Si parte. Da Firenze a Rimini: Pogacar e la UAE già favoriti?

29.06.2024
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FIRENZE – Mancava una notte al via del Tour de France numero 111 e con Joxean Fernandez Matxin si parlava della prima frazione dell’indomani, cioè oggi. Da Firenze a Rimini: 206 chilometri, quasi 3.700 metri di dislivello, un’infinità di curve e salite e 176 corridori imbizzarriti (in apertura foto Instagram – @alenmilavec).

Chiaramente il tecnico della UAE Emirates pensava alla corsa dei suoi ragazzi e di Pogacar in particolare. Il clima era sereno e disteso. I corridori erano rilassati. Qualcuno era in camera, Almeida parlottava nella hall con il suo manager… Solo Auyso si gironzolava con un velo di tensione, vestito da corridore e gli scarpini in mano.

Con Matxin si studia la prima frazione
Con Matxin si studia la prima frazione
Matxin, si riparte. Un’altra super sfida vi attende. Come è andato questo mese tra Giro e Tour?

Bene, veramente bene. Soprattutto per la soddisfazione di un Giro d’Italia splendido, che è andato come volevamo, di una settimana di riposo molto tranquilla ed importante per Tadej e anche per le tre settimane successive di lavoro. Un lavoro molto intenso, di qualità. 

Quindi arrivate a questo Tour come volevate?

Sì, abbiamo fatto un test questa settimana ed è stato perfetto. E questo ha dato ulteriore tranquillità a tutti. Anche i compagni dicono che Tadej va forte. C’è un bel gruppo. Davvero le cose vanno bene.

Firenze-Rimini: tutti aspettano una vostra azione, il che è anche giusto sapendo che Vingegaard potrebbe non essere al top. Che corsa possiamo attenderci da parte vostra?

Abbiamo un piano chiaramente. E non lo abbiamo solo per domani ma per tutte le tappe: quando corriamo per fare risultato, quando per difenderci, quando dobbiamo cercare di vincere, per tenerci lontano dalla guerra dei velocisti…

Non ti scopri! Van der Poel potrebbe essere un alleato verso Rimini?

Certo, lui ma anche Van Gils, Bettiol che è in grande forma e viene dalla vittoria del campionato nazionale… ce ne sono parecchi che possono vincere. E prendere la maglia…

Da Firenze a Rimini: 206 km (più 16,4 di trasferimento). Una prima tappa molto dura
Da Firenze a Rimini: 206 km (più 16,4 di trasferimento). Una prima tappa molto dura
Avere attaccato nella prima tappa del Giro è stata un’esperienza importante anche per questa prima tappa del Tour? Una sorta di test?

E’ diverso. Al Giro c’era un finale più esplosivo. Si decideva tutto sullo strappo di San Vito e sapevamo che era quello e basta. Che era il posto giusto per attaccare e lì infatti si è fatta la selezione… però non abbiamo vinto!

Però Tadej l’altro ieri ha detto: «Al Giro abbiamo attaccato il primo giorno e poi è andata bene»…

Ma questa è una tappa diversa. Più lunga, più dura. Ci sono diversi punti in cui si può fare la differenza. Si farà di certo la selezione in precedenza. Magari l’ultimo strappo di questa prima frazione non sarà tosto come quello di Torino o così decisivo, però le salite che si fanno in precedenza sono più dure. E in generale è più dura l’altimetria, senza contare che sono più di 200 i chilometri da fare. Ed è anche una frazione più complicata da gestire perché ci sono tante curve.

Avete fatto la ricognizione mercoledì scorsa: ne è emersa qualche scelta tecnica particolare?

Io credo che sarà una corsa da 54-55 e 39-40, davanti e nulla di particolare.

Torino, il forcing di Pogacar sullo strappo di San Vito al Giro. Il canovaccio potrebbe essere lo stesso verso Rimini
Torino, il forcing di Pogacar sullo strappo di San Vito al Giro. Il canovaccio potrebbe essere lo stesso verso Rimini
Oggi nel ciclismo si conta ogni dettaglio. Verso Firenze ci sono da affrontare oltre 16 chilometri di trasferimento, che la tabella oraria del Garibaldi stima in 40′. Questi chilometri vengono considerati nel computo degli zuccheri da reintegrare e dello sforzo in generale?

Certo, soprattutto perché dobbiamo sapere quando avverrà il momento dello sforzo intenso e quindi quando dover mangiare prima di quel forcing. I carboidrati che servono, anche in base ai ritmi che ci saranno in corsa. Le cose cambiano sul momento se si va a tutta o se si dovesse andare tranquilli.

Ci sono quattro team nettamente più forti: voi della UAE Emirates, RedBull-Bora, Ineos Grenadiers e Visma-Lease a Bike. Cosa ti preoccupa di loro e dove invece credi che la tua UAE Emirates sia più forte?

Sappiamo che ci sono squadre importanti. Le studiamo, le analizziamo nel loro modo di correre, vediamo e rivediamo dei video, però non mi sento di parlare di loro. Non mi sembra elegante e non ho sufficienti informazioni per farlo. Preferisco parlare dei miei. Certo, poi sappiamo quali sono i punti di forza e di debolezza di ognuno.

Torniamo e chiudiamo con la frazione di Rimini: arrivo in solitario o di un drappello?

Credo un gruppo piccolo, un massimo di 20 corridori e con gli uomini di classifica davanti.

Isola 2000, con Matxin nei giorni di Pogacar in altura

19.06.2024
6 min
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Le foto su Instagram mostrano un Tadej Pogacar giocherellone e di ottimo umore (in apertura, foto di Alen Milavec). Il ritiro in quota di Isola 2000, il primo della stagione, si concluderà domenica e poi ci sarà giusto il tempo per andare a casa e preparare la valigia del Tour. Il UAE Team Emirates si ritroverà a Firenze da mercoledì e poi, esaurita la trafila delle operazioni preliminari, sapremo quali saranno gli avversari e si aprirà la caccia all’accoppiata Giro-Tour.

Matxin ha raggiunto i suoi ragazzi dopo il Giro Next Gen, dove il devo team ha centrato il secondo posto con Torres alle spalle di Widar. Ci siamo rivolti a lui per farci raccontare che aria tiri in quello spicchio di Alpi Marittime, che per anni furono italiane e solo nel 1947 con Trattato di Parigi passarono alla Francia. Partiamo da Roma e dalla maglia rosa: che cosa ha fatto Pogacar dopo la festa di quella domenica sera?

«Il primo giorno dopo la fine del Giro – ricorda lo spagnolo – Tadej è restato a Roma per diversi impegni con alcuni sponsor. Accordi che ai corridori non piacciono, ma che si devono fare. Martedì invece è tornato a Monaco con Urska e ci è rimasto per una settimana, finché il 4 giugno è andato a Isola 2000. Non so dire esattamente quanto abbia pedalato quella settimana, era libero. Però conosciamo le abitudini del corridore, per cui qualche giretto lo ha fatto di sicuro, ma parliamo di passeggiate, al massimo di un paio d’ore con sosta al bar per un cappuccio. Quello che posso dire è che non è uscito stanco dal Giro, di gambe e tantomeno di testa».

La squadra in posa con la scultura del capricorno di Isola 2000 (foto Alen Milavec)
La squadra in posa con la scultura del capricorno di Isola 2000 (foto Alen Milavec)
A Isola 2000 ha trovato i compagni?

Sì, quelli del gruppo Tour. Quelli che stavano correndo lo hanno raggiunto mano a mano che finivano le corse. Oggi per esempio (ieri per chi legge, ndr), è arrivato Adam Yates. Nils Politt non c’è perché va a fare i campionati nazionali, però ci sono anche Ayuso, Soler, Pavel Sivakov, Tim Wellens e Almeida. E quando siamo stati al completo, abbiamo fatto la riunione pre Tour.

Gli allenamenti a Isola 2000 sono stati subito a buon ritmo?

