaneda). Un ottimo bottino per un team professional
La Kern Pharma ha ottenuto tre vittorie (qui con Castrillo a Estación de Montaña Manzaneda). Un ottimo bottino per un team professional
Lato velocisti invece cosa ci dici?

Le tappe se le sono divise in due rispettando abbastanza i pronostici. Mi è dispiaciuto tantissimo per la caduta e il relativo abbandono di Van Aert. Peccato, stava andando fortissimo, mi ricordava quello del 2022 al Tour. Ha raccolto tre vittorie, era sempre in fuga, anche in montagna, aveva una condizione incredibile ed era al comando di due graduatorie. Non so se avrebbe vinto la classifica dei gpm, ma di sicuro quella a punti, che poi è andata a Groves, autore di tre successi nelle altrettante tappe per velocisti.

C’è qualcosa che ti ha colpito in particolare?

Sicuramente le vittorie delle formazioni professional. A parte quello di Woods della Israel, che è già stata nel WorldTour, i tre successi della Kern-Pharma con Castrillo e Berrade mi sono piaciuti. Penso che vadano a beneficio del nostro sport. Sono di certo vittorie figlie della Vuelta che si è creata come dicevo prima, ma sono importanti perché danno un segnale. Che anche le squadre più piccole possono riuscire a vincere nei grandi giri. Pensate al Giro d’Italia se una professional italiana vincesse tre tappe. Per gli sponsor sarebbe una manna e magari servirebbe per attirarne di nuovi.

Van Aert sembrava quello del Tour 2022. Tre vittorie, fughe, maglie di classifica, ma anche la solita sfortuna. Abbandona per una caduta
Van Aert sembrava quello del Tour 2022. Tre vittorie, fughe, maglie di classifica, ma anche la solita sfortuna. Abbandona per una caduta
Cosa ti ha deluso?

Devo dire con onestà che mi sarei aspettato di più da Landa. Non tanto in termini di generale, quanto più per una vittoria di tappa. Però per come stava andando ed è andata la Vuelta, la Soudal avrebbe dovuto cambiare tattica. Ovvero non lasciare andare via la fuga e poi inventarsi qualcosa nel finale. Oppure far uscire di classifica Landa subito e cercare la fuga come fanno spesso in tanti per avere più libertà d’azione. Certo, non è così semplice. Una conseguenza di tutto ciò però ha portato a fermare Cattaneo nella diciottesima tappa per aspettare ed aiutare Landa staccato. Mi è spiaciuto molto per Mattia che meritava di giocarsi la vittoria siccome aveva dimostrato di stare bene.

Nella 18ª tappa Cattaneo era in fuga, ma è stato fermato per aiutare Landa staccato. Avrebbe meritato di giocarsi le proprie carte
Nella 18ª tappa Cattaneo era in fuga, ma è stato fermato per aiutare Landa staccato. Avrebbe meritato di giocarsi le proprie carte
Orlando Maini come ha guardato la Vuelta?

Ho un debole per le gare spagnole e per questa in particolare. L’ho corsa da corridore e l’ho fatta tante volte da diesse. Ogni giorno appena mi collegavo alla televisione cercavo di capire com’era la situazione e mi immedesimavo nei direttori sportivi, sia degli atleti in fuga sia di quelli in lotta per la maglia rossa. Cercavo di interpretare le tattiche e magari vedere se i miei pensieri combaciavano con ciò che vedevo. D’altronde noi addetti ai lavori guardiamo le gare in questo modo, valutando aspetti che spesso la gente da casa non tiene in considerazione.

Martinelli e la strada in salita dell’Astana

13.03.2024
7 min
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La situazione dell’Astana è traballante. Non c’è un capitano carismatico, il budget non è più quello di un tempo, Cavendish fa tanto come immagine, ma forse non basta. Il sistema dei punti rende necessario fare risultati e se questi non vengono, si capisce lo scoramento del personale. L’attività è ugualmente intensa e a tratti frenetica, dice Martinelli, ma nessuno si tira indietro.

Il bresciano è l’ultimo tecnico ad aver vinto il Giro, il Tour e la Vuelta con un corridore italiano. In precedenza ne aveva portati a casa anche altri, l’elenco è lungo, ed è per questo che quando finalmente riusciamo parlare con lui alla vigilia della Milano-Torino (ieri), suona strano sentire che ormai si occupa principalmente di logistica e mezzi. Se a ciò si aggiunge che sua figlia Francesca, pilastro nell’ufficio del team, è passata alla Tudor, si capisce che la situazione sia piuttosto diversa da quella che Martino avrebbe immaginato per l’ultima parte della sua carriera. 

Nibali è stato a lungo la bandiera dell’Astana: Martinelli conferma che sostituirlo non è stato facile
Nibali è stato a lungo la bandiera dell’Astana: Martinelli conferma che sostituirlo non è stato facile
Martino, che momento è questo per l’Astana?

Un momento un po’ particolare. Sono qui dal 2010, veniamo da un passato importante, ma abbiamo pagato il dopo Vincenzo. Sia la prima volta che è andato via, sia l’ultima. Avevamo Fuglsang, ma abbiamo perso uno dietro l’altro Landa, Scarponi, Vincenzo e Aru. Abbiamo un gruppo di corridori buonini, ma quando ti manca un leader carismatico attorno cui costruire la squadra, diventa tutto un mettere insieme che crea confusione. Se non hai il campione, non dico che rischi di fallire, ma di non trovare una direzione unica. Cambi per cambiare e non porta da nessuna parte. E poi c’è una questione di budget.

E’ sceso il vostro oppure è salito quello degli altri?

Il nostro è diminuito e gli altri sono aumentati. Le cifre che si sentono sono pazzesche, c’è chi spende 45 milioni di euro e chi ne spende 15, perciò la differenza è impossibile da reggere. E’ anche uno dei motivi per cui il campione non lo prendi più e fai fatica anche a prendere i giovani talenti. Possiamo fare poco contro chi gli offre 5 anni, perché noi non abbiamo 5 anni di contratto davanti a noi e neppure il budget di 10 anni fa. Non possiamo competere, siamo a inseguire qualcosa che non arriva. Lo staff è ancora l’arma vincente, perché Borselli, Tosello, Possoni e Saturni ci sono, sono il top e vanno avanti. Però secondo me anche a loro ogni tanto vengono in mente le vittorie che facevamo e questo porta un po’ di sconforto.

La partenza di Aru ha interrotto quel ciclo…

Fabio è andato via solo per i soldi, non c’è niente altro da dire. Quando una squadra come la UAE ti offre, a quell’epoca, 3 milioni di euro per tre anni, tu cosa fai? Io personalmente gli dissi che avrebbe fatto bene ad accettare. Il corridore deve guadagnare, il futuro passa da quello. Il problema è che in quei tre anni si è spento, mentre i nostro progetto è ancora in salita. E’ inutile recriminare su un Moscon che non è stato all’altezza della situazione o Ballerini che abbiamo preso per fare le classiche del Nord e alla fine non ce l’abbiamo. Spero che dal Catalunya cominceremo a vedere Fortunato e poi speriamo veramente nel Giro d’Italia.

Aru ha corso all’Astana dal 2012 al 2017, voluto da Martinelli in persona, vincendo la Vuelta 2015
Aru ha corso all’Astana dal 2012 al 2017, voluto da Martinelli in persona, vincendo la Vuelta 2015
Quanto è importante Cavendish in questa squadra?

Tanto. A livello mediatico, lo conoscono tutti. L’ho conosciuto anch’io e non credevo che fosse così bravo. Mi sembrava sempre uno un po’ scorbutico, invece è un ragazzo molto intelligente e ha portato qualcosa alla squadra. Specialmente nel momento in cui le cose sembrano vacillare, quando c’è lui alla partenza, hai la sensazione di avere un gioiello. Senza di lui saremmo una squadra qualunque. Quando “Vino” mi disse che c’era la possibilità di prenderlo, dissi subito di sì. Non perché ha un milione e mezzo di follower, ma perché tutto il mondo lo conosce. Non abbiamo Pogacar, Vingegaard o Roglic, ma abbiamo Cavendish.

