Cosnefroy piega Alaphilippe a Plouay. Altro nome per Leuven

30.08.2021
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Alaphilippe fa rotta su un finale di stagione che potrebbe dargli ancora grandi soddisfazioni, ma intanto incassa un’altra sconfitta. Accade a Plouay, nella Bretagne Classic-Ouest France, per mano di Benoit Cosnefroy, ragazzo di 25 anni, che non ha un grande palmares ma alla Freccia Vallone del 2020, terreno di caccia preferito del campione del mondo, si piazzò secondo alle spalle di Hirschi. E in Francia intanto si fregano le mani pensando ai mondiali…

Sul podio, il francese tra Alaphilippe e Honoré: Deceuninck piegata
Sul podio, il francese tra Alaphilippe e Honoré: Deceuninck piegata

Una foto per il salotto

«Spero di batterlo un giorno», aveva detto lo scorso inverno in una intervista, commentando il fatto che quel giorno a Huy il campione del mondo non ci fosse. Perciò quando si è reso conto di averlo battuto a Plouay, la sua gioia è stata irrefrenabile.

«Davanti a Julian, con la sua maglia da campione del mondo – ha detto subito dopo l’arrivo – vado subito a incorniciare la foto e la metterò nel mio salotto. Non avevo riferimenti di volate contro Julian, ma ero sicuro di essere più fresco. Inoltre quello di Plouay è uno sprint particolare. Un falsopiano in salita di 200 metri dopo un tratto di discesa. Si arriva veloci e poi serve la forza per tenere. Non sono riuscito a staccarlo sull’ultima salita, ho pensato che non ce l’avrebbe fatta a battermi in volata. Ho creduto in me stesso ed è andata bene…».

Si rivede in fuga anche De Marchi, che ormai è sul binario giusto
Si rivede in fuga anche De Marchi, che ormai è sul binario giusto

Dolore al ginocchio

Lo sprint era la sua bestia nera, a dire la verità. Aveva iniziato a parlarne lo scorso anno dopo il terzo posto alla Freccia del Brabante dietro Alaphilippe e Van der Poel e il secondo alla Parigi-Tour alle spalle di Pedersen.

«Per trasformare i miei posti in vittorie – disse sconsolato – devo migliorare la mia velocità».

E così lo scorso inverno, Benoit detto “Beubeu” si è trasferito da Cherbourg, il Comune sulla Manica in cui è nato e dove vive, al sud della Francia per evitare viaggi più lunghi e non rischiare fastidiosi contagi Covid. Solo che il lavoro di forza messo in atto per migliorare la velocità e forse anche il clima più rigido di quello spagnolo gli hanno provocato un dolore al ginocchio destro che ha condizionato il suo rendimento al Nord. E dopo il Tour in appoggio a Ben O’Connor, la vittoria di Plouay ha rimesso il morale a posto.

«Questo è il Grand Prix de Plouay (il nome d’origine della corsa, ndr) – ha detto – appartiene al patrimonio del ciclismo francese. E oltre a questo, stavo cercando la prima vittoria al WorldTour e l’ho trovata». 

Alaphilippe è da poco rientrato alle corse e ora fa rotta su Leuven per confermare il suo iride
Alaphilippe è da poco rientrato alle corse e ora fa rotta su Leuven per confermare il suo iride

Tenaglia Deceuninck

Non è stato un risultato venuto per caso. Prima ha seguito Alaphilippe nell’attacco sulla salita di Saoutalarin a quasi 60 chilometri dal traguardo e a quel punto Cosnefroy si è reso conto di essere nella morsa del campione del mondo e del compagno Honoré. Ha ragionato. Ha risparmiato le forze a a una ventina di chilometri dal traguardo si è tolto di ruota il danese. E a quel punto Alaphilippe ha mangiato la foglia e ha smesso di collaborare, provocando un gesto di stizza nel connazionale.

«Gli ho detto che doveva essere più fiducioso perché poteva vincere – ha spiegato dopo l’arrivo il campione nel mondo – ero un po’ nella sua stessa situazione nel 2018 quando ho vinto la Freccia Vallone. Era l’attesa della prima grande vittoria. Gli farà bene per il futuro, ha meritato il successo e non sarà l’ultimo».

Cosnefroy ha confermato ogni parola. «Mi ha detto che potevo vincere. Dopo l’arrivo, Julian è stato super felice per me. So che era sincero. Andiamo molto d’accordo».

Tra Alaphilippe e Cosnefroy una volata difficile, in cui la freschezza ha fatto la differenza
Tra Alaphilippe e Cosnefroy una volata difficile, in cui la freschezza ha fatto la differenza

Attacco da lontano

Per Julian il rientro alle corse non è stato semplice. Perciò, volendo evitare il confronto diretto con quelli più in forma, ha provato da lontano. 

«Il percorso offriva possibilità di muoversi da lontano – ha detto – quindi siamo andati subito a tutta. Purtroppo alla fine, dopo ogni rilancio sentivo che il crampo non era lontano. Benoit (Cosnefroy, ndr) invece era sempre lì ed è stato semplicemente il più forte. E’ stato già tanto poterlo seguire».

Prima vittoria WorldTour per Cosnefroy e la gioia sul volto
Prima vittoria WorldTour per Cosnefroy e la gioia sul volto

Voeckler prende nota

Il più contento di tutti è parso Thomas Voeckler, il selezionatore della Francia che per Tokyo aveva dovuto fare i conti con il rifiuto inatteso e spiacevole di Alaphilippe. Oltre ad Alaphilippe, Laporte, Senechal e Turgis, il nome di Cosnefroy è un altro da aggiungere alla lista dei corridori per il mondiale: manca più di un mese, ma alla Ag2R Citroen garantiscono che il ragazzo non avrà problemi per tenere la forma. E intanto Alaphilippe sornione fa i conti della sua condizione e annuncia che andrà a rifinirla al Tour of Britain (5-12 settembre). Il solito sorriso da moschettiere del re, ma un’altra sconfitta da masticare fino alla prossima corsa.

Ecco San Sebastian: lo Jaizkibel, il maltempo e Loulou

29.07.2021
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Uno spicchio di terra tra l’Oceano Atlantico, i Pirenei e persino un pezzetto di Francia. I Paesi Baschi si apprestano ad applaudire la loro classica per eccellenza: San Sebastian. 

I Paesi Baschi sono considerati la “Svizzera” della Spagna. Si passa dal “deserto” del Nord al verde più rigoglioso in cui lo sport che ha a che fare con la bici ha un ruolo primario: triathlon, Mtb e soprattutto ciclismo su strada. E quando arriva questa classica d’estate quelle zone si fermano e i baschi scendono in strada.

