Nella pioggia di Zurigo risplende l’arcobaleno di Finn

26.09.2024
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ZURIGO (Svizzera) – Gli ultimi mille metri di Lorenzo Mark Finn sono un tuffo al cuore. Lui se la prende con calma, gli avversari sono andati, naufragati sotto la pioggia e i colpi di pedale del ligure silenzioso e determinato. Le mani vanno al casco, poi si gira e cerca l’ammiraglia dove c’è Dino Salvoldi, il cittì che ha guidato la nazionale juniores al titolo iridato. Dietro Finn il vuoto. Il secondo, l’inglese Sebastian Grindley, arriva con più di due minuti di ritardo, il gruppetto che si gioca l’ultimo gradino del podio è oltre i tre minuti. E’ stato il più forte Lorenzo Finn, ha gestito la corsa in maniera perfetta, dimostrando una maturità incredibile per chi non è abituato a vederlo in azione. 

Uno a uno

La maglia azzurra, anzi la giacca primaverile visto il freddo e la pioggia presi oggi dai ragazzi, si staglia sul fondale del palco sul quale avvengono le premiazioni. L’inno di Mameli suona, appena l’ultima nota smette di vibrare nell’aria di Zurigo il boato dello staff sotto al podio arriva fino nella mixed zone. Finn ha un sorriso appena accennnato sul suo volto giovane, chi lo ha visto spesso sa che non si lascia andare a grandi emozioni. Queste, invece, le abbiamo provate noi, quando lo abbiamo visto scollarsi di ruota tutti gli avversari. L’ultimo a resistergli è stato lo spagnolo Hector Alvarez, ma un’accelerazione di Finn è bastata per lasciarselo alle spalle. 

Arriva nella zona mista, passo lento, accompagnato da Christian Schrot, il suo team manager alla Grenke Auto Eder, e da tutto lo staff azzurro. Arriva davanti a noi e quella maglia splende, così come la medaglia che gli pende dal collo

«Non so come descrivere la sensazione di indossare questa maglia – dice Finn – però tra qualche ora magari lo realizzerò. Devo dire che ho avuto delle sensazioni veramente buone tutto il giorno». 

Tutto misurato

Prima della partenza, al bus Vittoria che ospita gli azzurri in questa rassegna iridata, Finn ha chiesto di cambiare la pressione degli pneumatici. 4,3 bar al posteriore e 4 all’anteriore, vista l’acqua caduta e l’asfalto viscido meglio fare qualche accorgimento. Scende le scalette per ultimo, si guarda intorno, va alla bici e con cura monta il ciclocomputer. Tante azioni mirate, precise e calme. Prima di partire parla ancora con Salvoldi, si scambiano le ultime battute. Monta in bici e si dirige alla partenza. La gara esplode subito, i danesi sono indemoniati e fanno un ritmo pauroso. Una caduta lascia il gruppo decimato, si arriva sul circuito finale con una media, nella prima ora, di 46 chilometri orari. 

Scatti e controscatti, allunghi, Philipsen è inferocito e si muove in tutte le direzioni. Ad un certo punto però è Finn a partire tutto solo, ma di chilometri all’arrivo ne mancano tanti.

«Il piano iniziale – spiega – non era andare da solo a 70 dall’arrivo però è successo. Eravamo tutti in fila indiana dopo la discesa e io ero davanti, quindi era un buon momento per attaccare, però sì, nessuno mi ha seguito. Ho pensato che un attacco avrebbe potuto fare male, di sicuro avrebbero fatto una bella fatica per rientrare. Anche una volta davanti mi sono gestito, non sono andato mai fuorigiri. Poi sono rientrati Philipsen e gli altri. In quel momento ho realizzato che mi sarei potuto giocare una medaglia. Ho contato quelli rimasti, erano quelli che mi sarei aspettato di trovare a quel punto. Tutti tranne Seixas

Mezz’ora da solo

L’ultimo passaggio sul traguardo avviene ai 27 chilometri dall’arrivo, con quattro corridori al comando: Philipsen, Alvarez, Grindley e il nostro Finn. Un veloce slalom nelle curve di Zurigo e si punta alla salita di Witikon. Nel risciacquo che porta a quei 1.400 metri Philipsen scivola e davanti rimangono in due: Alvarez e Finn. Lo spagnolo resiste pochi metri e poi diventa una lunga cavalcata fino all’arrivo: 20 chilometri. 

«Philipsen – spiega il neo campione del mondo juniores – è caduto nel tratto in discesa. Ero davanti io e lui in una curva è scivolato, probabilmente ha pinzato troppo con il freno anteriore. Spero stia bene. Ho guardato negli occhi Alvarez, ho parlato con lui ma avevo già visto sulle salite precedenti che non riusciva a stare al mio passo. Ho dato un’accelerazione e si è staccato subito. Quei 20 chilometri da solo sono volati e mi sono divertito, nonostante la tanta pioggia». 

Mille metri, mille pensieri

Quando Lorenzo Finn ha visto il triangolo rosso si è rialzato, ha messo le braccia sulla parte alta del manubrio e si è goduto ogni centimetro. Cosa passa nella testa di un ragazzo di 18 anni quando realizza di essere a soli mille metri dalla maglia iridata?  

«E’ stato un chilometro un po’ surreale devo dire – conclude Finn – però sì me lo sono goduto. Mi sono tornati in mente tutti i sacrifici fatti durante la stagione e i momenti difficili. Quando mi sono rotto la clavicola ad aprile, il secondo posto al Giro della Lunigiana di qualche settimana fa… Ora sono pronto per il futuro, non posso dire cosa farò. Ci sarà il tempo di farlo».

Il mondiale di Silo: orgoglio, forza e tanto carattere

26.09.2024
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ZURIGO (Svizzera) – La gara di Giada Silo termina dopo il traguardo, nonostante i crampi che le hanno bloccato entrambe le gambe a 100 metri dalla linea d’arrivo e l’hanno fatta cadere rovinosamente. E’ testarda la ragazzina della Breganze Millenium, al primo anno nella categoria juniores e protagonista di una corsa da prima della classe. Dopo qualche minuto si rialza, parla con lo staff a bordo strada e lentamente riparte. Alla fine l’ordine di arrivo recita un 58° posto a 7 minuti e 25 secondi dalla vincitrice Cat Ferguson. Ma la prestazione di Giada Silo non si racchiude nei numeri, bensì nella forza e nella volontà di dare quel qualcosa in più.