La scienza comanda: credi ancora nella possibilità di scovare un ragazzino e farlo crescere senza tanti condizionamenti?

Guardate, sono uscite le due cose che provo io in questo momento. Parlano tutti di watt per chilo. Io ascolto, so cosa significa, ma sono convinto che un ragazzino che crede ancora nel ciclismo, nell’andare in bicicletta col sogno di vincere il Giro d’Italia o il Tour de France, non dovrebbe guardare queste cose. Dovrebbe imparare che cos’è realmente il ciclismo. Ho incontrato dei ragazzi quest’inverno, ho parlato con loro senza numeri. Non mi interessava che procuratore avessero, non mi interessava il margine di miglioramento, ma se gli piacesse veramente il ciclismo. Perché questo sport non puoi non amarlo, è forse il ciclismo più bello che c’è. Lasciamo stare quello che ho passato, lo sanno tutti e sono contento di esserci stato. Ma adesso ti alzi la mattina e se in gara c’è Pogacar o Remco, ti godi veramente lo spettacolo. Credo che perdere da questi corridori non sia percepito come una sconfitta. Prima potevi anche inventare qualcosa tatticamente per farli saltare, adesso il livello è incredibile. Non è impossibile, ma molto difficile.

Cosa possiamo aspettarci da Garofoli, che ha lasciato la DSM per venire da voi?

Ho parlato insieme a Gianmarco per mezz’ora ieri all’ora di pranzo. Ha finito la Tirreno e adesso prepara i Paesi Baschi. Secondo me fatica perché è un po’ troppo esuberante e vuole sempre dimostrare qualcosa a se stesso e a tutto il mondo. Dovrebbe essere più tranquillo e capire che se ti manca solo un 10 per cento, forse ti piazzi, ma di certo non vinci. L’altro giorno leggevo la Gazzetta dello Sport, scusatemi ma vi assicuro che leggo sempre anche voi (ride, ndr), dove Ciro Scognamiglio descriveva il 14° posto finale di Fortunato come il peggior piazzamento italiano degli ultimi anni. Ma che corridori c’erano in gara e che corridori ci sono in Italia per fare meglio di un 14° posto? Perché il nostro ciclismo purtroppo è questo qua. Certo c’è Milan, ma è uno ogni tanto…

Cavendish ha portato esperienza, carisma e il senso di avere un obiettivo condiviso
Cavendish ha portato esperienza, carisma e il senso di avere un obiettivo condiviso
Un quadro pesante…

Nel ciclismo di oggi, l’Italia è una piccola parte e anche secondo me manca una WorldTour italiana. Giovani buoni li abbiamo e alla fine quello giusto arriverebbe. Ma se va alla Bora o alla Visma, quanti giovani stranieri si troverà davanti? Non crescerà mai come Nibali alla Liquigas. Qui sarebbe il miglior italiano, là sono dei buoni italiani in mezzo ai campioni di casa. Anch’io ho avuto dei corridori italiani nella mia squadra con un’anima italiana, che sono emersi più facilmente perché l’ambiente che li circondava gli ha dato qualcosa in più. Per un belga che corre in una squadra belga oppure olandese, non è come per un italiano che corre in una squadra belga, è tutta un’altra storia. Sei un numero e sperano che tu vada bene, l’altro invece è considerato un investimento nel vero senso della parola.

In gruppo si sussurra che le Olimpiadi potrebbero chiudere il ciclo dell’Astana…

No, abbiamo ancora i contratti fino al 2025, credo però che l’Astana andrà avanti ancora a lungo. Finché c’è Vinokourov, c’è speranza nel vero senso della parola. Lui ha delle conoscenze talmente importanti da poter andare dove vuole. Il problema è che in questo momento avremmo bisogno di più soldi, per crescere veramente. Se li avessimo avuti, magari avremmo potuto trattare lo stesso Milan. La squadra va avanti, ne sono convinto. Invece penso che tutto sommato la mia carriera sia terminata.

Perché?

Mi piace ancora essere qua e dare l’anima, però dico la verità: in questo ciclismo valgo poco. Eppure penso che se trovassi un interlocutore cui far capire veramente certi meccanismi, mi piacerebbe ancora da morire stare in mezzo e fare la squadra. Se non vado alle corse, non è perché non mi piaccia più, ma perché mi sento inutile.

Zanini, Martinelli e Maini: il 2023 è stato l’ultima stagione in Astana per il bolognese, sulla destra
Zanini, Martinelli e Maini: il 2023 è stato l’ultima stagione in Astana per il bolognese, sulla destra
Anche la mancata riconferma di Maini va in questa direzione?

Questa è una delle sconfitte che mi hanno segnato di più. Non perché Orlando sia un mio amico, perché l’amicizia è una cosa, la capacità e l’intuizione di gestire certi passaggi è un’altra. Non le compri al supermercato e non le compri ad Aigle con un timbro che dice che sei direttore sportivo. E’ stata una scelta dettata dal fatto che sta cambiando tutto e probabilmente non interessa neanche avere un Martinelli. Al giorno d’oggi vale di più un direttore sportivo che ha smesso di correre l’anno prima, piuttosto di uno che ti dice cosa si potrebbe fare e cosa non si deve fare.

Iniziano le classiche, sabato c’è la Sanremo, dove ti troviamo?

Se tutto è confermato, ci vediamo al Giro d’Abruzzo.

Un viaggio a ostacoli nei silenzi di Maini

10.02.2024
6 min
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Maini e il ciclismo sono una cosa sola. Quando lo intercettiamo, Orlando ha appena assistito alla vittoria di Pedersen al Tour de la Provence, osservando e annotando come fanno i direttori sportivi. Quello è un ruolo che non passa e non impari studiando le tabelline. Ce l’hai dentro, anche se la squadra per cui ha lavorato negli ultimi due anni ha deciso di portarlo a fine contratto senza dire una parola.

Maini non mostra le ferite, perché sa che se le mostrasse, farebbero male a lui e non a chi gliele ha inflitte. Per cui parlando del più e del meno, saltando da un argomento all’altro per quasi mezz’ora, lo capisci subito quando arrivi a un tema caldo, perché chiede subito di non scriverne. E’ un vero slalom: chissà cosa si proverebbe per una volta a essere maleducati…

«Può succedere – dice – alla fine credo che si debba rispettare quello che ha deciso la dirigenza, anche se non lo condividi. Non so esattamente il perché. Quelle che faccio sono supposizioni, ma non voglio parlarne perché risulterei antipatico. Il contratto terminava a fine anno e non si è mai parlato di prolungarlo. A un certo punto l’ho capito che finiva così, ma non so bene perché».

Maini è stato porfessionista dal 1979 al 1988. Qui nel 1984 in maglia Alfa Lum
Maini è stato porfessionista dal 1979 al 1988. Qui nel 1984 in maglia Alfa Lum

Suo “fratello Martino”

Dopo quattro anni nelle continental (fra il 2018 e il 2021, il bolognese è stato con Petroli Firenze e Beltrami TSA, ndr), Maini approda all’Astana. Suo “fratello Martino”, come continua a chiamare Martinelli, riesce a tirarlo dentro approfittando della nascita del devo team della squadra kazaka. Maini con i giovani ci sa fare. E’ stato accanto a Pantani, poi a Scarponi, Pozzato e Ulissi. Ha inciso sulle loro vite e fatto salvo il Panta che lo volle alla Mercatone Uno, nessuno dei suoi corridori si è mai esposto più di tanto per averlo accanto. Sarebbe cambiato qualcosa? Forse no, ma chi può dirlo?

In ogni caso, Maini approda all’Astana e lentamente il baricentro della sua attività si sposta verso la squadra WorldTour, in una Astana che però si stava discostando sempre più dall’italianità che l’ha resa forte. La gestione Martinelli, simpatico o meno che possa risultare, ha portato due Giri d’Italia, un Tour e una Vuelta. Quella successiva fa ogni anno i conti con un ranking faticoso. In ogni caso, alla fine del 2023, Maini resta a casa. Il suo inglese sarà pure elementare, ma con i corridori riesce a parlarci lo stesso, forse perché di solito si rivolge alla loro anima.