L’altimetria della gara maschile
L’altimetria della gara maschile

Tante salite

Sabato quindi torna la Donostiako Klasikoa (in basco). E lo fa dopo un anno di pausa causa pandemia. Al via sia le donne che gli uomini. Scopriamo quindi cosa attende gli atleti. Partiamo dai maschi.

La prova maschile misura 224 chilometri, conta sei Gpm, con il mitico Jaizkibel (da scalare due volte) e il trampolino di lancio del Murgil.

«La prima parte della Clásica – ha detto Roberto Laiseka, ex corridore e tra gli organizzatori dell’evento – corre lungo l’intera costa del Guipuzcoan ed è abbastanza pianeggiante. Nella seconda parte invece, spazio agli scalatori con lo Jaizkbel e l’Erlaitz. E’ qui che si farà la selezione definitiva. Si passa il traguardo prima di intraprendere l’ultima salita a Murgil: scalata breve ma molto dura. Dalla cima mancano solo 8 chilometri al traguardo quindi è molto importante iniziare sia la salita che la discesa ben piazzati». 

Il percorso è sempre duro, ma ha spesso premiato uomini in forma, anche se il dislivello (superiore ai 3.200 metri) strizza l’occhio agli scalatori. In più spesso in cima alle salite il vento si sente non poco e per questo tant’è volte hanno alzato le braccia anche dei passisti.

Alaphilippe favorito, Yates incognita

Di solito San Sebastian premia coloro che escono dal Tour de France. Dai Campi Elisi alla baia basca passavano solo sei giorni, stavolta invece di mezzo ci sono state le Olimpiadi. E’ tutto un po’ un punto interrogativo.

Al via non c’è il solito super parterre, ma i campioni non mancano. Il primo della lista, e naturale favorito, è Julian Alaphilippe. Tra l’altro Loulou parte con una squadra formidabile della quale fa parte anche Mattia Cattaneo. 

Il suo primo rivale è Jonas Vingegaard. Il danese, secondo a Parigi, potrà finalmente essere il capitano della Jumbo-Visma. Saprà invece già essere competitivo Egan Bernal? Il colombiano rientra in corsa dopo il trionfo al Giro. Non ha il ritmo gara, ma ci ha abituato a rientri subito al vertice.

E poi occhio a Simon Yates, tra i pochi che vengono da Tokyo. Lui ha corso anche il Giro e il Tour e Simon stesso si è dichiarato curioso di vedere fino a che punto il suo corpo “terrà botta”. Ci sono poi Wilco Kelderman e Luis Leon Sanchez, recente vincitore della Ordiziako Klasika, che è un po’ considerato l’antipasto di San Sebastian. E Luis Leon chiama a rimorchio Juan Ayuso. Il baby fenomeno della Uae infatti è giunto secondo nella stessa prova proprio alle spalle dell’esperto connazionale. 

Gli italiani in gara sono ben venti. Colui che potrà fare bene è Diego Ulissi, che esce dalla vittoria alla Settimana Internazionale Italiana. E anche Alessandro Covi potrebbe trovare un certo spazio.

Ci sarà De Marchi, che ha ripreso al Tour de Wallonie dopo la tremenda caduta del Giro. Buone possibilità anche per Fabbro e Moscon.

L’altimetria della gara femminile
L’altimetria della gara femminile

E le donne?

La gara femminile è molto dura. Specie nel finale. La distanza inoltre non è affatto breve (ricordiamo quasi 140 chilometri). Per di più c’è un grande rischio di maltempo: pioggia e temperature relativamente basse. Le donne scatteranno dalla splendida baia di San Sebastian alle 9:15, circa 2 ore e mezza prima degli uomini. Per le ragazze: quattro Gpm, ma tantissimi strappi.

La notizia è che non ci saranno le mostruose olandesi (Vos, Van der Breggen e Van Vleuten). Questo rimescola molto le carte. La Trek-Segafredo sembra essere la squadra da battere, seppur orfana di Elisa Longo Borghini. Cordon-Ragot può dire la sua. E allora ecco che crescono le possibilità per Soraja Paladin ed Erica Magnaldi. Campionessa uscente è l’australiana Lucy Kennedy, che partirà col numero uno.

La maledizione gialla in un Tour bellissimo, ma privo di logica

04.07.2021
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«Non dobbiamo dimenticare – insiste Alaphilippe – che l’obiettivo numero uno è vincere le tappe, non vincere il Tour. Voglio assaporare quello che ho fatto finora, perché non si può sempre vincere». La maledizione non è iridata, ma gialla. E se sei francese può schiacciarti, perché quasi non trovi il modo di sottrarti. Così adesso sono tutti a chiedersi che cosa sia successo ad Alaphilippe, quando probabilmente è stato tutto un equivoco dall’inizio. E forse, pur non conoscendo i meccanismi olimpici francesi, Julian farebbe meglio a prendere la palla al balzo, rivalutando la pista olimpica e smarcandosi da un gioco troppo grande e privo di logica.

La lotta con Vdp per la gialla? Bella, ma una vera maledizione: che spreco di energie…
La lotta con Vdp per la gialla? Bella, ma una vera maledizione: che spreco di energie…

Maledizione gialla

«Il Tour, il Tour… ». Suo cugino e allenatore Frank alza gli occhi al cielo, perché sa esattamente in quale trappola perversa si sia cacciato il campione del mondo.

«E’ normale che sia molto importante per le squadre francesi – dice – ma a volte va a scapito dei corridori. Prima di rinnovare con la Deceuninck-Quick Step, Julian ha ricevuto proposte da squadre che lo volevano per puntare alla classifica del Tour. Forse è anche per questo che non ha accettato. Se avesse debuttato in una squadra francese, dove probabilmente si sarebbe preparato soltanto per il Tour a discapito delle classiche, avrebbe fatto questa carriera?».

Eppure ci sono cascati anche loro. Lo dicemmo alla vigilia: spesso le scelte dei corridori sono la conseguenza degli interessi di squadra, ma poi tocca a loro assecondare o meno certe ambizioni. Quando decise di mollare il progetto olimpico di Voeckler per scegliere il Tour in maglia iridata, avrebbe potuto benissimo dire che lo avrebbe vissuto alla giornata. Puntando alle tappe e sganciandosi dalla perversa roulette della classifica, come suggerito da Bettini. Invece no. Così che adesso, stemperato il ricordo del debutto con vittoria e maglia gialla, siamo tutti a chiederci dove sia finito Alaphilippe.

