Disordini alimentari: a volte l’ambiente incide

22.02.2021
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Si può spostare il fuoco dai corridori all’ambiente delle squadre, parlando dei disordini alimentari? Le parole di Brajkovic sul dottore dell’Astana che avrebbe raccontato al diesse della United Heathcare della sua bulimia risuonano ancora nella testa. Così siamo andati da un altro dottore, Michele De Grandi, medico della Uae Team Emirates.

«Ci rendiamo conto che il problema esiste – inizia – fra i corridori e fra chiunque pratichi uno sport in cui il rapporto fra potenza e peso sia determinante, come appunto il ciclismo. Nei casi di atleti di altissimo livello, sono problematiche superate e gestite, altrimenti probabilmente non arriverebbero i risultati. Nei giovani invece si vede abbastanza, anche per l’influenza degli allenatori nelle prime fasi. Perché ce ne sono certi abbastanza… esagerati, che spingono in modo totalmente illogico a perdere peso, proponendo allenamenti di un certo tipo e poi arrivando alla privazione calorica. Magari è vero che l’atleta in questione dovrebbe perdere peso, ma non così».

L’intervista a Brajkovic della scorsa settimana ha fatto pensare al clima che si vive nelle squadre
Le parole di Brajkovic denunciano la poca privacy nelle squadre
Come si fa a capire, se l’atleta non viene a parlarvi?

E’ una caccia al tesoro, perché c’è la negazione e spesso la mancata presa di coscienza. L’atleta che ha questi problemi è convinto che avere un chilo in meno migliori la prestazione, senza capire che magari proprio per quello spinge 50 watt in meno. E’ un po’ come l’anoressia nelle ragazze, c’è un’immagine prestativa distorta. Il corridore non te ne parla perché non se ne rende conto o perché è convinto della sua scelta. E’ un ginepraio, perché magari parliamo di un atleta che ha avuto un calo e lo attribuisce all’eccesso di peso, anche se non c’entra.

Esiste un modo per capirlo, a parte la deduzione?

Visitandoli, vedi la struttura fisica (in apertura, foto Reverbia, ndr), l’indice di massa magra. Vedi il tipo di comportamento a tavola e nel recupero, oppure il tipo di attenzione che hanno con l’approccio calorico. Abbiamo medici e nutrizionisti, se emerge qualcosa, si riesce ad arginarlo per tempo. Magari in categorie che non hanno questi mezzi, è tutto più difficile.

Cimolai ha parlato di personaggi che nel professionismo hanno l’abitudine di fissare i corridori mentre mangiano
Cimolai ha parlato di chi sorveglia i corridori a tavola
Pensi che nelle squadre si sbagli qualcosa nel riferirsi al peso degli atleti?

Qualche battuta fuori luogo può capitare, ma di solito diventa dannosa dove c’è un substrato in cui certi argomenti possono attaccare. Mi è capitato in passato che ci fossero linee rigide che, come ogni forma di proibizionismo, non hanno portato frutti. Direttive a tappeto uguali per tutti, comportamenti rigidi che hanno ottenuto l’effetto opposto, perché i corridori sono arrivati al punto che non ne potevano più.

Di quali comportamenti parliamo?

Immaginate i corridori a tavola, magari durante una corsa a tappe. E qualcuno che si metteva dietro al tavolo a guardare cosa mangiassero con le braccia conserte e un atteggiamento ansiogeno. In un grande Giro, il momento della cena appartiene ai corridori, è un momento conviviale in cui possono sfogarsi, al limite anche parlando male dello staff. Se gli stai dietro, diventi una presenza constante che li controlla. E questa cosa dal punto di vista delle serenità è stata sicuramente deleteria.

Brajkovic ha raccontato di una sua confidenza messa in piazza: di certo nel mondo del ciclismo si parla tanto…

Secondo me in tutti gli ambiti sportivi ci sono un po’ di ignoranza di fondo e la cattiva gestione della privacy. Per questo si fa resistenza a parlare di certe cose, perché ci si sente stigmatizzati. In più il ciclismo per il suo passato ha rispetto ad altri sport la propensione per l’omertà. Si parla di questi aspetti con grande vergogna, usando perifrasi, perché vengono visti come una debolezza. C’è poca apertura.

Ma alla fine sempre di uomini si tratta e a forza di tirare la corda, poi magari si scopre che un atleta fortissimo come Dumoulin appende la bici al chiodo a 30 anni.

Fanno una vita difficile, ben più che se praticassero uno sport di squadra, in cui puoi prendere casa vicino allo stadio o al palazzo dello sport e organizzarti anche un sostegno, una routine. Questi sono ragazzi che stanno per mesi in altura, poi si spostano di continuo. Lontani dalle famiglie. E’ uno sport che richiede tanti sacrifici e c’è poco tempo per digerire problemi come questi, che vengono fuori di botto e producono cedimenti.

Gli atleti di alto livello vengono monitorati
Gli atleti di alto livello vengono monitorati
Nella sua squadra ci sono mai stati casi di disordini alimentari?

Qualcuno al limite c’è stato, ma niente di rilevante. C’è stata attenzione puntuale, nel porsi in maniera corretta nel segno della privacy. Abbiamo individuato una persona sola che parlasse con l’atleta. Se hai un problema e viene da te il dottore, allora magari lo ascolti. Se invece arrivano anche due direttori sportivi, allora magari mi sento preso un po’ in giro e mi girano le scatole. E in questi casi comunque la gestione oculata ha fatto rientrare il campanello di allarme.

Pensa che l’ambiente possa condizionare certe… cadute?

Mi è capitato con alcune squadre femminili, ragazze sotto i 20 anni, con allenatori dell’Est. Le sottoponevano ad allenamenti massacranti e la sera davano loro insalata e bistecca. Zero carboidrati. Facendo così rischi di bruciarti la stagione. Forse erano tecnici provenienti da certi tipi di retaggi passati, che consentivano di uscire dal selciato compensando in altro modo.

Così facendo rischi di bruciare ben più che la stagione…

Ci sono tecnici in Italia che guidano le squadre con delle vere vessazioni psicologiche. Evidentemente parliamo di persone che hanno il pelo sullo stomaco e si disinteressano dei ragazzi, perché se cadono nell’anoressia, sono rovinati per la vita. Magari poi trovano un talento ogni tot corridori e passano per scopritori di campioni, eticamente però la cosa lascia a desiderare. Gli eccessi sono sbagliati. L’anno scorso siamo andati a Sestriere prima del Tour, con il nostro cuoco che cucina benissimo ed era in contatto con il nutrizionista. I corridori facevano il loro lavoro e a tavola si regolavano in base all’esperienza. Lasciate stare che poi alla fine abbiamo vinto il Tour, ma di sicuro un approccio meno rigido spesso funziona più di quel proibizionismo senza eccezioni.

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