Lo scorso anno al ritiro dell’Astana ad Altea, Maini con Martinelli e Zanini
Lo scorso anno al ritiro dell’Astana ad Altea, Maini con Martinelli e Zanini

Il Maini di sempre

A voler fare i conti della serva, la considerazione che facemmo non vedendolo al ritiro di dicembre, fu che per riassorbire Dimitri Sedun (restato a piedi dopo il caso Gazprom) e tirare dentro Mark Renshaw in supporto di Cavendish, l’Astana abbia pensato di tagliare lui, mantenendo Zanini, Cenghialta, Manzoni e ovviamente Martinelli, che al sacrificio di Maini ha reagito piuttosto male. Anche perché nel frattempo l’Astana ha aggiunto alla WorldTour e al devo team anche la squadra femminile: un direttore sportivo in più non sarebbe ugualmente stato utile?

«Dopo quattro anni nelle continental – racconta – per me tornare nel WorldTour è stato un entusiasmo grandissimo. Mi hanno messo sul palcoscenico che sognavo dalla mattina alla sera, quello delle corse. Sono riuscito a farne diverse, purtroppo neppure un grande Giro. Effettivamente dentro di me si è riaccesa quella sorta di fuoco. E poi la maggioranza delle corse le ho fatte con “Martino”, con cui ho un’intesa particolarissima. Per me è stata un’esperienza importante, ma sono sempre rimasto Maini, con i giovani o con la WorldTour. Ho il mio carattere e il mio modo di lavorare, che può piacere oppure no».

Con Cavendish al Giro di Sicilia del 2023, preparando il Giro
Con Cavendish al Giro di Sicilia del 2023, preparando il Giro

Una questione di rispetto

Gli era già successo a fine 2017, quando la UAE subentrò alla Lampre e il bolognese fu messo alla porta. Dissero per l’inglese e l’internazionalità del team. Ci sono persone nei cui confronti la mancanza di rispetto viene facile, un altro come lui è stato Giuseppe Petito. Nella carriera di quest’uomo così roccioso e troppo buono, che da professionista vinse una tappa al Giro e una alla Vuelta, ci fu anche chi valutandolo come direttore sportivo, gli chiesse se avesse la patente C per guidare eventualmente il camion. Forse essere educati è davvero un limite.

«Le dinamiche di queste due chiusure – dice – si assomigliano molto. Però diciamo che l’ultima, forse per sensibilità mia e perché è più fresca, mi rimane dentro. Sei anche consapevole di avere 65 anni e magari la cosa ti spaventa perché ti chiedi adesso cosa succederà. Nella mia testa sono sempre stato un attaccante e sempre lo sarò. E’ innegabile che ci sia un cambio generazionale importante anche fra i direttori sportivi, con tutta questa tecnologia e il fatto che il gruppo sia sempre più internazionale. Sono punti che fanno la differenza, però poi c’è la corsa e lì io so riconoscere i movimenti».

Con Pozzato nel 2009 alla Katusha, Maini riuscì a vincere il campionato italiano avendo al via solo il vicentino e Mazzanti
Con Pozzato nel 2009 alla Katusha, Maini riuscì a vincere il campionato italiano avendo al via solo il vicentino e Mazzanti

Il confronto fa crescere

Il direttore sportivo che non parla inglese ma ha trent’anni di esperienza fa ancora la differenza. Questo non significa sminuire i giovani, perché è innegabile che il metodo di lavoro sia cambiato e le competenze vadano riconosciute.

«Ogni anno smettono in 3-4 e diventano subito direttori – spiega Maini – e questo va bene.  Non è scritto che da nessuna parte che io ho fatto trent’anni e quindi debba sapere tutto. No, il confronto fa crescere. Per me è sempre stato così, anche con i corridori. Sono stato spesso additato perché ero particolarmente attaccato a loro, ma questo è il mio modo di lavorare: dentro e fuori la corsa. E ha sempre pagato perché ogni volta mi hanno dato il 110 per cento.

«Adesso è comodo spingere un bottone e mandare un whatsapp o una mail, ma guardarli in faccia secondo me fa ancora la differenza. Magari non la pensano tutti come me, non è neanche facile avere questo tipo di empatia con gli atleti. Per confrontarti direttamente con un uomo serve il carattere per dirgli le cose in faccia».

Nel 1992 Maini guidò Pantani alla conquista del Giro dilettanti, poi è stato suo diesse anche nei pro’
Nel 1992 Maini guidò Pantani alla conquista del Giro dilettanti, poi è stato suo diesse anche nei pro’

La giovane Italia

I saluti, con la promessa di risentirci presto, li dedichiamo proprio ai giovani. L’Astana ha un bel pacchetto di ragazzi italiani, che però finora hanno faticato per venire fuori.

«Ci vuole pazienza – dice Maini – molta pazienza. Faccio fatica a sbilanciarmi sui ragazzi che c’erano l’anno scorso. Potrebbero far bene, ma non è scontato. Allargando lo sguardo, io credo che quest’ultima infornata ci darà un po’ di soddisfazioni. De Pretto o Busatto ci hanno già fatto intravedere qualcosa. Come loro Pellizzari e magari anche Garofoli, però è arrivato il momento che vengano fuori. Le squadre straniere prima di noi hanno cominciato a mandare degli osservatori in giro per il mondo. E adesso si ritrovano una generazione di ventenni che vincono le grandi corse, a tappe e classiche. Lasciamo stare i 5 fenomeni, quelli stanno in un olimpo tutto loro, ma gli altri che sono sotto sono comunque dei buoni corridori.

«Non credo che andando nelle squadre straniere i nostri siano penalizzati, guardate Zana come sta trovando spazio alla Jayco-AlUla. Pellizzari andrà alla Bora dopo tre anni con Reverberi? Penso che avrà la solidità per starci. In questo momento siamo in difficoltà, però l’anima italiana che c’è nelle squadre straniere ha la forma di ottimi corridori e direttori sportivi che hanno una marcia in più. Io ci spero che si torni a com’era prima, quando c’erano Marchino e Scarponi. Quello che mi fa ancora male pensando a loro, è che non ci siano più da così tanto tempo».

Giro o Vuelta, quale miglior GT per debuttare? Risponde Maini

31.10.2023
4 min
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«Da italiano, mi verrebbe da scegliere il Giro. Però da giovane, mi viene da dire di più la Vuelta. Se non dovessi recuperare bene le fatiche del Giro d’Italia, me le porterei per tutto il resto dell’anno. Alla Vuelta invece, si è quasi a fine stagione, quindi un po’ mi salverei». Queste le parole di Alessandro Verre ad Enzo Vicennati in un’intervista fatta durante il Tour of Guangxi.

Questa considerazione del lucano lancia un tema: qual è il miglior grande Giro  per un giovane professionista? E perché? Lo abbiamo chiesto a Orlando Maini, direttore sportivo tra i più esperti in assoluto e molto a contatto con i giovani.

Orlando Maini è attualmente uno dei diesse dell’Astana-Qazaqstan: vanta un’esperienza pluridecennale prima come atleta e poi appunto come tecnico
Orlando Maini è attualmente uno dei diesse dell’Astana-Qazaqstan: vanta un’esperienza pluridecennale

Differenze? Una volta forse…

Tutto sommato le parole di Verre hanno un certo fondamento. Lorenzo Germani, che ha un anno in meno di Verre, ci aveva detto giusto dodici mesi fa che non avrebbe avuto in programma i grandi Giri per la prima stagione nel WT, salvo lasciare una porta aperta sulla Vuelta nel caso tutto fosse andato bene. Una scelta quella della Vuelta che non avrebbe poi fatto tanti “danni”, primo perché a fine stagione e poi perché ci si arriva con qualche mese di esperienza da pro’.

«Io – spiega Maini – ritengo che il Giro d’Italia sia il giusto mix fra Tour e Vuelta. Per anni la corsa rosa è stata etichettata come la più dura d’Europa, ma dico che negli ultimi anni la tendenza non mi è sembrata questa. Semmai una volta la Vuelta e ancora di più il Tour avevano caratteristiche ben diverse. Tanta pianura all’inizio e montagne dopo e questo presupponeva una divisione di categorie di ciclisti da chiamare in causa (magari si poteva approfittare di questa finestra meno dura per esordire, ndr). Ora non è più così. E anche la Vuelta non è certo leggera. In più arriva a fine anno e anche se sei giovane e ci arrivi bene, sei comunque stanco».