No, noi facciamo sempre attenzione con tutti i corridori a fare i primi tre, quattro giorni in modo tranquillo, perché possano adattarsi all’altura. Poi certo anche Tadej ha il suo programma e ha iniziato a seguirlo.

Siete riusciti a vedere anche qualche tappa del Tour?

Abbiamo visto le ultime quattro, partendo quasi sempre in bici dall’hotel. A volte abbiamo fatto tutta la tappa, altre volte solo i finali, ma abbiamo preferito evitare di andare avanti e indietro con le macchine. Abbiamo visto quella di Barcelonette e anche Isola 2000 dove finisce la 19ª tappa.

Ayuso si è ritirato dal Delfinato e appena è stato bene ha raggiunto Pogacar in altura (foto Alen Milavec)
Ayuso si è ritirato dal Delfinato e appena è stato bene ha raggiunto Pogacar in altura (foto Alen Milavec)
Che sensazioni ti dà Pogacar in questa fase?

Lo vedo motivato, lo vedo tranquillo, lo vedo contento. Non posso dire niente di negativo, perché non c’è niente di negativo. Ride, scherza, con i compagni formano un bel gruppo. Capiscono che lui è il numero uno al mondo. Anche se abbiamo una squadra di rockstar, ovviamente credono in Tadej come leader di questa squadra per il Tour.

Siete riusciti anche a fare prove sui materiali?

Abbiamo testato qualche novità sulle biciclette, soprattutto nel segno della leggerezza. Abbiamo fatto prove per la crono. Piccole cose, che però fanno la differenza. Le bici sono le stesse del Giro, ma abbiamo provato ad alleggerirle un po’. 

Tadej rimarrà in quota fino a domenica?

Sì, poi scenderà a Monaco e ci resterà per un paio di giorni. Da mercoledì saremo tutti a Firenze.

Matxin e Maguire sono due tra le figure di rilievo per Pogacar al UAE Team Emirates (foto Fizza)
Matxin e Maguire sono due tra le figure di rilievo per Pogacar al UAE Team Emirates (foto Fizza)
Avete incontrato qualche squadra in ritiro a Isola 2000?

Sì, abbiamo visto Remco e la sua squadra. Martedì ho seguito l’allenamento di cinque ore, facendo la Bonette, e abbiamo incontrato Egan Bernal, De Plus e gli altri ragazzi della Ineos arrivati dallo Svizzera.

E’ capitato spesso di fare allenamenti così sostanziosi?

Direi di sì, ma questa è più l’area degli allenatori, in cui abbiamo piena fiducia. Non riesco a seguirli, però abbiamo condiviso il programma di allenamento e a volte lavorano in modo differenziato, non sempre tutti insieme. Per cui ci sono stati giorni in cui qualcuno ha fatto i lavori specifici e altri intanto riposavano. Lavorano a doppiette o triplette, però nell’80 per cento delle uscite erano in gruppo.

In questa routine, sai se Tadej ha seguito in televisione le varie corse?

Sì, sì certo, ha seguito tutto. Ogni volta che finivano un allenamento, si ritrovavano a pranzo tutti insieme e dopo aver mangiato guardavano le tappe. Ha fatto il tifo per i compagni, erano tutti felicissimi. Come dico sempre, Tadej non è solo un campione: è un leader che si preoccupa per i compagni. E se qualche giorno un compagno può vincere o fare un risultato, lui è il primo che spinge perché ci riesca. E’ stato contento di vedere i compagni sempre davanti, è una cosa che ha dato morale a tutti.

Wellens sarà il super gregario del Tour assieme a Politt (foto Alen Milavec)
Wellens sarà il super gregario del Tour assieme a Politt (foto Alen Milavec)
E loro che vincevano e adesso devono fare i gregari?

Sanno perfettamente che Tadej Pogacar è il numero uno al mondo, basterebbe leggere le interviste di Almeida e Yates dopo le varie vittorie in Svizzera. Credo che sia una squadra molto unita. E soprattutto, nel momento in cui parlo con i corridori per farli venire qua, parlo subito chiaro. Ragazzi come Adam Yates, come Sivakov, come Wellens e Politt, sanno che avranno il loro spazio, ma quando c’è Tadej, si corre per lui. Sono le condizioni che poniamo prima ancora di firmare il contratto. Non sono io quello che li fa firmare, ma ho una sola parola e quella va sempre rispettata. Quando Almeida e Ayuso mi hanno chiesto di venire al Tour, gli ho detto che andava bene, ma che avremmo corso con l’idea di un leader unico e non sarà fatto niente di diverso rispetto a quello che avevamo deciso.

Proprio a proposito di programmi decisi da dicembre: si è valutato di inserire Majka nel gruppo Tour, dopo il bel Giro che ha fatto?

No, mai. Il programma è fatto, definito e chiaro. Si cambia solo se un corridore sta male, come è successo per Jay Vine che è caduto. Per il resto, credo che la forza della nostra squadra sia proprio questa. Vedremo alla fine se anche questa volta il nostro metodo darà buoni frutti.

Vingegaard favorito al Tour? Matxin, spiegaci il tuo pensiero

09.06.2024
5 min
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Subito dopo il Giro d’Italia dominato da Tadej Pogacar con distacchi da tempi eroici, mentre da una parte c’era chi vagheggiava addirittura la caccia al “triplete” Giro-Tour-Vuelta, Joxean Matxin buttava acqua sul fuoco. Anzi, riproponeva un leit-motiv quasi inaspettato visto tutto quel che è successo in questa prima parte di stagione: «Il favorito del Tour? E’ sempre Jonas Vingegaard».

Vingegaard al Tour 2023 in giallo. C’è ancora incertezza sulla sua presenza al via a Firenze
Vingegaard al Tour 2023 in giallo. C’è ancora incertezza sulla sua presenza al via a Firenze

Sapendo quel che il danese ha passato (e sta ancora passando, anche se almeno è tornato in bici) dopo la rovinosa caduta nei Paesi Baschi, le parole del tecnico spagnolo hanno spiazzato un po’ tutti, tanto che ci si chiedeva se sapesse qualcosa di più rispetto allo strettissimo riserbo di tutto il team Visma-Lease a Bike intorno al campione uscente della Grande Boucle.

Parlando con Matxin il suo pensiero è diventato chiaro, ma non senza qualche specifica che rende il tutto forse ancor più sorprendente: «Jonas ha vinto gli ultimi due Tour, è chiaro che in condizioni normali sarebbe il favorito. So bene quel che ha subìto, io sono anche andato a trovarlo in ospedale nelle ore successive all’incidente, era un atto doveroso e sentito. Non dimentichiamo che anche Tadej l’anno scorso era caduto e si era presentato al Tour con tanti dubbi sulle sue condizioni e sapete bene le conseguenze che ci furono».

Yates, terzo lo scorso anno si è detto entusiasta di ripetere l’esperienza, sempre al servizio di Pogacar
Yates, terzo lo scorso anno si è detto entusiasta di ripetere l’esperienza, sempre al servizio di Pogacar
Eppure l’incidente di Tadej non era così serio…

Ugualmente considerare il danese come favorito è una forma di rispetto dovuto, se sarà al via non lo farà certamente per essere un comprimario e avrà un peso notevole sull’evoluzione della corsa.

C’è anche un altro fattore che non viene molto considerato: se proviamo a rovesciare la medaglia, Vingegaard arriverà al Tour più fresco di Pogacar.

E’ vero. In questo momento è davvero difficile fare congetture sulla corsa francese, bisognerà vedere come starà lui e come staranno i rivali. Alcuni li stiamo vedendo all’opera al Delfinato, non sappiamo se Vingegaard farà qualche gara prima, magari anche solo per saggiare la gamba e riabituarsi al clima agonistico. E’ troppo presto per dare giudizi. Noi da parte nostra dobbiamo concentrarci su noi stessi mettendo da parte quel che è successo, sia in negativo con l’andamento del Tour e le difficoltà dello scorso anno, sia in positivo con la vittoria al Giro. E’ come se si cancellasse la lavagna, ora bisogna riscriverci sopra.

