Perché i Giochi sono speciali? Lo chiediamo a Mauro Berruto

03.08.2024
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Oggi è il grande giorno del ciclismo in linea alle Olimpiadi di Parigi, in cui i più grandi campioni di questo sport (anche se non proprio tutti-tutti, vedi l’assenza del Tadej Pogacar) si sfideranno per conquistare una medaglia, possibilmente d’oro. Ma perché le Olimpiadi sono così importanti nella vita di un atleta? Perché, cioè, la percezione che ne abbiamo tutti è così diversa da quella di ogni altra competizione? Per provare a rispondere abbiamo parlato con uno che di Olimpiadi – meglio, di Giochi Olimpici – se ne intende: Mauro Berruto.

Berruto è stato bronzo ai Giochi di Londra nel 2012 come allenatore della Nazionale di pallavolo maschile. Ora invece è Deputato del Partito Democratico e membro della segreteria nazionale del partito con delega allo sport. L’abbiamo raggiunto appena rientrato da Parigi, dove ha preso parte ad una missione parlamentare della Commissione Cultura, di cui fa parte.

Mauro Berruto, torinese classe 1969, è stato ct della nazzionale volley fino al 2015, quando si dimise (foto Getty Images)
Mauro Berruto, torinese classe 1969, è stato ct della nazzionale volley fino al 2015, quando si dimise (foto Getty Images)
Allora Mauro, iniziamo dall’inizio: cosa distingue le Olimpiadi da tutto il resto?

Per rispondere forse è utile cominciare da un approccio linguistico. Quelli che si stanno disputando in questi giorni a Parigi sono i Giochi Olimpici. L’Olimpiade invece è l’intervallo che c’è le varie edizioni dei Giochi Olimpici. Questo solo per dire che una delle caratteristiche eccezionali dei Giochi è che presuppongono l’attesa, un’attesa anche piuttosto lunga nella vita di un atleta. Poi in generale è un tipo di manifestazione che fa storia a sé. Non c’è nulla di paragonabile nella carriera di uno sportivo, anche perché si trovano condizioni che non è in alcun modo possibile allenare.

Cioè?

In tutte le competizioni di altissimo livello che si affrontano durante l’anno, che siano mondiali o europei, esiste tutta una serie di protocolli molto schematici seguiti dalle organizzazioni e di conseguenza dagli atleti. Invece ai Giochi non è così, perché sono imprevedibili per definizione. Il Villaggio per esempio ha molto più a che fare con un campo scout che con un luogo di ritiro in cui tutto è meticolosamente allineato. E questo, ci tengo a dirlo subito, fa parte della magia dei Giochi.

Perché?

Al Villaggio sei a contatto con atleti di altre Nazioni e di altre discipline. Sei sottoposto in continuazione a tutta una serie di up and down emotivi provenienti dall’esterno che alla fine ti influenzano eccome. Tieni poi conto che lì durante quei giorni vivono circa 10.000 atleti e di questi almeno 8.500 non hanno alcuna reale possibilità di vincere. Non solo l’oro, ma nemmeno una medaglia. Sono lì per godersi quel momento e basta. La mensa è aperta 24 al giorno e ci trovi sempre qualcuno. E’ un luogo in cui può capitare di vedere un campione dell’NBA fare la fila dietro uno sconosciuto sollevatore di pesi dell’Iran. Insomma, ai Giochi sei sottoposto a stimoli, sollecitazioni, imprevisti che nelle normali situazioni della vita di uno sportivo non capitano mai.

Il Villaggio olimpico è un crogiuolo di atleti da ogni angolo, ma non è come un campus a 4 stelle (foto Ina Fried/Axios)
Il Villaggio olimpico è un crogiuolo di atleti da ogni angolo, ma non è come un campus a 4 stelle (foto Ina Fried/Axios)
Ci fai un esempio che ti è capitato?

Ne avrei a decine, vi faccio questo. Nel 2012 siamo arrivati a Londra dopo una preparazione meticolosissima, studiata al millimetro, che prevedeva due sessioni di allenamento con i pesi pochi giorni prima dell’inizio del torneo. Insomma siamo arrivati alla palestra del Villaggio e l’abbiamo trovata vuota, non c’erano né pesi né attrezzi. Parlo di questo quando dico che i Giochi hanno aspetti inallenabili, che neanche il coach più bravo può prevedere e ricostruire prima.

Questo però non diventa un problema per gli atleti, qualcosa che rischia di minare le prestazioni e compromettere gli sforzi e i sacrifici di una vita? Anche in questi giorni abbiamo visto polemiche per i letti di cartone, la mensa scadente, l’acqua della Senna…

Infatti, mi riferivo proprio a questo. A tutte quelle incognite che capitano e che non possono non capitare in un evento così grande e grandioso. Io credo che tutto ciò faccia parte in maniera inscindibile dell’essenza dei Giochi. Ed è vero che normalmente i mondiali hanno un valore tecnico più alto, ma questa è la magia dei Giochi. Vince chi riesce ad adattarsi e a gestire meglio le condizioni di imprevedibilità che inevitabilmente capiteranno. Posso fare un altro esempio personale?