Lorenzo Germani della Groupama-FDJ ha esordito nei GT all’ultima Vuelta. Il laziale è un classe 2002
Lorenzo Germani della Groupama-FDJ ha esordito nei GT all’ultima Vuelta. Il laziale è un classe 2002

L’importanza dei numeri

Maini fa poi il quadro della situazione e ribadisce quelli che ormai sono i numeri. Spesso molti nelle top 10 dei grandi Giri sono ventenni.

«E’ quel che ci dice l’anagrafe», va avanti Maini. «Siamo di fronte ad un generazione di fenomeni, che ormai sono la normalità, quando fino a qualche anno fa si cercava di far fare le grandi gare a tappe ai corridori giovani nel momento giusto, quando cioè c’era una certa maturazione fisica e anche mentale. Ora è quasi il contrario. E vediamo ragazzini primeggiare nei grandi Giri, ma anche in corse come la Tirreno-Adriatico, Parigi-Nizza, Catalunya… che sono corse vere.

«A conferma di ciò è il fatto che sempre più squadre, anche grandi, investono direttamente sugli juniores e molti osservatori partono dagli allievi. Ma se da una parte lo stato dello sviluppo fisico a quell’età può “falsare” gli ordini di arrivo, dall’altra ci sono i numeri, i test che dicono il potenziale del ragazzo. Penso a Finn e Bessega che al primo anno juniores hanno già firmato per degli squadroni».

Come detto, Maini ha fatto una foto, ma il discorso dei baby campioni non vale proprio per tutti. C’è ancora chi ha bisogno di più tempo. Per questa tipologia di atleti vale il “vecchio stile” del grande Giro dai 24-25 anni su. 

«Sì, questo discorso per me – conferma Maini – ci può stare e vale ancora. Penso ad esempio a due giovani italiani, Pellizzari e Piganzoli, che sono in due professional serie, due squadre che li stanno facendo crescere bene, con i giusti tempi. E magari se un giorno passeranno in squadre WorldTour soffriranno meno».

Per Verre un esordio al Giro dalla doppia faccia: sempre in fuga e pimpante all’inizio, fermato dal Covid dopo 13 tappe
Per Verre un esordio al Giro dalla doppia faccia: sempre in fuga e pimpante all’inizio, fermato dal Covid dopo 13 tappe

Giro e Vuelta uguali

Ma torniamo al discorso del grande Giro. Ci sono differenze tecniche perché è meglio esordire ad una Vuelta e non ad un Giro? Cosa cambia? Qualcuno ha detto che le strade della Vuelta sono migliori rispetto a quelle del Giro, ma la corsa è meno frenetica rispetto alla corsa rosa e ancora di più rispetto al Tour.

«Credo che per un giovane italiano – conclude Maini – la differenza sia nell’approccio mentale. Psicologicamente è forse penalizzato dal fatto che, correndo in Italia, si ritroverebbe a gareggiare nelle terre e sulle strade che lo hanno visto crescere. Il Giro lo sente dentro. E tutto questo messo insieme magari gli mette pressione. Ma per il resto non vedo differenze tecniche tra Italia e Spagna. Come dicevo prima, forse prima c’erano delle differenze, ma negli ultimi anni tutti e tre i percorsi dei grandi Giri si somigliano molto.

«Semmai è importante come il giovane arriva al suo primo grande Giro. Oggi gli juniores come abbiamo visto vanno direttamente all’estero e lì fanno anche più corse a tappe. Un ragazzo che invece resta in Italia è meno pronto a certe esperienze appena divenuto pro’».

Velasco campione italiano, per favore non svegliatelo

24.06.2023
7 min
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COMANO TERME – Le polemiche del dopo arrivo se ne sono andate come fili d’erba nell’acqua del Sarca che scroscia verso valle. Trentin si è allontanato dalla zona di arrivo preferendo non parlare, ma ha tagliato il traguardo fra varie maledizioni. Sbaragli ha parlato di scorrettezze in volata, ma riguardando lo sprint con cui ai 200 metri Simone Velasco ha vinto il campionato italiano, una deviazione c’è stata, ma non è stata la sua. Vittoria pulita, con lo sguardo incredulo fin dopo la riga. Ha dovuto arrivare a 27 anni perché tutti si accorgessero di lui e adesso non vorrebbe più scendere dal palco. I tifosi lo acclamano. Nadia e Diletta, la sua compagna e loro figlia (con lui sul podio, in apertura), lo mangiano con gli occhi

Maini commosso

Più commosso di lui è Orlando Maini, cui si rompe la voce e deve smettere di parlare. Bolognese come il fresco vincitore, lo ha visto crescere e negli ultimi due giorni lo ha osservato con attenzione.

«Questa vittoria – dice Maini, uno dei tecnici dell’Astana qui ai tricolori – è frutto anche di quanto è andato forte Battistella in un momento delicato della gara. L’altro giorno nella crono le qualità di Velasco mi avevano entusiasmato. Oggi è stato freddo. Simone ha il grande vantaggio che stanco contro stanco, lui diventa una bestia. Ha la forza interiore incredibile di un ragazzo che si è creato la sua piccola fortuna dal niente. E’ un bimbetto normale, un ragazzo qualsiasi che vedete lungo la strada durante la settimana. Uno cui piace stare con gli amici e con la famiglia, che lo segue con passione. Ma quando deve fare le cose sul serio, non sbaglia un colpo. Queste vittorie mi emozionano, perché io so cosa vuol dire soffrire».

Leonardo Basso ha tirato nei primi chilometri assieme a Mosca: lavoro invisibile, ma prezioso
Leonardo Basso ha tirato nei primi chilometri assieme a Mosca: lavoro invisibile, ma prezioso

Velasco arriva con gli occhi stralunati e la maglia tricolore che lo fascia stretto e lo fa sembrare anche più piccolo. Sorride. Ride. Ringrazia. Ha voglia di raccontare.

Sapevi di stare così bene?

Ero consapevole della buona forma e l’avevo visto nella crono di giovedì. Io non sono un cronoman, però venendo dalla mountain bike e dal ciclocross, sapevo che allenandomi un po’ potevo limitare i danni, ovviamente in una crono abbastanza adatta alle mie caratteristiche.

Dopo la crono infatti tutti parlavano di te…

Ma oggi era una pagina vuota, tutta da scrivere. Il percorso si addiceva abbastanza alle mie caratteristiche, andava bene per corridori di fondo, quindi ero fiducioso. Poi ovviamente il campionato italiano è un terno al lotto perché si corre in modo atipico rispetto alle altre corse. Tante volte mi è andata male nelle categorie giovanili. L’ho sognata mille e più volte e riuscire a vincerla da professionista davanti alla mia famiglia è un’emozione fortissima.

La squadra ti ha coperto benissimo, Battistella in fuga vi ha permesso di restare coperti.

Ci aspettavamo una fuga un po’ più numerosa in partenza. Abbiamo avuto da subito Basso che ha fatto come sempre un grandissimo lavoro e non è da sottovalutare, come tutti quei compagni che tante volte non vengono nominati per primi, ma che sono fondamentali. Dopo Basso, si è mosso bene Battistella e ci ha permesso di rimanere un po’ più sulle ruote. Io ho cercato di fare il finale, di non sprecare molte energie e farmi trovare pronto se c’era l’occasione. Ma non ero molto certo che li avremmo ripresi. Poi però ho deciso di osare, come c’è scritto nel mio tatuaggio: memento vivere semper…

Battistella in fuga con Rota e Magli ha permesso al resto dell’Astana dietro di restare al coperto fino alle fasi decisive
Battistella in fuga ha permesso al resto dell’Astana dietro di restare al coperto fino alle fasi decisive
Cosa ti ha detto Martinelli durante la corsa?

Martino non l’ho ancora visto, ma era sul percorso. E con il suo carattere sempre furente, a un certo punto mi ha detto: «Oh Velasco, adesso vai!». Io ci ho provato, magari più avanti di dove diceva lui. Sono stato più attendista del solito, però è andata bene.  

