E se Gilbert passasse le consegne ad Oldani?

23.04.2021
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Correre in Belgio con la maglia della Lotto Soudal è una bella responsabilità. Un onore, sicuramente, ma anche un “onere” se vogliamo. Con quei colori non sei uno qualunque. E Stefano Oldani lo ha capito bene. Specie da quando quella maglia la indossa anche Philippe Gilbert.

Proprio dieci anni fa, in questa settimana, il vallone mise a segno una tripletta tutt’ora storica: Amstel, Freccia e Liegi. Tre nomi che si rincorrono come una filastrocca e che Philippe infilò con tre sprint da capogiro. Stefano magari era piccolo all’epoca, ma questa storia deve averla sentita. Anzi proprio Gilbert gli ha raccontato qualcosa in merito, come vedremo.

Stefano Oldani (23 anni) ha nelle gambe già 31 corsa di corsa
Stefano Oldani (23 anni) ha nelle gambe già 31 corsa di corsa

Oldani stakanovista

«La mia stagione sta andando bene – racconta Stefano – ho corso tanto finora, quindi adesso sono un po’ stanchino e infatti non dovrei più correre prima del Giro d’Italia. E non che il Giro non fosse in programma, solo che non erano previste altre corse, come i Paesi Baschi. C’è stato qualche caso di Covid e sono stato richiamato.

«Quando ti trovi poi a dover riposare prima di un evento così, c’è poco da fare nelle due settimane che restano: qualche richiamo per riattivarmi, ma nulla di più. Qualche lavoretto di brillantezza per tenere la fiamma accesa, come la chiamiamo noi. Devi stare attento a mangiare. Sai che non devi abbuffarti soprattutto nei giorni in cui non tocchi la bici. Però è importante concedersi anche qualche piccolo sfizio, perché poi in quelle tre settimane non puoi sgarrare». 

Al via della Freccia, Oldani e Gilbert (alle sue spalle) sono andati insieme al foglio firma
Al via della Freccia, Oldani e Gilbert (alle sue spalle) sono andati insieme al foglio firma

Verso il Giro

«L’obiettivo – riprende il lombardo – è una vittoria di tappa o perlomeno un podio, l’anno scorso ho fatto due buoni piazzamenti. Quest’anno voglio essere più competitivo sui miei percorsi, quelli più duri con arrivi ristretti ma non voglio crearmi troppi film in anticipo. 

«Come squadra andremo all’attacco com’è nella filosofia della Lotto. Ci sarà De Gendt che è uno dei grandissimi attaccanti del gruppo e come lui ci saranno altri cacciatori di tappe. Ci sarà poi Caleb Ewan che punterà alle volate e ci sarò anch’io. Vedremo un po’ cosa riusciremo a ottenere».

Gilbert (39 anni a luglio) sta cercando la condizione migliore
Gilbert (39 anni a luglio) sta cercando la condizione migliore

Un maestro d’eccezione

Philippe Gilbert al Giro non ci sarà o almeno è molto probabile. Con Stefano parliamo proprio di lui. «Correre con questo signore qui – indicando il belga – è tanta roba», gli diciamo…

«Mamma mia – ribatte Oldani – pensate che io sono anche in camera con lui. Sì, sì… per me è un’esperienza speciale. Da un campione come Philippe puoi solo imparare tanto, osservare, cercare di assorbire il più possibile». 

Tra i due ci sono 16 anni di differenza, una carriera in pratica. Proprio 16 anni fa, Gilbert diventava pro’ e al terzo giorno di gara tra i grandi vinceva la sua prima corsa, la seconda tappa al Tour de Méditerranée. Si capì subito che sarebbe potuto diventare un asso. 

Alla Parigi-Nizza di quest’anno, nella prima tappa Oldani e Gilbert, sono stati in fuga insieme (foto di apertura) e anche questo dice che tra i due l’intesa c’è. E’ stato proprio nella corsa a tappe francese che il belga ha chiesto al team di condividere la stanza con Stefano. E per questo Oldani fa bene a stargli vicino il più possibile: se cogliesse anche solo la metà del suo palmares, l’Italia ritroverebbe un vero campione per le classiche. Ma deve approfittarne.