Prego.

Ai Giochi anche gli orari sono tutti sballati. Sempre a Londra la nostra partita d’esordio è iniziata alle 9 di mattina, un orario vietato dai regolamenti standard. Ci siamo svegliati alle 5,30 e abbiamo fatto colazione al sacco sul pullman che ci portava dal Villaggio al palazzetto, cosa impensabile nelle normali competizioni. Ecco, in quei frangenti mi è stata più utile l’esperienza di quando avevo vent’anni e allenavo all’oratorio rispetto a tutte le stagioni di Serie A messe assieme.

La nazionale di pallavolo femminile è ancora in lizza a Parigi, guidata da Velasco (foto Fipav)
La nazionale di pallavolo femminile è ancora in lizza a Parigi, guidata da Velasco (foto Fipav)
Certo però che non dev’essere facile entrare in quest’ottica, in uno sport sempre più attento ad ogni dettaglio.

Secondo me quando ci si trova in quei frangenti ci sono due scelte. O rifiutare tutto in blocco, quindi arrabbiarsi per i letti di cartone, la mensa perfettibile, gli orari sfasati eccetera. Oppure accettare l’eccezionalità della situazione ed adattarsi, sapendo che si sta vivendo qualcosa di unico ed irripetibile. Perché poi alla fine vince non solo il più forte, ma anche chi riesce a gestire meglio la situazione che ha di fronte, per quanto inaspettata sia.

Qualcosa di simile sta succedendo anche nella prova di ciclismo in linea, con squadre formate da un massimo di 4 corridori per un totale di 90 atleti al via, a fronte di un percorso molto lungo…

Ecco, io penso che tentare di far diventare i Giochi una gara come le altre sia un errore. Approcciarli secondo i normali protocolli, chiamiamoli così, non solo è sbagliato perché va ad uccidere lo spirito che si respira lì e lì soltanto, ma è anche meno utile per vincere. Perché questo approccio ti allena meno agli imprevisti che dicevamo prima. E quella è una cosa che puoi fare solo lì. Solo solo se ti immergi fino in fondo in quell’atmosfera. Sia chiaro, è tutt’altro che scontato. Anch’io ho imparato un po’ alla volta, grazie all’esperienza di Atene come vice-allenatore. Subito ti viene da arrabbiarti, poi capisci che invece devi conservare tutte le forze che hai per tirare fuori il meglio possibile. E questa per me è la parte davvero affascinante.

Restiamo un attimo sul ciclismo, perché questo è un magazine che alla fin fine parla di quello. Avresti qualche consiglio da dare ai tre azzurri che oggi gareggeranno a Parigi?

Consigli agli altri cerco di darne il meno possibile, ma l’unico che darei ha a che fare con quello che ho appena detto. Cioè di incanalare le energie nel qui ed ora, senza buttarle a pensare a quello che non è. Alle cose che sarebbero potute o dovute andare diversamente, ma mettersi alla prova nel presente e viverlo in maniera totalizzante. Anche perché ai Giochi i pronostici valgono qualcosa negli sport dove conta solo il cronometro, come i 100 metri magari. In tutti gli altri, quelli a catena cinetica aperta, se c’è una cosa che non conta è il pronostico.

I Giochi Olimpici richiamano pubblico da tutto il mondo per la loro particolarità (foto Paris 2024)
I Giochi Olimpici richiamano pubblico da tutto il mondo per la loro particolarità (foto Paris 2024)
Ultima cosa. Tu che li ha vissuti, i Giochi Olimpici mantengono ancora qualcosa dello spirito che avevano nell’antichità, quando erano capaci di far smettere le guerre, oppure anche quello ormai è cambiato?

Quello che vi posso dire è che dentro il Villaggio Olimpico vedi davvero la sede dei palestinesi a 300 metri da quella degli israeliani. Non è retorica: io c’ero, l’ho vissuto. Poi certo, i Giochi a tratti sono anche il tripudio del nazionalismo, che per molti versi è un lascito della civiltà classica in cui le diverse polis gareggiavano tra loro. Però anche i Giochi oggi sono lì a dimostrare, anche se purtroppo solo per 20 giorni, che ogni quattro anni può accadere un’utopia. Quel momento – questo momento – è davvero la rappresentazione plastica di un sogno di tutta l’umanità. Se chi ha avuto la grande fortuna di vivere quell’atmosfera avesse più spazio nel rappresentare anche politicamente i diversi Paesi, credo sarebbe un grande passo avanti per tutti.