Dopo l’arrivo, Moscon ti ha dato un abbraccio lungo una vita.

Con Gianni siamo compagni e amici da anni, perché abbiamo corso insieme da under 23 alla Zalf Fior. Tante volte ci siamo ritrovati davanti nei finali di gara e abbiamo avuto appunto varie chance di giocarci le nostre carte. Abbiamo fatto il Giro insieme, quest’anno è uno dei corridori della squadra con cui ho corso di più ed è bello quando un compagno di squadra viene a dimostrarti la sua felicità. Sono veramente super contento di come i miei compagni mi hanno accolto e abbracciato all’arrivo. Abbiamo dimostrato di essere non solo compagni, ma anche amici.

Hai parlato del Giro, ma non è andato benissimo…

Purtroppo mi sono ammalato dopo la tappa di Viareggio, quindi è stata una guerra finirlo. Ho provato a dare un colpo di coda nella tappa di Bergamo, ma purtroppo sono arrivato sesto, non sono riuscito a fare di meglio. Per cui dopo il Giro ho dovuto recuperare un po’ e parlando con la squadra, abbiamo deciso di andare allo Svizzera per preparare l’italiano e poi staccare definitivamente.

L’abbraccio di Battistella è stato solo il primo: a breve arriveranno tutti i compagni
L’abbraccio di Battistella è stato solo il primo: a breve arriveranno tutti i compagni
E come è andata?

Negli ultimi due giorni, ho voltato la pagina. La condizione sembrava tornata più che decente, ho fatto un’ottima crono finale e da lì c’è venuta una mezza idea di fare la crono di giovedì. Quando non sei troppo stressato, le cose vengono meglio. Io sono venuto qua con zero stress e la cosa ha pagato.

Sai già quando vedremo per la prima volta questa maglia in gruppo?

Con la squadra e con Martinelli abbiamo parlato giusto dopo la crono. Io ora stacco e vado un po’ a rilassarmi all’Isola d’Elba. Un po’ di mare fa sempre bene. Dopo andrò in altura, una quindicina di giorni per rimettere su l’allenamento in vista della seconda parte di stagione. In primis avevamo pensato al Polonia, poi abbiamo pensato che le corse in Spagna sono più adatte a me. Se però Bennati vuole portarmi al mondiale, faccio anche quello. E poi faccio anche la Vuelta… (ride, ndr).

Pensavi di poter vincere così bene in volata?

Sulla carta, Trentin era senza dubbio il corridore più veloce. A me non ci pensano, ma anche io sono veloce. Le volate di gruppo non le faccio perché ho paura, però nei gruppetti ristretti posso dire la mia. Così mi sono detto di stare tranquillo e sono andato avanti senza paura. Ho guardato dove si posizionava Matteo e ho avuto la lucidità di vedere le cose 10 secondi prima che succedessero. Sono partito ai 200 metri e l’ho fatta tutta sulla destra, senza prendermi rischi e senza andare a infilarmi da nessuna parte. E alla fine è stata la scelta vincente.

Velasco ha ammesso di amare la maglia tricolore nella sua veste tradizionale: all’Astana lo accontenteranno?
Velasco ha ammesso di amare la maglia tricolore nella sua veste tradizionale: all’Astana lo accontenteranno?
La tua maglia sarà tricolore da cima a fondo?

Di come sarà disegnata la maglia parleremo con la squadra. Senza dubbio a me piace tanto e me la vorrei cucire addosso. Mi piacerebbe averla così, tradizionale. Poi non so, dobbiamo sempre un po’ battagliare, fra gli sponsor e le varie esigenze. Vedremo come sarà fatta.

Il solito dilemma: sei di Bologna o dell’Isola d’Elba?

Io sono di Bologna, perché alla fine Bologna mi ha dato i natali. Mia mamma è bolognese, però il mio cuore è da sempre sulla mia Isola, dove ho vissuto l’infanzia. E’ ovvio che ho un legame particolare con l’Isola d’Elba, ho tanti tifosi, sostenitori e amici. Ma allo stesso tempo non dimentico Bologna, dove sono nato e dove ho fatto il Tecnico Aeronautico. Diciamo che son un elbano di Bologna.

Hai pianto più oggi o quando è nata tua figlia?

Quando è nata mia figlia, ho pianto tanto, tanto, tanto. Però oggi è stato ugualmente toccante, perché era presente anche lei e quindi le ho fatto un bel regalo. Ma la nascita di una figlia forse è la cosa più bella che sia capitata in vita mia.

Non se ne va prima di aver ricordato il suo amico Giulio, scomparso da poco. Il suo massaggiatore Umberto Inselvini, che si prendeva cura dei suoi muscoli e del suo spirito. E anche Gino Mader, che non conosceva di persona, ma ha lasciato il vuoto di quando se ne va uno di loro. Poi arriva Martinelli. Si abbracciano. Il tecnico bresciano gli sussurra qualcosa e Velasco gli dice che aveva ragione. La serata più bella è appena cominciata, fuori le montagne, il verde e il fiume lo renderanno poetico come un bel quadro.

Simone, professione scalatore: un altro Zanini in Astana

02.01.2023
5 min
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Nell’organico del team Astana Qazaqstan Development, oltre a Davide Toneatti, c’è spazio per un altro italiano: Simone Zanini. Il cognome non è nuovo al mondo del ciclismo dato che suo zio Stefano è stato professionista dal 1991 al 2007 ed ora è diesse dell’Astana Qazaqstan Team. Simone Zanini è un classe 2004 e si appresta ad affrontare la sua prima stagione da under 23. Ha tanta voglia di fare, lo si capisce dalla voce, che trasmette una grande energia e tanta vitalità.

Nei due anni da junior Simone (al centro) ha corso con la CC Canturino 1902 (foto Instagram)
Nei due anni da junior Simone (al centro) ha corso con la CC Canturino 1902 (foto Instagram)
Simone, che inverno è?

Strano! Sto facendo tante nuove esperienze, lo definirei anche molto divertente. All’inizio di tutto ero un po’ spaventato: nuovo mondo, nuova categoria, una squadra internazionale… 

Come sta procedendo?

Mi sto allenando bene, per quanto possibile visti gli impegni scolastici. Sono all’ultimo anno dell’Istituto alberghiero a Gallarate. Ho fatto già molte ore in bici rispetto al passato ed ho iniziato a fare anche un po’ di palestra. Lo avevo già fatto, ma ora sto sperimentando un sistema nuovo e direi che mi sono adattato abbastanza velocemente. 

Quando hai iniziato la preparazione?

Il 16 novembre, ormai è un mese e mezzo che si lavora, è stato un periodo di crescita costante e questo mi dà entusiasmo. Tra un paio di settimane andrò in ritiro con la squadra, più precisamente dal 17 al 30 gennaio.

Nel 2022 al suo secondo anno nella categoria ha ottenuto due vittorie (foto Instagram)
Nel 2022 al suo secondo anno nella categoria ha ottenuto due vittorie (foto Instagram)
Sarà la prima volta che incontrerai lo staff ed i nuovi compagni?

L’unica persona che per il momento ho visto è il mio preparatore Mazzoleni. Ho fatto qualche chiamata con il diesse di riferimento che è Orlando Maini. Però sì, incontrerò tutti per la prima volta proprio in ritiro, mi sento abbastanza tranquillo.

Anche avere uno staff italiano aiuta, no?

Assolutamente, la mia preoccupazione più grande era di incontrare staff o diesse stranieri, non tanto per il metodo di lavoro, ma per la lingua. Avrei fatto più fatica ad integrarmi, forse. 

Com’è stato il tuo approdo all’Astana?

Traumatico (dice ridendo, ndr). No dai, traumatico no, però mi han fatto tribolare perché la risposta non arrivava più. Ho avuto paura di perdere il treno per passare in una bella squadra.

Simone Zanini è un corridore molto leggero, un fisico da scalatore ma ancora tutto da formare
Simone Zanini è un corridore molto leggero, un fisico da scalatore ma ancora tutto da formare
Quali altri team ti avevano contattato?

Ho fatto dei test con la Bardiani, ma alla fine mi hanno detto di no. Poi mi hanno contattato la Corratec e la Beltrami. 