Per Ayuso compiti da luogotenente in salita per lo sloveno. La classifica sarà un obiettivo futuro
Per Ayuso compiti da luogotenente in salita per lo sloveno. La classifica sarà un obiettivo futuro
Ha stupito molto l’annuncio della squadra Uae al servizio di Tadej. Tutti leader, tutti specialisti delle salite salvo Politt. Non è una scelta azzardata?

Su questo voglio essere chiaro. Ho fatto un giro d’orizzonte fra tutti i corridori del team, tutti mi hanno detto che volevano fare il Tour. Con loro, Yates, Ayuso, Almeida in particolare sono stato inflessibile: al Tour le gerarchie saranno chiarissime, si corre per Pogacar, chi vuole essere della partita deve saperlo e mettere da parte le proprie ambizioni. Tutti mi hanno detto di sì, di essere pronti, anzi desiderosi di farlo, a quel punto è chiaro che corridori del genere sono il meglio che un campione possa richiedere al suo fianco.

Ma non sono corridori abituati a correre per aiutare, per costruire una finalizzazione altrui…

Hanno tutti un enorme rispetto per Tadej e non dimentichiamo che si tratta di gente che, quando sa qual è il suo obiettivo, lo finalizza. Guardate Almeida: lo scorso anno era partito per fare il Giro puntando al podio, alla fine lo ha conquistato. Io sono convinto che è la gente giusta per aiutare Tadej in ogni frangente.

Nel roster della Uae per il Tour Politt sarà chiamato a un super lavoro in pianura
Nel roster della Uae per il Tour Politt sarà chiamato a un super lavoro in pianura
Pogacar farà corse prima della partenza da Firenze?

No, abbiamo stabilito un programma diverso di allenamento. Sin da Roma e dalla conquista della maglia rosa abbiamo pensato che era fondamentale ricaricare le pile facendo tutto quel che serve e gareggiare non è fra queste opzioni.

Sia Tadej, che lo staff della Uae, tu stesso siete stati molto chiari nel declinare come impossibile quest’anno puntare al triplete. Ma secondo te, parlando per ipotesi, uno come Pogacar potrebbe provarci?

In un’altra stagione, più semplice nel suo sviluppo e quindi senza l’Olimpiade e un mondiale che è un target per lo sloveno, io credo di sì. Ma bisogna saperlo per tempo, programmare tutta la stagione in funzione di questo obiettivo. Inoltre vorrei sottolineare un aspetto: pensare alle tre gare nello stesso anno significa prevederne 5 in due stagioni, ossia in uno spazio di tempo di meno di 18 mesi. Obiettivamente non ne vale la pena per un corridore giovane come Tadej che ha ancora tanto da dare.

Pogacar in rosa. La possibilità di vederlo anche alla Vuelta è scartata a priori
Pogacar in rosa. La possibilità di vederlo anche alla Vuelta è scartata a priori
Pogacar a Parigi lo vedremo solo nella prova in linea o visto com’è andato al Giro potrebbe anche provare la cronometro?

Questa non è una mia competenza, decide la federazione slovena ma non dimentichiamo che il campione uscente è sloveno, un certo Primoz Roglic, è giusto che la preferenza spetti a lui considerando anche come va normalmente a cronometro. In questo comunque noi non abbiamo voce in capitolo…

La UAE Emirates del Giro: tutto perfetto e un solo neo

31.05.2024
4 min
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Nelle parole di Matxin alla fine del Giro c’era soprattutto orgoglio. La UAE Emirates ha tre manager. C’è Gianetti, che cura i rapporti con gli arabi e si tiene in equilibrio fra le buone maniere di una volta e la necessità di fare risultato. Andrea Agostini che vigila e opera affinché ciò sia possibile. E poi c’è Matxin, che invece spinge a tutta con un solo obiettivo: vincere. Attenzione però: non si tratta di uno spingere cieco, ma un ragionare per gradi che colloca tutti nel posto giusto. 

«Il fattore decisivo quando c’è Tadej – dice – è che tutti sanno di correre per un risultato, che è quasi sempre favorevole. Ovvio che oltre alla motivazione serve avere le gambe, perché anche io a volte sono molto motivato, ma non ho forza (ride, ndr). Qui si parla di atleti di alto profilo. Felix Grossschartner è un corridore che potrebbe vincere tutti gli anni, è uno dei migliori al mondo. Rafal Majka in questo Giro sarebbe potuto arrivare fra i primi cinque, ha qualità che non abbiamo scoperto certo noi (il polacco in apertura è con Pogacar sul Monte Grappa). Abbiamo dei corridori forti con cui abbiamo formato un gruppo importante. Loro ci credono e i risultati arrivano. Ogni volta che corriamo per un leader, l’atmosfera è la stessa: siamo contenti del gruppo che abbiamo».

Matxin, Gianetti, Agostini: la dirigenza UAE Emirates già a dicembre aveva annunciato obiettivi e formazioni
Matxin, Gianetti, Agostini: la dirigenza UAE Emirates già a dicembre aveva annunciato obiettivi e formazioni
Che cosa li tiene insieme?

Abbiamo un modo di lavorare che permette a ciascuno di avere il suo spazio. Chiaro che quando si viene a correre per Pogacar, comanda lui. Ma ognuno di questi che hanno aiutato lui al Giro, nel corso dell’anno ha avuto oppure avrà spazio per giocarsi le sue carte. Li accontentiamo, diamo spazio sportivo a tutti.

Se quello che avete annunciato a dicembre fa ancora fede, ognuno ha programmi a lungo termine…

Esatto, ricordate bene. Abbiamo una linea molto chiara da ottobre, come avete visto. Da quanti anni segui il ciclismo? Non so quante squadre abbiano mai annunciato a dicembre gli otto corridori che faranno i tre grandi Giri senza poi cambiarli. Ovvio, ci sono gli imprevisti, ma ognuno dei nostri atleti sa qual è il suo obiettivo e in quali momenti invece dovrà lavorare per la squadra e per altri compagni. Ciascuno al suo tempo, anche i più giovani. Almeida, Ayuso, Del Toro e Morgado hanno avuto e avranno occasione di fare le loro corse.

Grossschartner è un corridore vincente, alla UAE dal 2023, votato alla causa del leader
Grossschartner è un corridore vincente, alla UAE dal 2023, votato alla causa del leader
Si può dire che il Giro sia riuscito alla perfezione?

Si può dire, ci voleva un momento come questo. Siamo arrivati a Torino con l’intenzione di vincere e la sceneggiatura ha seguito esattamente il copione. Tadej ha corso in modo intelligente, non credo che abbia sprecato più del previsto, pur sapendo che il Giro è una gara molto dura. I numeri dicono che le cose sono andate secondo i piani e i piani funzionavano a lungo termine, ma anche giorno per giorno. Vuol dire che la sera guardavamo la tappa del giorno dopo e stabilivamo il modo di correre più utile: per il Giro e per quello che ancora attende Tadej.

Peccato sia mancata la vittoria di Molano…

Forse è l’unico neo del Giro, ma si può vedere anche che Sebastian si è integrato benissimo nella squadra del Giro e ha fatto ottimamente la sua parte.

L’appetito vien mangiando: se si vince il Tour, si punta alla Vuelta?

No, su questo siamo stati chiari da dicembre. Pensiamo molto attentamente agli obiettivi e non sarebbe positivo riaprire un file così importante. Abbiamo appena detto che si fanno programmi chiari per tutti, un cambiamento del genere sarebbe una forzatura. Per quest’anno abbiamo deciso di fare due grandi Giri, che per Tadej è già una novità. Ha 25 anni e ha ottenuto tante vittorie, però può sempre migliorare e fare esperienza. Da qui ai prossimi cinque anni penso che riusciremo a realizzare molte delle sfide che ci siamo prefissati.