Infatti, pochi giorni fa Philippe ha annunciato il suo ritiro. Si fermerà alla scadenza del contratto con la Lotto, che avverrà alla fine della prossima stagione, quindi nel 2022.

Gilbert e l’immagine della sua vittoria alla Freccia 2011, conquistata per distacco
Gilbert e l’immagine della sua vittoria alla Freccia 2011, conquistata per distacco

E quel video…

L’ex iridato paga ancora i postumi dei dolori al ginocchio. Ha saltato la prima parte delle classiche e adesso, dice lui, può allenarsi al meglio. A noi è sembrato sì contento di essere al via della corsa che forse ama di più (così almeno dicono i belgi che lo conoscono meglio, anche più della Liegi), ma certo non era tiratissimo. Si vedeva che non era al top. Insomma voglia tanta, gambe meno.

«Philippe – riprende Oldani – è sempre motivato, nonostante abbia annunciato il ritiro. Era abbastanza ovvio alla sua età (quando smetterà avrà 40 anni, ndr) e si è tolto tantissime soddisfazioni. Ha raggiunto tanti obiettivi, quindi ha ancora poco da fare in tal senso. Però quando attacca il numero sulla maglia è sempre super motivato. Poi questi sono i suoi percorsi… Pensate che proprio alla vigilia della Freccia, in camera prima di andare a dormire, mi ha girato il video di quando ha vinto sul muro d’Huy. Io l’ho visto e poi gli ho detto: Eh, quando è così, con quelle gambe, è come giocare alla Play!».

Aru: «Ma quale Giro, dopo la Liegi riposo e guardo avanti»

22.04.2021
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«Sono gare che vanno fatte. Serve esperienza, devi conoscerle per affrontarle al meglio». Tra i debuttanti di lusso di ieri non c’era solo Primoz Roglic, ma anche il nostro Fabio Aru.

In effetti, per un motivo o per l’altro, il corridore della Qhubeka-Assos non aveva mai corso nelle Ardenne, aveva solo preso il via, senza finirla, all’Amstel Gold Race del 2016. Ma, come si dice, non è mai troppo tardi.

Aru appena dopo l’arrivo della Freccia Vallone
Aru appena dopo l’arrivo della Freccia Vallone

Vecchie care sensazioni

Non è mai troppo tardi, soprattutto se a fine gara hai un sorriso grosso così. Ti sei divertito, ti sei misurato e senti che finalmente sei sulla strada giusta. Quei fenomeni che sgomitano davanti, e di cui facevi parte, piano piano tornano a farsi più vicini.

Alla fine Aru ha tagliato il traguardo di Huy in 41ª posizione, ma quel che conta è che sia arrivato ai piedi del muro con il gruppo dei migliori.

E’ chiaro, non ha ancora la gamba per tenere testa a gente che in questi mesi viaggia su altri mondi e probabilmente questa non sarebbe stata la sua corsa, neanche se fosse stato il Fabio dei tempi migliori. Ma è meglio prendere quello che di buono c’è e guardare avanti, piuttosto che rimuginare sul quel che non ha funzionato o che poteva essere.

Il sardo nella pancia del gruppo. «E’ importante conoscere certi percorsi», ha detto Aru
Il sardo nella pancia del gruppo. «E’ importante conoscere certi percorsi», ha detto Aru

Come un neopro’

Al mattino, scambiando qualche parola, Fabio era entrato subito nel merito di una sua presunta partecipazione al Giro.

«Sinceramente – spiega Aru – rimango basito certe volte da quello che esce, da come vengono fuori le notizie, ma ormai ci sono un po’ abituato. Ho visto anche io che su alcuni siti davano la mia partecipazione al Tour of the Alps, che non era in programma, e poi anche al Giro. 

