Vollering si confessa: «Voglio l’eredità di Van Vleuten»

19.02.2023
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Si può giudicare deficitaria una stagione nella quale sei arrivata seconda al Tour de France? Eppure alla fine del 2022 qualche critica è arrivata alle orecchie di Demi Vollering. Probabilmente dopo i tanti successi dell’anno precedente e le grandi aspettative che circondano la campionessa olandese della Sd Worx (in apertura in un’immagine pubblicata su Instagram), si pensava a un anno più dirompente, anche al confronto con la Cannibale Van Vleuten.

Forse proprio grazie a queste critiche, Demi parte per il nuovo anno con un piglio quasi sconosciuto a chi la conosce. Per la prima volta, nelle interviste di rito ai ritiri, la 26enne di Pijnacker si è detta pronta alla sfida con la straordinaria connazionale, vogliosa di batterla sul suo stesso campo prima che, a fine stagione, la campionessa mondiale chiuda la sua carriera.

A differenza di molte altre rivali, Vollering deve ancora scendere nell’agone competitivo. In attesa del suo esordio, si è presta di buon grado a rispondere a qualche domanda anche piuttosto delicata, mostrando una grande disponibilità, anche questo segno forse di una Vollering nuova al cospetto della nuova stagione.

L’olandese si è prestata volentieri a una lunga chiacchierata via Zoom
L’olandese si è prestata volentieri a una lunga chiacchierata via Zoom
Nel 2021 avevi vinto grandi classiche, nel 2022 sei stata seconda al Tour de France. Ti senti più portata per le corse a tappe o quelle d’un giorno?

In realtà entrambe. Mi piacciono molto le classiche perché sono difficili e hanno sempre un’interpretazione diversa rispetto alla maggior parte delle corse. Lì tutti si presentano per vincerle e la differenza scaturisce da minimi particolari, c’è uno spirito che mi piace molto. Ma mi piacciono molto anche le corse a tappe, soprattutto quando sono un po’ più dure. Come per esempio il Tour de France dell’anno scorso, anche quella è stata una gara dura, con gli ultimi due giorni con tante salite. Se poi devo scegliere preferisco le classiche, perché a livello emotivo sono una scarica di adrenalina, non vedi davvero l’ora di affrontarle e ti senti carico a mille. Le grandi corse a tappe richiedono una concentrazione continua, per più giorni, spesso è questo che ti logora anche se fa parte del gioco.

Avere in squadra Wiebes e Kopecky ti toglie un po’ di responsabilità per le classiche o per certi versi è un ostacolo per le tue ambizioni?

No, per me non è affatto un ostacolo. Voglio dire, è davvero bello riavere Lorena nella squadra e penso che sia anche molto utile per me. Se ad esempio all’arrivo vengono a cercare entrambe, è una bella cosa. Non sentiamo la concorrenza interna, anzi penso che sia solo utile. Quel che conta è se la tua squadra sta vincendo, fra noi c’è sempre un grande spirito nella squadra. Quindi anche questo è davvero bello, si traspone anche in nazionale e ne beneficiamo.

Il podio dell’ultimo Tour femminile con Vollering accanto a Van Vleuten, rivale inafferrabile, e Niewiadoma
Il podio dell’ultimo Tour femminile con Vollering accanto a Van Vleuten, rivale inafferrabile, e Niewiadoma
Questo dovrebbe essere l’ultimo anno di Van Vleuten: che cosa pensi cambierà nel ciclismo femminile senza di lei, ci sarà più incertezza?

Non credo. Ovviamente Annemiek è molto importante per il ciclismo femminile, ma ora siamo anche cresciute noi altre, c’è più concorrenza, non parte vincente già dall’inizio. Ovviamente negli ultimi anni ha vinto grandi gare, ma stanno arrivando nuove stelle, molto forti e voglio dire che abbiamo molti corridori forti. Io sinceramente preferisco averla in gara, giocarmi le corse contro di lei, ma quando non ci sarà, crescerà anche l’interesse proporzionalmente all’incertezza.

Ti senti pronta a diventare il riferimento del ciclismo olandese come lo sono state Van Der Breggen e Van Vleuten?

Sì, ma penso di non essere l’unica. Abbiamo anche Lorena e anche Shirin Van Anrooij sta andando molto bene. E attenzione alla mia giovane compagna Mischa Bredervold, è ancora molto giovane ed è già molto brava. Quindi penso che abbiamo molte brave cicliste nei Paesi Bassi e ora sono già a quel livello. Ovviamente è normale che la gente pensi che io sia il prossimo leader, ma penso di non essere l’unica. Ci sarà da lottare e non avere una dominatrice non farà altro che aumentare il livello generale.

In casa Sd Worx ora Vollering è la capitana, ma Blaak (in maternità) resta un riferimento per lei
In casa Sd Worx ora Vollering è la capitana, ma Blaak (in maternità) resta un riferimento per lei
Secondo te a che cosa si deve un simile dominio del ciclismo femminile olandese?

Penso che sia davvero bello avere una Nazione così forte, ma vedi anche che altri Paesi stanno diventando sempre più competitivi. Voglio dire, l’Italia è davvero forte al momento, hanno buone velociste, fortissime atlete in salita, ottime gregarie. Ad esempio, Elena e Barbara (Cecchini e Guarischi, ndr) sono persone davvero simpatiche e ottime compagne. Ma anche altre nazioni stanno migliorando sempre più, non ci siamo solo noi e penso che questo sia molto bello, vincere è sempre meno facile. Anche perché siamo sempre le più controllate. Poi non ci siamo solo noi più giovani, Mariana Vos ad esempio è più che competitiva. C’è un ricambio in atto in Olanda e al contempo altri Paesi stanno crescendo velocemente. Questo è un bene per il ciclismo, forse un po’ meno per noi…

Dove pensi di dover ancora migliorare?

Ad esempio devo migliorare le mie basi, quindi la mia resistenza e il mio motore e penso di poterci ancora lavorare, anche se ho già fatto molto nell’ultimo anno. Ci dedico più ore e faccio anche sforzi più duri ma soprattutto mi accorgo che col passare degli anni il mio motore cresce. Sicuramente devo lavorare ancora sulle mie capacità a cronometro, l’anno scorso, ad esempio, non ero quasi mai seduta sulla bici da crono perché non avevamo molte prove a tempo e non aveva senso per me passare ore sulla bici da cronometro. Ora la situazione è diversa, al Tour ci saranno due tappe contro il tempo, voglio farmi trovare pronta e non mi dispiacerebbe guadagnarmi la selezione nazionale per europei e mondiali. Investire su questa specialità, a livello generale, mi pare una buona cosa.

Lo sprint vittorioso alla Liegi 2021, battendo Van Vleuten e Longo Borghini
Lo sprint vittorioso alla Liegi 2021, battendo Van Vleuten e Longo Borghini
Quali sono gli obiettivi più importanti per te quest’anno?

Di sicuro tutta la parte delle classiche delle Ardenne, dall’Amstel alla Liegi. Sono corse che mi sono sempre piaciute, l’anno scorso ho fatto podio in tutte e tre, vorrei essere almeno a quel livello. E ovviamente il Tour: mi sono divertita molto lo scorso anno, è una gara bellissima e voglio onorarla al meglio anche perché per la mia squadra è primaria. Erano anni che aspettavano che nascesse.

Ti vedremo in Italia per il Giro?

Probabilmente no, perché anche il mondiale è davvero troppo vicino a Giro e Tour, bisogna fare una scelta. Il Giro mi piace molto, ma fare tutto è ancora un po’ troppo difficile per me.

