Primi passi di Villa alla guida dei pro’: il salto più lungo

07.03.2025
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Marco Villa è il nuovo commissario tecnico dei professionisti. Dopo tre Olimpiadi alla guida della nazionale della pista, iI colpo di scena dell’ultimo Consiglio federale ha colto tutti alla sprovvista e in parte anche lui. Glielo avevano già detto, però prendere atto che fosse tutto vero è stato un bello scossone. Al punto che per qualche istante si è pensato che non ne fosse convinto lui per primo.

«Quando me l’hanno proposto la prima volta – ammette Villa – è stata una cosa un po’ surreale. Non sapevo se fosse il modo per tastare il terreno, ma ho capito presto che non era uno scherzo. La strada l’ha aperta Amadio, però dopo sono riuscito a parlare col presidente. La prima cosa che gli ho detto è che non volevo fosse passato il messaggio che a Villa non fosse piaciuto quello che gli era stato proposto. Anzi, gli ho detto che per me era un onore, soprattutto per la storicità di chi mi ha preceduto. Con tutto il rispetto per Bettini, Cassani e Bennati, pensare a Martini e Ballerini mi fa venire i brividi. Non me lo sarei mai aspettato…».

La prima uscita di Villa come tecnico dei pro’ è avvenuta a Laigueglia
La prima uscita di Villa come tecnico dei pro’ è avvenuta a Laigueglia
Un grande onore, ma significa lasciare la pista che è stata la tua casa negli ultimi (quasi) vent’anni.

Non potevo non esternare che mi chiedevano di lasciare un settore che ho molto a cuore. E così ho chiesto se potevo fare ancora un po’ da collegamento, visto che abbiamo sempre professato la multidisciplinarietà. In fondo Bettini, Cassani e anche Bennati, con il discorso di Parigi e aver permesso a Viviani di correre su strada, sono sempre stati partecipi con me in pista.

E così rimarrai accanto a Bragato nella pista delle ragazze.

Mi piace l’idea di esserci ancora. Le donne mi sono state affidate tre anni fa. Abbiamo vinto subito un mondiale, abbiamo cercato di lavorare nonostante le difficoltà. L’incidente di Guazzini, l’incidente di Balsamo nel 2023 e l’altro nel 2024 a ridosso delle Olimpiadi, ci hanno rovinato il percorso di avvicinamento a Parigi. Però ne siamo usciti con una medaglia d’oro e con un quarto posto nel quartetto che fa sperare per Los Angeles. Abbiamo un gruppo che arriverà a Los Angeles in piena crescita, in piena maturità atletica e anche mentale. Credo che la medaglia d’oro di Guazzini e Consonni abbia dato qualcosa in più al gruppo. Così ho espresso il desiderio di terminare quel ciclo delle donne. Credo che con la collaborazione di Diego (Bragato, ndr), riusciremo a fare un bel percorso. E naturalmente ho un buon rapporto con Salvoldi, quindi se sta bene anche a lui, la collaborazione non mancherà.

Amadio si aspetta che Villa riesca a ricreare nel mondo della strada lo spirito di gruppo che ha creato in pista.

Forse il mio modo di lavorare parte anche da lì. Dobbiamo formare un gruppo che abbia a cuore la nazionale e che, naturalmente, col rispetto dei programmi delle squadre, abbia a cuore l’avvicinamento a un mondiale o un europeo. Probabilmente ci sarà da preparare a inizio stagione un calendario che soddisfi le esigenze delle squadre, ma che ci permetta di giocarci una maglia azzurra in un mondiale o un europeo. Credo che quest’anno possa essere un po’ più difficile, perché il mondiale del Rwanda e poi l’europeo hanno due percorsi molto duri.

Secondo Villa, l’oro olimpico di Guazzini e Consonni nella madison ha svoltato la mentalità delle azzurre in pista
Secondo Villa, l’oro olimpico di Guazzini e Consonni nella madison ha svoltato la mentalità delle azzurre in pista
Adesso comincia la fase della conoscenza? A parte quelli con cui lavoravi in pista, con gli altri non hai la stessa confidenza…

Partiamo dal fatto che ci sono subito un mondiale e un europeo in cui i miei ragazzi della pista potrebbero non trovare posto. Parto con un gruppo tutto da conoscere, però Mario Scirea mi aiuterà. Ho parlato anche con Marino Amadori, perché qualche giovane che adesso è di là e sta facendo bene, è passato da lui. Cercheremo di fare gruppo con lo stesso Salvoldi. Cercherò di conoscere i ragazzi, ma in primis parlerò con i team manager, con le squadre, con i direttori sportivi, con i preparatori per capire i programmi. Per quest’anno va così, forse è un po’ tardi perché ormai tutti hanno i loro programmi.

Per fortuna manca ancora parecchio.

I mondiali sono a settembre e la settimana dopo, la prima di ottobre, ci sono gli europei. Quindi spero che qualcuno abbia fatto le sue considerazioni. E’ logico che non si sappiano quali idee abbia il commissario tecnico, però trovare qualcuno che ha programmato la stagione pensando anche a questi obiettivi e a farsi vedere dalla nazionale, credo che sia già un buon punto di partenza. Invece l’anno prossimo partirò con qualche mese già di vantaggio e qualche conoscenza in più. E mi sembra che anche i mondiali di Montreal siano abbastanza impegnativi.

Come costruirai la tua nazionale?

Mi piacerebbe coinvolgere i giovani e in questo inizio stagione, alcuni si stanno facendo vedere. Ma non butto certo a mare i più esperti. Ho sempre avuto rispetto di tutti, vediamo di fare un bel gruppo in cui i più grandi possano trasmettere la loro esperienza. In questi anni ho collaborato con Paolo Bettini, con Cassani e con Daniele Bennati. Ho sempre trovato degli atleti con un forte attaccamento alla maglia azzurra. E anche se non sono arrivati i risultati desiderati, l’Italia ha sempre corso bene. Ha sempre corso di squadra e questo è l’insegnamento da trasmettere ai giovani. E poi non è che i risultati siano sempre mancati…

Il mondiale di Harrogate sfuggito per un soffio a Trentin fa pensare a Villa che i nostri corridori più esperti hanno grandi qualità
Il mondiale di Harrogate sfuggito per un soffio a Trentin fa pensare a Villa che i nostri corridori più esperti hanno grandi qualità
Qualcosa abbiamo vinto, certo.

Abbiamo vinto dei titoli europei e siamo andati a un passo dal vincere i mondiali con Trentin. Sono convinto che quel giorno ad Harrogate, fino a 150 metri dal traguardo tutti speravamo che vincesse Matteo. Insomma, non buttiamo via il nostro movimento e tutto quello che è stato fatto. Il ciclismo si è globalizzato, la torta viene divisa in tante più fette rispetto a prima.

Cambierà il tuo modo di seguire le corse, non avendo più l’obiettivo della pista?

Ho fatto 11 anni da professionista e anche due Giri d’Italia. Il secondo in particolare, nel 2001, l’ho passato gestendo il velocista, Ivan Quaranta, sia alle corse sia durante la stagione con gli allenamenti. Tante volte glielo dico: «Ho iniziato a fare il tecnico quando ho iniziato a correre con te, a doverti stare dietro e seguirti allenamento per allenamento». Quindi non è vero che parto da zero. Ho sentito dire che non ho esperienza, ma io credo che l’esperienza da cittì ce l’abbiano in pochi.

Che cosa intendi?

Pochi ce l’hanno prima di aver cominciato ad esserlo. C’è stato chi prima faceva il direttore, chi il corridore. Da qualche parte si deve pur cominciare e ricordo che sono partito da zero anche sulla pista. Ho smesso di correre e dopo un anno e mezzo mi hanno chiesto di fare il collaboratore e poi il tecnico, in un settore in cui non c’era niente. Bisognava rifondare tutto, però l’ho fatto. Ho avuto la fortuna di trovare le persone giuste e gli atleti giusti. Spero di essere fortunato anche questa volta.