«La nostra squadra ha questo nuovo metodo di comunicare la convocazione degli atleti sui social, tramite annunci fatti da alcuni fans un paio di giorni prima dell’evento e nessuno aveva parlato di queste corse. Per quello i nostri programmi non escono mai troppo in anticipo. Insomma era completamente errata questa news della mia partecipazione sia al Tour of the Alps sia al Giro d’Italia. Mentre avevo in programma queste classiche, Freccia e Liegi, che tra l’altro corro per la prima volta. E quindi debutto come un neopro’!».

Aru (31 anni a luglio) è alla Qhubeka-Assos da questa stagione
Aru (31 anni a luglio) è alla Qhubeka-Assos da questa stagione

Condizione in crescita

Nella stagione della ricerca degli stimoli, ci sta bene cambiare radicalmente le cose. Mettersi in gioco su terreni sconosciuti non solo è propositivo, ma evita anche eventuali paragoni, ricordi. E’ tutto nuovo.

«Sì, sì ci voleva questo! Non pensavo di essere così indietro. Ho perso veramente tanta continuità in questi anni e quindi c’è da lavorare, c’è da fare, c’è da correre, da far fatica sulla bici ed è quello che sto facendo».

A questo punto ci chiediamo se, vista la sua attuale condizione, fare gare di un giorno sia meglio da un punto di vista della fatica, per ritrovare il giusto colpo di pedale gradualmente. Magari le gare a tappe se non si è al top rischiano di affossarti. Ma con Michelusi, il suo preparatore, il piano è stato ben ponderato.

«In realtà stiamo facendo tutte e due, nel senso che ho fatto delle corse di un giorno in Francia a febbraio e altre a tappe successivamente. Finirò alla Liegi con 25 gare da inizio stagione più qualcuna di ciclocross. E’ un bel un bel blocco di lavoro, però era quello  di cui avevo bisogno. Ho ancora tanti atleti davanti, ma non sono neanche lontanissimo dai primi. Ai Paesi Baschi, ad esempio, avevo 20 corridori davanti a me, tutti top rider, ma so che sto progredendo, il corpo sta migliorando gara dopo gara».

Fabio Aru, Montodino 2020
Tra dicembre e gennaio Aru ha preso parte anche a diverse gare di cross
Fabio Aru, Montodino 2020
Tra dicembre e gennaio Aru ha preso parte anche a diverse gare di cross

Verso l’estate

Con la Liegi-Bastogne-Liegi, si chiude quindi la prima parte del 2021 di Aru. In pratica ha già uguagliato quanto fatto lo scorso 2020, quando mise nel sacco appena 26 giorni col numero sulla schiena. Solo che stavolta la storia non finisce qui.  

«Dopo domenica – dice Aru – farò un piccolo periodo di riposo per poi preparare appunto la seconda parte, l’estate. Mentalmente sono sereno e molto contento. Mi sto divertendo e questa è una cosa importante».

Non sappiamo se rivedremo il campione di San Gavino Monreale al Tour, ma se questa è la strada per ritrovare il suo talento ben venga. Il Tour o il Giro ci saranno anche l’anno prossimo. E comunque lui ha parlato di estate e ad agosto c’è la Vuelta.

Ma prima di andare ai bus: «A proposito, chi ha vinto?», ci chiede. «Alaphilippe – rispondiamo noi – e Roglic secondo». Lui fa un gesto col capo e scappa via. 

Alla Freccia, una Cervélo R5 tutta nuova per Roglic

22.04.2021
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Con quale bici ha corso Primoz Roglic alla Freccia Vallone? La sua Cervélo R5, a prescindere dalla colorazione nero antracite con filamenti gialli, ci ha subito colpito.

Così ci siamo concentrati meglio, per quel che abbiamo potuto fare viste le ristrettezze di movimento imposte dal Covid, anche per i giornalisti.

Carro rivisto?

Di sicuro si trattava di una Cervélo R5, la bici “leggera”, quella da scalatori, che ha in dotazione la Jumbo-Visma, quella aero infatti è la S5.

