Nel giorno dell’impresa di Ben O’Connor l’attenzione era ancora una volta tutta “dietro”: cosa vuol fare il reuccio di questo Tour de France? Pogacar attaccherà? O se ne starà buono, buono a passeggio con la sua nuova Colnago gialla sulle Alpi? Eh sì, perché ad un certo punto sembrava che lo sloveno e la sua Uae Emirates volessero perdere la maglia gialla conquistata il giorno prima. Per carità, lui non è tipo da calcoli, ma… il dubbio ci è venuto. E allora come hanno gestito questa tappa Tadej e la sua squadra?
Gialla sì o gialla no?
Ma come si può volutamente perdere qualcosa per la quale il giorno prima si è lottato strenuamente? In effetti può sembrare assurdo, in realtà ha una sua logica.
Indossare la maglia del leader in un grande Giro significa arrivare in hotel almeno un’ora, anche un’ora e mezza, dopo i compagni. Ci sono da fare le premiazioni, la conferenza stampa, l’antidoping… e nel frattempo spunta sempre qualcuno che vuol parlare con te, stringerti la mano, fare un selfie. Spesso gente importante alla quale non puoi voltare le spalle: convenevoli. In pratica un’ora di riposo in meno tutti i giorni.
La tappa numero nove, la Cluses-Tignes, che parte senza Roglic il quale sul traguardo della Val d’Isere è quasi di casa visto che è la sua sede dei ritiri, scatta sotto la pioggia. Dopo il dominio assoluto di ieri mostrato da Pogacar, ma anche dalla sua Uae, tutti gli altri big non si muovono. Ma più che lasciare l’onere della corsa alla squadra della maglia gialla, sembrano più non voler svegliare il can che dorme. E l’attacco di Carapaz nel finale era più rivolto agli altri che al leder sloveno. Che infatti non appena è stato pizzicato ha salutato tutti e ha guadagnato un altro mezzo minuto. Facile, facile…
Gialla sì!
Il vero punto di oggi era la Uae. Cosa volevano fare? Cosa si sono detti al mattino? E soprattutto: questa squadra è abbastanza forte per scortare Pogacar, visto che era stata additata?
La Uae è in testa, controlla, riduce il distacco e poi ad un certo punto, forse anche complice la sgasata di O’Connor che è maglia gialla virtuale lascia scorrere i chilometri. Se dovesse sfilargliela uno così (con tutto il rispetto per l’australiano della Ag2R-Citroen) non sarebbe un gran problema.
Però i compagni di Tadej sono (quasi) tutti lì. C’è persino Bjerg, che tutto è tranne che scalatore, c’è Rui Costa, c’è Majka e c’è Davide Formolo. Colui che ieri aveva lanciato Tadej verso le stelle.
Ma a fare chiarezza ci ha pensato Pogacar stesso: «Il tempo è stato davvero terribile oggi anche peggio di ieri. Oltre alla pioggia faceva anche freddo. Sono sicuro che molti corridori hanno sofferto (come a dire: io no, ndr). Da parte mia, non volevo mollare la maglia gialla ed è proprio per questo che ho accelerato negli ultimi chilometri. Non volevo passare il giorno di riposo senza averla sulle spalle».
I sassolini di Formolo
Una cosa è certa: chi diceva che Pogacar non aveva compagni all’altezza si sbagliava. La polemica era nata dopo la tappa numero sette, quella di 250 chilometri vinta da Mohoric.
Ma non si poteva far riferimento a quella frazione, nella quale c’era stato un grande sparpaglio e la Uae aveva lavorato molto nei “primi” 150 chilometri. Memori dei ventagli dell’anno scorso i ragazzi della Uae avevano fatto quadrato subito attorno al proprio capitano, spendendo molto all’inizio. E se si va a rivedere, Ineos-Grenadiers a parte, nessuno aveva più molti uomini davanti. Poi ieri sin dal mattino tutti gli Emirates erano sui rulli prima del via. Segno che avevano intenzione di attaccare o quantomeno che avevano le idee chiare. E hanno zittito tutti sulla strada.
«Siamo una bella squadra – ha detto Formolo a fine tappa – altroché. I media ci attaccano, ma noi ci siamo. E siamo anche un bel gruppo di ragazzi che si diverte ad andare in bici. Oggi l’ultimo uomo è stato Majka. Stava bene ed è rimasto lui al fianco di Pogacar. Segno che possiamo scambiarci senza problemi. E se a Tadej non è successo niente sin qui – facciamo gli scongiuri – forse un po’ di merito è anche il nostro».
Il punto di Roccia
E dopo i massaggi, con maggior calma lo stesso veronese riprende a raccontare con quel pizzico di lucidità in più che si ha a mente fredda e con molti battiti del cuore in meno.
«Alla fine ogni giorno che passa è una piccola vittoria per noi – continua “Roccia” – Credetemi, se vi dico che siamo spensierati. E anche oggi abbiamo corso così. Non tenere la maglia non sarebbe stato un problema, ma alla fine meglio così.
«Oggi era una di quelle tappe in cui ti devi salvare. Il meteo è stato inclemente tutto il giorno. E quando è così è un attimo a congelarsi. Siamo partiti un po’ con la coda tra le gambe. L’imperativo era non correre rischi. Ciò nonostante Brandon (McNulty, ndr) è caduto nell’ultima discesa e così è toccato a me lavorare prima. Ho sopperito alla mancanza di un uomo in quel momento. L’ultima salita era davvero dura. Avere un uomo in meno ha cambiato davvero le cose. Però stiamo bene ed è andata bene.
«Abbiamo curato ogni aspetto contro il freddo. Avevamo disposto delle auto su ogni Gpm. Ci davano sempre delle mantelline asciutte. Pensate che Van Aert ad un certo punto mi è venuto vicino e mi ha detto: ma siamo al Tour o alla sesta tappa della Tirreno (quella terribile dei muri, ndr)?».
Serenità totale
Formolo parla poi della serenità che si vive nell’ambiente Uae. Ieri sera, per dire come certe cose con Pogacar avvengano naturalmente, non c’è stata chissà quale grande festa. Sì, qualche parola di ringraziamento, qualche abbraccio, ma tutto sommato è stata una serata molto “easy”.
«Per festeggiare – riprende Formolo – c’è tempo. Ma che giornata è stata ieri? Bellissima, credo che non solo noi, ma anche gli appassionati, se la ricorderanno a lungo. Ieri sera siamo arrivati in hotel molto tardi e siamo scesi a cena un po’ separati, ma quando c’è sintonia non c’è bisogno di chissà quali parole. Basta uno sguardo e ci capiamo. Questo gruppo nasce da lontano. Già a gennaio eravamo tutti insieme sul Teide e ci intendiamo al volo. Oggi per esempio non era facile controllare la corsa. C’erano tanti corridori che erano a 7′-8′ di distacco e ci sta che qualcuno potesse scappare. Così abbiamo fatto il nostro: senza dirci nulla li abbiamo tenuti lì, senza fargli prendere troppo vantaggio e ce l’abbiamo fatta».
Al resto ci ha pensato Tadej!