Così, anche se all’ultimo, è arrivata l’Astana, contento?

Contentissimo. Quasi tutte le persone che conosco mi hanno consigliato di cercare una squadra estera, internazionale. Mi fa piacere che nel team ci sia una persona come mio zio Stefano, anche se lui con noi c’entra poco visto che non lavorerà direttamente con me. 

Cosa ti entusiasma di più?

Il calendario. Non so ancora di preciso quali corse farò perché ci saranno da considerare anche lo studio e la maturità. Tuttavia il programma mi intriga molto, faremo tutte le gare internazionali sia in Italia che all’estero.

Per Zanini la pazienza è una caratteristica fondamentale: meglio crescere per gradi
Per Zanini la pazienza è una caratteristica fondamentale: meglio crescere per gradi
Raccontaci di te e della tua esperienza da junior.

Arrivo dal team CC Canturino 1902, il primo anno della categoria mi sono concentrato sulla crescita e sul trovare il ritmo. Verso metà stagione sono arrivato ad essere competitivo. Il secondo anno, grazie anche ad una maggiore armonia con i miei compagni, sono riuscito a dare sempre qualcosa in più, arrivando a fare due vittorie

Sei uno a cui stare in gruppo fa bene?

Mi piace andare in bici e stare bene dove corro. Al secondo anno da junior il presidente della squadra, essendo io uno dei più grandi, mi ha chiesto di fare gruppo e “tenere” la squadra. Mi definirei anche curioso, infatti non vedo l’ora di entrare in questo nuovo mondo, di capirlo e di guardare come corrono i ragazzi stranieri. 

Tuo zio Stefano che ruolo ha avuto nella tua crescita sportiva?

E’ una persona che ha una grande esperienza e mi ha sempre dato ottimi consigli. Mi ha sempre aiutato, a partire dai consigli più “sciocchi” fino a qualche aiuto in gara. Spesso veniva a vedermi alle corse, soprattutto quando ero più piccolo.

Zanini Amstel 1996
Lo zio Stefano nei suoi 17 anni di professionismo ha ottenuto 29 vittorie in carriera, oggi è diesse dell’Astana
Zanini Amstel 1996
Lo zio Stefano nei suoi 17 anni di professionismo ha ottenuto 29 vittorie in carriera, oggi è diesse dell’Astana
Ti ricordi un suo consiglio in particolare?

Sì. Quando ero piccolo ed uscivo con lui ed i miei fratelli, mi staccavo spesso in salita e lui mi diceva: «Stai tranquillo ed appena finisce rientri, senza fretta». E’ un consiglio che mi è rimasto dentro e che ho portato anche nella vita di tutti i giorni. Nella vita bisogna cercare di rimanere calmi e di non avere fretta, la pazienza è una grande virtù. 

Cosa ti aspetti da questo tuo primo anno da under 23?

Di crescere e imparare. Punterò molto sul migliorare in salita, ho capito che mi devo specializzare in questo campo, visto anche il mio fisico esile. In pianura faccio tanta fatica, ovviamente dovrò migliorare anche lì. Voglio crescere gradualmente, non ho fretta, le cose bisogna farle bene per maturare.

L’Astana al Giro U23 con un solo italiano: l’apprendista Toneatti

11.06.2022
6 min
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L’avventura è qualcosa che ha sempre intrigato gli esseri umani nel corso dei secoli. Il gusto della scoperta, la voglia di mettersi alla prova in qualcosa di nuovo. Queste emozioni, inevitabilmente, toccano anche il mondo dello sport. L’ebbrezza di ripartire da zero, in una nuova disciplina, e vedere fino a che punto si riesce ad arrivare, a crescere e maturare. Davide Toneatti ha deciso di intraprendere questa strada: quella dell’avventura.

Così a inizio anno è cominciata la sua esperienza con il team Astana Development. Il friulano arrivava dal mondo del fuoristrada, del fango e dei sentieri impervi. I dubbi che circondavano il suo approdo nella squadra kazaka era molti, ma evidentemente lui e lo staff del team erano convinti di poter fare qualcosa di buono insieme.

Davide Toneatti ha corso molto nel fuoristrada, qui ai campionati italiani ciclocross under 23 del 2022
Davide Toneatti ha corso molto nel fuoristrada, qui ai campionati italiani ciclocross under 23 del 2022

La nuova avventura

Così Davide ha cominciato la sua prima stagione su strada a 21 anni. Ha iniziato a correre in Croazia ed alla sua seconda gara – il Porec Trofej – è arrivato 16°. Un bel risultato se si pensa che era una corsa 1.2, dove il livello non era alto, ma c’erano tanti corridori di esperienza. La sua crescita è stata costante, ha corso anche qualche gara internazionale under 23.

«L’ultima gara – ci spiega Davide – l’ho fatta a Meldola (conclusa al 9° posto, ndr), poi con la squadra siamo venuti direttamente a Riccione per la partenza del Giro Under 23 (avvenuta oggi, ndr). Ad inizio stagione insieme al team avevamo l’obiettivo di capire quali potessero essere le mie caratteristiche e come mi sarei adattato al nuovo modo di correre. Fino ad ora il mio adattamento lo ritengo soddisfacente, anche la squadra è contenta di come sono andate le cose.

«Anche la convocazione per il Giro è una grande soddisfazione,  mi hanno avvisato che lo avrei fatto all’inizio di maggio. Poi insieme alla squadra siamo andati in ritiro tre settimane a Sierra Nevada, una volta tornati ho corso le tre gare internazionali che mi dividevano dal Giro (Strade Bianche, Coppa della Pace e Meldola, ndr).

Al Trofeo Piva, a inizio aprile, Toneatti ha iniziato a sentire il colpo di pedale giusto
Al Trofeo Piva, a inizio aprile, Toneatti ha iniziato a sentire il colpo di pedale giusto

Un adattamento graduale

Quando si affronta un qualcosa di nuovo la prima domanda che ci si pone è: quanto impiegherò per adattarmi? La stessa domanda se l’è fatta anche il giovane friulano.

«Insieme a Cucinotta, nel primo periodo di preparazione, ho iniziato a lavorare per adattarmi bene alla distanza ed ai volumi di allenamento. Il primo blocco di gare l’ho fatto in Croazia, due gare di un giorno e poi una breve corsa a tappe: l’Istrian Spring Trophy, quella gara mi ha dato un qualcosa in più per quanto riguarda il ritmo gara. In quell’occasione ho avuto modo di imparare come lavora la squadra e come si sta in gruppo. Una cosa che devo ancora imparare bene sono le dinamiche di corsa: capire quando un’azione può risultare decisiva o quando farmi trovare davanti. Un esempio in questo senso può essere stato il Trofeo Piva, nel momento clou stavo bene ma sullo strappo mi sono fatto trovare indietro ed i primi dieci sono andati via».

La cosa più difficile per Davide è stata adattarsi ai ritmi ed al correre frenetico di alcune situazioni di corsa (foto Valentina Barzi)
La cosa più difficile è stata adattarsi al correre frenetico di alcune situazioni di corsa (foto Valentina Barzi)

L’alimentazione

Se si è sempre corso in discipline di breve durata e con sforzi ad alta intensità, non è mai sorta la necessità di alimentarsi in corsa. Con il cambio di disciplina Toneatti ha dovuto aggiungere anche questo tassello, con un supporto di qualità: la dietista Erica Lombardi.

«L’alimentazione in corsa – racconta – è stata una cosa rivoluzionaria. Pensavo si trattasse semplicemente di dover mangiare ad ogni ora. Poi mi sono confrontato con i compagni e con la nutrizionista, imparando a curare tutti gli aspetti. Sono uno a cui piace capire cosa fa, quindi mi sono interessato e ho “studiato” un po’. In gara non ero abituato a mangiare spesso, quindi le prime volte dovevo fare uno sforzo di memoria e ricordarmi di farlo, poi è diventato via via più automatico».

Anche l’alimentazione in corsa è stato un momento di grande insegnamento (foto Valentina Barzi)
Anche l’alimentazione in corsa è stato un momento di grande insegnamento (foto Valentina Barzi)

Prime batoste e primi insegnamenti

Non può essere sempre tutto bello e tutto facile: la vita e lo sport non sono così. Quando si fa qualcosa di nuovo, bisogna mettere in conto che si sbatterà il muso per terra, e Davide lo ha fatto, in tutti i sensi.