Blackout nella crono

Ovviamente Julian non è quello di tre anni fa e forse bisognerebbe chiedersi se non sia stato piuttosto quell’anno l’eccezione non ripetibile. Non è possibile che il corridore che dominò la cronometro di Pau e chiuse al quinto posto fosse un atleta in stato di grazia, capace di superarsi prima di tornare nei suoi panni di grande cacciatore di classiche? Credere il contrario è il primo segno della maledizione gialla.

«In effetti alle prime pedalate nella crono di Laval (iniziata al secondo posto in classifica, con soli 8” da Van der Poel, ndr) – ha detto quel giorno – ho sentito subito che le gambe non erano grandi. Pur dando il massimo, ho sentito alla radio che non ero in corsa. Ho capito subito che sarebbe stato complicato. Il percorso mi piaceva, ma sono state le gambe a parlare e non ho vissuto una bella giornata. Devo recuperare, analizzare perché le cose non andavano».

Quanto vale un Tour in maglia iridata? Tanto. e a tutti i livelli
Quanto vale un Tour in maglia iridata? Tanto. e a tutti i livelli

Scelta necessaria

Eppure, nonostante i tanti segnali e la necesità di analizzarli, si è andati avanti a cercare il recupero, con quell’idea di classifica così difficile da mollare, mentre Van der Poel viveva la sua favola gialle e Van Aert si trasfigurava per scalare posizioni, trasformando il Tour in una battaglia quotidiana. In una trappola infernale, in cui Pogacar ha scelto di non cadere.

«Potrebbe non essere il miglior Julian in questo momento – ha detto ancora suo cugino dopo l’interminabile tappa di Le Creusot – ma rimango ottimista. Sono qui a sperare che la cronometro sia stata un giorno di affaticamento. Da allora, le gambe sono migliorate sempre di più. Dovrebbe continuare a cercare di seguire i migliori o scegliere le tappe? E’ un argomento che stiamo iniziando ad affrontare insieme».

A Le Creusot non ha preso la fuga e alla fine ha sprintato con Mas
A Le Creusot non ha preso la fuga e alla fine ha sprintato con Mas

Il momento di smarcarsi

Anche per il campione del mondo il riposo giunge provvidenziale, anche se di mezzo c’è ancora la… tappetta esplosiva di oggi che porterà i corridori a Tignes, mettendo in fila il Col de Saisies, il Col du Pre, il Cormet de Roselend e l’interminabile salita verso Tignes. Lassù, dove Roglic ha svolto gran parte della preparazione al Tour, si tireranno le somme di una prima settimana esplosiva, stupenda e illogica. In cui i cacciatori di tappe sono stati dipinti come possibili conquistatori di maglie. E per paura che ciò fosse possibile, si sono mandati a monte ragionamenti e tattiche che avrebbero dovuto consigliare calma agli uomini di classifica. Ma se sei un uomo da classiche come Alaphilippe, per impedirti di assecondare l’istinto e seguire Van Aert e Van der Poel, avrebbero dovuto legarti. Peccato che nessuno sia riuscito a farlo. Magari saranno proprio i 18’51” di ritardo in questa classifica così strana a rimettere il campione del mondo in carreggiata. Che vinca due tappe poi dia ascolto a Bettini e voli a Tokyo. Non c’è altro motivo per cui tenere duro.

Fra Livigno (e il Veneto) con Albanese e Stefano Zanatta

30.06.2021
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Albanese ha voltato pagina. Lo dice lui, lo dicono i risultati e lo dice Stefano Zanatta, il suo direttore sportivo. Sono passati sei mesi da quando sentimmo il corridore all’inizio del suo percorso con la Eolo-Kometa e dalle prime uscite a oggi il corridore ha cambiato fisionomia e modo di parlare. Il Giro d’Italia ha mostrato anche una faccia che probabilmente non sapeva di avere: quella dell’uomo squadra.

«Aiutare un altro a vincere – dice Albanese dal ritiro di Livigno – non è come farlo di persona, sarei bugiardo. Però serve anche questo. Il giorno dello Zoncolan sul pullman decisero che Fortunato doveva andare in fuga e per essere certo che la prendesse, gli dissero di mettersi a ruota mia. Lui è stato bravo, non mi ha mollato per 10 chilometri e quando ci siamo trovati in fuga, ho tirato come un matto per portarlo alla salita con il vantaggio giusto. Anche queste sono soddisfazioni».

Ivan Basso e Stefano Zanatta subito dopo la vittoria di Fortunato sullo Zoncolan
Ivan Basso e Stefano Zanatta subito dopo la vittoria di Fortunato sullo Zoncolan

Tirato come mai prima

“Vincio” è magro come non lo abbiamo mai visto. Da quando lo raccontavamo vincere fra gli under 23 è passato qualche anno, per cui anche il suo modo di parlare adesso è più posato. Sta alla larga dai sassolini nelle scarpe, preferendo toglierli quando nessuno può vederlo.

«Mi è scattata la rabbia – dice – ero arrivato a un passo dal non trovare squadra e ho voluto dimostrare qualcosa a me stesso e a chi pensava che fossi finito. Devo molto alla Eolo-Kometa. A un direttore sportivo come Zanatta, ma anche a Sean Yates che al Giro ci ha dato un grande supporto su come correre. E poi ha ragione Basso, lo staff e la struttura hanno permesso a tanti con i miei stessi problemi di rilanciarsi. E’ la squadra dei rilanci…».

Il ruolo di Zanatta

Qual è stato il ruolo di Zanatta nella sua rinascita? E che cosa ha trovato dopo averlo accolto tra i professionisti negli anni della Bardiani?

«Sicuramente – dice Stefano – ho visto un bel cambio di approccio con la professione, dovuto certo al cambio di squadra e agli anni che passano. Vincenzo è entrato subito in sintonia, ha perso quel filo di peso che lo ha sempre limitato e ha scoperto un nuovo ruolo in squadra, dopo anni in cui era abituato a pensare soprattutto per sé. Gli ho spiegato che bisogna sapersi giocare in tutti i ruoli. Ha provato fughe. Ha lottato per i Gpm… tutte cose che aiutano a crescere».

In 4 anni con la Bardiani risultati davvero opachi
In 4 anni con la Bardiani risultati davvero opachi

Il Giro al primo anno

Stefano lo ricorda al primo assaggio di professionismo, cui approdò dopo un anno fra i dilettanti in cui vinceva anche senza essere al top della forma. Dopo aver vinto addirittura il Matteotti, correndo con la maglia azzurra, davanti ai professionisti.

