Correre da pochissimi anni, iniziare non certo da ragazzina e ritrovarsi nel grande ciclismo in men che non si dica. E’ la storia di Erica Magnaldi, cuneese in forza alla Ceratizit-Wnt Pro Cycling. Secondo molti, ma anche secondo i numeri, l’atleta piemontese è forse la scalatrice pura più forte che abbiamo in Italia. Il ricordo che abbiamo di lei fu di vederla spuntare tra le grandi a Le Grand Bornand, in occasione de La Course. Era il 2018 e nello stesso arrivo del Tour dei colleghi uomini, spuntò questo scricciolo tra le giganti del pedale e il tifo… da Tour.
Ma se la sua storia con il ciclismo è giovane, quella con le montagne, le salite e la fatica ha radici ben più profonde.
Erica è così? Sei la scalatrice più forte d’Italia?
Sicuramente sono tra le poche scalatrici italiane. Ma c’è da dire che Elisa Longo Borghini è molto forte anche in salita. Non è facile batterla quando la strada sale, anche se lei non è una scalatrice pura. Io me la cavo quando la salita è dura. Dal 10 per cento in su.
Viste queste tue doti per la salita ti hanno mai paragonato a qualcuna o a qualcuno. O tu stessa ti ispiri a qualcuno?
Potrei essere una Roglic perché la mia è una storia un po’ particolare.
E qual è questa storia?
Venivo dallo sci di fondo. Ho iniziato a sciare a tre anni sulle piste della Valle Stura e di Pragelato e a sei già gareggiavo. E così è stato fino ai 20 anni. Poi ho iniziato a studiare Medicina e ho lasciato il fondo, nonostante fossi arrivata a livelli importanti. Ma lo sport mi mancava. E visto che mio papà Fulvio e mio fratello Mattia (che è stato anche U23) pedalavano, iniziai ad andare con loro. Il ciclismo quindi si respirava in casa nostra. Ma la mia storia con l’agonismo in sella è nata quasi per caso.
Raccontaci…
Pedalavo e vedevo che andavo bene. Ho iniziato a fare e a vincere anche qualche gran fondo. Mi sono accorta che in salita andavo forte e qualche squadra mi contattò. Ma a quel punto prima di passare tra le elite ho aspettato di laurearmi. Per fare il medico avrei avuto tempo tutta la vita, ma avrei dovuto prima finire di studiare. E così è andata. Avevo 25 anni. Per questo dico che potrei paragonarmi a Roglic, come lui vengo dalla neve. Sono stata un po’ troppo ambiziosa me ne rendo conto! Ne devo fare di strada per arrivare al suo livello!
Che gran fondo avevi fatto?
Ne ho fatte diverse. Molte nelle mie zone, in Piemonte. Inoltre ho vinto la Maratona delle Dolomiti tre volte, la Fausto Coppi…
E come sei arrivata al ciclismo delle elite?
Grazie al contatto con un cicloamatore che conosceva Walter Zini, diesse della BePink. Era il 2017 e loro stavano andando al Tour de l’Ardeche, un’importante corsa a tappe. Gli mancava un’atleta e Walter mi chiese se me la sentivo di andare con loro in Francia. Io provai e andai anche bene. Insomma ho iniziato subito con una corsa grande! E così per il 2018 firmai con loro.
Hai iniziato tardi, ma sei già nel grande ciclismo: come hai fatto?
Credo che l’aver fatto per tanti anni uno sport aerobico come il fondo mi abbia dato una buona base e non ci ho messo molto ad abituarmi alle gare più dure. E me ne sono accorta soprattutto al primo anno con la BePink. Poi sono passata alla Ceratizit nel 2019. Qui mi trovo bene. Io non so quanti anni potrò ancora fare questa vita e ho colto l’occasione di vivere un’esperienza internazionale, imparare nuove lingue. Adesso per esempio sono in ritiro a Calpe, Spagna. Oggi (ieri per chi legge, ndr) abbiamo finito tardi tra shooting fotografici e allenamenti. E prima ancora eravamo state a Gran Canaria al caldo. Lo ammetto, con tutta la neve che è caduta quest’anno un po’ mi è dispiaciuto partire, perché avrei continuato a sciare volentieri. Quando vedo la neve a bordo strada, lo sci di fondo mi chiama…
Beh, il fondo è un bell’allenamento. Ne abbiamo parlato anche con Trentin…
Sì, è compatibile con il ciclismo.
Qual è stata la difficoltà maggiore nell’approccio al grande ciclismo? Scommettiamo lo stare in gruppo!
Esatto – esclama la Magnaldi – Quella è stata la difficoltà maggiore ed è ancora la mia grande debolezza. Non ho quella malizia di chi è nata e cresciuta in bici. Devo imparare a limare, a stare davanti senza spendere troppe energie, ma sto migliorando dai… Però sì: quello è stato un vero shock!
Proprio perché hai iniziato tardi hai grandi margini: Van Vleuten, Longo Borghini, Van der Breggen sono irraggiungibili oppure stai lavorando per raggiungerle?
Sto lavorando per raggiungerle. Gli obiettivi devono essere ambiziosi. Mi è capitato in qualche gara, in cui magari non erano in forma, di batterle. Non dico che siano inarrivabili, ma di certo sono lontane. So di avere margine (Erica è del 1992, ndr) e mi consola sapere che anche la Van Vleuten non ha iniziato prestissimo. Avere la possibilità di stare vicino a loro e vedere che fanno fatica… mi dà soddisfazione.
E come stai lavorando per ridurre questo gap?
Questo inverno ho fatto una buona base, ho fatto più ore, più forza e soprattutto più cambi di ritmo, la cosa che mi mancava di più. Non ho lavorato troppo sulle salite lunghe, anche perché quelle le incontriamo solo al Giro. Ho lavorato per quelle che durano dai due ai quattro minuti, le più frequenti.
E li senti i miglioramenti? I numeri cosa dicono?
I watt aumentano, ma credo sia anche un qualcosa di fisiologico. Ho iniziato che facevo 9.000 chilometri l’anno, poi 18.000 alla prima stagione da elite, poi 21.000. E lo scorso anno, nonostante il lockdown, ne ho fatti 26.000. Vedo la gamba che sta cambiando anche nella forma.
Chi ti segue?
Il mio attuale preparatore atletico e fidanzato è Dario Giovine, conosciuto sugli sci anni fa, anche lui era un fondista. E anche lui è stato un dilettante e ha fatto un anno in una Continental. E’ Dario che decide quanto debba soffrire negli allenamenti!