Il podio di Zurigo: oro per Cat Ferguson, argento e bronzo a Paula Ostiz e Viktória Chladonová
Il podio di Zurigo: oro per Cat Ferguson, argento e bronzo a Paula Ostiz e Viktória Chladonová

Il dispiacere del cittì

Il podio iridato si delinea a una ventina di chilometri dal traguardo, a pochi metri dallo scollinamento della salita di Witikon, sul circuito finale. Giada Silo era in coda a Cat Ferguson, Paula Ostiz e Viktória Chladonová. Uno sforzo enorme, iniziato quando la corsa era ancora lontana dal prendere una forma. Le inglesi hanno iniziato a modellare il gruppo a loro piacimento, con attacchi e contrattacchi. L’azzurra ha seguito, sempre, in ogni istante. Paolo Sangalli ne aveva parlato proprio con Giada al bus durante il riscaldamento. 

«Le ragazze – racconta dopo l’arrivo – hanno fatto quello che ci eravamo detti prima di partire, la gara è uscita esattamente come avevamo programmato. Noi c’eravamo, Giada Silo è primo anno, ha fatto una gara eccezionale, le sono mancati quei 30 secondi sulla salita. Però ci sta per una ragazza alle prime esperienze, quindi sono davvero contento. Quello che più mi spiace è il mancato piazzamento, avrebbe fatto come minimo sesta. Era lì e si stava giocando tutto il volata, lo avrebbe meritato. Ma la cosa importante è che non si sia fatta male».

Un soffio

Racchiudere questa corsa nei numeri sarebbe un peccato e una mancanza di rispetto per la fatica e l’impegno messo dalle ragazze di Sangalli. Tutte hanno fatto la loro parte, si sono prese carico dell’andamento della gara facendosi trovare nel posto giusto al momento giusto. 

«Non solo Silo meritava il piazzamento – continua – ma tutta la squadra. Hanno corso davvero bene, sono state dei colossi. La Ferguson la conosciamo, ha già vinto con le elite, sono state brave a non aver timore. Dico che se lo sarebbero meritate tutte perché l’impegno è stato impareggiabile, ma le corse sono così. E’ successa una cosa che a memoria non ricordo, quindi prendiamo davvero il positivo perché hanno fatto una gran gara, muovendosi da squadra. L’obiettivo è quello di correre come le grandi, come le nostre elite e loro l’hanno fatto. Queste ragazze sono qua chiaramente per cercare il risultato massimo, ma anche per crescere. Il ciclismo non finisce nella categoria juniores ma inizia. E’ un’esperienza che servirà quando passeranno prima under e poi elite».

L’orgoglio della Silo

Giada Silo scende dal pullman azzurro ancora con le lacrime che le rigano il viso e le riempiono gli occhi. Non è facile digerire una delusione del genere, ma appena si siede per parlare con noi ritrova il respiro e la forza di raccontare quanto fatto. I complimenti si sprecano, d’altronde la prestazione ha davvero lasciato un piacevole ricordo. 

«Partiamo dal bello – ci dice – per me è stata una bellissima esperienza. Non pensavo di prendere le ruote di una ragazza più forte (il riferimento è a Cat Ferguson, ndr) e sono abbastanza sorpresa su me stessa. Però purtroppo è successo quello che è successo ed è andata così. Negli ultimi due chilometri c’eravamo io e la francese Gery che continuavamo a controllarci per la quinta posizione. Appena è partita mi sono alzata sui pedali, ma in quel momento mi sono venuti dei crampi a tutte le gambe che si sono bloccate. E’ per quello che sono caduta».

La delusione e le lacrime continuano anche al bus
La delusione e le lacrime continuano anche al bus

La conferma

Quello che esce poi è l’orgoglio e la consapevolezza di avere le qualità giuste per indirizzare la crescita verso grandi obiettivi. Oggi si è persa una corsa, per quanto dolorosa, ma come detto dal cittì Sangalli il cammino inizia ora. Quei trenta secondi mancanti sono il punto da cui partire.

«La gara era sulla Ferguson – conclude Silo – all’inizio sono riuscita a starle dietro. Verso l’ultima salita, quella più lunga, ho cominciato ad accusare dei crampi e non sono riuscita a tenere il suo ritmo fino in cima. In quei pochi metri ho capito che la Ferguson comunque non è un passo oltre, ma tre in più di me. Devo farne strada per arrivare ai suoi livelli, però sono soddisfatta, ho capito che il mio nome c’è e posso fare bene».

Giada Silo sale sul van della nazionale, direzione casa. In valigia metterà la delusione e il rammarico, ma sappiamo che li lascerà in fondo, sopra c’è spazio per l’orgoglio e la voglia di rifarsi.

L’Italia domina anche nel Mixed Relay. Velo: «Merito di tutti»

13.09.2024
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Suona alto e forte l’inno di Mameli agli europei in Limburgo anche nel secondo giorno di gare. La prova del Team Mixed Relay è dell’Italia e Marco Velo sale ancora una volta sul gradino più alto del podio con i suoi ragazzi per un altro selfie d’oro. Forse quello più bello e che più rappresenta lo spirito azzurro.

La nazionale fa viaggiare sempre veloci le proprie bici quando passa sull’asfalto dell’autodromo di Zolder e dintorni. Il sestetto italiano non lascia scampo a quelli avversari. Domina fin dall’inizio. Al cambio della “staffetta” gli uomini lasciano un tesoretto di 50” alle ragazze, che lo amministrano sontuosamente dando tutto. Al traguardo esplode la festa azzurra. L’Italia è nuovamente campione d’Europa, dopo il titolo del 2021, davanti a Germania (a 17”) e Belgio padrone di casa (a 1’33”). Affini, Cattaneo, Maestri, Cecchini, Guazzini e Masetti sono gli artefici di una giornata indimenticabile che va oltre al risultato ottenuto.