«Arrivò in ritiro – ricorda Stefano Zanatta – con qualche problemino al ginocchio, per il quale dovette fermarsi. Rientrò al Coppi e Bartali, pedalò benino e Reverberi decise di portarlo al Giro perché vedesse il ciclismo dei grandi. Si ritirò a metà, come stabilito. Ma se sei abituato a vincere facilmente e non porti a casa più niente, dopo un po’ la serenità va a farsi benedire e lui dava questa impressione. E di sicuro qualche strigliata da Reverberi se la prese e questo per un carattere orgoglioso come lui fu pesante».

Un nuovo altruismo

Il modo di stargli accanto Zanatta l’ha capito quasi subito: bisognava mostrargli fiducia e così ha fatto.

«L’anno scorso –  dice Stefano – qualcosa aveva fatto vedere e così gli ho parlato chiaramente, perché io sono sempre diretto con i corridori. Gli ho detto che volevo ritirare fuori il suo talento. Gli ho detto di insistere. Quando dopo il Coppi e Bartali era un po’ abbattuto, perché la Tirreno non era andata come voleva, gli ho detto di tenere duro. Ha fatto bene in Turchia e al Giro gli abbiamo dato di volta in volta dei ruoli importanti. Dalla maglia dei Gpm al fare da riferimento per Fortunato. Quel che ha fatto verso lo Zoncolan, anni fa non lo avrebbe accettato. Lo abbiamo stimolato e gli abbiamo dato fiducia e sono certo che tornerà in corsa con la rabbia giusta. Uno che al primo anno da pro’ viene all’Amstel ed è l’unico della squadra che prende la fuga, significa che i grandi obiettivi lo motivano. Perciò lo aspetto da settembre che porti a casa qualche vittoria. Lui dice la Sabatini? Ma ci sono tante corse adatte a lui. Se ci arriva col piglio giusto, qualcosa arriverà».

Anche alla Tirreno aveva lottato per la maglia dei Gpm, piazzandosi 6° nella classifica
Anche alla Tirreno aveva lottato per la maglia dei Gpm, piazzandosi 6° nella classifica

Sullo Stelvio da solo

Albanese leggerà queste parole e ne trarrà la motivazione per stringere ancora i denti. Il ragazzo che a sei anni lasciò Salerno per trasferirsi in Toscana con la famiglia dice che fra un paio di giorni lascerà Livigno e se ne andrà da solo per due settimane sullo Stelvio.

«Qui è bello – dice – e c’è anche la pianura, ma c’è troppa gente. Io non sono un gran chiacchierone, mi piace stare da solo. E lassù potrò pensare solo ad allenarmi. Ci tengo anche io a tornare quello di una volta. Non ho mai perso il gusto di fare fatica, ma la grinta m’era passata, non avendo un ruolo, correndo tutti come isolati. Voglio dimostrare cosa so fare e sono nella squadra giusta. Agli amici di bici.PRO dico di seguirci, vi faremo divertire».

Fignon Tour 1983

Il Tour a un francese? Per Tinazzi è questione di tempo

30.06.2021
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Proviamo a dare un’altra chiave di lettura all’inizio di questo Tour de France, guardando a quella straordinaria passione che la gente ci sta mettendo ai bordi delle strade, anche – purtroppo – eccessiva visto il comportamento di alcuni scriteriati. Da che cosa deriva? Forse da un sempre più forte e quasi inconscio desiderio di tornare a gioire per un “galletto” capace di svettare nella corsa più famosa al mondo e nell’evento sportivo più sentito oltrAlpe.

E’ dai tempi della rivalità fra il vecchio Bernard Hinault e Laurent Fignon (nella foto d’apertura) che i francesi aspettano: hanno visto passare campioni-collezionisti come Indurain, il fedifrago Armstrong, Froome; hanno applaudito imprese di campioni come Pantani e Nibali mandando giù bocconi amari considerando la rivalità che ci ha sempre diviso con i “cugini”. E sono ancora là ad aspettare: perché?

Tinazzi 2021
Marcel Tinazzi, 67 anni, è stato pro dal 1977 all’86, vincendo il titolo francese al suo primo anno
Tinazzi 2021
Marcel Tinazzi, 67 anni, è stato pro dal 1977 all’86, vincendo il titolo francese al suo primo anno

Tinazzi è titolare dal 1986 di un importante azienda di abbigliamento sportivo, la MSTina, nata sull’onda di un’idea che il corridore francese aveva avuto negli ultimi anni di carriera, pensando a una maglia con zip integrale. Oggi tra i suoi testimonial c’è anche Gabriele Benedetti, neocampione italiano under 23 per il quale la MSTina ha firmato la nuova maglia tricolore, ma torniamo al nostro tema. Tinazzi, vecchio gregario di Fignon come di Sean Kelly, ha un’idea molto precisa.

«Il ciclismo odierno è molto diverso da quello dei miei tempi perché noi correvamo da febbraio a ottobre – afferma l’ex corridore italofrancese – oggi non ci si ferma mai, ma apparentemente, perché i corridori scelgono i loro obiettivi, si presentano al via ogni volta al 200 per cento, poi finiscono la gara che gli interessa e spariscono per un mese. Devi essere subito pronto, noi iniziavamo a gareggiare che eravamo al 60 per cento della condizione, oggi non puoi permettertelo».

Resta però il fatto che i francesi emergono dappertutto, dalla Mtb al Bmx, ma non nel settore che più interessa alla gente…

La federazione, soprattutto sotto la guida di Lappartient, ha fatto un grande lavoro a livello giovanile e ora stiamo vedendone i frutti. Corridori buoni ci sono, David Gaudu (Groupama FDJ) e Remy Rochas (Cofidis) sono due ottimi prospetti, ma solo il tempo dirà se riusciranno ad arrivare in vetta. Vincere una grande corsa a tappe è difficile, perché devi reggere per tre settimane: Pinot, Barguil sono ottimi corridori, lo stesso Bardet avrebbe tutto per vincere il Tour, ma mancano di quel qualcosa che li fa essere sul pezzo dall’inizio alla fine.

Rochas 2021
Remy Rochas, 25enne della Cofidis sul quale Tinazzi è pronto a scommettere
Rochas 2021
Remy Rochas, 25enne della Cofidis sul quale Tinazzi è pronto a scommettere
Gaudu ad esempio ha vinto sia Corsa della Pace che Tour de l’Avenir nello stesso anno come Pogacar, ma attualmente sono a livelli ben diversi…

Quando si parla di giovani bisogna capire che non sempre chi ha vinto tanto nelle categorie giovanili poi farà lo stesso da pro’, anzi è più facile il contrario… Io consiglio sempre di non correre troppo prima di passare, perché se sei già tirato arrivi spremuto e poi è difficile emergere. Poi bisogna considerare anche che nel ciclismo di adesso è tutto esasperato, non ci si diverte più.