Roglic riparte. Primo obiettivo: essere pronto per il ritiro

25.11.2022
7 min
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S-Hertogenbosch, Service course della Jumbo-Visma. Primoz Roglic si aggira nelle varie sale della sede giallonera come se fosse di casa, ma di fatto lo è. Lo sloveno fa parte di questo team dal 2016. E ne è una colonna portante: è stato lui a portare le prime grandi vittorie.

Quel che più si nota è la sua attenzione verso i nuovi materiali, le proposte dei nuovi sponsor. Fa domande a raffica, Primoz. Vuol sapere ogni dettaglio. Dal vestiario alle bici. Disponibile, affabile… quando è alle corse è molto più concentrato. Scopriamo una versione di lui insolita, ma decisamente piacevole.

Lo sloveno (classe 1989) molto attento alle nuove dotazioni adottate dal team. Ha fatto molte domande ai tecnici
Lo sloveno (classe 1989) molto attento alle nuove dotazioni adottate dal team. Ha fatto molte domande ai tecnici

L’infortunio

Lo avevamo lasciato dopo la caduta alla Vuelta. Ancora una volta un po’ la sfortuna e un po’ il suo modo aggressivo di correre, gli avevano presentato un conto salatissimo. L’ennesimo duro colpo alla carriera di questo ragazzo che invece è coriaceo come pochi.

Più volte ha ribadito che la sconfitta del Tour 2020 è alle spalle e se si supera uno shock simile non c’è caduta che possa fermarti. E a proposito di spalle è dalla sua spalla sinistra che ripartiamo. 

«Come va? Adesso bene – racconta Roglic – Inizio ad allenarmi lentamente. Sono passate sei settimane dall’intervento. Ogni settimana va meglio, ma ci vuole del tempo. Finalmente il movimento del braccio – e imita il gesto circolare – è quasi completo».

Primoz si era lussato una spalla già al Tour de France, durante la tappa del pavé. Se l’era rimessa in sede da solo. E poi ci era di nuovo caduto sopra nel finale della 16ª tappa della Vuelta. A quel punto dopo un periodo di stop, verso metà ottobre è stato costretto all’operazione.

Però i dubbi sono tanti. E anche per questo Primoz non si sbilancia su programmi ed obiettivi. Per esempio, i medici gli hanno vietato, di correre a piedi e lui era un habituè del running nella sua preparazione. E non è escluso che dovrà rivedere anche la posizione in bici.

«Sulla posizione in bici – dice – speriamo di non dover cambiare nulla, ma per ora davvero non lo so. Mi hanno tagliato un pezzo di osso, ci hanno messo viti un po’ troppo lunghe che sono uscite dall’altra parte, ma mi dicono che così è ancora più fissa. Lo scoprirò solo quando inizierò a pedalare».

La caduta di Roglic alla Vuelta. Primoz è scortato sull’arrivo dal compagno Teunissen. Il giorno dopo non partirà
La caduta di Roglic alla Vuelta. Primoz è scortato sull’arrivo dal compagno Teunissen. Il giorno dopo non partirà

Il recupero

Per Roglic si è trattato dunque di rivedere i piani. Da quella caduta sono passati tre mesi. Tre mesi in cui ha rivisto la sua vita. Passare dal dedicare tante ore al giorno alla bici a niente non è facile. Serve anche un certo equilibrio mentale e il supporto di chi ti sta intorno. Ma in questo caso Primoz aveva la sua famiglia, i suoi amici, i suoi impegni. Anche quelli con il Comitato Olimpico sloveno, di cui di fatto è diventato testimone tramite la Fondazione Cerar gestita dallo stesso Comitato.

Nella lunga chiacchierata con lo sloveno si parla chiaramente anche della stagione che verrà. Primoz ipotizza una partenza tranquilla a marzo, complice anche il suo infortunio.

«Ho un’idea sul mio inizio di stagione – dice Roglic – ma tutto dipende da come andrà ora con la ripresa. Per me il prossimo anno è un po’ un mistero. Per ora ho ripreso a fare solo dei piccolissimi giri. La settimana prossima farò un altro controllo e vediamo se mi daranno il semaforo verde per riprendere veramente. Il mio obiettivo per adesso è potermi presentare l’11 dicembre per il ritiro».

«Ma magari tutto ciò serve a qualcosa – la prende con filosofia – magari sarò più fresco in estate. Devo essere fiducioso. Per il momento sono felice così. Non ho dolore. Non riuscivo a nuotare, non riuscivo a dormire…».

Nonostante tutto, nonostante l’operazione e i tre mesi di stop gli facciamo notare che comunque è già molto magro.

«Sono pur sempre uno sportivo – esclama Primoz – devo sempre farmi trovare pronto. E poi è anche nell’interesse della fondazione (la Primoz Roglic Fundacija, ndr) che abbiamo creato con mia moglie Laura, con la quale incoraggiamo e aiutiamo i giovani atleti a condurre stili di vita corretti. Devo essere un esempio».

Roglic erede di Tina Maze (ex sciatrice e campionessa olimpica) per la rappresentanza della Fondazione Cerar (foto Ziga Zivulovic)
Roglic erede di Tina Maze (ex sciatrice e campionessa olimpica) per la rappresentanza della Fondazione Cerar (foto Ziga Zivulovic)

Sui giovani

Tra i top rider Roglic è il più “vecchio”: 33 anni. Si trova a lottare con gente che ne ha dieci meno di lui, vedi Evenepoel. E come sappiamo oggi non è facile. Si tratta di ragazzi che nascono con altri criteri, altri metodi di allenamento e meglio riescono a sfruttare la freschezza e l’esplosività che il fisico consente a quell’età. Vincere insomma è sempre più difficile, anche per uno come lui.

«I ragazzi più giovani – dice Roglic – stanno arrivando, ma questo vale per tutti. Arriverà una generazione che li supererà. Io non ci penso molto a dire il vero, preferisco concentrarmi su me stesso, sulle mie cose e farle nel modo migliore. Non c’è un giovane in particolare che mi ha colpito. Oggi i giovani arrivano e vanno forte in tutti gli sport, non solo nel ciclismo».

Sul Galibier Roglic si è messo a disposizione di Vingegaard. «Un momento molto bello», ha ricordato lo sloveno
Sul Galibier Roglic si è messo a disposizione di Vingegaard. «Un momento molto bello», ha ricordato lo sloveno

Il Tour in testa

Primoz racconta che ha sempre cercato di essere il numero uno e faceva le cose al 110% per esserlo. E’ stato così quando era un saltatore con gli sci ed è lo stesso da ciclista. Ma il “problema” emerge quando si è raggiunto il top. Gli obiettivi vanno ricalibrati. Per lui il grosso del focus resta il Tour de France e non necessariamente per vedersi sul gradino più alto del podio. Anche se ammette che quando ha iniziato a pedalare sognava di correre anche il Giro. 

«Se penso che posso ancora vincere il Tour? Non vedo perché no. A fine carriera – spiega Roglic – traccerò una linea e vedrò cosa ho vinto e cosa no. Io voglio continuare ancora e voglio farlo divertendomi. Finché avrò questa scintilla dentro a spingermi andrò avanti.

«Uno dei giorni per me più belli in assoluto è stato quello del Col du Granon. E’ stato bello fare parte della squadra e di quell’azione. Condividere la doccia con i ragazzi, parlarne… Io già sapevo che i miei attacchi sul Galibier servivano solo per aiutare Jonas (Vingegaard, ndr). E alla fine il nostro piano è andato anche meglio di come di quanto probabilmente ci aspettavamo. 