Maestri, Cattaneo e Affini partono forte e guadagnano subito sulla Germania, la rivale principale
Maestri, Cattaneo e Affini partono forte e guadagnano subito sulla Germania, la rivale principale

Bottino prezioso

La due giorni di prove contro il tempo – individuali e a squadre miste – lascia in dote all’Italia due ori, un bronzo e un morale alto che possono fare da traino alle prove in linea. Marco Velo, cittì delle crono, appena terminata la Team Mixed Relay osserva con soddisfazione i suoi ragazzi e fa subito un’istantanea del momento.

«Non mi aspettavo – racconta al telefono – di poter chiudere gli europei a crono con queste medaglie. Oggi (ieri per chi legge, ndr) avevo buone sensazioni per la Mixed Relay, ma sapevamo che non era così facile. Abbiamo battuto la Germania che aveva una formazione molto ben attrezzata e avevo detto che avremmo dovuto fare attenzione a loro. La prova a squadre mi piace tanto perché c’è dietro un bel lavoro d’equipe. Questa medaglia d’oro per me ha un grande valore umano oltre che tecnico. Abbiamo rivinto l’europeo dopo tre anni senza un riferimento come Ganna e questo significa che siamo sulla strada giusta per la costruzione del gruppo».

«Già mercoledì – prosegue Velo – mi si era aperto il cuore vedere sul podio Edoardo e Mattia (Affini e Cattaneo, ndr) perché è bello lavorare con ragazzi di questo livello. Oggi sono stati tutti bravi. Una menzione speciale la faccio a Maestri e Masetti, che hanno dato il massimo alla prima chiamata con la nazionale elite. Mirco è andato forte e si è guadagnato la maglia anche per la prova in linea con Bennati. Gaia è stata bravissima. Lei voleva correre anche la crono individuale dopo il forfait di Pirrone, ma le ho consigliato di risparmiarsi per la Mixed Relay. E’ rimasta concentrata ed è stata una pedina fondamentale. Poi solite garanzie anche da Vittoria ed Elena (Guazzini e Cecchini, ndr)».

Al netto delle medaglie, vanno registrati due quinti posti con Guazzini e con gli juniores nel Mixed Relay. Bisogna poi scorrere gli ordini d’arrivo per trovare gli italiani, pagando dazio per la mancanza di crono tra i giovani. Le prove nelle altre categorie sono andate come ci aveva anticipato Velo alla vigilia della partenza per il Belgio, che però trova il modo di commuoversi per una telefona.

«Prima delle partenze di oggi mi ha chiamato Alice Toniolli per fare a me e ai ragazzi l’in bocca al lupo per le gare. Mi ha fatto tanto piacere sentirla e mi ha fatto davvero una bellissima sorpresa. La giornata era iniziata già bene».

Il terzetto femminile tedesco si fa sotto, ma Masetti, Guazzini e Cecchini amministrano il vantaggio con un grande finale
Il terzetto femminile tedesco si fa sotto, ma Masetti, Guazzini e Cecchini amministrano il vantaggio con un grande finale

Comfort zone

Oggi iniziano le gare in linea, ma il trionfo di ieri è ancora fresco. Sul podio e dietro si dispensano abbracci tra atleti e staff. Quante volte abbiamo detto che respirare il clima della nazionale fa bene a tutti? Velo conosce la risposta.

«A tutti i ragazzi – ci dice il cittì bresciano – ho detto che si sono meritati l’oro del Mixed Relay. Non abbiamo lasciato nulla al caso. Affini e Cattaneo hanno fatto le corse per essere qui arrivando dalla Vuelta. Guazzini non correva dalle Olimpiadi e su strada addirittura dal Giro Women. Tutti hanno fatto grandi sacrifici per la maglia azzurra.

«Ho sempre pensato – va avanti Velo – che la nazionale sia la comfort zone di tutti i collaboratori, oltre che degli stessi ragazzi. Pensate a loro. Quasi tutti corrono per squadre straniere, vivendo spesso anche all’estero durante l’anno. Stanno lontano dai loro affetti più cari e quando vengono in nazionale stanno bene, si sentono a casa. E’ una componente umana molto importante a mio avviso. E riflettendoci bene, questa situazione fa accrescere il rammarico di non avere un team WorldTour in Italia».

Affini, Cattaneo, Maestri, Guazzini, Masetti e Cecchini mostrano orgogliosi un oro dal grande valore umano come ha detto Velo
Affini, Cattaneo, Maestri, Guazzini, Masetti e Cecchini mostrano orgogliosi un oro dal grande valore umano come ha detto Velo

Ringraziamenti

Non c’è vittoria senza dediche e riconoscimenti e Marco Velo ci tiene a fare certe sottolineature. «In questi due giorni ho provato sensazioni incredibili, ma che non sarebbero state le stesse senza l’assistenza degli altri cittì, specie nelle categorie juniores. Li ringrazio tutti. Bennati, Amadori, Sangalli, Salvoldi ed inserisco anche sia Scirea che Villa. Sono tutti fondamentali e se arrivano i risultati come quelli di questi due giorni, è anche merito loro. Ora resto qua in Belgio per le prove in linea e mi metto a loro disposizione».

Ruolo, tattica, aspettative: l’Olimpiade di Cecchini

17.08.2024
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Elena Cecchini è stata una delle protagoniste azzurre alle Olimpiadi di Parigi. Cecchini ha fatto parte del quartetto femminile impegnato nella prova in linea. Con lei, lo ricordiamo, Elisa Balsamo, Elisa Longo Borghini e Silvia Persico. La gara non è andata proprio bene. Alla fine il verdetto è stato: nona Longo Borghini, venticinquesima proprio Elena e oltre la cinquantesima posizione Balsamo e Persico.

Elena aveva un determinato ruolo, quello di essere la road capitan o regista in corsa, per dirla all’italiana. A mente fredda ripercorriamo un po’ la sua Olimpiade da un punto di vista tecnico-tattico. Da anni Cecchini è un perno della nazionale, una di quelle atlete sulle quali sai sempre di poter contare. E non è un caso che il cittì Paolo Sangalli abbia deciso di schierarla all’ombra della Tour Eiffel.

Splendida la cornice parigina, ma che caos controllare la corsa in quattro e senza radioline
Splendida la cornice parigina, ma che caos controllare la corsa in quattro e senza radioline
Elena, iniziamo dalla tua Olimpiade: cosa ci dici?