Nei mitici anni Ottanta ci si divertiva di più, allora…

Enormemente. Finita la corsa eravamo tutti amici, De Vlaeminck e Maertens erano un fiume di scherzi. Poi, quando si saliva in bici, si lottava allo stremo, ma al di fuori era come il terzo tempo nel rugby. Oggi invece ognuno sta per conto suo, con cuffiette e smartphone, ognuno fa i suoi programmi di allenamento, ognuno guarda l’altro in cagnesco. Non mi piace. 

E’ chiaro che è un’altra epoca, anche dal punto di vista economico…

Esatto: quando finirono la loro carriera, gli stessi Merckx e Gimondi si misero a lavorare. Oggi basta qualche vittoria e hai svoltato, guadagni in quei 4-5 anni quanto ti basta per compare qualche appartamento e vivere di rendita.

Alaphilippe Tour 2021
Alaphilippe in giallo il primo giorno del Tour: l’epilogo potrebbe essere dello stesso colore?
Alaphilippe Tour 2021
Alaphilippe in giallo il primo giorno del Tour: l’epilogo potrebbe essere dello stesso colore?
Finirà questa lunga attesa di un francese vincitore del Tour?

Io ne sono sicuro. Il ciclismo vive di cicli: il Belgio dopo Merckx ha sofferto, l’Olanda si sta riprendendo ora dopo il periodo di Raas e Knetemann, l’Italia vinceva tutto nelle classiche con Bartoli e Bettini, insomma verrà anche il nostro periodo.

E Alaphilippe, ha fatto bene a rinunciare alle Olimpiadi per puntare alla maglia gialla?

Al mondo d’oggi, ci sono talmente tante gare che una in meno ti cambia poco. Julian due anni fa non ci andò poi così lontano, solo che alla fine non aveva più la squadra perché si era logorata nel controllo con lui in giallo. Ha fatto bene a lasciare la maglia a Van Der Poel, per me qualche possibilità di vincere ce l’ha…

Tappa e maglia, storia di un successo nato dal dolore

27.06.2021
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Immenso Van der Poel, cos’altro vuoi dire? E immenso ancora di più alla luce delle cose successe ieri. Dell’insuccesso e delle critiche, che a volte sono troppo frettolose. Ma si diceva anche stamattina, Mathieu impara in fretta e in quello scatto rabbioso e nella tattica di tutta la giornata c’è stato tanto dei ragionamenti della serata scorsa, davanti al dolore dei suoi compagni e quello che lo scavava nell’animo.

E alla fine per Mathieu è arrivata la maglia gialla promessa a suo nonno Poulidor
E alla fine per Mathieu è arrivata la maglia gialla promessa a suo nonno Poulidor

Eroico “Sbara”

Kristian Sbaragli divide la stanza con l’olandese e quando ieri sera si sono ritrovati a commentare la tappa andata male, non c’è stato bisogno di troppe parole. Mathieu l’ha guardato e ha visto il compagno che avrebbe dovuto tenerlo davanti nel finale con 4 punti sul mento, le labbra aperte internamente perché nella caduta ha battuto i denti (e per fortuna non li ha rotti) e contusioni al costato e al ginocchio. Un quadro di dolore. Kristian non ha neppure cenato se non con qualcosa di liquido, eppure stamattina alla partenza ha messo nei pedali tutto quello che gli restava in corpo, resistendo alla tentazione di mollare.

L’idea della fuga

La Alpecin-Fenix sta tornando in pullman verso l’hotel e le parole di Sbaragli sono le prime, perché lo sforzo della tappa gli ha decongestionato le labbra e adesso riesce a parlare.

«Stamane – dice – siamo partiti per vincere. Come squadra avevamo il compito di fare il massimo perché Mathieu prendesse il muro nella posizione giusta. Poi negli ultimi chilometri, quando sta bene… lui è lui. Per come è andata ieri avevamo solo tanto rammarico, così stamattina s’è parlato di fare quel che poi s’è fatto. L’attacco al primo passaggio doveva servire a portare via un gruppettino e inventarsi una tappa diversa, ma alla fine sono venuti quei secondi di abbuono ed è andata bene lo stesso».

Oltre il dolore

Lui è lui. In queste sette lettere c’è la devozione del gregario e insieme il riconoscimento di una forza e una classe che tutto il gruppo è andato a tributare a Van der Poel dopo l’arrivo. Alaphilippe si è fermato. E come ieri Mathieu si era congratulato con lui, oggi il francese è andato a riconoscergli la superiorità di giornata. Poi è arrivato Pogacar, che l’ha abbracciato a lungo, come si fa con un grande avversario nei cui confronti hai anche e soprattutto stima.

Sul traguardo Pogacar si volta. Roglic è in scia, Alaphilippe poco dietro
Sul traguardo Pogacar si volta. Roglic è in scia, Alaphilippe poco dietro

«Non stavo bene per niente – riprende Sbaragli – avevo dolore da tutte le parti, ma toccava nuovamente a me e così sono partito con l’idea di vedere per strada come stavo. La squadra mi ha chiesto di fare il massimo. Non ho avuto grandissime gambe, ma ho dato tutto e anche altro. La pressione in questi giorni s’è sentita, anche se come squadra non abbiamo più tantissimo da dimostrare. Siamo concentrati, perché il Tour è lungo, ma siamo anche ben preparati, perché chi è qui ci sta lavorando da gennaio. L’obiettivo era vincere una tappa, la maglia gialla è stata la ciliegina sulla torta. Certo che Mathieu sentiva questo fatto di suo nonno Poulidor e ha sentito anche le critiche. Hanno parlato di fallimento, ma ieri è pur sempre arrivato a 8 secondi, avendo perso i compagni per una caduta. I campioni si riconoscono anche per queste reazioni. Invece le critiche per noi sono diventate benzina».

Sera di festa

Mathieu raggiungerà l’hotel più tardi in ammiraglia, essendo rimasto fermo con il protocollo, le interviste in zona mista e poi l’antidoping. Vederlo indicare il cielo e crollare in lacrime ha dato la misura di quanto siano grandi e potenti le motivazioni che animano un atleta e di come dietro certe imprese ci siano ancora il bambino, la famiglia, il nonno, le parole e i racconti di una vita.

«E allora stasera un po’ si farà festa – dice Sbaragli – niente di clamoroso, ma il brindisi ce lo siamo proprio meritato. Domani proveremo a vincere ancora con Merlier in volata, dovremo essere concentrati, ma la tappa e la maglia gialla valgono un festeggiamento. Io per fortuna non ho niente di rotto e adesso spero che il dolore passi e di riprendermi bene nei prossimi due, tre giorni. Non è iniziato bene questo Tour, ma sono convinto che possa cambiare. E giornate come questa aiutano parecchio».