«Poi è stato doloroso essere a casa mentre Jonas e i ragazzi stavano lottando e vincendo il Tour, ma io proprio non potevo andare avanti… altrimenti sarei rimasto in corsa».

Giro 2019: Roglic e Nibali iniziarono a punzecchiarsi verso Ceresole Reale. Verso Courmayuer invece Carapaz prese la maglia rosa
Giro 2019: Roglic e Nibali iniziarono a punzecchiarsi verso Ceresole Reale. Verso Courmayuer invece Carapaz prese la maglia rosa

E il Giro?

Voci di corridoio lo vogliono al via del prossimo Giro d’Italia. Già ci si prepara alla rivincita della Vuelta contro Evenepoel, invece Primoz non si espone. Il percorso con tre cronometro individuali è un invito a nozze per lui. Tra l’altro l’ultima delle crono è sul Monte Lussari, ad un passo dalla sua Slovenia, ed è una zona che conosce bene.

«Ho gareggiato e vinto da quelle parti – racconta Primoz – quando ero un saltatore con gli sci. E poi ci sciavo. Non so se sarò pronto per il Giro, bisognerà vedere come andranno le cose a partire dal controllo della prossima settimana. E dai programmi che decideremo». 

Il corridore della Jumbo-Visma quando sente parlare dei 71 chilometri contro il tempo non si sofferma solo su quelli. Fa capire apertamente che per lui vanno bene anche gli altri percorsi. Quasi si sentisse ferito nell’orgoglio e ci volesse dire: «Ehi, non sono solo un cronoman».

Se il Tour è il suo pallino, il Giro non è così da meno: sia per una vicinanza geografica con l’Italia, sia perché quest’anno si passa molto vicino casa sua e sia perché è stato il primo grande Giro che ha fatto nel 2016.

Manca dalla corsa dall’edizione del “fattaccio” con Nibali verso Courmayeur che spalancò le porte del paradiso a Carapaz. Nessuno dei due voleva tirare e l’ecuadoriano ne approfittò. Roglic fu comunque terzo. Quel podio, il primo nei grandi Giri, gli diede comunque una grande consapevolezza, tanto che in autunno vinse poi la sua prima Vuelta. Ora forse è pronto per qualcos’altro

Uno di noi in Olanda, nella casa della Jumbo-Visma

24.11.2022
8 min
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Wout Van Aert ci dà il benvenuto quando entriamo nel Service course della Jumbo-Visma. Il Van Aert è ad altezza naturale ed è di cartone! Di fronte a lui subito una serie di trofei e maglie.

Olanda meridionale, circa 80 chilometri a sud di Amsterdam, siamo ad s-Hertongenbosch. «Ma qui la chiamiamo Den Bosch», ci dice subito Ard Bierens, addetto stampa che fa gli onori di casa. «La pronuncia è un po’ complicata e credo che neanche gli olandesi la conoscano col vero nome!».

Sul Col du TJV

Capannoni super moderni in vetro e cemento e costruzioni hi-tech contornano la parte orientale  di “Den Bosch”, quella che divide il centro dalla campagna. Vicino c’è un canale, sul suo margine scorre neanche a dirlo una pista ciclabile. Appena scendiamo dalla macchina, su quella pista passa una serie di ragazzi in bicicletta. Questa immagine con la pianura e una pala eolica in lontananza ci fa pensare: «Okay, l’Olanda in una foto!».

Appena entrati, prima del caffè, lo stesso Ard ci fa fare un tampone. Qui i protocolli ci sono ancora. Sbrighiamo questa pratica in uno degli uffici al piano superiore. Vi si accede con una scala… anzi attraverso un colle!

Se l’Olanda è il cuore dei Paesi Bassi, un motivo ci sarà. Pensate che siamo praticamente a quota zero. Forse un metro sul mare. Quasi come sul Muro di Sormano, nella parte verticale degli scalini ci sono le quote con la variazione di quota… espressa in millimetri! Fino ad arrivare ai ben 4.200 millimetri del Col du TJV (Team Jumbo Visma)! Insomma al piano superiore.

Due piani

La stessa scala, come un po’ dappertutto, è contornata di trofei. Ci sono anche il “nostro” Tridente della Tirreno-Adriatico e qualche maglia rosa qua e là. Ci sentiamo stranamente orgogliosi di quei premi.

«L’edificio ha un anno – ci dice Ard, mentre ci fa da Cicerone – nel tempo siamo cresciuti molto. All’inizio eravamo un piccolo team. Compresi i corridori eravamo una settantina di persone. Ora se ne contano oltre 200.

«Ufficialmente questa è anche la sede della squadra di skating (pattinaggio sul ghiaccio, ndr), ma loro hanno un altro edificio nel Nord dell’Olanda dove questo sport è più praticato».

Nei piani superiori ci sono gli uffici, che però non ricoprono tutta l’aerea dell’edificio. Oltre agli uffici ci sono tre sale presso cui fare meeting e riunioni. Un paio di queste hanno un’ampia vetrata che dà sul resto dell’edifico, quello del “service course” vero e proprio.

Nel piano inferiore una grande area d’accoglienza ci porta nel mondo Jumbo-Visma. Tutto è in ordine, tutto è funzionale. Oltre al desk, ci sono una cucina e una sala mensa. Mentre dall’altra parte del salone ci sono docce e altri ripostigli.

Nel cuore della Jumbo 

Ogni porta ha l’insegna dell’iride e il cartellino che indica a cosa è adibita. Particolari che la dicono lunga. Presto ci rendiamo conto che Van Aert non è da solo. Incontriamo Roglic, Kruijswijk, Gesink… sempre di cartone, sempre a grandezza naturale.

Il magazzino-officina è la porzione più grande, chiaramente. Per i due terzi, forse anche più, c’è questo grande spazio. Al centro un’infinità di Cervélo, i banchi dei meccanici e ai lati, su due piani, ci sono altri magazzini. Ci sono pezzi di ricambio per le bici, altri per la logistica, altri ancora per gli alimenti, i lettini dei massaggiatori… E’ come una piccola città autonoma.

«Questa aerea – dice Bierens – è la più grande, come potete vedere. Qui ci sono le bici, i banchi di lavoro e quello spazio giù in fondo è il garage. Quest’anno abbiamo acquistato un altro bus. Ora siamo a quattro. Non dimentichiamo che abbiamo anche il team development e che la squadra femminile cresce».

Carrelli di bici

Ogni corridore ha il suo spazio per le bici. Ci sono carrelli che sembrano degli appendiabiti: in mezzo il nome del corridore e poi due bici appese su altrettante staffe. Sotto, affinché il meccanico possa spostarli verso il suo banco di lavoro o magari portarli verso l’ammiraglia, ci sono le ruote.

Nella parte bassa questi carrelli hanno una grossa base, sulla quale vengono appoggiate ruote, forcelle, pezzi di ricambio… Un oggetto in comune per tutti è il casco da crono, ben conservato nella custodia.

In molti hanno già la bici nuova, con i nuovi gruppi e alcuni particolari che per questioni di marketing e contratti in essere non si possono ancora far vedere. E ora vi facciamo una domanda? Secondo voi quale corridore aveva più carrelli? Van Aert: per lui ne abbiamo contati almeno quattro. Fra bici da cross, strada, crono e colorazioni speciali, Wout fa lavorare molto i suoi meccanici.

Ogni banco di lavoro è un piccolo paradiso della tecnica. Pulito, con attrezzi di ogni genere. Ai lati di ognuno, ci sono un compressore e un macchinario particolare che serve per il rodaggio dei cuscinetti delle ruote. Sopra, chiaramente, attrezzi e alcuni strumenti specifici. Un particolare che ci ha colpito è stata la quantità di cavi elettronici per i gruppi. Impressionante. Basti pensare che hanno un cesto apposito per il loro smaltimento.