Villa e Bettini, fresco iridato del 2007: insieme in pista per una Sei Giorni
Villa e Bettini, fresco iridato del 2007: insieme in pista per una Sei Giorni
Da amico e suo tecnico delle vittorie più belle, sei contento che Elia Viviani abbia trovato da correre, oppure un pensierino ad averlo nello staff azzurro ti era venuto?

Elia lo sento spesso e un aiuto da lui ce l’ho sempre. Ci confrontiamo spesso, ma ci confrontavamo anche prima. Abbiamo sempre parlato la stessa lingua, su come interpretare il ciclismo e come interpretare l’attività che stavamo facendo insieme: lui da corridore, io da tecnico. Io cercavo i corridori forti della strada per portarli in pista e il sistema è stato messo a punto bene anche grazie ai feedback che Elia mi ha sempre dato. Però ero il suo primo tifoso a sperare che trovasse un contratto perché è la cosa che voleva.

Ieri eri con Ganna in pista, come l’hai trovato?

L’ho trovato uguale. Punta su strada però ieri è venuto in pista. Era stato così anche negli anni scorsi. Nel 2023, l’anno dei mondiali di Glasgow, ha fatto la sua prima gara in pista ad agosto, ma da dicembre e gennaio di quell’anno i suoi passaggi in pista li ha sempre fatti. Come li sta facendo ancora oggi, perché la pista è un suo punto di riferimento. Abbiamo un sistema di rifinitura, soprattutto per la crono, ma anche per certi sforzi su cui Pippo punta per fare anche nelle gare su strada. L’ho trovato con lo stesso entusiasmo di sempre e mi sembra che sia uscito contento da Montichiari. Ha cambiato leggermente posizione sulla bici da crono e ieri mattina alle 9 era già in pista a sistemare la posizione, essendo partito da casa. Quando c’è una crono, lui ha sempre entusiasmo e lunedì c’è quella della Tirreno-Adriatico. Poi ci sono le altre tappe, che gli permetteranno di trovare le sensazioni che gli serviranno nelle gare successive.

Come procederà d’ora in avanti la tua immersione fra i professionisti?

Sarò alla Strade Bianche, poi le prime due tappe della Tirreno-Adriatico e venerdì con Amadio abbiamo in programma qualche visita per hotel alla vigilia della Sanremo. Abbiamo cominciato. A Laigueglia ho fatto la prima uscita e, con l’aiuto di Scirea, dopo un po’ mi sono sentito quasi a casa.

Amadio e le squadre nazionali: viaggio fra le nuove scelte

05.03.2025
7 min
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Quando si è trattato di impostare la conduzione tecnica delle nazionali per il prossimo quadriennio, i vertici della Federazione ciclistica italiana hanno valutato le professionalità che avevano in casa e assegnato i nuovi incarichi. L’unico che è rimasto fuori dai giochi e non per sua scelta è stato Daniele Bennati, ma Roberto Amadio dice che la decisione è stata presa dal presidente Dagnoni dopo gli europei su pista e che fino a quel momento era ancora tutto aperto.

Parliamo con il team manager azzurro proprio per spiegare la logica dietro alle scelte e immaginare la traiettoria che porterà le nostre nazionali alle Olimpiadi di Los Angeles 2028. Fra le novità che più stimolano la curiosità ci sono la scelta di Marco Villa come tecnico dei professionisti e quella di Dino Salvoldi alla guida della pista maschile. Da questo snodo passa tutto il resto.

Dino Salvoldi guiderà le nazionali della pista elite e degli juniores (foto FCI)
Dino Salvoldi guiderà le nazionali della pista elite e degli juniores (foto FCI)
Che ragionamento c’è stato alla base?

Partiamo dalla scelta di Salvoldi, che seguirà la pista uomini e terrà gli juniores. E’ stata fatta proprio in funzione del lavoro che ha fatto in questi tre anni e in prospettiva Los Angeles. Un certo ciclo della gestione di Villa sta terminando. Soprattutto nei prossimi due anni, Ganna, Milan e Consonni daranno precedenza alla strada, mentre Salvoldi conosce un ventaglio di corridori, più o meno 8-10 elementi ormai competitivi, con cui lavorare per arrivare al 2028. Poi è chiaro che se Milan, che è il più giovane del vecchio quartetto, dice che gli piacerebbe venire a Los Angeles, benvenga. Lui può fare la differenza e dà la garanzia di lottare anche per la medaglia d’oro.

Salvoldi però terrà anche gli juniores, i ruoli sono compatibili?

Il feedback delle società sul suo lavoro è positivo, quindi credo sia giusto che prosegua. Logicamente avrà dei collaboratori che lo sostituiranno quando gli impegni con gli elite lo terranno lontano, però penso che abbia dimostrato di saper lavorare con professionalità e i risultati si sono visti.

Come nasce l’idea di mettere Villa al posto di Bennati?

Serve per dare continuità al suo lavoro con un gruppo di ragazzi che su certi percorsi sono fra i migliori al mondo. E a livello di cronometro, Villa ha l’esperienza per lavorare bene. Sulla scelta di non confermare Bennati, ne avrete sentite di tutti i colori, però la scelta è stata fatta agli europei su pista, quando il presidente Dagnoni ha preso la decisione finale. Daniele si è sentito preso in giro, ma le cose non sono andate come lui immagina.

E’ stato difficile convincere Villa? Si dice che fosse turbato.

Sicuramente è onorato, però ha il cuore sempre sulla pista, tant’è che l’abbiamo lasciato sulle donne assieme a Bragato. La scelta di Diego ha una logica, perché ha fatto con loro il percorso da Tokyo a Parigi e secondo me il gruppo donne è quello che può arrivare a Los Angeles con grandissime ambizioni. La logica, il filo conduttore del progetto ha come focus l’obiettivo delle prossime Olimpiadi. Per una federazione sono l’evento più importante, visto anche il sostegno che abbiamo dal CONI e da Sport e Salute.

Dopo i grandissimi successi su pista con le nazionali elite e delle donne, per Villa si apre il capitolo complesso e affascinante della strada pro’
Dopo i grandissimi successi su pista con le nazionali elite e delle donne, per Villa si apre il capitolo complesso e affascinante della strada pro’
Il fatto di mettere Villa sulla strada e non scegliere qualcun altro preso dall’esterno, come pure i doppi incarichi di Salvoldi e Bragato può essere conveniente anche dal punto di vista economico?

Ai conti si deve guardare, soprattutto con le novità che ci sono. Si parla di affitti che adesso le Federazioni devono iniziare a pagare a Sport e Salute, di costi che non erano preventivati. Sicuramente risparmiare ci consente di investire sull’attività e sulle squadre nazionali, però la scelta di Marco ha la sua logica e la capiremo nei prossimi anni.

Cosa può portare Villa porti nel mondo della strada?

Nella pista è riuscito ad amalgamare un gruppo di atleti e sarebbe fondamentale ripeterlo sulla strada. Negli anni di Martini, la nazionale si ritrovava con corridori come Moser, Saronni, Baronchelli, Battaglin e tutti gli altri. Alfredo era grande nel creare lo spirito di squadra, che oggi è sempre più difficile. Gli atleti hanno il preparatore, il nutrizionista e la squadra che fa i programmi, è cambiato il modo di interpretare il ciclismo. Serve uno che riesca a tenere un filo conduttore quotidiano e nel giorno della gara sia capace di deciderne l’impostazione. Prima era diverso, c’erano le premondiali e un sistema molto meno complesso.

Invece adesso?

C’è un’evoluzione, un cambiamento veramente impressionante del ciclismo. Al punto che anche la Federazione e i suoi tecnici devono adeguarsi al cambiamento. Ci rimproverano il fatto di non vedere la nazionale correre più spesso in Italia, ma a cosa servirebbe? Con chi saremmo potuti andare oggi a Laigueglia, visto che più o meno i migliori ci saranno tutti con le loro squadre? Abbiamo investito quando si è trattato di far correre i ragazzi della Gazprom rimasti senza squadra, ma la maglia azzurra è importante e non avrebbe senso fare delle squadre solo per rappresentanza

Tornando per un attimo alla pista, finora Villa ha avuto il controllo su tutto. Aver nominato Salvoldi, Bragato e Quaranta commissari tecnici dipende dal fatto che loro sono cresciuti nel ruolo oppure Villa sarà meno disponibile?