E’ stata una bellissima esperienza. Volevo fare anche qualcosa sui social che la raccontasse, ne parlavo con Elia (Viviani, il marito, ndr) ma sto ancora valutando. E’ iniziato tutto dall’aeroporto di Verona, quando siamo scesi dalla Val di Fassa, dove eravamo in ritiro con altri ragazzi, e siamo andati a prendere il volo per Parigi. Già lì ho iniziato a pensare ai mesi e agli anni di preparazione per arrivare fino a quel punto. Pensavo che alla fine noi ciclisti siamo fortunati, la nostra gara è una delle più lunghe, mentre altri atleti si giocano tutto in 10”-15”. E’ un insieme di emozioni e considerazioni enormi…

Parliamo un po’ della tua gara…

Ho ricevuto un messaggio da Elia prima del via che mi ha fatto commuovere. Per me era la seconda esperienza olimpica dopo Rio e la volevo vivere intensamente. Avevo aspettative altissime. Volevo fare una bella gara, ma come squadra non siamo rimaste soddisfatte. Almeno però rispetto a Tokyo è stata una gara vera e le più forti sono tutte rimaste davanti.

Qualche recriminazione?

Una e nasce da una serie di cose messe insieme. Ne ho anche parlato con Paolo Sangalli. Quando siamo entrate nel circuito e c’è stata la caduta. Sullo strappo di Montmartre è scoppiata la bagarre e mi sono detta: “Faccio un passo forte ma regolare”. E invece quando ho finito di tirare, dietro di me in cima non c’era nessuna. Ma quello non era un passo perché si restasse da sole. E infatti Elisa poi mi ha detto: “Elena, ho cercato di dirti che c’era stata una caduta”. Ma io non sentivo proprio. In vita mia non avevo mai visto tanta gente a bordo strada, tanto caos e non era facile comunicare.

Elena impegnata sullo strappo di Montmartre
Elena impegnata sullo strappo di Montmartre
Le altre però tra cui la Longo erano scappate…

A saperlo sarei andata davvero a tutta così magari avrei potuto aiutare Elisa. Ma neanche potevo tirare per Kopecky e Vollering che erano dietro. Alla fine per come è stata dura la gara non sarebbe cambiato nulla. Però sai, se intanto sei lì davanti in due. Quantomeno esserci… Questa è l’unica recriminazione che ho.

Per di più eravate senza radioline…

E infatti succede solo due volte l’anno che si corra senza radioline e io non ho sentito proprio nulla: né Elisa che cercava di avvertirmi, né la caduta. Anche per questo nelle ore successive alla gara non eravamo felicissime. Volevamo di meglio. Personalmente avevo avuto un avvicinamento molto sereno. Già a maggio sapevo che facevo parte di un lotto di 5-6 ragazze e non di 10-12 in lotta per 4 posti. E da quando poi ho saputo della convocazione ho corso un Giro Women in tutto relax, potendomi concentrare sul mio lavoro e sulla ricerca della condizione. Insomma stavo bene.

Anche per questo quando ti hanno chiesto del tuo ruolo di regista hai detto che volevi di più? Avevi paura che fosse qualcosa di riduttivo quel ruolo? Spiegaci meglio…

Il ruolo di regista è molto importante, ma credo che in un grande Giro o in un mondiale in cui si corre in 6-7 atlete è un conto, in un Olimpiade in cui si corre in quattro, è un altro. E’ normale che si debba prendere delle decisioni anche senza radio. In questo caso eravamo tutte esperte. Quel che volevo dire è che da me stessa mi aspettavo una presenza attiva in gara e di non essere lì solo per prendere decisioni o per dire alle altre cosa fare.

Cecchini e Longo Borghini dopo il traguardo
Cecchini e Longo Borghini dopo il traguardo
Vai avanti…

Infatti ho cercato di prendere la fuga, insomma volevo essere, e sono stata, regista ma anche attrice. Mi è piaciuta la pressione che mi sono messa addosso da sola. Lo stesso vale per l’approccio alla gara. Il ruolo di regista non è affatto riduttivo, anzi mi piace, ma in una corsa a quattro non era abbastanza serviva di più. E così ho fatto.

Quindi non volevi di più a livello di gerarchie?

No, no… i nostri punti di riferimento erano Elisa ed Elisa! Balsamo, nel caso di un rimescolamento continuo da dietro e di un arrivo in volata. Longo Borghini nel caso di una corsa più dura e selettiva, come poi è stata. E io credo che l’Italia abbia schierato le migliori quattro atlete a disposizione per questa sfida e per quel percorso.

E ora? 

Riprenderò a Plouay il 24 agosto. Per ora sono a casa, a Montecarlo. Ho fatto una settimana di recupero, di relax post olimpico, ed ho ripreso ad allenarmi, mentre Elia recupererà ancora un po’. Però fa un gran caldo. Di solito qui c’è sempre un po’ di aria e invece niente. Anche se fai tre ore, poi passi il resto del giorno a recuperare. 

Frigo in nazionale: Bennati lo chiama per Pantani e Matteotti

15.09.2023
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Marco Frigo è un’altra delle belle novità di questo 2023 ciclistico, dei giovani italiani che crescono e che si fanno largo nel WorldTour. Abbiamo ancora in mente le sue fughe al Giro d’Italia, il primo della sua carriera.

Da qualche settimana il veneto della Israel-Premier Tech ha ripreso il cammino per la sua seconda parte di stagione. Prima il ritorno in Repubblica Ceca, poi l’Arctic Race in Norvegia, poi ancora la trasferta in America per la Maryland Cycling Classic. Ma all’orizzonte per Frigo ci sono anche le classiche italiane e un paio le farà in maglia azzurra.

Marco Frigo (classe 2000) in Norvegia ha corso per il compagno Williams, poi vincitore della gara
Marco Frigo (classe 2000) in Norvegia ha corso per il compagno Williams, poi vincitore della gara
Marco, partiamo proprio dall’America…

La trasferta negli Stati Uniti è stata un po’ stancante. Non che sia stanco fisicamente, ma nonostante le precauzione il fuso orario si fa sentire. Bisogna attuare i migliori metodi per subirlo il meno possibile. Detto questo è stata una bella esperienza.

Che corsa hai trovato?