Vingegaard, ha confermato le impressioni di un ragazzo semplice. Neanche lui sa più quante maglie ha firmato dopo il Tour
Vingegaard, ha confermato le impressioni di un ragazzo semplice. Neanche lui sa più quante maglie ha firmato dopo il Tour

Sponsor day

Ed è un vero brulicare di persone, meccanici e, man mano che va avanti la giornata, anche di corridori. E sono proprio questi che scandiscono i tempi di questa efficiente macchina organizzativa. Ognuno ha una tabella da rispettare, ben scritta su un foglio. 

Siamo capitati nel giorno in cui i nuovi sponsor forniscono i materiali. Si va dal dopo corsa ai giubbini refrigeranti, dagli integratori alle scarpe… per finire alle foto… cartolina. Ci sono almeno tre set fotografici in altrettanti parti del Jumbo-Visma service course.

Un corridore va a ritirare il giubbino, l’altro a fare la foto con gli integratori. C’è chi riconsegna il vecchio materiale in eccesso. Kruijswijk, per esempio, aveva un valigia grande piena di maglie ancora avvolte nella plastica. Chi riportava questo vestiario lo metteva in due enormi cesti grigi. Queste divise poi dovrebbero andare in regalo, in premio, in qualche serata di beneficienza… Forse è l’unica cosa in cui in Jumbo-Visma hanno le idee meno chiare!

Finalmente Wout Van Aert… in carne ed ossa!
Finalmente Wout Van Aert… in carne ed ossa!

Già in ricognizione

I ragazzi parlano fra loro, tra un caffè e un appuntamento nella loro scaletta. Jonas Vingegaard, re del Tour, ha un grosso cappotto verde militare. Lo avvolge che sembra un bambino. Umilissimo, semplice e già molto magro. Roglic invece indossa una giacca di pelle. Anche lui magrissimo, è super interessato ad ogni aspetto tecnico: scarpe, bici… Foss potrebbe fare l’intrattenitore. Sempre con un bicchiere di the, caffè o cola in mano e sempre ad attaccare bottone con qualcuno.

Mentre non si vedono Van Aert, Laporte, Affini «Sono a fare la ricognizione – ci spiega Bierens – In questi due giorni erano in Belgio. Ieri hanno provato gli ultimi 120 chilometri di E3 Harelbeke e oggi (ieri, ndr) il finale del Fiandre. Ma tra poco saranno qui anche loro». E infatti eccoli spuntare. «Volevamo fare dei test con i nuovi materiali prima dell’inverno», ci dice Edoardo.

Il futuro è ora

Intanto dalla zona dove è parcheggiato il bus arriva un certo rumore. «Stanno preparando – dice Bierens – la festa di domani sera (oggi, ndr). Un party tra di noi, per festeggiare l’ottima annata del team. Ci sarà tutto lo staff. Abbiamo vinto il ranking UCI.

«Ma prima facciamo la riunione. Una riunione importante. Quando siamo nati avevamo l’obiettivo di vincere il Tour entro sette anni. Ci siamo riusciti. E adesso? Cosa vogliamo? Dove vogliamo andare? E’ importante ragionare così e farlo tutti insieme. Perché è in questo modo che crei una solida base, che hai le idee chiare e dai sicurezza agli sponsor che ti sostengono nel lungo periodo».

Questa ultima frase dice tutto della Jumbo-Visma. Nel frattempo è sceso il buio. La pista ciclabile non si vede in più e su Den Bosch scende la pioggia. 

Lavreysen, 10 domande all’uomo più veloce del mondo

18.10.2022
5 min
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Nove mondiali e due medaglie olimpiche a 25 anni. Harrie Lavreysen, olandese di Apeldoorn, è alto 1,81 e pesa 92 chili e, se fosse anche cattivo, sarebbe bene giragli alla larga. In realtà quando non è impegnato in qualche sfida di velocità appare un ragazzo alla mano. Forte com’è, divide lo scettro di velocista più forte con l’amico/rivale Jeffrey Hoogland e per non pestarsi i piedi, scelgono spesso gare diverse e fanno man bassa.

Da noi il settore delle donne e degli uomini veloci è in fase di ricostruzione e il quinto posto di Matteo Bianchi agli ultimi mondiali, nel chilometro vinto da Hoogland (accesso in finale con il secondo miglior tempo) fa ben sperare. Così, per preparare il terreno, noi intanto… spiamo il padrone di casa.

Olimpiadi di Tokyo, la finale della velocità è un derby olandese: oro a Lavreysen, argento a Hoogland
Olimpiadi di Tokyo, la finale della velocità è un derby olandese: oro a Lavreysen, argento a Hoogland
Che cosa fa un velocista?

Non ho un lavoro dalle 9 alle 17. Sei un grande atleta tutto il giorno, anche nel fine settimana. Ad ogni scelta che faccio, penso cosa sia meglio per questo sport. Ovviamente devi anche rilassarti, prenderti il giusto tempo. Ma se devo saltare una festa, non ho problemi. So per cosa lo sto facendo.

In cosa consiste la tua alimentazione?

Penso alla dieta tutto il giorno. Peso la colazione con molta attenzione, perché non deve darmi fastidio durante l’allenamento. Di solito mangio verso 8,15. L’orario si collega esattamente con l’allenamento del mattino. Ma certi giorni trovare gli orari giusti è un enigma. Se devo allenarmi nel primo pomeriggio, devo comunque alzarmi presto e fare colazione in base all’orario del pranzo. Alla base ci sono le proteine, se ne ho abbastanza, il resto non è così urgente. Ovviamente devo mangiare sano e assicurarmi di mantenere il peso forma.

Ai mondiali appena conclusi, Bianchi ha… assaggiato Hoogland, chiudendo il Chilometro in 5ª posizione
Ai mondiali appena conclusi, Bianchi ha… assaggiato Hoogland, chiudendo il Chilometro in 5ª posizione
Hai chiuso la carriera in Bmx a 18 anni per un infortunio alla spalla: tutto superato?

La sottopongo spesso a un trattamento separato. Non ho quasi nessun dolore, ma dormo con pantaloni speciali con due passanti. Se ci infilo i polsi, le spalle rimangono al loro posto. Devo tenerne conto anche in allenamento. Ad esempio, non posso esercitarmi su tante partenze di fila come qualcun altro. Grazie o a causa di tutte le battute d’arresto, ho avuto modo di conoscere bene il mio corpo. So esattamente cosa è possibile e cosa non lo è.

Cosa ti resta degli anni sulla Bmx?

Ho imparato cosa significa vivere come un atleta di alto livello. Ho imparato a controllare la bici. Mi sono sempre allenato sull’esplosività e ho gettato buone basi per l’allenamento della forza che faccio ancora oggi. Quindi ne traggo ancora vantaggio.

Ai recenti mondiali ha vinto il keirin precedendo Hoogland: 200 metri in 9″751 a 73,839 di media
Ai recenti mondiali ha vinto il keirin precedendo Hoogland: 200 metri in 9″751 a 73,839 di media
Hai debuttato ai mondiali del 2017 e sono venuti subito due argenti…

L’apertura mentale è stata la mia più grande forza. Non sapevo nulla degli avversari, ma ovviamente nemmeno loro sapevano di me. Allora avevo parecchi punti deboli, ma poiché non li conoscevano, non hanno potuto attaccarmi.

E’ importante conoscere gli avversari?