E mentre Sbaragli raccontava e Van der Poel si sottoponeva a rituali e controlli, Alaphilippe molto deluso lasciava a bocca asciutti i cronisti in attesa, con tanto di scuse del suo addetto stampa che è riuscito provvidenzialmente a registrarne alcune battute. Tanto è dolce e toccante la vittoria, per quanto può essere beffarda la resa. E’ la storia del Tour, una delle tante maestose storie del ciclismo. Domani, potete scommetterci, saranno di nuovo qui per provarci ancora.

Van der Poel si brucia alla fiamma del Tour, ma oggi ci riprova

27.06.2021
4 min
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Ha poggiato la mano sulla spalla di Alaphilippe, poi è franato sul manubrio. Mathieu Van der Poel non ci gira intorno, per cui le sue prime parole sono state nette: «Non avevo gambe, la storia è semplice».

Un’eredità scomoda

Sembrava tutto perfetto. La Fosse aux Loups era un insolito Qwaremont da assalire per arrivare a giocarsi il Fiandre. Invece la magia non si è ripetuta e la favola della vittoria e della maglia gialla da dedicare a suo nonno Raymond Poulidor, per la quale l’Uci aveva consentito il cambio di maglia, si è infranta su quell’ultima salita. Come se la maledizione del nonno si fosse abbattuta anche sule spalle del nipote. C’è poesia anche in questo. Poesia e le necessarie analisi, perché non accada di nuovo.

Il primo Tour è una centrifuga, con pressioni e trappole che non si vedono. Come nella prima Roubaix, come in ogni posto in cui i segreti sono più delle evidenze. Però una certezza c’è: Mathieu impara molto in fretta e ieri sera avrà già capito il suo errore.

Giro di Svizzera al top, non c’è partita fra Vdp e Alaphilippe
Giro di Svizzera al top, non c’è partita fra Vdp e Alaphilippe

Posizione sbagliata

Che cosa ha sbagliato Van der Poel? Basta riguardare il film della corsa e incrociarlo con le sue parole dopo l’arrivo. Il segreto del finale di tappa lo aveva raccontato ieri Hirschi, anche se pure allo svizzero è andata piuttosto male. Si arrivava all’attacco della salita della Fosse aux Loups dopo una discesa piuttosto veloce da una località di nome Le Stum. Da quel punto e fino alle prime rampe del finale, serviva avere accanto dei compagni in grado di tenerti davanti e poi di lanciarti. Una strategia che Alaphilippe ha attuato alla perfezione. Tanto che in fondo alla discesa, il francese era già in terza ruota con Asgreen e Devenyns pronti a fare la loro parte. Van der Poel invece era intorno alla 30ª posizione.

Alla partenza della prima tappa, tutti gli occhi su Mathieu
Ma la squadra dov’era? La Alpecin non ha retto il confronto con la Decuninck-Quick Step

Recupero prodigioso

Il ragazzo è un portento, non c’è molto altro da dire. Scorrendo le immagini si vede infatti che in una ventina di secondi riesce a risalire in quinta posizione, ma non osiamo immaginare a prezzo di quali energie. Da quel momento e fino all’arrivo, la corsa diventa una prova di apnea e se il cuore pompa già al doppio dei battiti, non sono i circa 30 secondi di recupero che Van der Poel riesce a concedersi a dargli il tempo di recuperare.

«Alaphilippe ha attaccato nella parte più ripida – racconta – il punto perfetto per lui, esattamente dove me lo aspettavo. Il piano era di seguirlo, ma le mie gambe erano sparite. Sono scoppiato, impossibile seguire Julian».

Ma la squadra dov’era? La Alpecin non ha retto il confronto con la Decuninck-Quick Step
Ma la squadra dov’era? La Alpecin non ha retto il confronto con la Decuninck-Quick Step

Doppio fuorigiri

Il ragazzo è un portento, lo ribadiamo. E piuttosto che arrendersi, decide di scoppiare un’altra volta. Se sei abituato alle strappate del cross, cosa vuoi che sia un altro fuorigiri nel giro di così poco tempo? Succede infatti che alle spalle di Alaphilippe si muovano le due star del Tour, Pogacar e Roglic, evidentemente intenzionati a lottare anche per le briciole. E Van der Poel ci riprova, ma ancora una volta le gambe e il cuore, soprattutto il grande cuore che nei giorni scorsi si era caricato di sentimenti e di pressioni invisibili e infide, gli dice basta.

«Ha pensato tanto a suo nonno – dice il suo addetto stampa – non so quanto sia stato pesante. Ha detto che oggi cercherà di farlo il meno possibile. Se ieri è stata una giornata condizionata dai nervi, allora oggi proviamo a essere più leggeri. Se sono state le gambe, allora per Mathieu il favorito sarà nuovamente Alaphilippe. Le tappe si somigliano molto».

Si apre con Alaphilippe e il suo ciuccio sulla riga. Ma certi tifosi…

26.06.2021
6 min
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La scena più emblematica di questa prima tappa del Tour 2021, più ancora delle due cadute e del fare l’appello dei feriti e di quelli che hanno già dovuto alzare bandiera bianca, si vede poco dopo l’arrivo. Alaphilippe si è già fermato e ha abbracciato i primi compagni, quando dalle sue spalle arriva Van der Poel. L’olandese avrebbe dedicato la tappa e la maglia gialla a suo nonno Raymond Poulidor, ma nulla ha potuto quando il campione del mondo ha preso il largo. Così Mathieu si ferma due metri dopo Alaphilippe e piegato sul manubrio ripassa la grandezza dell’avversario. Mentre il francese, che aveva a sua volta in animo la dedica per suo figlio appena nato e per questo è passato sulla riga con il pollice come un ciuccio per bambini, si gode il successo e la maglia gialla.

Fermi a due metri di distanza: Alaphilippe in paradiso, Van der Poel nel rammarico
Fermi a due metri di distanza: Alaphilippe in paradiso, Van der Poel nel rammarico

«Questa è una vittoria così speciale – dice Alaphilippe, con la gamba destra sporca di sangue e grasso – che non riesco a trovare le parole per dire come mi sento. Prima di tutto, voglio dire un grande grazie a tutti i miei compagni per essersi presi cura di me oggi e per aver mostrato uno straordinario spirito di squadra. Sono stato coinvolto in quella prima grande caduta, ma con il loro aiuto sono tornato in gruppo. Hanno creduto in me, hanno lavorato sodo tutto il giorno e sono felice di poterli ripagare»

Tifosi allo sbando

Era atteso e ha risposto presente. Alaphilippe ha vinto la prima tappa del Tour a Landerneau, battendo Matthews e Roglic. Lo ha fatto a modo suo, con quella creatività di cui aveva parlato il manager del team Patrick Lefevere e chiudendo con l’atteso gesto del ciuccio sulla riga. Ha attaccato a 2,2 chilometri dall’arrivo sulla salita di Fosse aux Loups (3 chilometri al 5,7 per cento), ultimo scoglio della tappa lunga 197,8 chilometri.