Peccato che essendo una squadra araba, non abbiate potuto brindare con vero champagne…

Per rispetto, non abbiamo bevuto champagne in pubblico. Ma siamo soddisfatti. Volevamo essere al numero uno e ci siamo arrivati, ma possiamo anche migliorare. Lo scorso anno la Visma ci è stata superiore in alcune occasioni importanti, l’obiettivo è ribaltare quei risultati.

Il Grappa si inchina a sua maestà Tadej: il Giro 2024 è suo

25.05.2024
7 min
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BASSANO DEL GRAPPA – E’ tutto un tripudio rosa, nello sventolare di bandiere slovene che ricorda le scene di Monte Lussari. La sensazione è che Roglic ne avesse richiamate di più, forse per la vicinanza del confine, ma certo oggi il Monte Grappa ha offerto uno spettacolo di folla che raramente è capitato di vedere negli ultimi anni. Solo qualche tifoso troppo irruente ha rischiato di rovinargli la festa, ma alla fine Tadej dirà grazie anche per loro. Adesso sorride nel recinto alle spalle del palco. Regala un mazzo di fiori alla figlia di Alex Carera e uno alla sua compagna Urska. Il terzo prova a lanciarlo dall’altra parte della strada dove sono assiepati i tifosi, ma il tiro è corto e i fiori finiscono per terra. Ci pensa Joseba Elguezabal, il massaggiatore basco, a raccoglierlo e tirarlo oltre la transenna.

Ha attaccato quando davanti era rimasto solo Pellizzari ed è piombato su di lui come una furia. Fra i due si è creata una sorta di legame. Giulio era al Processo alla tappa e ne è uscito quando Pogacar è uscito sul palco per ricevere la maglia rosa. Il marchigiano si è fermato con la bici dietro la schiera dei fotografi e l’ha guardato. Tadej l’ha visto, ha sorriso e l’ha salutato con il pollice in alto. Lo stesso ha fatto Giulio, che poi si è diretto verso la sua gente.

Il Veneto risponde alla grande. Dopo la folla di Padova, ecco Ca’ del Poggio sulla via per Bassano
Il Veneto risponde alla grande. Dopo la folla di Padova, ecco Ca’ del Poggio sulla via per Bassano

Umile e cannibale

Matxin si avvicina e racconta che le cose sono andate come avevano previsto. Che la squadra è stata grande e che lavorare per uno come Pogacar rende tutti dei leoni. Dice che il piano di spendere il giusto per non arrivare vuoti al Tour ha dato ottimi frutti. Ogni giorno si faceva il punto su quanto si potesse spendere e le cose sono andate come nei piani. Sulla strada invece c’è ancora Majka, che come al solito ha dato l’ultima stoccata prima dell’attacco del capitano.

«Si faceva due volte il Monte Grappa – dice Rafal – voleva vincere. Con la bici rosa e tutto quel pubblico, lo capite. Con Pogacar è tutto bello. Io avevo già vinto la Vuelta con Contador, il Tour e adesso il Giro con lui, ma è la prima volta in vita mia che incontro un ragazzo così forte e umile. Più che un vincitore è un cannibale. Sono molto contento. Il Grappa è stato bellissimo. Quando siamo rimasti in tre o quattro corridori, mi ha detto di fare l’ultima accelerata, ma oggi tutta la UAE Emirates è andata fortissimo. Siamo partiti che pioveva, ma quando siamo arrivati qua c’era il sole. E’ stata una giornata perfetta. Non l’ho mai visto in difficoltà, per me al Tour arriverà ancora più forte. Sta crescendo, adesso recupera e poi sarà pronto per la Francia».

Questo è il momento dell’attacco: Majka dà tutto, sta per scattare l’attacco di Tadej
Questo è il momento dell’attacco: Majka dà tutto, sta per scattare l’attacco di Tadej

Tadej è rilassato e capiremo a breve che il giorno della crono era nervoso per davvero. Un attacco imprevisto di allergia lo ha preoccupato per diversi giorni. Poi col cambiamento del meteo le cose sono andate a posto e il risultato si è toccato con mano. Così adesso il Pogacar che ci troviamo davanti è sereno, felice, consapevole e in apparenza ancora fresco. Certo anche lui avrà fatto fatica e avrà avuto qualche preoccupazione, ma dando sempre la sensazione di essere in controllo. Ci fosse stato qualche avversario più solido, forse l’asticella sarebbe stata più alta.

E’ stato davvero tutto facile?

In un grande Giro non c’è mai niente di facile. Sono state tre settimane difficili, a cominciare da questo problema di allergia che a Napoli si è fatto più fastidioso e non se ne andava nemmeno con la pioggia. Non è stato tutto liscio, ma siamo arrivati fin qui con un buon margine sul secondo, per cui sono contento.

Per 18 chilometri senza soluzione di continuità: il pubblico del Grappa è stato una cornice eccezionale
Per 18 chilometri senza soluzione di continuità: il pubblico del Grappa è stato una cornice eccezionale
Difficile valutare le prestazioni senza i numeri: pensi di essere il miglior Pogacar visto finora?

Forse sì. Ho fatto un altro passo avanti, ma ogni anno è più difficile migliorare. Sono fortunato di poter ancora trovare qualche margine durante l’inverno. Sto ancora crescendo, invecchio, per cui adesso entra in gioco anche l’esperienza. Non posso dire tutto quello che ho fatto di diverso nella preparazione, ma è certo che qualcosa volevo cambiare.

Perché?

Con Inigo Sanmillan (suo preparatore fino al 2023, ndr) ci siamo lasciati in ottimi rapporti. L’allenamento con lui è stato molto positivo, ma a volte hai bisogno di un po’ di cambiamento di ritmo e di cose diverse. Un diverso metodo di lavoro. Per cui dopo cinque anni, ho voluto provare qualcosa di nuovo, anche giù dalla bici. Ho lavorato di più anche sul fisico e devo dire che è stato un bel cambiamento. Niente di troppo grande, ma sono soddisfatto del risultato e di come sono andati il mio inverno e la preparazione per le gare.

Non solo il bambino visto in tivù: Tadej ha regalato borracce anche ad altri
Non solo il bambino visto in tivù: Tadej ha regalato borracce anche ad altri
Adesso che è finito si può dire: sei mai stato in difficoltà durante il Giro?

Certo, è successo. Mi sono sentito a disagio molte volte. Sono state tre settimane di gare e ci sono molti momenti in cui ti senti a disagio sulla bici, fuori dalla bici. Hai problemi a dormire e cose del genere. E’ stata una corsa dura, ma devo dire che è stato uno dei migliori grandi Giri che abbia mai fatto nella mia carriera. Mi sono sentito benissimo con le gambe durante le tre settimane.

Potresti descrivere due momenti della tappa? Il primo, quando hai affiancato i compagni prima dell’attacco. Il secondo quando hai preso una borraccia e l’hai data a un bambino…

Sulla salita finale era impossibile parlare alla radio, perché nessuno sentiva niente a causa del baccano della gente. Quindi se vuoi comunicare, devi andare dai tuoi compagni di squadra e dire quello che vuoi dire. In quel momento volevo solo sapere come si sentissero, quanto ancora potessero spingere. Così avrei saputo dove prepararmi per attaccare e ho potuto pianificare gli ultimi chilometri. Invece quel ragazzo è stato davvero fortunato ad essere lì e correre accanto a me. Ho visto un uomo della mia squadra con la borraccia. L’ho presa e gliel’ho data. Penso di avergli rallegrato la giornata e forse non solo quella. Forse sarà una storia che racconterà per tutta la vita. Io comunque avevo ancora le borracce piene dalla cima della salita, perché in discesa non sono riuscito a bere.