Ho già tutti gli scenari in testa in anticipo. Conosco la top 30 mondiale come il palmo della mia mano. So esattamente cosa fanno e come, perché li ho analizzati all’infinito. Cerco sempre di essere un passo avanti a loro. Penso a come mi guardano e cosa devono fare per battermi. Quindi mi assicuro che ciò non accada. Se uno è più forte, me ne faccio una ragione. Invece odio perdere per un mio errore.

A Tokyo ha trascinato Van den Berg, Buchli e Hoogland all’oro nel team sprint
A Tokyo ha trascinato Van den Berg, Buchli e Hoogland all’oro nel team sprint
Quanto conta la concentrazione nella velocità?

Voglio sentire la tensione solo per migliorare. Ma quando noto che sono troppo teso, parlo con alcune persone. Quando non c’è abbastanza tensione, mi siedo e faccio la gara nella mia testa. E allora la tensione e la concentrazione tornano subito al loro posto.

Altrimenti?

Non vinci. Andiamo molto in profondità in ogni sprint, in realtà è uno sport molto mentale. Non bisogna avere dubbi. Se ne hai, non vinci. La differenza tra dire «Posso vincere» e «Vincerò» è un fattore molto importante. Quando vado in gara, non penso all’argento. Avrei già perso. La parte mentale è difficile da allenare, perché semplicemente non è possibile esercitarsi al di fuori delle competizioni.

La rivalità con Hoogland è stimolo per entrambi. Qui a Roubaix 2021, dove Lavreysen ha vinto team sprint, velocità e keirin
La rivalità con Hoogland è stimolo per entrambi. A Roubaix 2021, Lavreysen ha vinto team sprint, velocità e keirin
Che rapporto hai con i tuoi compagni di nazionale?

Mi tengono sveglio. Si accorgono subito se un giorno non sono in forma e questo vale anche al contrario. Le nostre sessioni di allenamento si basano sul team sprint, l’obiettivo per le Olimpiadi. Questo ci rende molto forti come squadra. Ci spingiamo a vicenda. Ognuno di noi dà il meglio se l’altro va più forte.

Quanto potrai crescere ancora?

Sono giovane, quindi posso ancora fare meglio. Vedo che ho dei punti deboli e che i miei avversari possono battermi. Questo mi mantiene affamato. Alla fine, dopo la mia carriera, voglio avere il più grande record possibile di risultati. Lavoro per questo.

Van der Poel: arresto, denuncia, ritiro. Una storia assurda

25.09.2022
4 min
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Mathieu van der Poel si era allenato alla perfezione per questi mondiali, ma il sogno o il progetto si è fermato nella notte di vigilia. L’olandese infatti è stato arrestato dalla polizia locale a seguito di un incidente nel suo hotel. La notizia arriva dall’emittente belga Sporza, secondo cui Van der Poel avrebbe avuto un alterco con dei bambini che avevano bussato con insistenza alla sua porta.

Le conferme al via

Stamattina al via da Helensburgh, Van der Poel ha confermato brevemente la vicenda, eliminando ogni forma di condizionale.

«E’ vero – ha detto – c’è stata una piccola lite con dei vicini rumorosi, ma qui sono piuttosto severi. Dopo tutte le procedure, sono tornato nella mia stanza alle 4 in punto. Non è certo l’ideale. E’ un disastro, ma non posso farci nulla. Farò il meglio possibile. Non ho riposato, correrò con l’adrenalina. Non è stato certo divertente, ma è successo e devo farci i conti».

Nel Team Relay, proprio Van der Poel aveva parlato della sfortuna del team olandese
Nel Team Relay, proprio Van der Poel aveva parlato della sfortuna del team olandese

La dinamica

Quanto alla dinamica dell’incidente, la vicenda ha i tratti dell’incredibile e coinvolge un atleta di punta che la notte prima di un campionato del mondo avrebbe diritto e bisogno di dormire. Sia benedetto l’isolamento degli azzurri nel loro hotel fuori dal mondo.

«Ieri sera – ha raccontato Mathieu – sono andato a letto presto e dei bambini nel corridoio hanno ritenuto necessario bussare continuamente alla mia porta. Dopo alcune volte ho finito la pazienza. E’ possibile che non gli abbia chiesto molto gentilmente di fermarsi. Per questo qualcuno ha chiamato la polizia».

Van der Poel era pronto per il mondiale. Nell’avvicinamento aveva vinto tre corse: qui il Gp de Wallonie
Van der Poel era pronto per il mondiale. Nell’avvicinamento aveva vinto tre corse: qui il Gp de Wallonie

La polizia

La polizia del New South Wales conferma che un uomo di 27 anni è stato arrestato sabato sera nell’hotel di Sydney dove si trova la squadra olandese. La denuncia vede due capi di imputazione per aggressione. L’uomo è stato poi rilasciato e ha avuto la libertà su cauzione a condizione di comparire in tribunale martedì. A Van der Poel sarebbe stato anche sequestrato il passaporto.

«Intorno alle 22,40 (sabato 24 settembre 2022) – recita il comunicato della polizia – un uomo era in un hotel della Grand Parade, Brighton-Le-Sands, quando sarebbe stato coinvolto in un alterco verbale con due ragazzine di 13 e 14 anni. L’uomo le avrebbe spinte entrambe: una è caduto la a terra, mentre l’altra è finita contro un muro riportando un lieve sfregamento al gomito. La direzione dell’hotel ha chiamato la polizia. Gli ufficiali del comando dell’area di polizia di St George sono intervenuti e hanno arrestato un uomo di 27 anni».

Van der Poel si è presentato alla partenza, ma la sua testa era altrove
Van der Poel si è presentato alla partenza, ma la sua testa era altrove

Impossibile correre

Mathieu stamattina era alla partenza da Helensburg, ma si è ritirato al rifornimento a 230 chilometri dall’arrivo. Era impossibile che oggi potesse correre. Impossibile che trovasse le serenità e la concentrazione necessarie. Il suo mondiale è finito nel momento dell’arresto, solo che ancora non lo sapeva. O ha sperato che non fosse vero.

Un vero peccato. Per Mathieu e per la corsa, che ha perso un sicuro protagonista. L’episodio sarà certamente sviscerato e raccontato meglio nelle prossime ore, ma pone in evidenza quanto sia delicato l’equilibrio psicologico di un atleta di alto livello che si prepara per una sfida altissima e ha bisogno attorno a sé dell’ambiente ideale per mantenere la concentrazione e spingerla al limite.

Van der Poel avrebbe potuto chiamare i tecnici della nazionale o il personale dell’hotel. Ha commesso la leggerezza di comportarsi come avrebbe fatto ciascuno di noi, cadendo nel tranello di portare la sua tensione nella conversazione improvvisata in quel corridoio. La polizia ha applicato la legge con severità inflessibile.

Ursella e quelle viti nella caviglia che lo fanno tremare

09.09.2022
4 min
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Lorenzo Ursella è tornato in gruppo dopo un lungo periodo di assenza, quasi 5 mesi, lo ha fatto al Flanders Tomorrow Tour. L’ultima gara disputata era il Tour de Bretagne, in Francia a fine aprile, corsa nemmeno terminata per il ragazzone friulano che da questa stagione corre nel team Development DSM. Una nuova avventura in Olanda che era iniziata con tanta motivazione ma che ha preso una brutta piega sulla strada che portava da Loheac a Le Hinglé.

«Sono caduto in corsa – dice Ursella dal suo appartamento in Olanda – e ho riportato la frattura esposta del malleolo e della tibia. Mi hanno operato il giorno stesso mettendomi delle placche e delle viti per bloccare la frattura».