Entrambe le cose, perché secondo me Marco non si è ancora reso conto di quale sia l’impegno del tecnico della strada. Però dall’altra parte c’è stata una crescita enorme, sia di Quaranta sia di Bragato, che rimane il responsabile del team performance. In questi tre anni, quel gruppo è cresciuto in maniera considerevole ed è sempre più apprezzato dai tecnici. Hanno capito la necessità di lavorare con una programmazione e Diego ha la visione a 360 gradi delle varie necessità. Per questo avere accanto Villa è una necessità. Con loro due, le donne sono in mani sicure. Sia da un punto di vista di programmazione sia di selezione e attività che faranno.

Non sarebbe la mancanza di risultati, ma i rapporti non più buoni con Dagnoni la causa della mancata riconferma di Bennati (foto Limago)
Non sarebbe la mancanza di risultati, ma i rapporti non più buoni con Dagnoni la causa della mancata riconferma di Bennati (foto Limago)
Mentre Quaranta?

Credo che promuoverlo sia stato giusto e dovuto. Il presidente ha riconosciuto lavoro che ha fatto e che sta facendo con i velocisti. Gli ultimi mondiali e gli europei hanno dato conferma di una crescita di gara in gara. E’ chiaro che avvicinandosi ai vertici mondiali del team sprint, d’ora in poi i progressi saranno meno evidenti, però ci sono. La qualificazione a Los Angeles è un obiettivo fattibile, come ci eravamo prefissati quando siamo partiti.

Sono venute conferme invece per U23 e fuoristrada: non era necessario metterci mano, tutto sommato…

Amadori è un grande conoscitore del mondo under 23, credo sia giusto averlo confermato. Anzi sicuramente è quello che in questo momento di difficoltà nel trovare le giuste come collaborazione con le squadre, può giocare un ruolo decisivo. Quanto alle nazionali fuoristrada, Pontoni ha lavorato in modo molto positivo, lo dicono i risultati. E anche Celestino è arrivato bene alle Olimpiadi e solo a sfortuna ci ha tolto una medaglia con Braidot. Però sta costruendo qualcosa di importante con i giovani e sta portando avanti un bel lavoro.

Poco fa hai detto che se ne sono sentite tante, forse anche troppe: perché non andare più avanti con Bennati?

A Daniele non posso rimproverare niente, ha fatto tutto quello che doveva in modo professionale in rapporto al momento del ciclismo italiano, cui manca un corridore alla Colbrelli, che stava crescendo in maniera importante. Noto che in questo inizio di stagione alcuni nostri ragazzi stanno venendo fiori con il piglio giusto. Parlo di Ciccone al UAE Tour, Tiberi che all’Algarve ha fatto una cronometro veramente bella e anche Piganzoli. I buoni corridori li abbiamo e sono adatti al mondiale del Rwanda. Ma se in un mondiale come quello ti trovi Evenepoel oppure Pogacar, sia su strada sia nella crono che è durissima, c’è poco da programmare. Non parto mai battuto, però la storia ci insegna che quando ci sono di mezzo questi atleti, diventa difficile.

Hai dichiarato che Bennati a un certo punto non fosse più in sintonia con la Federazione, eppure quando si è trattato di lasciare spazio a Viviani nella gara su strada delle Olimpiadi, non ha fatto un fiato.

Io credo che il suo fosse lo spirito giusto, cioè quello di onorare sempre la maglia azzurra, anche se a Zurigo il comportamento dei corridori non è stato proprio così. Sull’aver fatto spazio a Viviani, non posso dire nulla: è stato bravo e alla fine i risultati ci hanno dato ragione. Quando parlo di sintonia con la Federazione, parlo di sintonia col presidente. Più un fatto di rapporti personali che alla fine non c’erano più.

EDITORIALE / Le grandi manovre della nazionale

17.02.2025
6 min
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Quando si è trattato di scegliere il nome del successore di Sven Vanthourenhout alla guida della nazionale belga, il presidente federale Tom Van Damme ha puntato su Serge Pauwels. Si trattava di sostituire il tecnico vincitore dell’europeo con Merlier e con Evenepoel del mondiale di Wollongong su strada, quelli a crono di Glasgow e Zurigo e il doppio oro olimpico di Parigi. Eppure, nonostante abbia parlato anche con Philippe Gilbert, il dirigente belga alla fine ha scelto Serge Pauwels, un ex professionista che da qualche anno seguiva le nazionali giovanili e collaborava per i pro’ con il tecnico uscente. Una scelta fatta per coerenza tecnica e per risparmiare qualcosa.

«La visione della Federazione – ha spiegato il presidente – è più vicina a quella di Serge. Ci sono stati diversi colloqui, ma i candidati stessi erano piuttosto vaghi. Spesso non sapevano esattamente quale percorso volessero intraprendere, mentre internamente avevamo un candidato a pieno titolo. Il legame tra giovani e professionisti è diventato così importante che è necessario progredire. Abbiamo mantenuto questa linea».

Cosa succede da noi? Si dà per scontato che Bennati non sarà confermato. Chi lo sostituirà? Il tema è caldo. Le indiscrezioni di stampa si susseguono, ma resteranno tali fino al Consiglio Federale del prossimo fine settimana, quando si saprà finalmente tutto. Eppure i nomi emersi hanno stimolato alcune considerazioni, che annotiamo come contributo per la scelta: ammesso che servano e soprattutto che siano gradite.

Bennati ha guidato la nazionale per tre mondiali: l’ultimo a Zurigo 2024
Bennati ha guidato la nazionale per tre mondiali: l’ultimo a Zurigo 2024

Villa ai professionisti?

Si è letto di Marco Villa alla guida della nazionale dei professionisti e dello stesso tecnico della pista che negli ultimi tempi sarebbe apparso preoccupato. Lo hanno detto gli atleti che hanno avuto a che fare con lui. Se questa è la prospettiva che gli è stata offerta, la preoccupazione è legittima.

Villa è su pista quello che Vanthourenhout è stato su strada per il Belgio e dopo Parigi aveva già iniziato a pensare al 2028. Ha un bagaglio di conoscenze fuori dal comune e il carisma per imporle, mentre su strada si troverebbe a partire da zero nella gestione di atleti che hanno esperienze di gran lunga superiori alla sua. E’ un azzardo e certamente il modo per risparmiare sull’ingaggio di un tecnico esterno. Nasce dalla volontà di imporre un metodo di lavoro? E’ possibile, ma che metodo si può imporre ad atleti che gestisci per due corse all’anno, senza allenarli e discutendone al massimo i programmi con le squadre di appartenenza?

Roberto Amadio, qui con Viviani a Parigi 2024, è il team manager della nazionale
Roberto Amadio, qui con Viviani a Parigi 2024, è il team manager della nazionale

Il metodo Ceruti

Quando nel 1998 si trattò di sostituire Alfredo Martini alla guida della nazionale, il presidente federale Ceruti tentò una mossa analoga. Prese Antonio Fusi e lo gettò nella mischia. Il lombardo, che aveva guidato fino a quel momento juniores e under 23 con risultati esaltanti, non poté rifiutare l’incarico o ne fu allettato, per cui accettò.

Si disse che avrebbe portato il suo metodo di lavoro e in effetti provò a farlo. Solo che a un certo punto il professionismo lo respinse e rese impossibile il suo lavoro, che era fatto di programmazione e preparazione di atleti che si affidavano a lui in vista degli appuntamenti. Sta di fatto che dopo qualche dissapore e il mondiale di Plouay del 2000, la sua carriera si concluse per lasciare il posto a Franco Ballerini. Fusi tornò agli under 23 e a fine 2005 lasciò la Federazione.