Un arrivo e un inchino: nell’ultimo chilometro Tadej Pogacar ha ringraziato i tifosi che lo hanno accolto
Un arrivo e un inchino: nell’ultimo chilometro Tadej Pogacar ha ringraziato i tifosi che lo hanno accolto
Sei riuscito a finire il Giro con il serbatoio ancora pieno?

Il piano era sicuramente quello di finire il Giro con il morale alto, buone gambe e buona forma e penso di esserci riuscito. Sono felice di aver raggiunto questo obiettivo. Oggi è stata la prova finale in salita, per vedere se esco dal Giro con buone gambe e sono davvero soddisfatto della risposta che ho avuto dalle gambe.

Ci sono stati momenti di tensione con i tifosi?

Il Grappa è stato fantastico. Dal basso verso la cima, c’era un’atmosfera pazzesca. Davvero, davvero incredibile. Non potevamo nemmeno parlare alla radio, non si sentiva niente. Abbiamo pedalato così per 18 chilometri, c’era un sacco di gente. Qualcuno ha cercato di avvicinarsi troppo e ha provato a toccarmi. Qualcuno mi ha colpito in modo un po’ troppo energico, ma bisogna essere preparati anche per questo. Devi essere abbastanza stabile sulla bici per non cadere. Tutto sommato non è stato così male. A un certo punto c’era un ragazzo con una torcia in mano che mi correva accanto, forse un po’ troppo vicino. Ho avuto paura che mi bruciasse, ho sentito le scintille sul braccio. Ma dico anche che senza di loro non ci sarebbe stato questo spettacolo, per cui gli sono grato.

Il bacio a Urska, arrivata sul traguardo pochi minuti dopo il trionfo
Il bacio a Urska, arrivata sul traguardo pochi minuti dopo il trionfo

Nessun rimpianto

Il discorso va avanti fra le motivazioni per cui secondo lui gli sloveni brillano in così tanti sport. Poi con la domanda se ci tenesse ad arrivare con 10 minuti sul secondo, che Tadej ha rispedito al mittente dicendo che è bello vincere anche con un solo secondo di vantaggio. E a chi gli chiede se non aver preso la maglia rosa il primo giorno gli abbia rovinato la festa, risponde con le parole che chiudono degnamente questa sua giornata tutto rosa.

«Non ho rimpianti – sorride – penso che abbiamo corso davvero bene. Ci manca una sola cosa, provare a vincere domani a Roma con Molano. Se ci riusciamo, sarà un Giro più che perfetto. Ma se anche non si riuscisse, posso dice che è andato tutto alla grande, non ci sono stati brutti momenti. Sono felicissimo di come è andata, non potevo chiedere di meglio».

Matxin e l’evoluzione dei giovani: «Non trattarli da… giovani»

11.04.2024
5 min
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Ieri al Giro d’Abruzzo ha vinto Jan Christen ennesimo astro nascente di questo ciclismo sempre più famelico di giovani e giovanissimi. E anche astro nascente della UAE Emirates sempre più legata alla linea verde.

E quando si toccano questi tasti un vero astro dei giovani è Joxean Fernandez Matxin, che prima ancora di essere uno dei tecnici dello squadrone asiatico, è anche un uno dei migliori talent scout in assoluto.

Proprio qualche giorno fa, commentando alcune prestazioni dei suoi ragazzi, ma anche in generale, Matxin ha parlato di tempistiche da rispettare per alcuni giovani: non tutti sono subito maturi. E ha parlato anche di un calendario idoneo per questi atleti. E lo stesso per i giovani che sono già pronti.

Jan Christen (20 anni a giugno) ieri ha vinto al Giro d’Abruzzo. Domenica sarà impegnato all’Amstel Gold Race
Jan Christen (20 anni a giugno) ieri ha vinto al Giro d’Abruzzo. Domenica sarà impegnato all’Amstel Gold Race
Matxin hai parlato di giovani che hanno bisogno di un’evoluzione più naturale e progressiva. E’ intuibile, ma qual’è il tuo concetto preciso?

E’ il mio pensiero. Per ogni giovane, forte o fortissimo che sia, c’è un periodo che è del tutto soggettivo per arrivare alla maturazione. Quando parlo di maturazione non mi riferisco solo a quella fisica e di atleta, ma anche a quella della persona. Per assurdo a chi vince subito devi infondere calma, devi quasi frenarlo. Altri vanno aspettati e anche se sono bravi vanno aspettati.

Quindi i tempi di maturazione non sono solo fisici?

Direi di no. Un ragazzo spagnolo magari raggiunge la maturità più tardi rispetto ad un corridore straniero. Un norvegese o un danese sin da junior fa attività internazionale. Loro viaggiano, vivono esperienze. Perché il loro calendario interno non è così folto e vanno subito fuori a correre, appunto fanno attività internazionale. E questo poi li porta anche ad essere competitivi sin da subito.

Il calendario: quanto è importante e come si studia un programma adatto a quel determinato ragazzo?

Non esiste un calendario giusto in assoluto, dipende anche dalla scelta di squadra che fa il ragazzo. Dove va. Cosa va a fare in quella squadra. Che opportunità ci vedi. Per me il giovane non devi pensarlo come un giovane, ma come un corridore: campione o non campione che sia. E lo devi utilizzare e valorizzare perché è un corridore, non perché è un giovane. Per questo dico che la scelta della squadra è molto importante per la sua evoluzione. Si devi sentire valorizzato. Non devi andare in un team solo per chiudere buchi o a tirare i primi chilometri perché sei giovane… tanto hai tempo. L’evoluzione è sotto ogni aspetto, mentale, fisica, tattica. Altrimenti quel ragazzo finisce col perdersi.

Joxean Fernandez Matxin (classe 1970) è il direttore della parte sportiva della UAE Emirates ed esperto talent scout
Joxean Fernandez Matxin (classe 1970) è il direttore della parte sportiva della UAE Emirates ed esperto talent scout
Voi siete la squadra numero uno al mondo, avete vinto il ranking UCI 2023, avete tanti campioni, come fa un giovane a non perdersi in un team come la UAE Emirates?

Semplice, facendo per quel ragazzo un calendario giusto, pianificando l’intera stagione e dando direttive chiare, specificando bene quello che vuole lui e quello che vogliamo noi. Quando facciamo un programma questo va da ottobre a ottobre. In questo modo loro sanno quando devono correre, quando devono essere competitivi e quando devono essere competitivi per loro stessi.

La pianificazione è tutto insomma.

E’ importante, ma come ho detto è soggettiva. Prendiamo Del Toro per esempio. Isaac ha fatto un salto di qualità che neanche noi ci aspettavamo, è stato un salto più grande del previsto e così siamo intervenuti. Non ha fatto la Coppi e Bartali, ma ha fatto la Tirreno-Adriatico: se lo è meritato. Lo abbiamo ripianificato insieme. Ma partivamo da un progetto chiaro e completo. 

E i ragazzi condividono sempre?

Morgado, per esempio, posso dire con chiarezza che non ama troppo le classiche, ma noi sappiamo che può fare bene in quelle corse e così lo abbiamo mandato al Fiandre. Per lui era una scuola. Come è arrivato? Quinto. Erano 80 anni che un corridore così giovane non arrivava nei primi cinque. E noi non gli avevamo chiesto di fare quinto o imposto degli obiettivi. Certamente non lo abbiamo frenato.

Se serve per fare scuola e per la sua maturazione generale, perché allora avete mandato lui e non un Ayuso?

Anche Ayuso può fare il Fiandre, certo, ma è troppo leggero per quelle corse. Morgado invece può fare bene.

Morgado (classe 2004) non ama le classiche ma può vantare già una top 5 in una classica Monumento come il Fiandre. Magari cambierà idea!
Morgado (classe 2004) non ama le classiche ma può vantare già una top 5 in una classica Monumento come il Fiandre. Magari cambierà idea!
Quindi è perché vedete in lui determinate caratteristiche?