«Il primo insegnamento – ammette – l’ho ricevuto direttamente dalla strada durante l’Istrian Trophy. Nel corso della prima tappa sono caduto, ma nell’alzarmi e riprendere la corsa non ho fatto tanta fatica, anzi. Una volta arrivato al traguardo però, medici e massaggiatori mi guardavano con una faccia non tranquillissima. Ci ho messo poco a capire il perché. Il giorno dopo ho sofferto tantissimo, mi faceva male tutto e non riuscivo a pedalare bene. E così ho appreso il primo insegnamento: le cadute si pagano il giorno dopo.

«In quella tappa ho scoperto anche un’altra cosa – dice con continuità – ovvero la crisi di fame. Nei primi chilometri della tappa avevo forato ed ero rimasto attardato, era un momento non buono. Il gruppo andava forte e ho fatto tanta fatica a rientrare. Solamente quando mi sono agganciato al gruppo, ho realizzato di aver fatto un’ora e mezza senza aver mangiato o bevuto. E dopo 3 ore, buio, crisi di fame. Ma crisi vera, eh! Non andavo avanti. In quella tappa tra caduta e crisi di fame ho tagliato il traguardo per ultimo, in compenso ho imparato molte cose».

Qui Davide in ritiro a Sierra Nevada con la squadra dopo la convocazione per il Giro d’Italia under 23
Qui Davide in ritiro a Sierra Nevada con la squadra dopo la convocazione per il Giro d’Italia under 23

Compagni e staff

Nella sua nuova avventura in Astana, Toneatti ha trovato un po’ di Italia. Nel team c’è, anche se fermo a causa della miocardite, Gianmarco Garofoli. Mentre nello staff Cucinotta e Maini sono i fari cui affidarsi in qualsiasi momento.

«Prima che Gianmarco  avesse quel problema – racconta Davide – ho passato un po’ di tempo con lui. Essendo gli unici due italiani, eravamo in stanza insieme e mi ha raccontato tante cose. Mi ha spiegato molto anche della vita fuori gara, dell’alimentazione e di come stare in gruppo. 

«Maini e Cucinotta – riprende il giovane corridore – mi hanno sempre dato una mano e con loro parlo molto, soprattutto con Orlando (Maini, ndr). Lui è sempre disponibile, ci ascolta senza problemi, qualsiasi cosa tu abbia da chiedergli. Spesso, dopo le gare, mi fermavo a parlare con lui e chiedevo cosa fosse andato bene o meno. Una cosa che mi ha fatto notare tante volte è la mancanza di lettura della gara e di tattica. In alcune occasioni, si capiva che stessi bene, ma non riuscivo a cogliere l’attimo giusto. Però ci ha sempre tenuto a tranquillizzarmi, dicendomi che è normale e prima o poi imparerò».

Maini al Giro U23. L’ultima volta 30 anni fa con Pantani…

10.06.2022
6 min
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Raduno di partenza a Castelraimondo, penultima tappa della Adriatica Ionica Race. Si fanno due chiacchiere e Orlando Maini sorride e dice: «Domani finisco questa, poi cambio il chip e vado al Giro d’Italia U23».

E’ il riflesso di un secondo. Il diesse bolognese negli ultimi anni ha lavorato per squadre continental, ma non era mai tornato al Giro U23 da primo direttore. Vuoi vedere che la sua ultima volta in quel ruolo risale a trent’anni fa, quando vinse la maglia (allora gialla) con Marco Pantani? Lui abbassa lo sguardo e quando lo rialza ha gli occhi lucidi. E’ proprio così.

Nel 1992 Maini guidò Pantani alla conquista del Giro dilettanti
Nel 1992 Maini guidò Pantani alla conquista del Giro dilettanti

«Quando l’ho fatto trent’anni fa con Marco – dice con orgoglio – venivamo da un terzo e un secondo posto, appoggiati da un’Emilia Romagna compatta attorno a lui, perché allora il Giro si faceva per regioni e non per team. E se ci penso, mi può solo venire la pelle d’oca».

Sta per aprirsi un mondo. E la chiacchierata per passare il tempo diventa una lezione di vita, fatta di regole ed emozioni. Benvenuti in sei minuti nel mondo del Maio.

Con quale obiettivo si va al Giro U23 con la continental dell’Astana?

Avere un team giovanile è un investimento che l’Astana ha fatto, per far sì che quando passano nella squadra WorldTour abbiano un trauma minore e siano più vicini alle qualità che servono per fare il professionista. Questa squadra è giovane e sta crescendo.

Con chi andrete al Giro?

Abbiamo Harold Lopez, un ragazzino ecuadoregno. Carlos Lopez, il colombiano. Danil Pronskiy e Nico Vinokourov, due ragazzi kazaki fra cui il figlio di Vinokourov. E anche il campione italiano di ciclocross che ci sta dando delle buone soddisfazioni, cioè Davide Toneatti.

Sarebbe stato il Giro di Garofoli?

Sarebbe stato adattissimo, ma non dobbiamo assolutamente mettergli fretta. Il fatto che possa tornare in bici ci dà molto morale. Gianmarco per primo deve essere bravo e avere pazienza, perché questo è quello che gli ho chiesto e non gli permetterò di sbagliare. In questi casi l’errore può essere fatale e lui non deve commetterlo.

Come fu andare al Giro dilettanti col Panta?

Mi ricordo questo omino, come lo chiamavamo noi, che diceva: «Ma perché tiriamo sempre, se non ho la gamba?». Io gli dicevo non era un problema, perché in realtà la gamba l’aveva. Era una forma di rispetto che aveva verso i compagni, che poi ha dimostrato anche negli anni di professionismo. Per i compagni e lo staff, lui è sempre stato riconoscente al 300 per cento. Era un uomo vero, una persona che viveva anche di emozioni. Aveva dei valori che ha sempre rispettato, ma soprattutto aveva questo senso di grande rispetto verso i compagni, perché capiva che loro erano votati a lui. E la cosa lo gratificava tanto.

Gli sarebbe piaciuto il percorso del prossimo Giro U23?

Mamma mia, è durissimo. E’ quello che cercava lui, la salita lunga e questi tapponi interminabili. Sono le caratteristiche e i percorsi ideali per lui e per Scarpa. I due capitani che ho avuto, uno da dilettante e da professionista, l’altro solo da professionista. 

Secondo Maini, Lucca non deve pensare al ritiro, ma deve insistere puntando al suo meglio
Secondo Maini, Lucca non deve pensare al ritiro, ma deve insistere puntando al suo meglio
Vedi differenze fra un ventiduenne di oggi e uno di allora?

Grande differenza. E noi dobbiamo essere bravi ad adeguarci, ma soprattutto dobbiamo essere bravi ad ascoltarli. Una cosa che spesso invece non si fa, perché magari si dà per scontata l’onnipotenza dell’età e la convinzione che sappiano tutto. In realtà, se vuoi raggiungere l’obiettivo e avere delle soddisfazioni, bisogna che tu li ascolti e cerchi di porti con loro nel modo giusto perché possano assorbire gli input che gli dai.

Riccardo Lucca ha vinto una tappa alla Adriatico Ionica eppure non riesce a passare, perché dicono che sia vecchio.

Il problema, che come giornalisti avete riportato più volte, è che adesso a 28 anni rischi di smettere di correre. Una volta pensavi che l’avresti fatto a 34-35. Le generazioni adesso cominciano a 20 anni e a 28-30 rischiano di smettere. Lucca è a metà del percorso e magari a qualcuno è scappato di dirgli questa cosa. Se calcoliamo che la categoria juniores è sempre stata lo spartiacque del ciclismo e adesso lo è in toto, dato che a quell’età passano già nelle continental, si capisce che si è velocizzato tutto.

Quindi cosa deve fare Lucca?

Secondo me, non deve pensare di smettere. Il suo obiettivo deve essere fare tutto per raggiungere il massimo. Se poi non può raggiungerlo, non è che debba farsi delle colpe. Deve dirsi: io ci ho provato e non ce l’ho fatta a trasmettere quello che volevo. Però nel giorno che ha vinto, ha fatto veramente una grande corsa. Io ero sulla fuga ed è andato veramente forte, niente da dire.