Quando Roglic si è presentato in zona mista e abbiamo potuto vedere per quei pochi secondi la bici da ferma, la prima cosa che ci ha colpito è stato il carro, soprattutto la parte alta dei pendenti, nell’incrocio con il reggisella. Non c’era più infatti la copertura in gomma per la brugola di fissaggio del reggisella stesso. Questi pendenti andavano a “circondare” il piantone e proseguivano fondendosi poi con il tubo orizzontale. Inoltre, nella parte posteriore del piantone, la “placca” di carbonio che si formava tra l’incontro dei due pendenti stessi, era più piccola. Forse perché questo telaio nasce per i freni a disco, mentre la “vecchia” placca più grande era pensata anche per l’alloggio del freno posteriore.

In zona mista, scatti rubati alla nuova Cervélo R5 di Roglic. Pendenti modificati?
In zona mista, scatti rubati alla nuova Cervélo R5 di Roglic. Pendenti modificati?

Altra cosa che abbiamo notato, sempre in zona carro è che i foderi bassi sembrano essere leggermente più oversize rispetto ai precedenti. Tra l’altro su di essi troneggiava la scritta FM 140 (Flat Mount), magari per indicare al cambio ruote che Primoz utilizza dei dischi da 140 millimetri. Un dettaglio che in caso di foratura potrebbe fare la differenza, se l’intervento non dovesse operarlo la sua ammiraglia ma quella dell’assistenza fornita dalla corsa.

Cavi anteriori spariti

E poi l’anteriore. I cavi della R5, che prima erano parzialmente integrati, sono spariti del tutto. L’ingresso non avviene più nella parte anteriore del tubo obliquo, nello stelo sinistro della forcella per quel che riguarda il freno anteriore, e nella parte avanzata dell’orizzontale, ma passano direttamente all’interno dell’attacco manubrio stesso e quindi del telaio. Attacco che infatti è cambiato. Non era il Vision utilizzato fino a poco tempo fa ma un Fsa. E con essa anche la piega era diversa.

Niente cavi esterni all’anteriore, tutto passa all’interno dell’attacco Fsa e del telaio
Niente cavi esterni all’anteriore, tutto passa all’interno dell’attacco Fsa e del telaio

Adesso bisognerebbe sapere (e indagheremo) se cambia anche qualcosa sul fronte di materiali e geometrie. A sensazione il telaio sembra leggermente più compatto, ma si è trattato davvero di una breve osservazione. Non si possono cogliere variazioni che semmai sono nell’ordine di pochi millimetri o pochissimi gradi di angolo.

Tuttavia, proprio l’angolo anteriore ci sembra più “dritto”: il che dovrebbe avvantaggiare la bici negli scatti. Se prima l’angolo di sterzo della R5 di Roglic (taglia 54) era di 73° adesso potrebbe essere di 73,3°. Ma ripetiamo: è solo un’ipotesi. Magari è stato solo rivisto il rake della forcella. O è solo la colorazione che inganna l’occhio.

Rumors tecnici

Viste le recenti polemiche, è stato ancora più difficile avvicinarsi alla bici del campione sloveno. Nel dopo gara, pensando volessimo parlare del “caso motorino”, ce l’hanno letteralmente coperta, prima con una giacca, poi con i fiori del podio e infine con lo zaino del massaggiatore.

La R5 usata ai Baschi: si può fare un confronto con la foto di apertura
La R5 usata ai Baschi: si può fare un confronto con la foto di apertura

Per il momento le differenze che abbiamo notato sono state queste. Però qualche info, o meglio qualche rumors, lo abbiamo raccolto e sembra che questa nuova versione della R5 sia stata provata anche da Tom Dumoulin e che potrebbe debuttare già sulle strade del Giro d’Italia.

Due biker alla Freccia! Rosa e Velasco nella fuga di ieri

22.04.2021
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Scusate, ma la Freccia Vallone non era una corsa su strada? E allora cosa ci facevano ieri due biker in fuga? A parte gli scherzi, il destino ha voluto che Simone Velasco e Diego Rosa, entrambi con un importante passato nella mountain bike, si ritrovassero in testa alla classica belga. I due sono stati fuori per 150 chilometri, più o meno.