Per Ursella un inizio difficile in Olanda, la caduta di aprile ha rovinato il lavoro fatto nei mesi precedenti
Per Ursella un inizio difficile in Olanda, la caduta di aprile ha rovinato il lavoro fatto nei mesi precedenti

Un lungo stop

Nella sua avventura lontano da casa Lorenzo ha trovato qualche difficoltà sul percorso, questa frattura è stata quasi un colpo da KO. Ursella è tornato a casa sua e in questi mesi si è curato rimettendo tutto in ordine, o per lo meno provandoci.

«C’era stata una caduta nella prima parte del gruppo, io per non finire a terra ho appoggiato il piede. Solo che da dietro arrivava l’altra metà del gruppo, che mi ha travolto schiacciandomi contro l’asfalto, causandomi, appunto, questa frattura. Ho fatto due mesi con il gesso ed ero completamente fermo, in quel periodo ho perso tutta la massa muscolare. Nei mesi successivi mi hanno messo un tutore di supporto ed ho iniziato a fare riabilitazione con palestra ed i classici elastici per riprendere un po’ di forza. Da un mese a questa parte mi sono rimesso in bici, e da inizio settembre sono tornato in corsa». 

Ursella alla Borgo Molino correva insieme al suo “gemello” Bruttomesso, i due poi si sono divisi: il primo è andato in Olanda, l’altro alla Zalf
Ursella alla Borgo Molino correva con il suo “gemello” Bruttomesso, i due poi si sono divisi: il primo è andato in Olanda, l’altro alla Zalf

La lenta ripresa

La caviglia è una parte delicata dell’atleta, in qualsiasi sport, soprattutto nel ciclismo dove la forza e la spinta passano dal piede. Riprendere non è semplice e il timore di una nuova caduta è dietro l’angolo.

«A livello della frattura non mi sento così a posto, anche perché ho ancora delle viti ed una placca che dovrò tenere fino al prossimo inverno. Le toglierò solamente nel novembre del 2023. Ho voluto iniziare a correre ora perché avevo bisogno di testare la risposta del mio corpo e togliermi qualche paura che mi è rimasta dopo la caduta. Ho notato, infatti, che ogni tanto quando in gruppo si frena, io inchiodo del tutto e mi fermo. Ripartire ogni volta è una fatica, ovviamente la fiducia la riacquisti solamente in corsa. Mi fa male ogni tanto e mi si gonfia, in particolar modo a fine gara, ma è normale sia così, quella che farò da qui a fine anno è più una preparazione verso il prossimo inverno e la stagione 2023».

Lorenzo ha trovato un modo diverso di allenarsi in Olanda, meno ore ma lavori più specifici svolti ad alta intensità (foto team DSM)
Lorenzo ha trovato un modo diverso di allenarsi in Olanda, meno ore ma lavori più specifici(foto team DSM)

L’inizio complicato

Al di là l’infortunio subito e le complicanze che ne derivano, l’inizio di stagione di Ursella non è stato semplice. Poche gare e difficilmente portate a termine, con tante difficoltà fin dai primi giorni. 

«Il periodo di adattamento non è stato facile, ho sofferto molto ed è stata dura. Più che dal punto di vista della vita direi proprio da quello agonistico. Ho sofferto tanto il ritmo gara perché qui corrono in modo diverso, sempre a tutta e non ero abituato. All’inizio facevo fatica anche a stare in gruppo, poi piano piano ho acquisito maggior ritmo sentendomi sempre meglio. Non era neanche un problema dovuto alla preparazione invernale, tra ritiri e allenamenti abbiamo lavorato molto bene.

«A livello personale mi trovo bene, mi piace vivere per conto mio. Tutti i miei compagni che vengono da fuori vivono nelle casette della squadra e siamo tutti vicini. Ogni tanto usciamo a mangiare o passiamo il tempo insieme. All’inizio ho avuto qualche difficoltà con l’inglese, in questi mesi a casa ho studiato molto e ho rafforzato la lingua, ora riesco a confrontarmi meglio con tutti. Stare lontano da casa dopo tanto tempo pesa, però riesco comunque a tornare ogni tanto e vedere la mia famiglia. La squadra è organizzata molto bene nel gestire gli impegni, è tutto molto schematico. Di solito corriamo per un mese di fila, poi stacchiamo due settimane e in quel periodo torno a casa».

Jumbo Visma, la corazzata rinata dal fango. Oggi vince Laporte

22.07.2022
8 min
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Da dove nasce la Jumbo Visma che sta guidando il Tour e che oggi ha lanciato al successo Laporte? E’ davvero una fortezza inespugnabile come in altri anni il Team Sky di Wiggins e Froome, oppure c’è qualcosa di diverso?

Come sempre, quando un team si rivela così vincente, apre una strada che gli altri si affrettano a copiare. Anche per questo, la differenza fra ciò che viene mostrato e quel che effettivamente c’è è piuttosto marcata. La Jumbo Visma arriva da molto lontano, dalle ceneri della Rabobank che nel 2007 vestiva saldamente la maglia gialla con Rasmussen. Almeno fino al giorno in cui Cassani raccontò, in diretta e in buona fede, di averlo visto dove non doveva essere e in breve il giallo e il contratto vennero strappati. La Rabobank se ne andò a fine 2012, scossa da casi e sospetti di doping. Il team di Vingegaard e Van Aert nacque dalle sue radici e da quel fango.

Il colpo di mano di Laporte rende la prima vittoria francese del Tour. Festa alla Jumbo
Il colpo di mano di Laporte rende la prima vittoria francese del Tour. Festa alla Jumbo

La maglia bianca

Il lavoro di questi giorni degli inviati al Tour è stato il viaggio a ritroso nella loro storia, fino all’inverno del 2015, quando Merijn Zeeman, responsabile della preparazione, e il manager Richiard Plugge, misero mano alla rifondazione.

Anni difficili, dovuti sostanzialmente alla mancanza di mezzi. Stage invernali in altura dormendo in hotel fatiscenti. Le rinunce imposte da un budget risicato, dopo anni in cui la corazzata arancione poteva permettersi di guardare tutti dall’alto. Quando nel 2012 Rabobank decide di lasciare il ciclismo dei pro’, la squadra cambia nome e passa a Blanco, come il colore della maglia. A significare che si sarebbe ripartiti da un foglio ancora da scrivere. C’è sempre la banca a coprire le spese, avendo ancora un contratto, ma il 2013 è l’ultimo.

«Siamo passati dall’avere il secondo budget al mondo, a doverci accontentare del più piccolo – ha raccontato Zeeman a L’Equipe – eravamo lo zimbello del gruppo. Il ciclismo era immerso in una cultura del doping e questa non era neanche più una buona squadra. Zero comunicazione, trasparenza, coesione. Era tutto negativo, tanti preferirono abbandonare la nave, i corridori non facevano risultato. Ed è stato a quel punto che abbiamo deciso di tracciare una linea».

Condivisione totale

Zeeman ha studiato scienza della formazione. Richard Plugge è un ex giornalista, formato in programmazione neurolinguistica. La linea tracciata prevede di ripartire dagli uomini e non dalle regole. Da interviste approfondite in cui ciascuno possa ragionare sul suo comportamento dentro e fuori la gara.

«Ad alcuni corridori non piace essere spinti – ha spiegato Plugge – ma se invece della persona ne analizzi il comportamento, allora l’approccio cambia. Non diciamo loro cosa devono fare, cerchiamo di creare un ambiente in cui i corridori pensino da soli e prendano le proprie decisioni. La motivazione intrinseca è fondamentale, si chiama assunzione di responsabilità, sia che si tratti di stabilire il programma di allenamento, sia la dieta…».