Negli ultimi tre anni, Dino Salvoldi ha rilanciato la categoria juniores, in pista e su strada (foto FCI)
Negli ultimi tre anni, Dino Salvoldi ha rilanciato la categoria juniores, in pista e su strada (foto FCI)

Salvoldi alla pista?

Salvoldi al posto di Villa nella pista degli uomini ha una logica diversa e potrebbe funzionare. Dino è il tecnico degli ultimi record del mondo dell’inseguimento a squadre. I suoi juniores hanno fatto faville nelle gare loro riservate e costituiscono l’ossatura della nazionale che di qui a quattro anni lotterà per le Olimpiadi di Los Angeles. Villa è stanco e la FCI vuole rifondare il settore? Questa può essere la strada giusta.

Salvoldi è uno che studia e avrebbe tutto il tempo per crescere e farli crescere, provandoli nelle rassegne di ogni anno di qui al 2027. Fino ad allora Ganna, Milan, Consonni, Moro e gli altri corridori WorldTour saranno impegnati più su strada che in pista. Il suo problema con loro sarebbe infatti subentrare dopo anni di lavoro con Villa, in un rapporto personale che va oltre quello fra tecnico e atleta. Ma Dino è un tecnico vincente, forse il più vincente fra quelli d’azzurro vestiti e alla fine, dopo essersi annusati, anche i senatori riconoscerebbero il suo valore. A patto che lui sia in grado di dare risposte alle loro domande.

Bragato alla pista donne?

La pista delle donne andrebbe invece a Diego Bragato, attualmente responsabile del Team Performance della FCI. Si tratterebbe di ufficializzare un ruolo che il veneto svolge già da qualche anno, sotto la supervisione attenta di Villa. Avendo collaborato con Salvoldi quando guidava il settore femminile, Bragato ha le conoscenze e i rapporti personali per disimpegnarsi bene nel ruolo, ma dovrebbe probabilmente mettere da parte il suo ruolo di studio o quantomeno ridurre il suo impegno.

Bragato ha già grande familiarità con la pista donne: riuscirebbe a portare avanti anche il Team Performance?
Bragato ha già grande familiarità con la pista donne: riuscirebbe a portare avanti anche il Team Performance?

Velo alla strada donne?

Si è poi parlato di Marco Velo come tecnico per le donne, al posto di Paolo Sangalli che nel frattempo è approdato alla Lidl-Trek. Alle sue competenze si aggiungerebbe il controllo del settore crono, di cui il bresciano era già il referente unico per tutti i livelli della nazionale. Dopo tanto parlare dell’opportunità di avere per le donne un tecnico donna, sarebbe un chiudere la porta senza la sensazione che una donna per quel ruolo sia stata davvero cercata.

Riconoscendo a Velo la sua competenza, dovendo seguire donne elite e anche le junior, ci chiediamo se lascerebbe il ruolo in RCS Sport che lo impegna per la maggior parte della stagione.

Insomma, dalla necessità di trovare un rimpiazzo per Bennati (la cui colpa più grande è stata quella di aver detto qualche sì di troppo ed essere arrivato alla nazionale in anni di corridori incapaci di lasciare il segno) si andrebbe incontro a una rivoluzione. Restano da definire i tecnici di juniores e under 23 (ci sarà un ruolo per Mario Scirea?), come quelli per il fuoristrada. Non si sa se le ragioni della stessa discendano da esigenze tecniche ed economiche o da debiti elettorali, ma lo capiremo presto.

Sta di fatto che la struttura attuale funzionava e che, al netto di un paio di aggiustamenti nei rapporti fra i settori, potrebbe funzionare ancora. Sostituito il cittì dei pro’, il lavoro fluirebbe ancora bene. Siamo certi che un rimpasto di questo tipo sia ciò di cui il ciclismo italiano ha bisogno?

Donegà si rilancia nell’Arvedi per dimenticare il 2024

14.02.2025
5 min
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Dialogare con Matteo Donegà è sempre stato abbastanza facile. Con i suoi modi educati è un ragazzo che non ha paura a dire ciò che pensa, come non ne ha quando sale in bici. E così parlare con lui in questi giorni di europei in pista, poco prima di guardare in televisione le corse dei suoi colleghi, è lo spunto ideale per approfondire il discorso.

Dopo una vita al CTF Victorius, diventato ora ufficialmente devo team della Bahrain, il 26enne ferrarese di Bondeno ha trovato nell’Arvedi Cycling il giusto approdo nel quale riscattare un 2024 a corrente alternata e rilanciarsi. Ora Donegà è nel pieno degli allenamenti in vista dell’esordio su strada a Misano il 23 febbraio e vuole iniziare col morale giusto.

Donegà ha puntato presto sulla pista per diventare un seigiornista (qui a Brema nel 2024)
Donegà ha puntato presto sulla pista per diventare un seigiornista (qui a Brema nel 2024)
Matteo con che stato d’animo stai seguendo gli europei in pista?

Li sto guardando volentieri perché amo la pista, ma non nascondo che lo faccio con un po’ di rammarico. Sapevo che non c’era la possibilità di andarci. Anche se Marco (il cittì Villa, ndr) non me lo ha comunicato, me lo ha fatto capire perché non mi ha chiamato nei ritiri pre-europei.

Non hai provato a contattarlo tu?

Onestamente non ho insistito nel chiamare Villa perché so che stava attraversando un periodo non semplice. Le voci dell’ultimo mese lo danno in uscita da cittì della pista per diventare quello della strada. So che questa cosa lo turba e forse non aveva la necessaria attenzione per poter parlare con me. Aveva cose più importanti a cui pensare. In compenso avevo parlato con Bragato per dirgli che io sono disponibile per partecipare alla Nations Cup di marzo (dal 14 al 16 a Konya in Turchia, ndr). Lui ha apprezzato la candidatura, ma mi ha risposto che bisognerà capire come si evolverà la situazione. Magari cambia il cittì e chissà cosa succede. Aspettiamo.

Donegà vuole riconquistare la maglia azzurra a partire dalla Nations Cup di marzo in Turchia
Donegà vuole riconquistare la maglia azzurra a partire dalla Nations Cup di marzo in Turchia
Resta aperta la porta per entrare in un corpo militare?

Ho investito quattro anni per provare ad entrarci e ci sto provando ancora, ma credo proprio che sia molto dura, forse più di prima. Ero in parola con l’Esercito e le Fiamme Oro, però so che ultimamente hanno aperto pochi concorsi. Mi sarei aspettato più supporto dalla nazionale, mi sarebbe bastato sapere anche se non c’erano possibilità così potevo fare una programmazione diversa. So che non sono l’unico che ha vissuto certe situazioni, tuttavia so che i tecnici hanno tanti corridori da seguire, anche più importanti di me, e quindi non faccio troppe recriminazioni.

Pertanto è stato un 2024 molto difficile?

Esatto. Era un anno olimpico e giustamente si lavorava ovunque in funzione di quello. Ne ero consapevole, però già da prima mi sono sentito messo ai margini dalla nazionale. Questo ha influito moralmente sulla mia programmazione e sulle mie prestazioni. Poi sono dovuto restare fermo per un mese e mezzo a causa di una caduta in cui mi sono rotto delle costole. Insomma, è stata una stagione altalenante. Per fortuna che ho avuto da Bressan (team manager del CTF, ndr) un grande aiuto.

Donegà ha corso nel CTF dal 2017 al 2024. Per lui è stata una seconda famiglia
Donegà ha corso nel CTF dal 2017 al 2024. Per lui è stata una seconda famiglia
In che modo?

Se non ci fosse stato Roberto e tutto il CTF non sarei riuscito a correre. Lui mi ha sostenuto tanto, mettendoci la faccia in più di una circostanza. Ad esempio lui ha cercato tanto di farmi inserire in un corpo militare, ma non poteva fare di più.

Quanto ti è costato lasciare il CTF?

