Boscaro racconta col suo sguardo la Vuelta a San Juan

02.02.2023
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Si è appena conclusa la Vuelta a San Juan, la corsa a tappe argentina che ci ha aperto uno spiraglio su un mondo poco conosciuto. Al caldo della Regione di San Juan ha corso anche la nazionale italiana, guidata da Marco Villa. Tra gli azzurri era presente Davide Boscaro, giovane del Team Colpack Ballan alla sua prima esperienza su strada così lontano dall’Europa. Attraverso il racconto del veneto ricostruiamo il suo viaggio tra le strade argentine

Gli azzurri a San Juan hanno messo nelle gambe un bel carico di lavoro in vista degli impegni su pista
Gli azzurri a San Juan hanno messo nelle gambe un bel carico di lavoro in vista degli impegni su pista

Un viaggio infinito

Boscaro è atterrato questa mattina a Venezia, dopo un giorno intero di viaggio, il ritorno non è stato agevole ma ne è valsa la pena. 

«Siamo partiti – racconta il giovane pistard – martedì mattina alle 4:30 da San Juan e con un volo di un’ora e trenta siamo arrivati a Buenos Aires. Una volta atterrati nella Capitale abbiamo aspettato cinque ore in aeroporto prima di prendere il diretto per Roma. Siamo sbarcati in Italia alle 6:30 di mercoledì e poi ho preso il volo per Venezia. All’andata abbiamo fatto le stesse tappe ma al contrario. E’ stato un bel girare ma ne è valsa la pena. Avevo già fatto trasferte così lunghe per le gare di coppa del mondo su pista, ma per correre su strada mai».

I corridori hanno attraversato paesaggi incredibili come il deserto
I corridori hanno attraversato paesaggi incredibili come il deserto

Giorni dilatati

Le differenze, per forza di cose, ci sono. Correre su strada e pista, almeno a livello di fatica e di adattamento al clima, non è la stessa cosa. 

«E’ stato un po’ stressante (racconta da casa Boscaro, mentre il suo cane gli dà il bentornato in sottofondo, ndr). Si partiva sempre molto tardi, verso mezzogiorno e arrivavamo intorno alle otto di sera. Compreso il trasferimento si arrivava in hotel sempre intorno alle ventidue, come tempistiche non era il massimo. Spesso non avevamo il tempo di fare i massaggi perché bisogna farli prima di cena, così è capitato di rimandare alla mattina successiva. In pista è capitato di finire così tardi ma essendo gare più corte inizi prima la fase di recupero. Per arrivare ad essere competitivi con questi ritmi ci vuole allenamento, non è semplice perché il corpo deve adattarsi ad un nuovo modo di lavorare».

I ritmi durante le sette tappe sono stati frenetici, le tappe arrivavano intorno alle 20
I ritmi durante le sette tappe sono stati frenetici, le tappe arrivavano intorno alle 20

Fuso orario e caldo

Le temperature in Argentina, complice anche il fatto che dall’altra parte del globo ora è estate, erano davvero proibitive. I corridori risentono di questi cambiamenti, e se a questo si somma anche il fuso orario…

«Non è stato semplice – conferma il pistard – adattarsi al clima, ci sono quasi quaranta gradi di differenza tra casa e San Juan. In teoria saremmo dovuti arrivare qualche giorno prima in Argentina per lavorare in pista ma non abbiamo potuto. Sarebbe stato parecchio utile, anche perché avremmo avuto più tempo per adattarci al grande caldo. I primi giorni l’ho sentito parecchio. Nella prima tappa, che era abbastanza corta (144 chilometri, ndr), abbiamo affrontato uno strappetto non molto duro ma mi è rimasto un po’ nelle gambe. Capivo di non essermi adattato bene al caldo i primi giorni anche dalle “risposte” del cuore, i battiti salivano subito».

Il nuovo impianto

E’ uscita mercoledì l’intervista con il Governatore, attraverso le sue parole abbiamo cercato di capire la crescita che può avere il Paese con il grande investimento fatto sugli impianti sportivi. Ci è sembrato tuttavia giusto chiedere anche un parere a chi la pista la frequenta tutti i giorni come atleta.

«Ci hanno portato a vedere il velodromo appena costruito – racconta Boscaro – in realtà sarà inaugurato a maggio. E’ impressionante, ne sono rimasto piacevolmente sorpreso, soprattutto se vado a pensare che l’Argentina non ha corridori di spicco nel settore pista. In Italia abbiamo i campioni olimpici in carica e tanti atleti di fama mondiale ed abbiamo un solo velodromo: quello di Montichiari (che spesso è soggetto a lavori e inagibile, ndr). Si capisce come questo investimento sia fatto per avvicinare le persone al ciclismo, o in generale allo sport, visto che la struttura è polivalente. Mi piacerebbe tornare qui anche l’anno prossimo per avere la possibilità di provarlo».

Il pubblico si è riversato numeroso sulle strade argentine, qui il saluto di Richeze alla sua gente
Il pubblico si è riversato in massa sulle strade, qui il saluto di Richeze alla sua gente

Pubblico e paesaggi

Nel corso della Vuelta a San Juan i corridori si sono ritrovati a correre attraverso paesaggi suggestivi. Si è passati dal deserto fino alla cima dell’Alto de Colorado, situato a 2600 metri sul livello del mare. 

«Non ero mai arrivato così in alto – racconta ancora Boscaro – quella dell’Alto del Colorado tuttavia non era una salita proibitiva. La grande difficoltà era l’altitudine, ma personalmente l’ho gestita andando del mio passo senza strafare. Del deserto mi ha colpito la nudità del paesaggio, pedalare in mezzo al nulla è stato quasi strano. Un altro particolare che mi ha impressionato in positivo è il pubblico: alle partenze ed agli arrivi c’era tantissima gente. L’ultima tappa, che partiva ed arrivava da San Juan, aveva un circuito sulla circonvallazione di sedici chilometri. Ai bordi delle strade non c’era uno spiraglio libero, il percorso era contornato di persone. Poi hanno un calore incredibile, chiedevano un sacco di foto o borracce a tutti i corridori. Ci tengo a ringraziare la Federazione per questa grande occasione».