Esatto, perché Morgado ha le caratteristiche fisiche e tecniche per fare bene in certe corse. E per lui come ho detto è una buona scuola, una grande esperienza per il futuro. L’ho mandato a Le Samyn, una piccola Roubaix, sapendo che non gli piaceva, ma al tempo stesso sapendo anche poteva fare bene: è arrivato secondo. Poi magari in futuro può anche continuare a preferire altre corse, ma intanto sa che può fare bene anche lì.

E intanto il ragazzo matura… Matxin, ma tu come fai a intuire che uno allievo, uno junior sono bravi, anche se non hanno raccolto grandi risultati?

In tanti mi fate questa domanda: non so. Intuizione. Se vi chiedessi come è quella donna? Bella, brutta, bellissima? Ognuno ha i suoi parametri per giudicare. Per me alcune cose sono evidenti, non so: vedo come affrontano la gara. Faccio questo mestiere da quando avevo 21 anni. Vado alle corse, seguo molto le corse dei giovani.

Quindi tempistiche, campioni pronti e da aspettare. Ora avete anche il devo team, fate scambio di atleti?

Sì, sì, lo stiamo facendo e in un sacco di gare. Giaimi, Duarte, Guatibonza… hanno già fatto corse con i pro’. Mischiamo spesso i nostri atleti del devo team con quello WorldTour. E’ importante fargli fare queste gare per alimentare il loro sogno, per dargli grinta, per fargli fare esperienza, per far conoscere loro com’è il mondo dei pro’. E anche per fargli fare il ritmo giusto per quando poi ritornano nelle gare under 23.

Vittoria moderna, dal sapore antico: a Siena è Pogacar style

02.03.2024
6 min
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SIENA – Due anni fa titolammo: “La solitudine del numero uno”. Per la Strade Bianche di quest’anno potremmo riprendere quel titolo. Tadej Pogacar è stato ancora autore di un’impresa. Di quelle dal sapore antico, ma figlia più che mai del ciclismo moderno.

Si diceva che l’allungamento del percorso, con l’inserimento del circuito delle Tolfe, potesse addormentare la corsa. Che Sante Marie non sarebbe stata decisiva come in passato. E che forse, ma forse, Pogacar non avrebbe attaccato così da lontano e invece… Invece Pogacar ha fatto Pogacar! E’ andato in fuga da solo. Se pensiamo che era al debutto stagionale, in pratica era in fuga dal Giro di Lombardia!

Sul traguardo, dopo un momento d’incredulità e, forse di compiacenza, Tadej scende di sella. Alza la bici in segno di trionfo e la mostra a tutta Piazza del Campo che lo ha accolto con un boato pazzesco. Come un attore sul palco: prima da una parte, poi si volta dall’altra.

Scenari unici, ritmi alti. La fuga ha impiegato quasi due ore per partire
Scenari unici, ritmi alti. La fuga ha impiegato quasi due ore per partire

Trionfo moderno?

La cronaca è molto breve: una fuga che fa fatica ad uscire. Quando lo fa è super controllata proprio dalla UAE Emirates e dopo un “mezzo ventaglio”, ma comunque sempre con un compagno di Tadej in testa, Wellens, ecco l’affondo dello sloveno a 81 chilometri dall’arrivo. Sì, avete capito bene: 81 chilometri da Piazza del Campo.

Matej Mohoric ce lo aveva detto chiaro e tondo questa mattina che Pogacar era il favorito. Aveva ragione. Ma come è possibile che alla prima corsa della stagione si possa fare un numero del genere? Non dovrebbe mancargli qualcosa, cioè il famoso ritmo gara?

«La prima gara della stagione – ha detto Pogacar – è sempre dura dal punto di vista mentale. Mi sono preparato molto bene durante l’inverno. Durante la fuga chiedevo solo dei distacchi».

In questi giorni con la ripresa delle classiche e i big che man mano tornano e vincono, si è parlato di  approcci moderni alla gare, di freschezza muscolare. Lo stesso Brambilla l’altro giorno ci aveva avvertiti che poco avrebbe inciso il fatto che Pogacar fosse alla prima corsa dell’anno.

Piani all’aria

E allora possiamo dire che paradossalmente il non aver corso prima lo ha favorito in una gara tanto dura?

«Alla prima corsa della stagione non sai mai davvero come stai – dice il direttore sportivo Andrej Hauptman – noi sapevamo che Tadej stesse bene, ma così non avremmo potuto dirlo. Attacco vecchio stile: in realtà avevamo pianificato di partire più tardi. Ma poi quando Tadej sta bene non lo ferma nessuno. Improvvisa.

«Poi non è facile prepararsi per le corse di un giorno senza gareggiare, ma posso dire che abbiamo trovato un percorso di avvicinamento, un protocollo giusto, anche per le classiche».

Il tecnico sloveno preferisce non entrare nel dettaglio. Ed è comprensibile in un mondo che sempre di più assomiglia alla Formula 1, ma ci confida che non mancano i chilometri dietro motore, che Tadej preferisce fare dietro moto e non dietro macchina.

«Ogni campione – conclude Hauptman – è diverso e ha il suo modo di allenarsi e di trovare il suo top. Sapevo che stesse bene perché ha passato un buon inverno. Quando lo sentivo era sempre molto tranquillo. Ma di fatto la corsa resta il miglior test e così è stato anche per noi oggi. Insomma non è stata così facile questa vittoria».

Pogacar style

Mentre Tadej è sul palco, al bus della UAE i sorrisi sono lampanti. Dopo aver parlato con Hauptman ecco arrivare Joxean Fernandez Matxin. Anche allora partì su Sante Marie.

«Trionfo moderno? Io direi un trionfo Pogacar style – dice Matxin – ieri, dopo la ricognizione, abbiamo fatto la riunione e gli abbiamo chiesto: “Secondo te quando è il momento giusto per partire? “. E lui ci ha risposto: “Al primo passaggio sulle Tolfe”. “Bene, lì mancano 49 chilometri. Facciamo un passo forte prima e poi vai”. Mi sembrava giusto. Poi quando ho visto che è partito nello stesso punto del 2022 ho detto… va bene lo stesso. Solo che mancavano 81 chilometri!

«Però per un numero così bisogna fare i complimenti anche alla squadra. Perché ragazzi di altissimo livello, tutti, che si votano così a Tadej, che ci credono… danno molto a Pogacar stesso. Li ho visti disposti a menare come se la gara finisse lì a 100 metri. E Tadej ogni volta si dimostra leader e non capitano. Li ringrazia, li coinvolge».

Anche Pogacar si rende conto del numero pazzesco che ha fatto. E’ la sua fuga solitaria più lunga
Anche Pogacar si rende conto del numero pazzesco che ha fatto. E’ la sua fuga solitaria più lunga

Quella cena in Spagna

Anche con Matxin si tocca il tasto della preparazione, della freschezza fisica. E tutto sommato il tecnico spagnolo condivide la nostra disamina. E tira in ballo anche il tema dei giorni di corsa ad hoc.

«Di sicuro – racconta Matxin – ho visto un ragazzo che aveva tanta voglia di correre. Quando qualche settimana fa eravamo alla Comunitat Valenciana, Tadej si stava allenando da quelle parti. Così, una sera sono andato a cena con lui e il suo coach, il quale mi ha detto proprio che fosse fresco. Che era in condizione. Anzi quasi, quasi doveva rallentare per un paio di settimane, altrimenti sarebbe stato troppo avanti.

«Però noi abbiamo fatto un plan da gennaio a ottobre, per Tadej come tutti gli altri, e con quello andiamo avanti. Pogacar farà quattro gare, per un totale di 10 giorni di corsa prima del Giro d’Italia. Questa è la strada».