Veramente un bel percorso, magari non molto selettivo, ma di certo curioso. Sembrava di essere sulle montagne russe. Un continuo su e giù. Mi sono sentito bene. E’ stata una bella gara. Ero anche lì per giocarmela, ma nel finale purtroppo ho avuto un problema meccanico che mi ha tagliato fuori, ma succede.

Frigo (secondo da destra) è un amante dello sci di fondo e correre al circolo polare artico per lui è stata una doppia emozione (foto Instagram)
Frigo (secondo da destra) è un amante dello sci di fondo e correre al circolo polare artico per lui è stata una doppia emozione (foto Instagram)
Quindi la condizione è buona. Com’è stato questo anno col primo grande Giro nelle gambe? 

Se dovessi già tirare una prima linea, anche se probabilmente ne andrà fatta un’altra a fine stagione, dico che sono contento di come ho reagito al mio primo grande Giro. Tuttavia in futuro avrei forse un approccio un po’ diverso al recupero, post Giro. Starei un po’ più tranquillo nell’immediato. Quest’anno forse ho continuato a spingere un po’. Forse proprio perché uscivo bene dal Giro, forse per l’euforia di una buona corsa rosa… Col tempo un pelo l’ho pagato e quindi immagino che quella fase di recupero sarà da ritoccare. Ma parliamo di dettagli, comunque sto bene.

Come hai lavorato questa estate?

Dopo i campionati italiani ho recuperato per bene. E’ seguita una fase di altura nella quale ho costruito di nuovo una bella base per tutta questa seconda parte di stagione. Sono andato prima con la squadra a Livigno e poi ho aggiunto una settimana da solo sul Pordoi.

Due giorni fa hai disputato il GP de Wallonie, corsa di un giorno…

Avevamo una buona squadra per fare bene e io avevo un ruolo di supporto. Ero pronto e contento di dare il mio contributo. Le gare a tappe ormai sono finite. C’è rimasto qualcosa in Asia, ma da dopo la Norvegia solo corse di un giorno per me.

E poi ci sono le classiche italiane…

Sabato e domenica correrò il Pantani e il Matteotti con la nazionale. Dopodiché mi aspetta qualche gara del calendario italiano. Penso ad un Giro dell’Emilia o ad una Bernocchi, gare accattivanti che mi è sempre piaciuto fare e che non ho ancora mai corso e per questo sono molto curioso. Ce ne sono poi un paio come le ultime due in Veneto, vicino casa, che mi piacciono parecchio. Le sento di più.

Dopo Giro lungo per Frigo: Giro del Belgio, campionato italiano a crono e in linea
Dopo Giro lungo per Frigo: Giro del Belgio, campionato italiano a crono e in linea
Torni in azzurro dai tempi dell’under 23 in quella grandiosa nazionale che salì sul podio dell’Avenir e vinse il mondiale… Com’è andata questa convocazione?

In realtà dovreste chiederlo a Bennati! Una cosa è certa: anche se non è una convocazione per un europeo o un mondiale, mi fa sempre piacere indossare una maglia azzurra. E’ successo che nelle seconda metà di agosto mi è arrivata la telefonata di Bennati che mi ha chiesto se volessi fare queste due corse in azzurro. Io ho detto di sì. Chiaramente prima di una risposta definitiva, per non creare conflitti, ho chiesto il via libera alla mia squadra. E tutto è andato bene.

Quindi ti ha un po’ sorpreso questa convocazione?

Sinceramente sì, come ho detto mi fa piacere. Sono due belle gare e per entrambe sarà la mia prima partecipazione. Mi aspetto di fare una buona prestazione, poi se sarà per dare supporto o per cogliere un risultato questo non lo so. Quello che mi interessa è andare forte.

Sambinello e il primo (positivo) anno da junior

13.09.2023
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Tra gli juniores che maggiormente si sono messi in mostra in questa stagione c’è Enea Sambinello. Classe 2006 al primo anno in questa categoria ha fatto vedere sprazzi positivi, accumulando tante corse e anche qualche esperienza internazionale. Nel mese di settembre in particolare, vista la sua partecipazione al Giro della Lunigiana e poi al Trofeo Buffoni di domenica scorsa, chiuso in settima posizione

Alla prima esperienza in Nation Cup un secondo posto di tappa e il podio nella generale (foto Slovensky Zvaz Cyklistiky)
Alla prima esperienza in Nation Cup un secondo posto di tappa e il podio nella generale (foto Slovensky Zvaz Cyklistiky)

Prendere le misure

«E’ vero – afferma Enea Sambinello – quest’anno è stato abbastanza positivo, ho fatto già qualche esperienza internazionale. Prima alla Nuova Eroica, con la Work Service Speedy Bike, e poi con la nazionale. Ho corso anche con la nazionale in Slovacchia in una prova di Nation Cup, dove sono arrivato secondo in classifica generale. A questo poi si è anche aggiunta la buona prova ai campionati italiani: con la squadra abbiamo vinto la cronometro e poi sono arrivato quarto nella prova in linea».

Enea Sambinello (a sinistra in maglia azzurra) al suo primo anno da junior ha già fatto esperienze importanti (foto Slovensky Zvaz Cyklistiky)
Enea Sambinello (a sinistra in maglia azzurra) al suo primo anno da junior ha già fatto esperienze importanti (foto Slovensky Zvaz Cyklistiky)
Ti aspettavi un inizio di stagione così?

Alla seconda gara sono caduto subito, quindi ho un po’ perso la prima parte della stagione, la primavera diciamo. Mi sono ripreso molto bene, e nel mese di giugno e luglio sono andato davvero forte, alla fine tutti i risultati importanti sono arrivati in questo breve periodo. 

Al Lunigiana non è andata benissimo, cosa è successo?

Correvo con una microfrattura alla spalla, non una cosa così grave da impedirmi di esserci, ma sicuramente non il migliore dei modi per preparare l’evento. Infatti non sono andato come speravo, ma è una bella esperienza, che sicuramente tornerà utile in vista del prossimo anno. 

Il passaggio con la Work come sta andando?

Bene, molto bene. Arrivavo da una piccola squadra della mia zona, la Fiumicinese, diciamo che è la squadra del mio paese. Il cambio è molto positivo, Alla Work abbiamo un metodo di lavoro più professionale, visto che cambia anche la categoria. Mi sono trovato molto bene fin da subito.