Tantissimo, per me è stata davvero una seconda famiglia. Otto stagioni nella stessa società non si possono dimenticare in un secondo, tant’è che anche adesso mi faccio seguire dal CTF Lab. Però abbiamo fatto una scelta di comune accordo. Quest’anno la squadra è il devo team della Bahrain a tutti gli effetti. Le decisioni non arrivano più da Bressan o Boscolo e in squadra non c’era la necessità di avere un pistard. E’ stata una scelta obbligata, condivisa e comprensibile.

L’Arvedi Cycling è composta da tanti pistard. Per Donegà è la formazione ideale per fare doppia attività (foto Arvedi Cycling)
Nella Arvedi Cycling hai trovato una buona squadra e soprattutto tagliata per le tue caratteristiche.

Sì, sono molto contento di essere arrivato qua, dove trovo tanti compagni di nazionale, che sono ora a Zolder a giocarsi le medaglie continentali. Sono in una squadra che vive e interpreta la pista come me. Abbiamo già stilato un buon programma di gare, specialmente quelle adatte a noi pistard. Ad esempio siamo ben coperti con Boscaro che su strada è molto veloce, ma anche Galli può fare molto bene in certe corse.

Alla luce di tutto quanto e considerando quanto ha dedicato alla pista, se Matteo Donegà tornasse indietro c’è qualcosa che non farebbe?

Ultimamente me lo sono chiesto tante volte. Nel 2024 ho pensato seriamente di smettere col ciclismo. Se potessi tornare indietro, probabilmente non avrei abbandonato la strada così presto e così nettamente. Adoro la pista e all’epoca puntavo a diventare un seigiornista puro, solo che poi è cambiato tanto anche in quel mondo. Sono un classe ’98 e non mi sento vecchio, però di Sei Giorni ora ce ne sono meno e sono diverse rispetto a prima. Adesso arrivano i giovani e tanti stradisti. Quindi bisogna stare al passo coi tempi.

Donegà vuole tornare ai livelli del 2022 quando a Cali in Nations Cup vinse l’oro nell’omnium
Donegà vuole tornare ai livelli del 2022 quando a Cali in Nations Cup vinse l’oro nell’omnium
Facendoti un grande in bocca al lupo per il 2025, ti sei dato degli obiettivi?

Su strada con l’Arvedi cercherò di togliermi qualche soddisfazione ed essere un riferimento per la squadra. In pista mi piacerebbe tornare ai livelli di Cali 2022 quando vinsi l’oro nell’omnium alla Nations Cup e per i motivi che dicevo prima, vorrei guadagnarmi nuovamente l’azzurro per la prossima Nations Cup. Punto agli italiani in pista visto che l’anno scorso non si sono disputati. Diciamo che in generale vorrei fare una stagione migliore della scorsa.

Magagnotti, sguardo al 2025 rivivendo una stagione d’oro

08.11.2024
6 min
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Novembre è tempo di bilanci e, nel caso di Alessio Magagnotti, anche di bilancia per misurare il peso di vittorie e medaglie conquistate. La sua prima stagione da juniores con le maglie della Autozai-Contri e della nazionale ha avuto un crescendo strepitoso.

Il trentino di Avio – che farà diciotto anni il prossimo 27 gennaio – non sembra patire quasi mai il salto di categoria, mantenendo una media “realizzativa” molto alta. Da esordiente ad oggi, con le otto di quest’anno, sono 51 le vittorie totali ottenute su strada. Numeri importanti da prendere sempre con le pinze quando si parla di giovani, soprattutto per non creare aspettative spropositate, però è conclamato l’interesse già piombato su Magagnotti da parte di formazioni pro’. Con lui ci eravamo lasciati prima che iniziasse ad inanellare ori continentali e mondiali in pista col quartetto con tanto di record del mondo, conditi dal bronzo nell’inseguimento individuale.

Giusto il tempo di riprendere il ritmo di casa dopo le vacanze a Tenerife con la fidanzata Linda Sanarini – altra junior azzurra plurimedagliata – dove hanno incontrato tanti amici-colleghi, che Alessio è pronto a guardare al 2025. Poche parole, pragmatiche e spazio ai fatti.

Magagnotti è rientrato dai mondiali in pista a Luoyang in Cina con un bel bottino e il record del mondo col quartetto (foto Autozai)
Magagnotti è rientrato dai mondiali in pista a Luoyang in Cina con un bel bottino e il record del mondo col quartetto (foto Autozai)
Alessio riavvolgendo il nastro, che annata è stata in generale?

Sono partito in sordina, anzi direi non benissimo. Mi sentivo gli occhi puntati addosso per le stagioni precedenti, però col passare del tempo non ci ho fatto più caso. Sono caduto in qualche gara, poi ad inizio aprile al GP del Perdono mi sono sbloccato cogliendo il secondo posto. Da lì in avanti è andata sempre meglio su strada, lavorando anche per i compagni. Anche in pista è andata bene. All’europeo di Cottbus abbiamo vinto l’oro col quartetto, ci siamo ripetuti ai mondiali in Cina dopo un bel lavoro in altura a Livigno. Alla fine direi che è stata una stagione buona, a parte qualche passaggio a vuoto e che non l’ho finita al meglio.

Per quale motivo?

Sicuramente ho del rammarico per alcune gare. Al campionato italiano a crono speravo di fare meglio dell’ottavo tempo, ma arrivavo da un periodo di stop per recuperare dopo essermi ammalato al Saarland con la nazionale. Anche all’europeo su strada in Limburgo avremmo potuto fare di più. Personalmente la condizione era buona, ma non abbiamo corso al meglio delle nostre possibilità. Infine ho dovuto chiudere la stagione forzatamente a metà settembre dopo una gara nel mantovano in cui si è riacutizzato forte un dolore alla schiena. In pratica ho la zona lombare scalibrata.

A cosa è dovuto?

In una delle prime gare dell’anno nella zona di Vicenza, sono caduto male picchiando la faccia. Da quel giorno in avanti ho sentito subito di non essere più a posto e forse non mi sono mai ripreso del tutto. Forse non ci ho dato troppa importanza perché non tutti i giorni mi faceva male, ho sempre corso sopportando il dolore. Verso la fine della stagione però era troppo forte e non riuscivo più ad esprimermi come volevo. Nei giorni scorsi sono stato in uno studio dentistico per prendere l’impronta per un bite. Portando quello dovrei sistemarmi e ritrovare il giusto bilanciamento.

Come ti sei trovato con gruppo azzurro?

Molto bene. Abbiamo ottenuti grandi risultati, ma altrettanti ci sono sfuggiti. In pista l’anno prossimo praticamente cambierà tutto il gruppo perché ero l’unico del primo anno. Su strada spero che sapremo correre meglio di squadra ed essere quindi più forti. Quando ci ritroveremo vedremo chi ci sarà, ma sono certo che non ci saranno problemi a trovare la giusta amalgama.

L’anno scorso avevi vinto l’argento al Festival Olimpico della Gioventù Europea, ma quest’anno com’è stato l’impatto con una vera esperienza internazionale?

Mi è servita per prendere ancora meglio le misure alla categoria. Tra gli juniores all’estero corrono davvero col coltello fra i denti come dicono tutti. Ho capito subito che gli avversari ti fanno la volata anche per il trentesimo posto.

Da questo primo anno da junior hai tratto altri insegnamenti?

Assolutamente sì. Ho capito che la gara non finisce finché non si taglia il traguardo. Prima davo certe cose per scontate, ma l’ho capito in prima persona. A fine aprile alla gara di San Leolino in Toscana ho ribaltato il risultato. In un tratto di sterrato mi ero staccato, pagando la mia ancora poca destrezza su quel fondo stradale. Ero demoralizzato e forse rassegnato ad un piazzamento, ma grazie agli incitamenti dei miei tecnici e anche un po’ a me stesso, sono riuscito a recuperare le posizioni e vincere la corsa.

Le voci di mercato parlato di te già in orbita WorldTour. Come gestisci questa situazione?

Ho imparato anche a controllare meglio certe pressioni, come ad inizio anno che avevo foga di fare e farmi vedere. E’ vero che ho avuto tante proposte da devo team dei WorldTour, ma non ho ancora firmato nulla e soprattutto devo ancora dimostrare tanto. Quindi sto con i piedi per terra.