E così, osservati speciali durante la corsa, li abbiamo acciuffati nel dopo gara. In cima al Muro d’Huy la strada spiana e lì i corridori sfilano per tornare con la strada “parallela” nei bus a valle. 

Simone Velasco (25 anni) è alle prime esperienze tra le Ardenne
Simone Velasco (25 anni) è alle prime esperienze tra le Ardenne

Debutto con fuga

Il primo è Velasco. Raggiungiamo l’elbano, mentre un massaggiatore gli passa una bottiglietta d’acqua e gli spiega come raggiungere i pullman appunto.

«Al momento – dice Simone – so che non posso ancora reggere i migliori su questi arrivi e quindi ci ho provato anticipando. Siamo andati fortissimo tutto il giorno in fuga. Io ho fatto il meglio che potevo, poi mi sono mancate un po’ di gambe nell’ultimo giro, ma ci stava. Avevo speso tanto. 

«Guardiamo avanti, alla Liegi. Tenteremo di attaccare di nuovo. E poi, ragazzi, prima o poi arriverà anche il nostro momento. Comunque è sempre un onore fare queste corse».

Velasco è soddisfatto. Per il corridore della Gazprom-RusVelo si tratta del debutto nella Campagna del Nord e nelle Ardenne. E’ venuto qui per fare il trittico. Amstel e Freccia in qualche modo le ha messe nel sacco, adesso tocca alla più dura, alla Liegi-Bastogne-Liegi.

«E’ la mia prima volta quassù – riprende Velasco – e devo prenderci un po’ le misure. Oggi è stata dura ma anche domenica scorsa sul Cauberg non è stata da meno. Infatti adesso voglio recuperare per bene in vista della Liegi, perché vi assicuro che sono morto! Domani voglio un po’, un bel po’, di relax. Anche perché poi venerdì andremo a provare il percorso di domenica prossima».

Rosa e Velasco protagonisti alla Freccia 2021
Rosa e Velasco protagonisti alla Freccia 2021

Chiacchiera da biker

Intanto proprio davanti a noi sfila Diego Rosa. Lo chiamiamo a gran voce. E Simone ci fa: «E’ biker anche lui! E oggi siamo stati compagni di fuga».

Diego si ferma, gira la bici e ci raggiunge. Nel frattempo Velasco ci confida: «Diego ha detto che mi deve una birra da un litro, lo aspetterò!».

Finalmente arriva il corridore dell’Arkea Samsic al quale chiediamo subito perché è in debito di una birra. «E’ vero gliela devo – ammette Rosa – ma solo se mi restituisce la maglia che gli ho messo in ammiraglia! Una bella birretta, stasera non ce la toglie nessuno di sicuro…». In pratica Velasco ha fatto un favore a Rosa facendogli lasciare una maglia che si era tolto nella propria ammiraglia.

In questo intermezzo molto da biker vista la birra, cogliamo l’occasione per chiedere a Rosa se anche lui come Velasco ad ottobre farà il mondiale Marathon. Diego però cambia espressione. Si fa serio e ribatte a Simone. «Perché tu fai il mondiale marathon?». L’elbano annuisce con la testa e ammette che ci vuol provare. Tanto più che si corre sui sentieri di casa, a Capoliveri, proprio all’Elba. A questo punto Rosa gli fa un paio di domande. Evidentemente la cosa lo stuzzica.

Diego Rosa (32 anni) in azione sul muro d’Huy
Diego Rosa (32 anni) in azione sul muro d’Huy

Rosa, la condizione e il Giro

Ma torniamo alla Freccia e sentiamo il piemontese.

«Abbiamo fatto una “specorata” oggi… (“specorare” in gergo significa fare molta fatica, ndr). Devo andare a vedere ancora i dati, ma credo che siamo andati davvero forte in fuga – dice Rosa, esattamente come Velasco – Cosa aggiungere: c’è gente più forte di noi.