Tra fine agosto e inizio settembre ha corso il Giro della Lunigiana con la Rappresentativa dell’Emilia-Romagna
Tra fine agosto e inizio settembre ha corso il Giro della Lunigiana con la Rappresentativa dell’Emilia-Romagna
L’utilizzo dei rapporti liberi come lo avete gestito?

Passare da avere il 16 nel pacco pignoni a spingere l’11 non è facile. Abbiamo lavorato molto in palestra e sviluppato abbastanza la forza, ci siamo allenati facendo i classici esercizi come squat e stacchi. Anche ora pian piano stiamo cercando di “tirare” più il rapporto. Ad inizio stagione era più difficile, ora sembra essere meglio. 

Quindi all’inizio ti ha condizionato un po’?

Penso sia “pesato” a tutti. Ma alla fine lo ritengo giusto, la categoria juniores si è avvicinata molto al professionismo. Mi è sembrata un’evoluzione più che lineare, ci sono state molte critiche ma non ne vedo il motivo. 

Lo hai trovato positivo quindi?

Sì. Lo si vede anche nelle gare internazionali, il gap con gli stranieri si è chiuso in parte anche grazie a questo (già nel 2021 gli juniores francesi, Lenny Martinez in primis, si allenavano con i rapporti liberi, ndr). 

Il gruppo che si è formato in nazionale è unito e solido (foto Slovensky Zvaz Cyklistiky)
Il gruppo che si è formato in nazionale è unito e solido (foto Slovensky Zvaz Cyklistiky)
Quella in Slovacchia è stata la prima esperienza con la maglia della nazionale?

Sì ed è stato fantastico. Come gara è stata super positiva, sono arrivato secondo in classifica generale e in una tappa. Mentre nelle terza ed ultima frazione siamo riusciti a portare a casa un successo con Mattia Negrente

Com’è stato indossare l’azzurro?

Fantastico, un’emozione incredibile. Poi il gruppo che si è creato era molto unito, e quindi anche al di fuori delle gare con la nazionale ci vediamo spesso e ci sentiamo altrettanto volentieri. Anche se siamo avversari il rapporto è ottimo. Non vedo l’ora di ritrovarmi in squadra con loro. 

Cretti: un giugno da favola e la maglia azzurra

03.07.2023
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La voce di Luca Cretti attraversa decisa il telefono, il momento del giovane bergamasco della Colpack-Ballan è positivo. Le prestazioni sono andate di pari passo con dei buoni risultati, il suo mese di giugno è stato un continuo progredire. Al Giro Next Gen sono arrivati due bei piazzamenti, il primo a Cansiglio, quarto, l’altro a Trieste, secondo. Cretti è stato bravo poi a riposarsi ed arrivare pronto al campionato italiano, dove però è stato battuto in volata da BusattoHa poi conquistato il Giro del Veneto (in apertura con la maglia di leader). E ieri, infine, è finito dietro Pellizzari nella Astico-Brenta.

Il giorno dopo il campionato italiano Cretti ha vinto la Pessano-Roncola (foto Rodella)
Il giorno dopo il campionato italiano Cretti ha vinto la Pessano-Roncola (foto Rodella)

Finalmente sbloccato

La prima vittoria stagionale è arrivata il giorno dopo della corsa tricolore, sulle strade di casa, alla Pessano-Roncola. Un bel successo che ha riequilibrato i conti con la fortuna e con qualche occasione lasciata a metà, per sua stessa ammissione. Il corridore bergamasco ha concluso la sua cavalcata del mese di giugno coronandola con la vittoria della classifica generale al Giro del Veneto (photors.it in apertura).

«Non ho considerato la vittoria della Pessano-Roncola come una liberazione – ammette Cretti – sapevo che con la condizione che avevo prima o poi sarebbe arrivato un successo. Quella mattina, però, a dire il vero neanche volevo partire. Alla fine Gianluca Valoti mi ha convinto, ma non mi aspettavo nulla. Non avevo mai vinto su un arrivo in salita, ma ripeto: la gamba c’era.

«Il Giro del Veneto ho insistito io per correrlo e fare classifica. Dopo aver vinto su una salita come quella della Roncola – prosegue Cretti – mi sentivo troppo bene per non provarci. Se mi dovessero chiedere che corridore sento di essere, non saprei rispondere. Questo mese di giugno è stato incredibile. Nel 2023 ho già corso cinque gare a tappe, questo è uno dei motivi per cui sono venuto in Colpack e sono contento che la scelta sia stata ripagata».

Per il corridore della Colpack quest’anno è arrivata anche la prima esperienza al Nord: alla Paris-Roubaix Espoirs
Per il corridore della Colpack quest’anno è arrivata anche la prima esperienza al Nord: alla Paris-Roubaix Espoirs
Facciamo un passo indietro al Giro Next Gen, quando hai capito di andare forte?

Fin dai primi giorni, parlando con i miei compagni nel post tappa capivo di avere sensazioni diverse da loro. Per fare un esempio: a volte parlavamo del ritmo tenuto su qualche salita e io mi accorgevo di aver fatto meno fatica rispetto a loro. Dopo due o tre volte che lo dicevo, ho capito che forse non erano loro ad andare piano, ma io ad essere in ottima forma. 

Tant’è che poi ci hai provato due volte, a Cansiglio e poi a Trieste.

Finiti i primi giorni di lavoro per Persico e Meris abbiamo avuto il via libera (tant’è che a Povegliano ha vinto Romele, ndr). Io nelle ultime due tappe mi sono buttato nella mischia, sono andato in fuga e ci ho provato. Mi considero un corridore da fughe, ce l’ho nel sangue. Non ho un particolare spunto veloce quindi devo sempre provare ad anticipare, inutile aspettare. 

E’ una condizione che hai trovato come?

Dal ritiro in altura che abbiamo fatto a Livigno con la squadra. Era la prima volta che andavo a fare una preparazione del genere ed i risultati si sono visti. 

A Mordano Cretti ha provato in ogni modo ad attaccare Busatto ma non è riuscito a levarselo di ruota (foto Zannoni)
A Mordano Cretti ha provato in ogni modo ad attaccare Busatto ma non è riuscito a levarselo di ruota (foto Zannoni)
Quale secondo posto ti ha fatto “rosicare” di più? Quello di Trieste o al campionato italiano?