Che obiettivi ha Alessio Magagnotti per il 2025?

La speranza è sempre quella di continuare a crescere e vincere. Mi piacerebbe mettere il sigillo alle corse più importanti, ma vorrei anche correre meglio sia individualmente che con la squadra, Autozai e nazionale. Ad oggi sono un passista-veloce che si trova a suo agio su falsopiani o strappi di un chilometro, però vorrei andare più forte su pendenze più dure. La mia volontà è anche quella di andare bene nelle gare del Nord.

Nella pioggia di Zurigo risplende l’arcobaleno di Finn

26.09.2024
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ZURIGO (Svizzera) – Gli ultimi mille metri di Lorenzo Mark Finn sono un tuffo al cuore. Lui se la prende con calma, gli avversari sono andati, naufragati sotto la pioggia e i colpi di pedale del ligure silenzioso e determinato. Le mani vanno al casco, poi si gira e cerca l’ammiraglia dove c’è Dino Salvoldi, il cittì che ha guidato la nazionale juniores al titolo iridato. Dietro Finn il vuoto. Il secondo, l’inglese Sebastian Grindley, arriva con più di due minuti di ritardo, il gruppetto che si gioca l’ultimo gradino del podio è oltre i tre minuti. E’ stato il più forte Lorenzo Finn, ha gestito la corsa in maniera perfetta, dimostrando una maturità incredibile per chi non è abituato a vederlo in azione. 

Uno a uno

La maglia azzurra, anzi la giacca primaverile visto il freddo e la pioggia presi oggi dai ragazzi, si staglia sul fondale del palco sul quale avvengono le premiazioni. L’inno di Mameli suona, appena l’ultima nota smette di vibrare nell’aria di Zurigo il boato dello staff sotto al podio arriva fino nella mixed zone. Finn ha un sorriso appena accennnato sul suo volto giovane, chi lo ha visto spesso sa che non si lascia andare a grandi emozioni. Queste, invece, le abbiamo provate noi, quando lo abbiamo visto scollarsi di ruota tutti gli avversari. L’ultimo a resistergli è stato lo spagnolo Hector Alvarez, ma un’accelerazione di Finn è bastata per lasciarselo alle spalle. 

Arriva nella zona mista, passo lento, accompagnato da Christian Schrot, il suo team manager alla Grenke Auto Eder, e da tutto lo staff azzurro. Arriva davanti a noi e quella maglia splende, così come la medaglia che gli pende dal collo

«Non so come descrivere la sensazione di indossare questa maglia – dice Finn – però tra qualche ora magari lo realizzerò. Devo dire che ho avuto delle sensazioni veramente buone tutto il giorno». 

Tutto misurato

Prima della partenza, al bus Vittoria che ospita gli azzurri in questa rassegna iridata, Finn ha chiesto di cambiare la pressione degli pneumatici. 4,3 bar al posteriore e 4 all’anteriore, vista l’acqua caduta e l’asfalto viscido meglio fare qualche accorgimento. Scende le scalette per ultimo, si guarda intorno, va alla bici e con cura monta il ciclocomputer. Tante azioni mirate, precise e calme. Prima di partire parla ancora con Salvoldi, si scambiano le ultime battute. Monta in bici e si dirige alla partenza. La gara esplode subito, i danesi sono indemoniati e fanno un ritmo pauroso. Una caduta lascia il gruppo decimato, si arriva sul circuito finale con una media, nella prima ora, di 46 chilometri orari. 

Scatti e controscatti, allunghi, Philipsen è inferocito e si muove in tutte le direzioni. Ad un certo punto però è Finn a partire tutto solo, ma di chilometri all’arrivo ne mancano tanti.

«Il piano iniziale – spiega – non era andare da solo a 70 dall’arrivo però è successo. Eravamo tutti in fila indiana dopo la discesa e io ero davanti, quindi era un buon momento per attaccare, però sì, nessuno mi ha seguito. Ho pensato che un attacco avrebbe potuto fare male, di sicuro avrebbero fatto una bella fatica per rientrare. Anche una volta davanti mi sono gestito, non sono andato mai fuorigiri. Poi sono rientrati Philipsen e gli altri. In quel momento ho realizzato che mi sarei potuto giocare una medaglia. Ho contato quelli rimasti, erano quelli che mi sarei aspettato di trovare a quel punto. Tutti tranne Seixas

Mezz’ora da solo

L’ultimo passaggio sul traguardo avviene ai 27 chilometri dall’arrivo, con quattro corridori al comando: Philipsen, Alvarez, Grindley e il nostro Finn. Un veloce slalom nelle curve di Zurigo e si punta alla salita di Witikon. Nel risciacquo che porta a quei 1.400 metri Philipsen scivola e davanti rimangono in due: Alvarez e Finn. Lo spagnolo resiste pochi metri e poi diventa una lunga cavalcata fino all’arrivo: 20 chilometri. 

«Philipsen – spiega il neo campione del mondo juniores – è caduto nel tratto in discesa. Ero davanti io e lui in una curva è scivolato, probabilmente ha pinzato troppo con il freno anteriore. Spero stia bene. Ho guardato negli occhi Alvarez, ho parlato con lui ma avevo già visto sulle salite precedenti che non riusciva a stare al mio passo. Ho dato un’accelerazione e si è staccato subito. Quei 20 chilometri da solo sono volati e mi sono divertito, nonostante la tanta pioggia». 

Mille metri, mille pensieri

Quando Lorenzo Finn ha visto il triangolo rosso si è rialzato, ha messo le braccia sulla parte alta del manubrio e si è goduto ogni centimetro. Cosa passa nella testa di un ragazzo di 18 anni quando realizza di essere a soli mille metri dalla maglia iridata?  

«E’ stato un chilometro un po’ surreale devo dire – conclude Finn – però sì me lo sono goduto. Mi sono tornati in mente tutti i sacrifici fatti durante la stagione e i momenti difficili. Quando mi sono rotto la clavicola ad aprile, il secondo posto al Giro della Lunigiana di qualche settimana fa… Ora sono pronto per il futuro, non posso dire cosa farò. Ci sarà il tempo di farlo».

Il mondiale di Silo: orgoglio, forza e tanto carattere

26.09.2024
5 min
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ZURIGO (Svizzera) – La gara di Giada Silo termina dopo il traguardo, nonostante i crampi che le hanno bloccato entrambe le gambe a 100 metri dalla linea d’arrivo e l’hanno fatta cadere rovinosamente. E’ testarda la ragazzina della Breganze Millenium, al primo anno nella categoria juniores e protagonista di una corsa da prima della classe. Dopo qualche minuto si rialza, parla con lo staff a bordo strada e lentamente riparte. Alla fine l’ordine di arrivo recita un 58° posto a 7 minuti e 25 secondi dalla vincitrice Cat Ferguson. Ma la prestazione di Giada Silo non si racchiude nei numeri, bensì nella forza e nella volontà di dare quel qualcosa in più.

Il podio di Zurigo: oro per Cat Ferguson, argento e bronzo a Paula Ostiz e Viktória Chladonová
Il podio di Zurigo: oro per Cat Ferguson, argento e bronzo a Paula Ostiz e Viktória Chladonová

Il dispiacere del cittì

Il podio iridato si delinea a una ventina di chilometri dal traguardo, a pochi metri dallo scollinamento della salita di Witikon, sul circuito finale. Giada Silo era in coda a Cat Ferguson, Paula Ostiz e Viktória Chladonová. Uno sforzo enorme, iniziato quando la corsa era ancora lontana dal prendere una forma. Le inglesi hanno iniziato a modellare il gruppo a loro piacimento, con attacchi e contrattacchi. L’azzurra ha seguito, sempre, in ogni istante. Paolo Sangalli ne aveva parlato proprio con Giada al bus durante il riscaldamento. 