Giaimi, 6 anni di contratto: strada, pista, Parigi e i mondiali 2029

05.01.2024
6 min
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Seduto da solo a tavola nel giorno in cui la stampa ha preso d’assalto il ritiro del UAE Team Emirates, Luca Giami osservava curioso e forse anche frastornato il movimento attorno a sé. Per questo ci siamo seduti con lui iniziando una chiacchierata che ci ha permesso di aprire la porta sulla sua situazione, più unica che rara, di un lunghissimo contratto di sei anni. Il primo a esserne sorpreso è parso proprio lui. Infine, lo abbiamo risentito anche ieri, durante il ritiro con la nazionale a Montichiari. E Giaimi ha fatto con noi il punto della sua situazione.

«Sicuramente – sorride Giaimi, in apertura in azione agli ultimi europei juniores – un contratto così lungo comporta meno stress legato alla scadenza, ma sento un po’ la pressione di dimostrare che me lo sono meritato. Addirittura me lo avevano offerto di 8 anni, ma ho scelto di firmare per 6. Sono contento e spero nei primi due anni di fare più esperienza possibile per arrivare pronto ai quattro successivi nel WorldTour. Abbiamo iniziato un bel percorso con diversi obiettivi e per arrivare a costruire il corridore che voglio essere: questa è una delle tipiche frasi di Matxin».

Il suo inverno è un continuo viaggiare. Prima il ritiro di Noto con la pista, poi quello spagnolo con la UAE Emirates GenZ (questo il nome del devo team). Due giorni a casa e subito a Montichiari fino a Natale. Tre giorni a casa e di lì nuovamente a Montichiari preparando gli europei che inizieranno mercoledì prossimo.

Luca Giaimi, classe 2005, è con la UAE Emirates da quest’anno con un contratto di 6 stagioni (foto Fizza)
Luca Giaimi, classe 2005, è con la UAE Emirates da quest’anno con un contratto di 6 stagioni (foto Fizza)
Cosa ti intriga di più in questo momento, la pista o la strada?

Non vedo l’ora di iniziare la stagione su strada a Le Samyn con la squadra WorldTour. L’ho sempre sognato. Probabilmente sarà dura, ho un po’ di soggezione, però non vedo l’ora. Immaginavo una situazione come questa, ma credevo che avrei iniziato con il devo team e semmai più avanti avrei provato con i pro’. Invece farò l’esatto contrario.

Come è andato il ritiro?

Purtroppo ho avuto un grosso problema con l’inglese, fortunatamente nel team si parlucchia italiano. Alla fine però riuscivo a capire cosa dicevano e a volte anche ad esprimermi. Non vedo l’ora di tornare in gruppo per imparare ancora. Per il resto, l’esperienza di un ritiro con la squadra WorldTour è nettamente diversa da qualsiasi altra a livello di allenamenti, preparazione e gruppo. La UAE Emirates ricorda molto una squadra italiana a livello di socialità. Al contempo trasmette la serenità e la familiarità dei grandi team.

Hai raccontato di aver dovuto modificare la posizione in bici per il cambiamento delle regole sulle leve dei freni…

Vero, la mia posizione è cambiata abbastanza, perché sul fronte delle leve interne io ero uno di quelli più estremi. Col biomeccanico abbiamo scelto di cambiare il manubrio, mettendone uno molto più stretto. Da 37 nella parte alta e 42 nella parte bassa, come uno da gravel. Hanno fatto così anche altri corridori della WorldTour, con la parte bassa dell’impugnatura più larga rispetto alla parte alta. E’ l’ideale. Quando sei con le mani in alto, spingi in presa più areodinamica e riesci a guadagnare parecchio. Invece nelle fasi di spinta massimale, come nelle volate, hai una presa migliore e guadagni in guidabilità anche in discesa. Facendo così, sono riuscito a mettere le leve in asse rispetto al manubrio. Inoltre ho avuto qualche correzione della posizione, visti la nuova sella e il fondello.

Vista la limitazione UCI nella rotazione delle leve, Giami usa un manbubrio largo 37 sopra, 42 sotto (foto Fizza)
Vista la limitazione UCI nella rotazione delle leve, Giami usa un manubrio largo 37 sopra, 42 sotto (foto Fizza)
In cosa è cambiata?

Mi sono abbassato e col manubrio più stretto, specialmente nelle volate, quando sono in posizione massimale di spinta e quando la velocità è alta, riesco ad essere anche più aerodinamico. Dato che mi hanno abbassato leggermente la sella, riesco a sfruttare meglio la muscolatura posteriore delle gambe e questo è sicuramente un vantaggio.

Il tuo preparatore è Giacomo Notari, cosa te ne pare?

Giacomo segue tutti noi del devo team. E’ un’ottima persona e fin dal primo giorno mi ha seguito al meglio anche per la pista. Inoltre ho scoperto che, oltre a fare gli allenamenti in bici, si intende molto anche di palestra e mi ha organizzato delle sedute specifiche per la pista. Col fatto che si allena parecchio in bici e anche in palestra, unisce le competenze teoriche e quelle sul campo. Sono uscito dal ritiro con una gran bella condizione, che mi è stata molto utile in pista. Infatti mi sono subito buttato con i più grandi e avere una buona gamba ha contribuito a non prendere troppe bastonate. Ora sto cercando di affinare la tecnica e allo stesso tempo di migliorare la condizione fisica in vista degli europei.

Avrai degli obiettivi precisi?

Sarà difficile, però era giusto iniziare il prima possibile, per arrivare pronti agli altri obiettivi che avrò in stagione. Vado agli europei per fare esperienza, ma soprattutto per avere dei punti di riferimento. Capire a che livello sono e da lì costruire le basi per i futuri lavori su pista, che rimarrà nel mio orizzonte ancora a lungo. Uno dei motivi per cui il mio contratto si prolunga così tanto, è che nel 2029 i mondiali su pista si terranno ad Abu Dhabi nel velodromo che stanno costruendo.

Quinto nella crono agli europei juniores di Emmen, Giaimi utilizzava già materiale della UAE Emirates
Quinto nella crono agli europei juniores di Emmen, Giaimi utilizzava già materiale della UAE Emirates
Prima hai parlato di Matxin, i rapporti con la dirigenza della WorldTour ci sono?

La nostra squadra è impostata diversamente dalle altre devo team. Non vogliono definirla team di sviluppo, ci hanno detto che siamo il reparto giovani della WorldTour. Anche il nome è UAE Team Emirates GenZ. Io inizierò il calendario con la WorldTour e lo stesso faranno i miei compagni durante la stagione, ad Almeria o alla Valenciana e Skelderpijs. Poi nella seconda metà di stagione non ci saranno stagisti, ma toccherà a noi fare esperienza.

Quali altre corse farai?

Dopo Le Samyn, andrò in Croazia a fare Porec e l’Istrian Spring Trophy. Poi dovrei tornare in pista per una Coppa del mondo, in modo da avere i punti per un’eventuale partecipazione olimpica. Ad aprile il Giro del Belvedere, il Palio del Recioto e il Trofeo Piva. A giugno il Giro Next Gen e a fine stagione corse con i professionisti, come il Giro della Toscana, la Coppa Sabatini, il Memorial Pantani, la Parigi-Tours e il Gran Piemonte, che magari per la WorldTour non sono corse grandissime, ma per noi sono davvero belle. E poi non so se ci saranno europei o mondiali su strada, perché quelli dipendono dalle convocazioni…

Bè, che dire, un grande calendario…

Di grossa qualità, anche se forse non quantità eccessiva. Tra un appuntamento e l’altro abbiamo anche periodi di stop e di preparazione. Ad esempio, tolto il Val d’Aosta, fra luglio e agosto abbiamo quasi un mese completo per allenarci in vista del finale di stagione. Capito perché non vedo l’ora di cominciare?