La Bretagna e le sue pietre hanno accolto il Tour alla grande
La Bretagna e le sue pietre hanno accolto il Tour alla grande

In una cornice finalmente di grande pubblico, quello di cui non si sentiva la mancanza era l’irresponsabilità dei tifosi, invece il Tour è partito nel segno della caduta provocata da un irresponsabile munito di cartello che, per ottenere un’inquadratura memorabile, ha falcidiato tutto il gruppo. Che adesso venga identificato e risponda penalmente e civilmente dei danni arrecati!

Froome malconcio

Gruppo nervoso e numeroso, strade strette. La prima caduta si è verificata in cima alla collina di Saint-Rivoal. Tony Martin ha urtato troppo a lato della carreggiata il cartello del suddetto spettatore, trascinando nella sua caduta gran parte del plotone. Diversi corridori sono finiti a terra. Fra loro il campione italiano Sonny Colbrelli e quello belga Wout Van Aert, che ha dovuto inseguire a lungo prima di rientrare. Il più malconcio, Jasha Sutterlin, è stato il primo a doversi fermare: il primo ritirato del Tour.

E mentre sembrava tutto lanciato verso il gran finale, con Ide Schelling ripreso a 28 chilometri dal traguardo, ai meno otto si è verificata un’altra caduta molto impressionante soprattutto perché si è verificata a velocità particolarmente elevata. Fra coloro che hanno subito l’urto più violento, sicuramente Chris Froome e Marc Hirschi, rivelazione del Tour 2020, che come raccontava stamattina puntava alla tappa e alla maglia gialla.

Il bollettino del Team Uae Emirates parla per Hirschi di una lesione del legamento della spalla, che è uscita, e si valuterà domattina se farlo ripartire.

Si decide in salita

Passato lo shock della caduta, la salita di Fosse aux Loups ha fatto ciò che ci si aspettava. E mentre tutti invocavano l’attacco Van der Poel e Van Aert, Julian Alaphilippe ha fatto vedere che al Giro di Svizzera non aveva ancora la gamba che voleva. Il campione del mondo ha attaccato sulle pendenze maggiori, lasciando sul posto gli avversari. Pogacar e Roglic hanno provato a inseguirlo, ma il francese, che ha percorso gli ultimi 500 metri della salita a 42,6 km/h, ha potuto assaporare la vittoria sulla linea. E ha preso la maglia gialla.

Cattaneo ha lavorato sodo e sul traguardo la vittoria è anche sua
Cattaneo ha lavorato sodo e sul traguardo la vittoria è anche sua

«Oggi il piano – dice dopo aver mimato sulla linea il gesto del ciuccio – era di rendere la gara difficile per gli uomini veloci, quindi ho chiesto ai ragazzi di andare a tutto gas fin dall’inizio. Poi, nel finale, Devenyns ha finito il suo sforzo e io sono decollato. Appena ho notato un piccolo vantaggio, ho continuato a tirare. Ho saputo di aver centrato la centesima vittoria di tappa in un grande Giro nella storia di questa squadra e tutto quello che posso dire è che sono orgoglioso di farne parte».

Ci salva Nibali

Nibali è stato come spesso gli accade il primo degli italiani. Avendo deciso di mettersi alla prova proprio nelle frazioni di apertura, il siciliano è passato indenne attraverso le tensioni del gruppo.

E così Alaphilippe ritrova la maglia gialla, indossata brevemente lo scorso anno e più a lungo nel 2019. Quel ciuccio era la dedica a suo figlio Nino
E così Alaphilippe ritrova la maglia gialla. Ha dedicato il successo al figlio Nino, mimando il ciuccio

Fra i corridori di classifica che hanno pagato il conto più saltao, Michael Woods è passato sul traguardo con 8’49” di ritardo mentre Froome alla fine è passato con 14’37”.

Miguel Angel Lopez è caduto la prima volta, poi è rientrato ed è caduto ancora, chiudendo a 1’49” con Martin e Kruijswijk. Valverde ha subito 5’33” mentre il compagno Marc Soler è scivolato addirittura a 24’38”. E’ andata meglio a Carapaz, che è finito nel secondo gruppetto ad appena 30″ da Alaphilippe. Il Tour è davvero cominciato con un Alaphilippe selvaggio e insieme tenero, mentre tagliava il traguardo con quel ciuccio. Peccato soltanto che per l’irresponsabilità di un imbecille, per altri la corsa sia già finita.

Bettini e i Giochi: Nibali lo porterei, Alaphilippe sbaglia di grosso

22.06.2021
6 min
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Paolo Bettini è nel pieno della sua stagione di testimonial, tra la Sportful Dolomiti Race cui ha preso parte lo scorso weekend e la Maratona dles Dolomites che bussa alle porte. Parallelamente anche la stagione dei professionisti si avvia verso il momento più caldo, con il Tour de France che lancerà le Olimpiadi. E proprio per questo, tornando alla scelta di Alaphilippe di mettere da parte di Giochi in favore della sfida francese, siamo andati a scovarlo nel suo buen retiro toscano, con una serie di domande perfette per il toscano che è stato campione del mondo e campione olimpico e che poi ha guidato la nazionale italiana alla sfida di Londra 2012. Si parte dal commento di Argentin, raccolto nei giorni scorsi, per cui Alaphilippe farebbe bene a non andare alle Olimpiadi e puntare tutto sulla maglia gialla.

Lefevere può aver avuto la sua parte nella scelta di Alaphilippe
Lefevere può aver avuto la sua parte nella scelta di Alaphilippe

«Rispetto ad Argentin – comincia Bettini – io ho fatto le Olimpiadi e fossi Alaphilippe farei il Tour in funzione di Tokyo. Al Tour, se va bene fa quinto. A Tokyo, se va bene vince, oppure va sul podio e sempre di medaglie olimpiche parliamo. Le Olimpiadi non sono ciclismo, sono sport. Mi diverto ancora ad andare in giro con la mia medaglia, perché ti tira fuori dal solito mondo. Le relazioni che ci legano, con i vari Iuri Chechi, Aldo Montano, Antonio Rossi, Valentina Vezzali sono particolari. Ci vediamo poco, ma quando succede siamo come fratelli».