Orlando Maini, Michele Scarponi, 2016
Con Scarponi nel 2016: dal 2014 Michele ha lasciato la Lampre ed è passato all’Astana
Orlando Maini, Michele Scarponi, 2016
Con Scarponi nel 2016: dal 2014 Michele ha lasciato la Lampre ed è passato all’Astana
Di cosa ha bisogno un ragazzo di vent’anni che passa pro’?

Devi lasciargli un percorso. Però anche il ragazzino ci deve mettere del suo, perché nel percorso di crescita è vero che ci devono essere risultati e attenzione, ma le due cose devono essere mixate bene. E lui quindi deve avere anche un comportamento ideale, perché adesso hanno veramente tutto per fare bene. Al contempo, noi dobbiamo essere bravi, come dico nel mio gergo molto semplice, a fargli trovare una spalla pronta. Con tutti questi dati, a volte si dà per scontato che non ne abbiano bisogno, invece secondo me hanno ancora necessità di appoggiarsi a qualcuno. E quando lo trovano, sono soddisfatti e danno il meglio. Effettivamente hanno questa maturazione più rapida per certe cose, ma per altri aspetti hanno ancora bisogno di essere seguiti. Alla fine sono ragazzi.

Ti capita spesso di pensare a Marco e a Scarpa?

Martedì nella tappa di Sirolo, mi son fatto il mio bel piantino in macchina. Prima ho salutato la mamma di Michele e poi non ce l’ho fatta. Sono passato nella zona di casa sua ed è successo qualcosa di particolare. Io sono uno che vive di emozioni, perché il mio lavoro riesco a farlo bene solo quando veramente sento dentro l’emozione. E a un certo punto sulla macchina si è appoggiato un maggiolino. E non si è più mosso, fino a che non sono uscito da Filottrano. Mi sono detto che non fosse possibile e magari una persona mi sente dire queste cose, pensa che Maini sia già vecchio e chissà cos’altro… In realtà per me è importante, perché so cosa mi hanno dato. E so cosa mi ha dato anche Vincenzo (Nibali, ndr). Lui l’ho frequentato solo prima del Giro, ma devo dire che la sua disponibilità verso i giovani, nonostante tanta carriera, mi ha colpito davvero.

Ecco la coccinella che si è posata sull’ammiraglia di Maini nell’attraversamento di Filottrano
Ecco la coccinella che si è posata sull’ammiraglia di Maini nell’attraversamento di Filottrano
Cosa ti hanno dato Marco e Scarpa?

Mi hanno dato veramente tutto quello che un direttore sportivo può ricevere da un corridore, perciò cosa posso chiedere di più? Adesso io tutte queste cose cerco di trasmetterle ai ragazzi, perché me lo sento proprio dentro. Glielo devo perché possano realizzare il loro sogno. Devo fare tutto perché ci riescano. Solo così mi posso sentire davvero tranquillo.

Conti va all’Astana: grandi motivazioni, ma risalita dura

08.11.2021
4 min
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Conti va all’Astana. Lo aspettano Martinelli che l’ha fortemente voluto e Orlando Maini che l’ha guidato nei primi anni di professionismo e lo chiamava “il cinno” che in bolognese significa “il bimbo”. Conti va all’Astana perché lì dove stava non avrebbe tirato più fuori un ragno dal buco. E’ sempre difficile dire per quale motivo un ragazzo di talento perda inesorabilmente la strada, ma il suo è stato per un paio di anni di troppo il caso più lampante. E quando in certe squadre passa il concetto che forse ti sei un po’ adagiato, è un attimo ritrovarsi a tirare e poi basta.

«In realtà – dice il romano che vive a Monaco – non mi hanno mai limitato. Però è chiaro che quando vai a correre e in squadra hai gente come Ulissi, Hirschi, Pogacar e Rui Costa, ti tocca fare il gregario. E io lo ammetto che mi sono adagiato. Prima nel ruolo di gregario, che in squadra faceva anche comodo. Mentre negli ultimi due anni ho mollato la presa, mi sono lasciato andare. Era necessario cambiare…».

Il finale di stagione non è stato dei migliori, serviva voltare pagina
Il finale di stagione non è stato dei migliori, serviva voltare pagina

Novembre in Valpolicella

L’approccio è maturo, Valerio ha sale in zucca e alla fine, ambizioso com’è sempre stato, il primo a… rosicare per prestazioni non all’altezza era proprio lui. Voltare pagina era una necessità impellente e alla fine l’ha fatto. In questi giorni e per tutto il mese, Conti, la sua compagna e la figlia Lucrezia nata a Monaco il 4 settembre, si sono trasferiti in Valpolicella. Michela è di qui e da queste parti ci sono spazi superiori a quelli del piccolo appartamento monegasco. E mentre i nonni materni si godono la nipotina, il corridore di casa ha ripreso ad andare in palestra e sulla mountain bike.

Perché cambiare?

Perché dopo otto anni, sempre con le stesse persone e gli stessi programmi, gli stimoli erano calati. Cambiare squadra significa tornare un po’ indietro, avere qualcosa da dimostrare. Come quando sei neoprofessionista. Ritrovo Maini e già abbiamo iniziato a ridere, perché con lui il buon umore è assicurato. Sono tutti italiani e questa serie di cose mi sta riportando una bella motivazione. Conosco bene la nutrizionista, con cui lavoravo in passato. Mi piace poter parlare di tutto liberamente, relazionarmi con le persone sulla base delle sensazioni e non dei numeri. Anche alla Lampre era così, poi sono arrivati i soldi ed è cambiato tutto. Ma lo stesso, la risalita non sarà facile.

Si scioglie il terzetto: in Uae rimangono Formolo e Ulissi
Si scioglie il terzetto: in Uae rimangono Formolo e Ulissi
Cosa c’è di difficile?

Quando molli, tralasci tanti aspetti. C’è da lavorare su tutti i punti, dall’alimentazione alla palestra, passando per la bici e l’allenamento. Ma mentre negli ultimi tempi salivo sulla bici che ero già stanco mentalmente, ora ho voglia di allenarmi.

Cosa ti chiede l’Astana?

Martinelli mi conosce bene e mi ha voluto. Sa che la base è buona, perché ho corso per tanti anni nelle categorie giovanili con suo figlio Davide. Vogliono che adesso mi metta in luce, anche se i programmi si faranno in ritiro e da quello si capirà tanto. Ma se potessi esprimere un desiderio, mi piacerebbe correre qualche classica in più. In questi anni, avevo davanti così tanti campioni, ne ho fatte sempre poche. E poi il Giro, che per me resta speciale.

La maglia rosa del 2019 può essersi ritorta contro?

E’ stata una fase bellissima, che mi ha fatto capire tante cose, ma non penso che mi abbia cambiato, nel bene o nel male. Certo da quei giorni le aspettative sono state più alte, ma ora voglio rialzarmi e ripartire da lì.

La mano della piccola Lucrezia in quella di Valerio: il 4 settembre Conti è diventato papà (foto Instagram)
La mano della piccola Lucrezia in quella di Valerio: il 4 settembre Conti è diventato papà (foto Instagram)
Nel 2020 è mancato Antonio Fradusco tuo tecnico da ragazzino e tuo consigliere fisso…

Antonio mi dava sempre consigli, mi è stato accanto fino al 2019 e credo che quell’anno, il migliore da quando corro, sia stato per lui una grande soddisfazione. Mi scriveva tutti i giorni, era una presenza fissa e magari aver perso un riferimento così in qualche modo l’ho pagato. Non voglio trovarmi la scusa, si vive al presente, ma anche se Martinelli e Maini sono della stessa pasta, uno come Fradusco non lo troverò più.

Nel frattempo è arrivata una bambina.

Non dirò come tanti che mi ha stravolto la vita, ma è bellissimo rientrare a casa e capire che lei c’è. E ho la fortuna che Michela sia una mamma eccezionale. E’ una bellissima novità. E’ tutto bellissimo. Per questo nuovo inizio non potevo chiedere uno scenario migliore.