«Le ragazze – racconta dopo l’arrivo – hanno fatto quello che ci eravamo detti prima di partire, la gara è uscita esattamente come avevamo programmato. Noi c’eravamo, Giada Silo è primo anno, ha fatto una gara eccezionale, le sono mancati quei 30 secondi sulla salita. Però ci sta per una ragazza alle prime esperienze, quindi sono davvero contento. Quello che più mi spiace è il mancato piazzamento, avrebbe fatto come minimo sesta. Era lì e si stava giocando tutto il volata, lo avrebbe meritato. Ma la cosa importante è che non si sia fatta male».

Un soffio

Racchiudere questa corsa nei numeri sarebbe un peccato e una mancanza di rispetto per la fatica e l’impegno messo dalle ragazze di Sangalli. Tutte hanno fatto la loro parte, si sono prese carico dell’andamento della gara facendosi trovare nel posto giusto al momento giusto. 

«Non solo Silo meritava il piazzamento – continua – ma tutta la squadra. Hanno corso davvero bene, sono state dei colossi. La Ferguson la conosciamo, ha già vinto con le elite, sono state brave a non aver timore. Dico che se lo sarebbero meritate tutte perché l’impegno è stato impareggiabile, ma le corse sono così. E’ successa una cosa che a memoria non ricordo, quindi prendiamo davvero il positivo perché hanno fatto una gran gara, muovendosi da squadra. L’obiettivo è quello di correre come le grandi, come le nostre elite e loro l’hanno fatto. Queste ragazze sono qua chiaramente per cercare il risultato massimo, ma anche per crescere. Il ciclismo non finisce nella categoria juniores ma inizia. E’ un’esperienza che servirà quando passeranno prima under e poi elite».

L’orgoglio della Silo

Giada Silo scende dal pullman azzurro ancora con le lacrime che le rigano il viso e le riempiono gli occhi. Non è facile digerire una delusione del genere, ma appena si siede per parlare con noi ritrova il respiro e la forza di raccontare quanto fatto. I complimenti si sprecano, d’altronde la prestazione ha davvero lasciato un piacevole ricordo. 

«Partiamo dal bello – ci dice – per me è stata una bellissima esperienza. Non pensavo di prendere le ruote di una ragazza più forte (il riferimento è a Cat Ferguson, ndr) e sono abbastanza sorpresa su me stessa. Però purtroppo è successo quello che è successo ed è andata così. Negli ultimi due chilometri c’eravamo io e la francese Gery che continuavamo a controllarci per la quinta posizione. Appena è partita mi sono alzata sui pedali, ma in quel momento mi sono venuti dei crampi a tutte le gambe che si sono bloccate. E’ per quello che sono caduta».

La delusione e le lacrime continuano anche al bus
La delusione e le lacrime continuano anche al bus

La conferma

Quello che esce poi è l’orgoglio e la consapevolezza di avere le qualità giuste per indirizzare la crescita verso grandi obiettivi. Oggi si è persa una corsa, per quanto dolorosa, ma come detto dal cittì Sangalli il cammino inizia ora. Quei trenta secondi mancanti sono il punto da cui partire.

«La gara era sulla Ferguson – conclude Silo – all’inizio sono riuscita a starle dietro. Verso l’ultima salita, quella più lunga, ho cominciato ad accusare dei crampi e non sono riuscita a tenere il suo ritmo fino in cima. In quei pochi metri ho capito che la Ferguson comunque non è un passo oltre, ma tre in più di me. Devo farne strada per arrivare ai suoi livelli, però sono soddisfatta, ho capito che il mio nome c’è e posso fare bene».

Giada Silo sale sul van della nazionale, direzione casa. In valigia metterà la delusione e il rammarico, ma sappiamo che li lascerà in fondo, sopra c’è spazio per l’orgoglio e la voglia di rifarsi.

L’Italia domina anche nel Mixed Relay. Velo: «Merito di tutti»

13.09.2024
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Suona alto e forte l’inno di Mameli agli europei in Limburgo anche nel secondo giorno di gare. La prova del Team Mixed Relay è dell’Italia e Marco Velo sale ancora una volta sul gradino più alto del podio con i suoi ragazzi per un altro selfie d’oro. Forse quello più bello e che più rappresenta lo spirito azzurro.

La nazionale fa viaggiare sempre veloci le proprie bici quando passa sull’asfalto dell’autodromo di Zolder e dintorni. Il sestetto italiano non lascia scampo a quelli avversari. Domina fin dall’inizio. Al cambio della “staffetta” gli uomini lasciano un tesoretto di 50” alle ragazze, che lo amministrano sontuosamente dando tutto. Al traguardo esplode la festa azzurra. L’Italia è nuovamente campione d’Europa, dopo il titolo del 2021, davanti a Germania (a 17”) e Belgio padrone di casa (a 1’33”). Affini, Cattaneo, Maestri, Cecchini, Guazzini e Masetti sono gli artefici di una giornata indimenticabile che va oltre al risultato ottenuto.

Maestri, Cattaneo e Affini partono forte e guadagnano subito sulla Germania, la rivale principale
Maestri, Cattaneo e Affini partono forte e guadagnano subito sulla Germania, la rivale principale

Bottino prezioso

La due giorni di prove contro il tempo – individuali e a squadre miste – lascia in dote all’Italia due ori, un bronzo e un morale alto che possono fare da traino alle prove in linea. Marco Velo, cittì delle crono, appena terminata la Team Mixed Relay osserva con soddisfazione i suoi ragazzi e fa subito un’istantanea del momento.

«Non mi aspettavo – racconta al telefono – di poter chiudere gli europei a crono con queste medaglie. Oggi (ieri per chi legge, ndr) avevo buone sensazioni per la Mixed Relay, ma sapevamo che non era così facile. Abbiamo battuto la Germania che aveva una formazione molto ben attrezzata e avevo detto che avremmo dovuto fare attenzione a loro. La prova a squadre mi piace tanto perché c’è dietro un bel lavoro d’equipe. Questa medaglia d’oro per me ha un grande valore umano oltre che tecnico. Abbiamo rivinto l’europeo dopo tre anni senza un riferimento come Ganna e questo significa che siamo sulla strada giusta per la costruzione del gruppo».

«Già mercoledì – prosegue Velo – mi si era aperto il cuore vedere sul podio Edoardo e Mattia (Affini e Cattaneo, ndr) perché è bello lavorare con ragazzi di questo livello. Oggi sono stati tutti bravi. Una menzione speciale la faccio a Maestri e Masetti, che hanno dato il massimo alla prima chiamata con la nazionale elite. Mirco è andato forte e si è guadagnato la maglia anche per la prova in linea con Bennati. Gaia è stata bravissima. Lei voleva correre anche la crono individuale dopo il forfait di Pirrone, ma le ho consigliato di risparmiarsi per la Mixed Relay. E’ rimasta concentrata ed è stata una pedina fondamentale. Poi solite garanzie anche da Vittoria ed Elena (Guazzini e Cecchini, ndr)».

Al netto delle medaglie, vanno registrati due quinti posti con Guazzini e con gli juniores nel Mixed Relay. Bisogna poi scorrere gli ordini d’arrivo per trovare gli italiani, pagando dazio per la mancanza di crono tra i giovani. Le prove nelle altre categorie sono andate come ci aveva anticipato Velo alla vigilia della partenza per il Belgio, che però trova il modo di commuoversi per una telefona.

«Prima delle partenze di oggi mi ha chiamato Alice Toniolli per fare a me e ai ragazzi l’in bocca al lupo per le gare. Mi ha fatto tanto piacere sentirla e mi ha fatto davvero una bellissima sorpresa. La giornata era iniziata già bene».

Il terzetto femminile tedesco si fa sotto, ma Masetti, Guazzini e Cecchini amministrano il vantaggio con un grande finale
Il terzetto femminile tedesco si fa sotto, ma Masetti, Guazzini e Cecchini amministrano il vantaggio con un grande finale

Comfort zone

Oggi iniziano le gare in linea, ma il trionfo di ieri è ancora fresco. Sul podio e dietro si dispensano abbracci tra atleti e staff. Quante volte abbiamo detto che respirare il clima della nazionale fa bene a tutti? Velo conosce la risposta.