Tra i fedelissimi della prima ora c’è Gesink: c’era nel Team Blanco e ha il contratto Jumbo Visma fino al 2023
Tra i fedelissimi della prima ora c’è Gesink: c’era nel Team Blanco e ha il contratto fino al 2023

Gli All Blacks e l’Ajax

Nessuna costrizione, insomma, quanto piuttosto il coinvolgimento. Si parla di tutto davanti a tutti e tutti sono coinvolti nello sviluppo della struttura. Nessuna invenzione cervellotica però, tiene a precisare ancora Plugge con L’Equipe, bensì l’ispirazione da un lato agli All Blacks (la leggendaria squadra neozelandese di rugby), passati per una rifondazione analoga dopo il tracollo dovuto all’alcol, dall’altro al calcio totale dell’Ajax di Cruyff.

«Fra le dieci regole di condotta interna – spiega – ho voluto inserirne una ispirata proprio agli All Blacks. E quella che chiamano “lasciare la maglia in un posto migliore”, il fatto che ogni giocatore abbia il compito di rendere la maglia più prestigiosa di quando l’ha ricevuta. Così ognuno può lasciare al gruppo una sorta di eredità personale.

«E come insegnato dal calcio totale, vogliamo praticare un ciclismo che ci permetta di essere forti e vincere con tutti i corridori. Vogliamo essere sempre davanti. L’Ajax e la nazionale di quegli anni giocavano insieme, tutti in attacco e poi tutti in difesa. Sarebbe fantastico se un giorno, la gente parlasse della nostra squadra gialla come noi abbiamo parlato di quella arancione».

Al Tour 2020 Roglic superiore a Pogacar, ma lo ha spesso graziato, forse per la comune nazionalità
Al Tour 2020 Roglic superiore a Pogacar, ma lo ha spesso graziato, forse per la comune nazionalità

L’istinto tradito

I colori della maglia sono la conseguenza di un ragionamento nel ritiro invernale 2016, con la dominante gialla chiaramente ispirata al Tour. A fine 2015 è arrivato Roglic dal salto con gli sci, che nel 2016 vince una crono del Giro e nel 2017 centra la prima tappa al Tour. Nel 2019 Kruijswijk sale sul podio della Grande Boucle dietro Bernal e Thomas. Nel 2020, la squadra si presenta al via da Nizza con il coltello fra i denti e domina dall’inizio. Salvo fermarsi contro il muro della crono a La Planche des Belles filles che rivela al mondo la stella di Pogacar.

«Pensavamo troppo a fare i nostri calcoli – racconterà Roglic, rivivendo la pagina più drammatica della sua carriera sportiva – io in particolare. Mi facevo tante domande, non correvo in modo naturale e nemmeno la squadra. Non ci piaceva affatto il divertimento, l’istinto. Avevamo scelto di controllare tutto e ci siamo chiusi su noi stessi».

Lo spirito libero

L’anno scorso, l’uscita di scena di Roglic in avvio di Tour compie il miracolo, come l’uscita di scena di Thomas al Giro del 2020 permise alla Ineos di diventare simpatica.

«Contrariamente ai nostri grandi discorsi – spiega Plugge – nel 2020 ci è mancato il coraggio quando in certe fasi avremmo dovuto chiudere la partita. Nel 2021 l’abbandono di Roglic e il fatto che Vingegaard fosse ancora giovane e al primo Tour ci hanno permesso di correre senza pressioni e sono venute quattro vittorie di tappa. Al contempo però abbiamo spinto maggiormente sui miglioramenti. Ogni nuovo corridore viene scelto per la capacità di inserirsi nel progetto e supportato per raggiungere il meglio delle sue possibilità. A ogni livello, corridori e staff».

Tour con tre punte

I direttori sportivi e gli allenatori vengono aggiornati con il supporto di formatori esterni. Lo staff è stato ampliato inserendo cinque cuoche-nutrizioniste, tutte dipendenti a tempo indeterminato come gli altri dirigenti della squadra. La precarietà, dice chiaramente Plugge, è un deterrente al fatto che si partecipi davvero allo sviluppo del progetto. Dopo aver cambiato le bici, passando da Bianchi a Cervélo, l’anno scorso il focus verteva sull’alimentazione. Per cui, in collaborazione con i Supermercati Jumbo, è stata sviluppata un’app che offre ai corridori menù e quantità in base ai tempi di allenamento o di gara. Infine la strategia, per anni punto debole di una squadra che si stava costruendo.

«Abbiamo scelto di rischiare con Vingegaard, Roglic e Van Aert nella stessa squadra – dice Zeeman – ma solo dopo molti ragionamenti con i corridori. Era necessario tenere conto del loro ego, per sapere cosa fossero pronti a sacrificare, sapendo che la ricerca più alta era la vittoria finale».

L’apoteosi nella tappa di Hautacam, con Van Aert che tira per Vingegaard e stacca Pogacar
L’apoteosi nella tappa di Hautacam, con Van Aert che tira per Vingegaard e stacca Pogacar

Il gigante verde

La risposta di Van Aert è stata illuminante e la sua condotta irreprensibile. «Ho bisogno di avere la speranza di vincere le tappe per me stesso – ha spiegato nell’ultimo giorno di riposo – e penso di essere più utile alla squadra con questa possibilità che essere un semplice gregario per tre settimane. Mi motiva avere la prospettiva di vittoria e mi permette di aiutare meglio gli altri».

Quello che ha fatto ieri a Hautacam lo ha confermato fugando ogni dubbio. Ciascuno di loro ha fornito un contributo decisivo. E’ presto per dire che abbiano davvero inventato il ciclismo totale. Di sicuro sono sulla strada giusta per fare di quel giallo la loro prossima conquista.

Vittoria e A Dugast, ecco la nuova sede in Olanda!

25.06.2022
3 min
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Nei giorni scorsi Vittoria e A Dugast hanno scritto un nuovo capitolo della loro giovane, ma già proficua collaborazione. Dopo aver recentemente presentato il tubolare XXV L’Eroica per celebrare i 25 anni dell’evento senese, ecco ora arrivare un’altra importante novità. Nei giorni scorsi è stata ufficialmente inaugurata la “casa comune” di Vittoria North Europe e di A Dugast nei Paesi Bassi. La nuova sede si trova esattamente a Oldenzaal, località strategica situata nel cuore pulsante del ciclismo europeo tra Benelux e Germania.

Sguardo al Nord Europa

La nuova sede si sviluppa su una superficie di 1.200 mq e dovrà servire come base commerciale di Vittoria Group per i mercati nordeuropei. Contemporaneamente fungerà da sede produttiva rinnovata per A Dugast. La sua collocazione geografica permetterà a Vittoria Group di essere sempre più vicina alla propria clientela nordeuropea. Nello stesso tempo A Dugast potrà beneficiare di una sede più efficiente. La capacità produttiva sarà infatti raddoppiata grazie a nuovi macchinari e personale aggiuntivo. Tutto ciò permetterà di tenere fede all’approccio “fatto a mano in Olanda” che da sempre contraddistingue A Dugast

Vittoria potrà essere così più vicina alla clientela nordeuropea
Vittoria potrà essere così più vicina alla clientela nordeuropea

Il tema ambiente

Anche la nuova sede produttiva di Oldenzaal conferma come Vittoria Group sia sempre più in prima linea nella riduzione dell’impatto ambientale delle proprie attività. Il nuovo edificio è infatti completamente a zero emissioni di CO2 grazie all’utilizzo di pannelli solari e sistemi di riscaldamento e isolamento termico di ultima generazione. 