Questo è il messaggio che sembrava essersi affermato dopo la tua vittoria, forse però il Covid ha accentuato le esigenze degli sponsor…

Infatti il problema potrebbe essere proprio questo. Alaphilippe è ancora con Lefevere ed è comprensibile soprattutto in questo periodo che gli sponsor si facciano sentire. Ma nonostante questo, il fatto che lui punti al Tour è un azzardo. Vogliamo fare l’elenco di quelli che vivono per il Tour e che possono fare meglio di lui? Al contrario, sempre valutando bene il percorso, Tokyo si addice alla perfezione a un corridore come lui, più che a un Bettini…

Sul podio dei Giochi di Atene 2004 con Paulinho e Merckx, anche Bettini correva con la Quick Step
Sul podio dei Giochi di Atene 2004 con Paulinho e Merckx, anche Bettini correva con la Quick Step
Sicuro?

Se punta al Tour, vuol dire che sulle salite dure si sente forte. E se arriva in volata in una corsa come quella, a poterlo battere ne vedo pochi. Forse Pogacar, già su Roglic avrei delle riserve. La Liegi 2020 gliel’ha regalata lui alzando le braccia 20 metri prima della riga, credendo di essere da solo. Ce l’ha un po’ come abitudine, ma non è detto che ci ricadrebbe.

Non è strano è che Voeckler, cittì francese, non abbia detto nulla?

Bisogna vedere quanto sia importante il ciclismo ai Giochi per il comitato olimpico francese. Certo che se poi Alaphilippe al Tour dovesse fare flop, non ne uscirebbe benissimo. Voeckler magari se lo deve tenere buono per i mondiali, ma la sensazione è che il ciclismo non abbia colto appieno la portata delle Olimpiadi. Paulinho è un ciclista, ma sull’argento di Atene ci si è costruito la carriera.

Da Alaphilippe che rinuncia, si passa alla querelle su Nibali: come la vedi?

La verità bisogna conoscerla, sanno Vincenzo e Cassani che cosa si sono detti (i due sono insieme nella foto di apertura al Tour che lanciava i Giochi di Ri 2016, ndr). Le convocazioni olimpiche non hanno gli stessi meccanismi di un mondiale. Ci sono tempistiche diverse e i tecnici devono consegnare al Coni relazioni sugli atleti convocati e quelli esclusi. E’ un percorso lungo, tanto che quando prima di Londra esplose Moser, vincendo il Giro di Polonia, e tutti lo volevano alle Olimpiadi, non potei inserirlo un po’ perché non rientrava nel mio progetto e un po’ perché non faceva parte della lista dei Probabili Olimpici.

Relazioni sugli esclusi, come mai?

Sì, perché l’atleta può fare ricorso, per cui se lasci a casa qualcuno, devi motivarlo. Non è come negli altri sport, in cui la convocazione è personale.

Alaphilippe_Roglic_Hirschi_Liegi2020
Roglic infila Alaphilippe alla Liegi del 2020, ma il francese ha alzato le braccia troppo presto
Alaphilippe_Roglic_Hirschi_Liegi2020
Roglic infila Alaphilippe alla Liegi del 2020, ma il francese ha alzato le braccia troppo presto
Tu Nibali lo porteresti?

Lo metterei dentro a prescindere e poi mi prenderei tutto il tempo per valutare. Vincenzo ha fatto Pechino, Londra e Rio. Uno che ha fatto tre Olimpiadi ha un’esperienza rara. A Pechino era al debutto, fu convocato per fare la corsa dura ed eravamo ancora dentro la città quando attaccò sul primo cavalcavia e rimase fuori tutto il giorno. Ai Giochi di Londra lo portai per aiutare. Disse: «Per la maglia azzurra faccio qualsiasi cosa». Il percorso era quello che era e la federazione voleva dimostrare che si poteva puntare sulla multidisciplina e che Viviani poteva fare pista e strada, altrimenti si sarebbe potuto mettere dentro Moser e fare corsa dura con Vincenzo. Ma ci sono piani e impegni e andò così. E poi a Rio ha quasi vinto. Uno così è un riferimento tutta la vita, anche solo per le cose che potrebbe raccontare alla vigilia

Può essere un elemento di disturbo nei piani del tecnico?

A due settimane dai mondiali di Zolder mi capitò di battere in volata Cipollini. Si rischiava di rompere l’equilibrio, per cui Franco (Ballerini, ndr) venne a chiedermi se mi sarei messo di traverso, ma lo rassicurai dicendogli che sarei stato ai patti. Il corridore che dà la parola fa così. La stessa cosa poteva succedere proprio con Nibali a Geelong, il mio primo mondiale da tecnico…

Nibali debuttante a Pechino fece anche la crono
Nibali debuttante a Pechino fece anche la crono
Perché?

Stava vincendo la Vuelta. Avevo paura che avrebbe avuto un calo di tensione e che il viaggio intercontinentale lo avrebbe spompato, In più c’era da allenarsi in Australia per parecchio tempo prima della corsa. E così gli chiesi se non fosse meglio restare in Italia a godersi la Vuelta. Sapete cosa mi rispose: «Non preoccuparti di me, faccio quello che serve. La maglia azzurra è troppo importante». Per portarlo rimase fuori Bennati, che non la prese bene, ma questo è il ruolo del tecnico.

Martini diceva che il momento peggiore era comunicare le esclusioni.

E’ vero ed è il motivo per cui è fondamentale parlare tanto con gli atleti. Loro magari la interpretano come una cosa personale, poi però si rendono conto che ogni parola forma il piano della nazionale. L’ambizione dei singoli c’è e va mantenuta, ma devi far capire gradualmente che si va per un obiettivo superiore. Se poi capita l’occasione…

L’ottimo rapporto con Ballerini, portò a Paolo i Giochi del 2004 e 2 mondiali (2007-2007)
L’ottimo rapporto con Ballerini, portò a Paolo i Giochi del 2004 e 2 mondiali (2007-2007)
Porta socchiusa?

Il difensore della squadra di calcio sa che se ferma l’attaccante avversario e lancia la sua punta che fa goal, alla fine ha vinto anche lui. Nel ciclismo puoi tirare per tutto il giorno senza che nessuno ti veda e alla fine magari vincer Bettini. E c’è una bella differenza, sia psicologicamente sia materialmente.

Tu Nibali lo porteresti comunque…

Per quanto possa andare piano, ti fa 180 chilometri bene, per questo è una garanzia. Mentre non può essere portabandiera, come ha suggerito Cipollini, perché per farlo devi aver vinto una medaglia. Perciò, orgogliosi di Viviani e fieri di avere un riferimento come Nibali.