«A tutti i ragazzi – ci dice il cittì bresciano – ho detto che si sono meritati l’oro del Mixed Relay. Non abbiamo lasciato nulla al caso. Affini e Cattaneo hanno fatto le corse per essere qui arrivando dalla Vuelta. Guazzini non correva dalle Olimpiadi e su strada addirittura dal Giro Women. Tutti hanno fatto grandi sacrifici per la maglia azzurra.

«Ho sempre pensato – va avanti Velo – che la nazionale sia la comfort zone di tutti i collaboratori, oltre che degli stessi ragazzi. Pensate a loro. Quasi tutti corrono per squadre straniere, vivendo spesso anche all’estero durante l’anno. Stanno lontano dai loro affetti più cari e quando vengono in nazionale stanno bene, si sentono a casa. E’ una componente umana molto importante a mio avviso. E riflettendoci bene, questa situazione fa accrescere il rammarico di non avere un team WorldTour in Italia».

Affini, Cattaneo, Maestri, Guazzini, Masetti e Cecchini mostrano orgogliosi un oro dal grande valore umano come ha detto Velo
Affini, Cattaneo, Maestri, Guazzini, Masetti e Cecchini mostrano orgogliosi un oro dal grande valore umano come ha detto Velo

Ringraziamenti

Non c’è vittoria senza dediche e riconoscimenti e Marco Velo ci tiene a fare certe sottolineature. «In questi due giorni ho provato sensazioni incredibili, ma che non sarebbero state le stesse senza l’assistenza degli altri cittì, specie nelle categorie juniores. Li ringrazio tutti. Bennati, Amadori, Sangalli, Salvoldi ed inserisco anche sia Scirea che Villa. Sono tutti fondamentali e se arrivano i risultati come quelli di questi due giorni, è anche merito loro. Ora resto qua in Belgio per le prove in linea e mi metto a loro disposizione».

Ruolo, tattica, aspettative: l’Olimpiade di Cecchini

17.08.2024
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Elena Cecchini è stata una delle protagoniste azzurre alle Olimpiadi di Parigi. Cecchini ha fatto parte del quartetto femminile impegnato nella prova in linea. Con lei, lo ricordiamo, Elisa Balsamo, Elisa Longo Borghini e Silvia Persico. La gara non è andata proprio bene. Alla fine il verdetto è stato: nona Longo Borghini, venticinquesima proprio Elena e oltre la cinquantesima posizione Balsamo e Persico.

Elena aveva un determinato ruolo, quello di essere la road capitan o regista in corsa, per dirla all’italiana. A mente fredda ripercorriamo un po’ la sua Olimpiade da un punto di vista tecnico-tattico. Da anni Cecchini è un perno della nazionale, una di quelle atlete sulle quali sai sempre di poter contare. E non è un caso che il cittì Paolo Sangalli abbia deciso di schierarla all’ombra della Tour Eiffel.

Splendida la cornice parigina, ma che caos controllare la corsa in quattro e senza radioline
Splendida la cornice parigina, ma che caos controllare la corsa in quattro e senza radioline
Elena, iniziamo dalla tua Olimpiade: cosa ci dici?

E’ stata una bellissima esperienza. Volevo fare anche qualcosa sui social che la raccontasse, ne parlavo con Elia (Viviani, il marito, ndr) ma sto ancora valutando. E’ iniziato tutto dall’aeroporto di Verona, quando siamo scesi dalla Val di Fassa, dove eravamo in ritiro con altri ragazzi, e siamo andati a prendere il volo per Parigi. Già lì ho iniziato a pensare ai mesi e agli anni di preparazione per arrivare fino a quel punto. Pensavo che alla fine noi ciclisti siamo fortunati, la nostra gara è una delle più lunghe, mentre altri atleti si giocano tutto in 10”-15”. E’ un insieme di emozioni e considerazioni enormi…

Parliamo un po’ della tua gara…

Ho ricevuto un messaggio da Elia prima del via che mi ha fatto commuovere. Per me era la seconda esperienza olimpica dopo Rio e la volevo vivere intensamente. Avevo aspettative altissime. Volevo fare una bella gara, ma come squadra non siamo rimaste soddisfatte. Almeno però rispetto a Tokyo è stata una gara vera e le più forti sono tutte rimaste davanti.

Qualche recriminazione?

Una e nasce da una serie di cose messe insieme. Ne ho anche parlato con Paolo Sangalli. Quando siamo entrate nel circuito e c’è stata la caduta. Sullo strappo di Montmartre è scoppiata la bagarre e mi sono detta: “Faccio un passo forte ma regolare”. E invece quando ho finito di tirare, dietro di me in cima non c’era nessuna. Ma quello non era un passo perché si restasse da sole. E infatti Elisa poi mi ha detto: “Elena, ho cercato di dirti che c’era stata una caduta”. Ma io non sentivo proprio. In vita mia non avevo mai visto tanta gente a bordo strada, tanto caos e non era facile comunicare.

Elena impegnata sullo strappo di Montmartre
Elena impegnata sullo strappo di Montmartre
Le altre però tra cui la Longo erano scappate…

A saperlo sarei andata davvero a tutta così magari avrei potuto aiutare Elisa. Ma neanche potevo tirare per Kopecky e Vollering che erano dietro. Alla fine per come è stata dura la gara non sarebbe cambiato nulla. Però sai, se intanto sei lì davanti in due. Quantomeno esserci… Questa è l’unica recriminazione che ho.

Per di più eravate senza radioline…

E infatti succede solo due volte l’anno che si corra senza radioline e io non ho sentito proprio nulla: né Elisa che cercava di avvertirmi, né la caduta. Anche per questo nelle ore successive alla gara non eravamo felicissime. Volevamo di meglio. Personalmente avevo avuto un avvicinamento molto sereno. Già a maggio sapevo che facevo parte di un lotto di 5-6 ragazze e non di 10-12 in lotta per 4 posti. E da quando poi ho saputo della convocazione ho corso un Giro Women in tutto relax, potendomi concentrare sul mio lavoro e sulla ricerca della condizione. Insomma stavo bene.

Anche per questo quando ti hanno chiesto del tuo ruolo di regista hai detto che volevi di più? Avevi paura che fosse qualcosa di riduttivo quel ruolo? Spiegaci meglio…

Il ruolo di regista è molto importante, ma credo che in un grande Giro o in un mondiale in cui si corre in 6-7 atlete è un conto, in un Olimpiade in cui si corre in quattro, è un altro. E’ normale che si debba prendere delle decisioni anche senza radio. In questo caso eravamo tutte esperte. Quel che volevo dire è che da me stessa mi aspettavo una presenza attiva in gara e di non essere lì solo per prendere decisioni o per dire alle altre cosa fare.

Cecchini e Longo Borghini dopo il traguardo
Cecchini e Longo Borghini dopo il traguardo
Vai avanti…

Infatti ho cercato di prendere la fuga, insomma volevo essere, e sono stata, regista ma anche attrice. Mi è piaciuta la pressione che mi sono messa addosso da sola. Lo stesso vale per l’approccio alla gara. Il ruolo di regista non è affatto riduttivo, anzi mi piace, ma in una corsa a quattro non era abbastanza serviva di più. E così ho fatto.

Quindi non volevi di più a livello di gerarchie?

No, no… i nostri punti di riferimento erano Elisa ed Elisa! Balsamo, nel caso di un rimescolamento continuo da dietro e di un arrivo in volata. Longo Borghini nel caso di una corsa più dura e selettiva, come poi è stata. E io credo che l’Italia abbia schierato le migliori quattro atlete a disposizione per questa sfida e per quel percorso.

E ora? 

Riprenderò a Plouay il 24 agosto. Per ora sono a casa, a Montecarlo. Ho fatto una settimana di recupero, di relax post olimpico, ed ho ripreso ad allenarmi, mentre Elia recupererà ancora un po’. Però fa un gran caldo. Di solito qui c’è sempre un po’ di aria e invece niente. Anche se fai tre ore, poi passi il resto del giorno a recuperare.