Chiaramente vincere la maglia tricolore sarebbe stato un sogno, è una maglia unica alla quale tutti ambiscono. Ma sulle strade di Mordano ho fatto di tutto per staccare Busatto, anche quando siamo rimasti in due ho provato più volte a forzare. Non ho rimpianti. Mentre a Trieste contro Foldager non mi sentivo di aver dato tutto. Il percorso non era così duro e non avevo troppo spazio per provarci. Quindi direi che ho rosicato di più a Trieste. 

Questo è anche il tuo ultimo anno da under 23, un passaggio importante per la tua carriera…

Vero. Ho la fortuna di essere arrivato qui in Colpack in tempo per provare a giocarmi tutto, penso che sia la squadra migliore per farlo. Fin dall’inverno mi sono allenato bene, sono riuscito anche a perdere quei tre chili di troppo e si sente la differenza. Anche se la stagione non era iniziata al meglio.

In che senso?

Ho affrontato la prima parte del 2023 concentrandomi troppo sul fare il risultato. Mi dicevo: «Devi vincere per dimostrare che vali». Ad una gara in Croazia stavo parlando con un mio compagno che mi ha consigliato di andare da un mental coach.

A Trieste qualche rimpianto per Cretti, avrebbe potuto provare a staccare Foldager (foto LaStampa)
A Trieste qualche rimpianto per Cretti, avrebbe potuto provare a staccare Foldager (foto LaStampa)
E come ti sei trovato?

Era un’idea che avevo in mente da tanto tempo, mi stuzzicava. Le prime sedute sono servite per conoscerci, poi ho iniziato a vedere i frutti del nostro lavoro. Ci confrontiamo sul pre e sul post corsa. 

Cosa è cambiato?

Abbiamo spostato il focus dal risultato alla prestazione, bisogna migliorare quest’ultima per essere competitivi. Ci concentriamo sulle parti positive, senza vivere quest’ultimo anno con ansia. E’ tutto nelle mie mani, devo fare del mio meglio, se sei bravo va bene, altrimenti non era destino. 

Il ritiro a Livigno prima del Giro Next Gen ha portato i suoi frutti alla corsa rosa (foto Rodella)
Il ritiro a Livigno prima del Giro Next Gen ha portato i suoi frutti alla corsa rosa (foto Rodella)
Per ora sta andando bene, considerando che anche il cittì Amadori si è accorto delle tue prestazioni. 

Mi ha fatto i complimenti al Giro e poi anche al campionato italiano. In questi giorni mi ha comunicato che sarò tra i convocati per il ritiro in altura al Sestriere. Per gli appuntamenti importanti, come Avenir e mondiale, magari avrà già dei nomi in testa, io farò del mio massimo per metterlo in difficoltà. Se sarò all’altezza di essere convocato darò tutto per la maglia azzurra. 

Che effetto ti fa partire per il ritiro di Sestriere?

Contentissimo, ma l’ho vissuta con tranquillità. Sapevo che con le buone prestazioni sarebbe potuta arrivare questa convocazione. La cercavo da tanto e finalmente è arrivata.

Marchisio e Basso: una partnership di… “valori”

09.11.2022
3 min
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Claudio Marchisio, ex calciatore e bandiera di Juventus e Nazionale, da sempre un vero esempio per i propri valori, sia dentro che fuori dal campo, ha recentemente siglato una specifica partnership con Basso Bikes. Dopo il ritiro dal calcio giocato, Marchisio ha difatti scoperto la passione per la bicicletta… E da quel giorno – come spesso, spessissimo accade – è stato un vero e proprio crescendo di emozioni e voglia di perfezionarsi. Non a caso, il “Principino” – questo il nomignolo di Marchisio – ben testimonia valori quali il rispetto, la coerenza, la dedizione, l’affidabilità e l’italianità: un insieme di caratteristiche storicamente fondamentali anche per Basso. 

Questa forte volontà nel raggiungere un accordo nasce dal desiderio di “veicolare” questi valori e questi principi condivisi. E così Claudio Marchisio è già di fatto un nuovo testimonial del brand veneto, con l’obiettivo chiaro di sviluppare con l’ufficio marketing di Basso sinergie comuni in diverse iniziative e progetti.

Marchisio e Basso condividono gli stessi valori: rispetto, coerenza, dedizione, affidabilità e italianità
Marchisio e Basso condividono gli stessi valori: rispetto, coerenza, dedizione, affidabilità e italianità

Coerenza e italianità

Basso Bikes, brand italiano fondato nel 1977 da Alcide Basso, produce e commercializza biciclette da corsa, gravel ed e-bike di media e alta gamma contando su una presenza commerciale in oltre 25 Paesi nel mondo e su una rete superiore ai 400 rivenditori. La sede principale dell’azienda è a San Zenone degli Ezzelini, in provincia di Treviso, a pochi chilometri da Bassano del Grappa. Il reparto produttivo si trova invece a Dueville, in provincia di Vicenza.

Il marchio Basso Bikes, ancora di proprietà della famiglia Basso, fa capo al gruppo Stardue, una società quest’ultima che incorpora al proprio interno anche il brand Mtb Lee Cougan e quello di componenti ed accessori Microtech.

Grazie a Basso, Claudio Marchisio ha scoperto la passione per la bici
Grazie a Basso, Claudio Marchisio ha scoperto la passione per la bici

Claudio Marchisio (Torino, 19 gennaio 1986) vanta invece 320 presenze in serie A, avendo legato gran parte della propria carriera ad una squadra, e che squadra: la Juventus. Con la Juve, Marchisio ha vinto sette campionati consecutivi di Serie A, uno di Serie B, tre Supercoppe Italiane e quattro Coppe Italia consecutive. In campo internazionale, 73 presenze tra Champions League ed Europa League con 3 goal (nella stagione 2014/2015 è stato inserito nella squadra dell’anno della UEFA Champions League). Presenza fissa nel gruppo della nazionale Italiana dal 2009 al 2017, Marchisio con la maglia azzurra ha collezionato 55 presenze e 5 gol.