La collocazione geografica della nuova sede non è inoltre casuale. L’area di Oldenzaal è caratterizzata da una rete estesa di percorsi per bici su strada e sterrato. Tutto questo rende il nuovo edificio facilmente raggiungibile in bicicletta da dipendenti e visitatori. Gli stessi percorsi possono inoltre essere utilizzati per test outdoor degli pneumatici simulando condizioni reali di utilizzo.

La capacità produttiva sarà raddoppiata grazie a nuovi macchinari e personale
La capacità produttiva sarà raddoppiata grazie a nuovi macchinari e personale

L’importanza della condivisione

Come dicevamo all’inizio, la nuova sede produttiva di Oldenzaal rappresenta un nuovo tassello nella collaborazione fra Vittoria e A Dugast iniziata lo scorso anno quando l’azienda olandese è entrata in Vittoria Group. Condividendo conoscenze ed esperienze, le due realtà potranno continuare a crescere e a realizzare pneumatici sempre più performanti a partire già da quest’anno.

Richard Niewhuis, Direttore Generale di A Dugast, ha così commentato l’inaugurazione della nuova sede: «Siamo molto felici che, insieme a Vittoria Group, abbiamo potuto investire in una struttura all’avanguardia che ci consentirà di lavorare insieme per sviluppare i migliori pneumatici da gara fatti a mano, per gli atleti e appassionati di tutto il mondo».

Gli ha fatto eco Stijn Vriends, Presidente & CEO di Vittoria Group: «Vittoria e A Dugast sono sinonimi di qualità e prestazione nel ciclismo. Attraverso questa nuova sede regionale possiamo servire i nostri ciclisti e clienti ancora meglio».

Vittoria

Bouwman, il re degli scalatori più amato dai meccanici

31.05.2022
6 min
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L’Italia porta bene a Koen Bouwman, vincitore di due tappe e della maglia degli scalatori al Giro d’Italia. Se è vero che la prima vittoria da professionista l’ha ottenuta al Delfinato nel 2017, i più attenti lo ricordano trionfatore sul Gran San Bernardo al Val d’Aosta del 2015, in maglia SEG Racing Academy, davanti a Frankiny e Bagioli.

Un metro e 78 per 60 chili, Bouwman è nato il 2 dicembre 1993 a Ulft, nella regione del Gelderland. Sorride sempre e va forte in salita. Nei giorni del Giro, è sempre parso di buon umore. I colleghi olandesi raccontano che la sua crescita sia stata graduale fino alla vittoria al Val d’Aosta e poi le cose siano diventate più veloci. A quel punto sono scattate le offerte, ma Koen le ha rifiutate, scegliendo lo stage con la Jumbo Visma. E dopo il Tour of Britain del 2015 ha firmato per due anni.

Sfinito dopo la vittoria di Potenza, cinque anni dopo la vittoria al Delfinato 2017
Sfinito dopo la vittoria di Potenza, cinque anni dopo la vittoria al Delfinato 2017

Il Giro è per sempre

L’ultimo Giro è stato il quinto nella sua carriera di gregario, in compenso il palmares parla di alcuni interessanti piazzamenti fra la Coppi e Bartali e il Tour of the Alps del 2018.

«Sebbene non mi capiti spesso di partire nelle corse italiane – racconta – mi trovo sempre bene. Il Giro mi piace sempre molto, non è frenetico dal punto di vista mediatico. Non come il Tour in cui devi parlare con qualcuno ogni giorno, anche se non l’ho mai corso. Ogni tanto ne parlo con Jos van Emden e lui mi dice sempre che nella carriera devi fare il Tour una volta e poi il Giro per il resto del tempo».

Partenza da Marano Lagunare, nel giorno della vittoria in Friuli: power meter a posto
Partenza da Marano Lagunare, nel giorno della vittoria in Friuli: power meter a posto

Stupore a Potenza

Dopo la tappa di Potenza, nessuno si è lasciato andare a troppe celebrazioni. Erano al Giro per supportare Dumoulin e il fatto che Bouwman fosse arrivato al traguardo assieme al suo capitano, è parso un abile gioco di squadra. La seconda vittoria del gregario, cinque anni dopo la prima.

«E’ stata incredibile – dice – quanto la mia prima grande vittoria nel Delfinato. E’ stata una giornata dura, alla fine ci siamo ritrovati in quattro e fortunatamente noi eravamo due della stessa squadra. Tom ha fatto un lavoro fantastico per me negli ultimi due chilometri e io mi sono sentito bene tutto il giorno. Mi era rimasta così tanta forza che a 40 metri dalla fine ho guardato indietro e ho visto che grande buco si fosse formato».

Imbarazzo in Friuli

Dopo la vittoria al Santuario di Castelmonte invece, trattenendo a stento felicità e stupore, ha ribadito di essere sempre lo stesso e che per nulla al mondo i risultati del Giro lo allontaneranno dal suo essere gregario.

«Metà di quella vittoria è di Affini – racconta con un filo di imbarazzo – se non avesse tirato lui, ci avrebbero ripreso. Quanto a me, resto un gregario, non saranno queste due tappe vinte a farmi cambiare mentalità e pretese. Semmai avrò più spazio quando non dovrò lavorare per i capitani. La cosa più bella è stato vedere che i più grandi del gruppo siano venuti a congratularsi con me. Ma rimarrò il Koen di sempre. Il Giro è andato oltre le mie aspettative, non dimenticherò mai queste tre settimane. Jan Boven (ex pro’ e ora coach della Jumbo Visma, ndr) si è seduto dietro di me in macchina e mi ha detto di tenere i piedi per terra».

Una Cervélo R5 di serie

Un altro capitolo per il quale Bouwen è estremamente alla mano è la bicicletta. I meccanici testimoniano che non ha mai richieste anomale o particolari. Per il Giro Bouwman ha usato la R5 Cervélo, il cui telaio ferma l’ago della bilancia a 703 grammi. Si tratta della bici più leggera in uso alla Jumbo Visma. Rispetto alla versione precedente, è più light anche la forcella, per un peso complessivo di telaio e forcella poco superiore ai 1.000 grammi. Pesano meno (circa 12 grammi) anche manubrio e attacco, mentre il reggisella è di 20 grammi più leggero.

«La mia bici ideale – dice – deve essere una all road, cioè deve andare bene su tutti i terreni che si trovano in corsa e in allenamento. La voglio rigida e leggera, alla fine una bici standard della nostra dotazione. Non chiedo regolazioni particolari, rispetto al gruppo Shimano di serie. Solo in alcune tappe chiedo di avere un plateau più grande e in montagna una cassetta con pignoni più agili. Nella tappa del Santuario di Castelmonte ho usato il 36×34».

Bouwman fa doppietta al Santuario di Castelmonte e consolida la maglia dei Gpm
Bouwman fa doppietta al Santuario di Castelmonte e consolida la maglia dei Gpm

La bici ha ovviamente i freni a disco e il manubrio non integrato, dato in dotazione agli scalatori: «Non ho avuto problemi – spiega – passando ai freni a disco. Puoi staccare dopo e mi ha aiutato il fatto di averli sulla bici da cross e la mountain bike. Quanto al manubrio, uso questo perché me lo hanno dato (scoppia a ridere: il lusso di scegliere spetta ancora ai capitani, ndr). E’ leggero, per me va bene così».

Bouwman non sa ancora se correrà la Vuelta, per ora è previsto come riserva, ma c’è di mezzo tutta l’estate per venirne a capo. La sua prossima corsa sarà per certo il Giro di Svizzera, in cui potrebbe giocare le sue carte, dato che Roglic e il gruppo Tour andranno a rodarsi sulle strade del Delfinato. E chissà che il trend positivo del Giro non valichi le Alpi e gli permetta di lasciare il segno anche di là…