ZURIGO (Svizzera) – Gli ultimi mille metri di Lorenzo Mark Finn sono un tuffo al cuore. Lui se la prende con calma, gli avversari sono andati, naufragati sotto la pioggia e i colpi di pedale del ligure silenzioso e determinato. Le mani vanno al casco, poi si gira e cerca l’ammiraglia dove c’è Dino Salvoldi, il cittì che ha guidato la nazionale juniores al titolo iridato. Dietro Finn il vuoto. Il secondo, l’inglese Sebastian Grindley, arriva con più di due minuti di ritardo, il gruppetto che si gioca l’ultimo gradino del podio è oltre i tre minuti. E’ stato il più forte Lorenzo Finn, ha gestito la corsa in maniera perfetta, dimostrando una maturità incredibile per chi non è abituato a vederlo in azione.
Uno a uno
La maglia azzurra, anzi la giacca primaverile visto il freddo e la pioggia presi oggi dai ragazzi, si staglia sul fondale del palco sul quale avvengono le premiazioni. L’inno di Mameli suona, appena l’ultima nota smette di vibrare nell’aria di Zurigo il boato dello staff sotto al podio arriva fino nella mixed zone. Finn ha un sorriso appena accennnato sul suo volto giovane, chi lo ha visto spesso sa che non si lascia andare a grandi emozioni. Queste, invece, le abbiamo provate noi, quando lo abbiamo visto scollarsi di ruota tutti gli avversari. L’ultimo a resistergli è stato lo spagnolo Hector Alvarez, ma un’accelerazione di Finn è bastata per lasciarselo alle spalle.
Arriva nella zona mista, passo lento, accompagnato da Christian Schrot, il suo team manager alla Grenke Auto Eder, e da tutto lo staff azzurro. Arriva davanti a noi e quella maglia splende, così come la medaglia che gli pende dal collo.
«Non so come descrivere la sensazione di indossare questa maglia – dice Finn – però tra qualche ora magari lo realizzerò. Devo dire che ho avuto delle sensazioni veramente buone tutto il giorno».
Tutto misurato
Prima della partenza, al bus Vittoria che ospita gli azzurri in questa rassegna iridata, Finn ha chiesto di cambiare la pressione degli pneumatici. 4,3 bar al posteriore e 4 all’anteriore, vista l’acqua caduta e l’asfalto viscido meglio fare qualche accorgimento. Scende le scalette per ultimo, si guarda intorno, va alla bici e con cura monta il ciclocomputer. Tante azioni mirate, precise e calme. Prima di partire parla ancora con Salvoldi, si scambiano le ultime battute. Monta in bici e si dirige alla partenza. La gara esplode subito, i danesi sono indemoniati e fanno un ritmo pauroso. Una caduta lascia il gruppo decimato, si arriva sul circuito finale con una media, nella prima ora, di 46 chilometri orari.
Scatti e controscatti, allunghi, Philipsen è inferocito e si muove in tutte le direzioni. Ad un certo punto però è Finn a partire tutto solo, ma di chilometri all’arrivo ne mancano tanti.
«Il piano iniziale – spiega – non era andare da solo a 70 dall’arrivo però è successo. Eravamo tutti in fila indiana dopo la discesa e io ero davanti, quindi era un buon momento per attaccare, però sì, nessuno mi ha seguito. Ho pensato che un attacco avrebbe potuto fare male, di sicuro avrebbero fatto una bella fatica per rientrare. Anche una volta davanti mi sono gestito, non sono andato mai fuorigiri. Poi sono rientrati Philipsen e gli altri. In quel momento ho realizzato che mi sarei potuto giocare una medaglia. Ho contato quelli rimasti, erano quelli che mi sarei aspettato di trovare a quel punto. Tutti tranne Seixas.
Mezz’ora da solo
L’ultimo passaggio sul traguardo avviene ai 27 chilometri dall’arrivo, con quattro corridori al comando: Philipsen, Alvarez, Grindley e il nostro Finn. Un veloce slalom nelle curve di Zurigo e si punta alla salita di Witikon. Nel risciacquo che porta a quei 1.400 metri Philipsen scivola e davanti rimangono in due: Alvarez e Finn. Lo spagnolo resiste pochi metri e poi diventa una lunga cavalcata fino all’arrivo: 20 chilometri.
«Philipsen – spiega il neo campione del mondo juniores – è caduto nel tratto in discesa. Ero davanti io e lui in una curva è scivolato, probabilmente ha pinzato troppo con il freno anteriore. Spero stia bene. Ho guardato negli occhi Alvarez, ho parlato con lui ma avevo già visto sulle salite precedenti che non riusciva a stare al mio passo. Ho dato un’accelerazione e si è staccato subito. Quei 20 chilometri da solo sono volati e mi sono divertito, nonostante la tanta pioggia».
Mille metri, mille pensieri
Quando Lorenzo Finn ha visto il triangolo rosso si è rialzato, ha messo le braccia sulla parte alta del manubrio e si è goduto ogni centimetro. Cosa passa nella testa di un ragazzo di 18 anni quando realizza di essere a soli mille metri dalla maglia iridata?
«E’ stato un chilometro un po’ surreale devo dire – conclude Finn – però sì me lo sono goduto. Mi sono tornati in mente tutti i sacrifici fatti durante la stagione e i momenti difficili. Quando mi sono rotto la clavicola ad aprile, il secondo posto al Giro della Lunigiana di qualche settimana fa… Ora sono pronto per il futuro, non posso dire cosa farò. Ci sarà il tempo di farlo».