Basso

Eppure Baroncini ha vinto il mondiale U23 senza una WorldTour

27.09.2022
5 min
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Come ci ha detto anche Marino Amadori: non è facile competere a livello mondiale e di nazionale contro chi fa attività nel WorldTour. E lo stesso Amadori ha aggiunto che lo scorso anno ha vinto sì, ma perché Baroncini è un talento e riuscirono a programmare bene l’avvicinamento.

Sostanzialmente abbiamo posto questo tema anche a Filippo Baroncini, che tra l’altro in questi giorni è pronto a tornare in bici dopo la doppia frattura (clavicola e polso) di fine agosto.

Nel 2021 a Leuven ci deliziò con un’azione spettacolare, mix tra potenza e acume tattico. E anche quello scatto alla vigilia fu esemplare. Fece le prove di quel che poi realizzò alla lettera in corsa. Gestì la pressione da veterano. All’epoca correva nella Colpack-Ballan (team continental), non era ancora nelle fila della Trek-Segafredo (team WorldTour) e non fece gare da stagista.

Sia dopo il Giro U23 che dopo l’Avenir Baroncini è andato in altura (foto Instagram)
Sia dopo il Giro U23 che dopo l’Avenir Baroncini è andato in altura (foto Instagram)
Filippo, quanto è importante fare attività WorldTour in ottica di gare internazionali per un under 23? E quanto ha inciso la Vuelta per Fedorov?

E’ fondamentale fare una stagione nel WorldTour, ma poi credo anche dipenda molto dalla persona. Magari nessuno si aspettava la vittoria di un kazako. Se Vacek avesse fatto un’intera stagione come Fedorov non avrebbe fatto secondo. Si è visto proprio che nel finale non aveva gamba. Che era più stanco.

Non se lo aspettavano ma ha vinto…

Il concetto è proprio quello. Ha sorpreso tutti. E’ uscito alla grande dalla Vuelta. Poi se l’è anche giocata bene uscendo in anticipo, mentre altri, vedi Kooij (della Jumbo Visma, ndr), sono stati troppo a ruota. L’olandese ha corso tanto, ma non credo abbia fatto un grande Giro. Perché è quello che ti dà una marcia in più. Anche io lo scorso anno avevo fatto delle corse a tappe. E l’Avenir era stato la mia Vuelta prima del mondiale.

Ecco, parliamo del tuo cammino iridato dello scorso anno. Qual era il programma senza un grande Giro ma con attività da U23?

Partiamo dal presupposto che mi ero focalizzato molto sul mondiale. Ero tornato nuovamente a Livigno prima dell’Avenir e sapevo che in Francia non avrei avuto una super gamba, altrimenti una tappa sarei riuscito a portarla a casa. Ho sfruttato la corsa per prepararmi e crescere al meglio. Ho rinunciato al risultato in quel momento per avere una marcia in più dopo. Ed è quello che ha fatto Fedorov.

Una delle poche foto di Baroncini in maglia iridata, conquistata in una continental dalla vocazione U23, il Team Colpack (foto Instagram)
Una delle poche foto di Baroncini in maglia iridata, conquistata in una continental dalla vocazione U23, il Team Colpack (foto Instagram)
E nella finestra tra Avenir e mondiale?

Dopo l’Avenir siamo andati diretti al Sestriere e lì nella prima settimana ho fatto completamente scarico. Nella prima settimana sarò uscito due volte. Nella seconda ho fatto qualche lavoretto di attivazione. Mai uscite troppo lunghe, ma mirate. In 15 giorni – ride Baroncini – feci solo due distanze.

Perché ridi?

Perché ricordo che Amadori era preoccupato. Mi chiedeva: «Allora, oggi che fai?». E io: «Riposo». Il giorno dopo: «Oggi esci?». E io: «No, riposo…». Mi vergognavo quasi ogni volta a rispondergli così, ma alla fine è stata una carta vincente. Il recupero ha lo stesso peso di alimentazione e allenamento.

Dopo il Sestriere?

Sono andato al Giro del Friuli (tre tappe, ndr) e poi a casa dove ho fatto qualità. Dietro motore, tanta bici da crono: dopo tanta altura serve. In più avevo scelto un percorso con caratteristiche simili al mondiale con salite non troppo lunghe e strappi per abituarmi al ritmo. E poi sono andato agli europei.

E a Trento facesti secondo: come andò la gamba?

Nella gara a crono non avevo carburato ancora al massimo. Le cose sono cambiate dopo la prova in linea. E anche in quella all’inizio ero preoccupato, sentivo che non avevo il ritmo dei migliori, anche in ricognizione. Non avevo idea di quel che poteva fare Ayuso e di quel che potevo fare io. Poi invece è andata bene e lì mi sono tranquillizzato. Ho capito che mi ero sbloccato, che potevo vincere il mondiale… E per fortuna che ho fatto secondo, così a Leuven avevo della rabbia in più!

Baroncini in azzurro davanti a Moscon nella Coppa Sabatini. Alternare gare U23 con quelle dei pro’ è il mix ideale per crescere
Baroncini in azzurro davanti a Moscon nella Coppa Sabatini. Alternare gare U23 con quelle dei pro’ è il mix ideale per crescere
Restiamo sul tema della preparazione. Tra l’europeo e il mondiale cosa hai fatto?

Corsi alla Sabatini con la nazionale dei pro’. Fu il test finale una decina di giorni prima della gara iridata. A quel punto ero davvero pronto. Ricordo che c’era Cassani e la sera nella riunione Davide davanti a tutti quei campioni disse che si puntava anche su di me. E io tra me e me pensavo: “Ma che dice questo?”. Invece poi in corsa ebbi sensazioni ottime e Cassani aveva ragione. Feci quarto. La responsabilità però un po’ la sentivo.

E ai fini della responsabilità, l’esperienza della Sabatini ti ha aiutato per Leuven? Prendere in mano la squadra, essere un leader…

Sicuramente. Mi ha fatto sentire più uomo, più consapevole dei miei mezzi e anche più tranquillo.

Insomma Filippo, anche con un’attività ben ponderata tra gli “under 23 moderni”, cioè con gare importanti e qualche puntatina con i pro’, pensi si possa ancora vincere un mondiale?

Io penso si possa vincere ancora. Certo però che se si fanno solo solo corse in Italia, solo corse di un giorno tra gli under 23 allora no, non va bene.