Storia di Del Toro, scoperta di Matxin: fino al 2026 con la UAE

02.01.2024
6 min
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LA NUCIA (Spagna) – Matxin ne sa una più del diavolo. Per cui quando gli altri sono convinti di aver trovato un talento su cui scommettere, lui c’era già arrivato. La sua rete di conoscenze è tale che raramente gli sfugge qualche nome, anche se ovviamente il mondo del ciclismo è ampio e le eccezioni possono sempre capitare. Il caso di Isaac Del Toro è lampante (foto Fizza in apertura). Quando il messicano ha vinto il Tour de l’Avenir, il suo telefono è impazzito per i messaggi di gente che non aveva mai sentito. Era sfuggito però che il ragazzino di Ensenada, tesserato con la AR Monex equipaggiata con bici Giant, corresse già su una Colnago del UAE Team Emirates.

E’ il 2 giugno e Del Toro arriva quarto al Trofeo De Gasperi. Ha già la bici Colnago (foto Instagram)
E’ il 2 giugno e Del Toro arriva quarto al Trofeo De Gasperi. Ha già la bici Colnago (foto Instagram)

La frattura del femore

Matxin e con lui Gianetti lo avevano adocchiato da più di un anno, quando ancora gareggiava nella mountain bike, e lo avevano assistito anche nel 2022 quando la frattura del femore poteva compromettere tutto.

«Se il giorno prima della caduta – racconta – mi avessero chiesto cosa sarebbe successo se un giorno mi fossi rotto il femore, avrei detto che sarebbe stata la fine. Mi stavo allenando con la squadra, quando sono scivolato sulla ghiaia e sono finito contro il guardrail di metallo. Nessuna frattura esposta, ma un male cane. All’inizio è stato frustrante, poi vedendo che miglioravo, ho capito che sarei tornato a fare quel che più mi piaceva.

«Quando ho cominciato a correre in Europa nel 2023, mi sembrava tutto molto complicato. Mi allenavo, ma non mi sentivo bene. Nell’ultima mezz’ora, 20 minuti di gara, era come se si spegnesse l’interruttore. Certi giorni arrivavo al traguardo depresso, perché sapevo di stare bene, ma non portavo a casa niente. Invece piano piano sono riuscito a crescere, avendo sempre avuto accanto persone che mi tenevano su di morale…».

Dopo la cronosquadre al Tour de l’Avenir, il passivo di Del Toro era già pesante (foto Edgar Mendoza)
Dopo la cronosquadre al Tour de l’Avenir, il passivo di Del Toro era già pesante (foto Edgar Mendoza)

Studi interrotti

Del Toro è un ragazzo simpatico, che racconta la sua storia con lo stupore di trovarsi nel ritiro della squadra numero uno al mondo. La sua vicenda l’avevamo accennata, quando lo vedemmo arrivare terzo al Giro della Valle d’Aosta. Era solo l’anticamera di quel che sarebbe successo di lì a poco sulle strade francesi e che ha portato Gianetti a gettare la maschera, facendolo firmare fino al 2026.

Lui racconta che suo padre andava in bici e i due figli provarono tutti gli sport, finché fu deciso che sarebbe stato ciclismo e per questo di lì a poco Isaac lasciò la scuola. Uno di quei casi su cui si può discutere a lungo: puntare tutto sullo sport quando non ci sono elementi per dire che finirà bene.

«Finché un giorno – dice – fu annunciata una convocazione per atleti che avessero voluto trasferirsi in Europa. Si trattava di correre su strada e furono fatti dei test. Oggi sono al quarto anno fuori dal Messico, ma devo dire che il primo approccio fu davvero duro per il diverso livello delle corse. In più si trattava di convivere nel modo giusto con un gruppo di corridori come me, quasi fossimo l’equipaggio di un sottomarino».

Del Toro (classe 2003) conquista il Col del Loze: inizia la rimonta al Tour de l’Avenir
Del Toro (classe 2003) conquista il Col del Loze: inizia la rimonta al Tour de l’Avenir

Capolavoro sull’Iseran

Dopo l’incidente e le difficoltà tecniche dei primi tempi, quello che arriva al Tour de l’Avenir è un Del Toro diverso. Il Val d’Aosta gli ha dato fiducia nei suoi mezzi. Il lavoro con un diesse come Piotr Ugrumov ha portato grande concretezza. Ha smesso di cadere tanto e si è scoperto forte in salita e anche in discesa. Eppure nella cronosquadre il Messico si piazza 23° su 27 squadre al via. Il distacco di Isaac è di 2 minuti. Eppure non c’è niente di ancora scritto.

Del Toro vince infatti l’arrivo durissimo al Col de la Loze, davanti a Riccitello, Piganzoli e Pellizzari. Il giorno dopo si fanno una crono al mattino e il Moncenisio al pomeriggio: perde in entrambi i casi e il suo ritardo al tramonto è di 56 secondi dall’americano. Ma il capolavoro è alle porte. Sfruttando l’Iseran dell’ultima tappa, infatti, nel giorno della vittoria di Pellizzari, Del Toro annienta Riccitello (magra figura per uno che ha corso un bel Giro d’Italia dei pro’) e conquista la classifica finale. 

«Ho sempre cercato di restare calmo – dice – concentrandomi solo su ciò che stava accadendo e che mi riguardava direttamente. Pensavo a restare fresco per essere lucido, spingere ogni giorno e tenere il gruppo sotto pressione nei momenti difficili. Andavo forte in modo che tutti fossero costretti a farlo. Non mi ero mai sentito così sicuro in bicicletta, ma ero anche preoccupato perché non sapevo se e quando quel famoso interruttore sarebbe scattato. Invece sono arrivato sino in fondo e ho vinto. E’ stata una grande liberazione, perché finalmente c’è stata la svolta che aspettavo».

Prime pedalate della nuova stagione in Messico, prima di venire in ritiro con la UAE in Europa (foto Instagram)
Prime pedalate della nuova stagione in Messico, prima di venire in ritiro con la UAE in Europa (foto Instagram)

Serve una squadra

Il telefono ha cominciato a squillare e la casella dei messaggi ad essere intasata. «Ho iniziato a ricevere messaggi e chiamate – sorride Del Toro divertito – da persone che non conoscevo, era davvero un caos. Onestamente non riuscivo nemmeno ad allenarmi. E così ho capito che avrei dovuto prendere una decisione.

«Ho iniziato a parlare con le varie squadre, ma non è stato facile. Vengo da un altro Paese, da un’altra cultura, da un altro continente e l’ultima cosa che voglio è sentirmi a disagio a così tanti chilometri dalla mia casa. Ho 20 anni e ho molto da imparare, per questo per ora ho deciso di firmare qui. Mi hanno dato l’attenzione di cui avevo bisogno e sono molto felice, perché credo di aver preso la decisione giusta. E’ fantastico poter mangiare ogni giorno allo stesso tavolo con tutti questi campioni».

Del Toro è nato a Ensenada (Messico) il 27 novembre 2003. Ha il contratto con UAE fino al 2026. E’ alto 1,81 (foto Fizza)
Del Toro è nato a Ensenada (Messico) il 27 novembre 2003. Ha il contratto con UAE fino al 2026. E’ alto 1,81 (foto Fizza)

Gli occhi del bambino

Però, nel fiume di parole che dice e che memorizziamo in attesa di raccontarle, l’ultimo colpo d’occhio su Del Toro parla di un ragazzino che per inseguire il sogno ha lasciato tutto ciò di cui avrebbe magari avuto bisogno per crescere in modo completo.

«Passiamo 11 mesi all’anno via da casa – dice – e lo facciamo con grande piacere, ma è comunque complicato. Sono fuori dal mio Paese e dalla mia città, non vivo con la mia famiglia, ma con persone fantastiche che diventano come fratelli. Però non è la stessa cosa. Sono sempre stata una persona molto concentrata e non ho mai pensato di fare nulla che non sia parte del ciclismo. Mi alleno, recupero e mi preparo per il giorno dopo. Il fatto di essere qui e di farlo in modo più professionale dà un senso ai tanti sacrifici e al fatto di aver dovuto colmare la differenza che c’è fra essere un giovane corridore in Europa ed esserlo invece in Messico. Ci sono differenze, ci sono ancora grandi differenze…».