«La fuga non era in programma. L’idea era di muoversi nel circuito finale. Poi invece mi sono ritrovato in un gruppo grande davanti, ho visto che dietro facevano fatica a rientrare nonostante fossero tutti in fila indiana e ho pensato: qui ci lasciano andare. Ci siamo mossi una volta sola, sia io che “Simo”. C’è stata un po’ di guerra prima, per entrare in quel gruppo davanti. Ma va bene così, come diceva un vecchio diesse italiano: il vento in faccia fa gamba. Speriamo abbia ragione!

«Io sono alla ricerca condizione. Con questa fuga mi sono fatto gran bel regalo e poi con una giornata come oggi, con il sole, queste gare sono ancora più belle. Purtroppo si sente la mancanza di corse del 2020. L’anno scorso ho fatto davvero pochissimi giorni di gara tra il Covid e la caduta al Tour. Ci vuole un po’ di tempo. Solo adesso sto trovando un po’ di continuità con le gare».

Con Diego si parla anche del Giro d’Italia. La sua Arkea è stata vicino ad ottenere l’invito e lui stesso ci aveva fatto più di un pensierino.

«Ci sono rimasto davvero male quando ho saputo che eravamo fuori. Ci tenevo tanto a tornare al Giro. Saremmo stati una squadra molto competitiva, di sicuro la più competitiva tra le professional. Abbiamo dovuto ricambiare i programmi e adesso siamo un po’ in balìa del calendario. Almeno sono contento che ci siano squadre italiane. A bocce ferme poi ci ho ripensato. Alla fine noi il Tour lo facciamo ed è giusto che tutti abbiano le loro possibilità».

Alaphilippe regale. Tempi perfetti e la Freccia è sua

21.04.2021
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«Grazie ragazzi». Julian Alaphilippe non è neanche sceso dalla bici, che si “aggrappa” al bottoncino della radio e ringrazia i compagni ancora intenti a sgambettare sul muro d’Huy. In questo modo li informa anche della sua vittoria. E infatti Vansevenant all’improvviso esulta e chi gli sta attorno, se non fosse del mestiere, lo prenderebbe per matto. 

Appena arrivato Alaphilippe schiaccia il bottone della radio per ringraziare i compagni
Alaphilippe schiaccia il bottone della radio per ringraziare i compagni

Il “Loulou” spavaldo

“Loulou” è il ritratto della tranquillità e della sicurezza. E questa nostra sensazione trova conferma mezz’ora dopo l’arrivo durante le interviste di rito. Quando Alaphilippe risponde schietto, veloce e con una battuta, vuol dire che sta bene.

La gara è andata secondo i programmi per la Deceuninck-Quick Step. La fuga, tra l’altro con dentro due italiani, Diego Rosa e Simone Velasco, è stata il pass per arrivare sotto al Muro nelle prime posizioni e con le gambe piene. E in questa situazione da “botta secca”, viste le sue caratteristiche, Alaphilippe era il favorito. Roglic è più scalatore e meno esplosivo di lui. Pogacar non è partito per i “presunti” casi di Covid in seno alla UAE e Pidcock, forse il più pericoloso, è rimasto coinvolto in una caduta.

La grinta e la fatica del campione del mondo dopo l’arrivo
La grinta e la fatica del campione del mondo dopo l’arrivo

Sicurezza Deceuninck  

“Loulou” era tranquillo, dicevamo. Al penultimo passaggio sul Muro era piuttosto indietro. Non esageriamo se vi diciamo di averlo visto in 60ª posizione, almeno… Però è anche vero che si voltava a cercare i compagni e che la sua bocca era socchiusa. Insomma stava bene. Era in pieno controllo. E quando glielo facciamo notare, lui risponde così.

«L’importante è essere stati davanti nell’ultimo di passaggio! Scherzi a parte, non ero mica tanto tranquillo, ma ho chiesto alla squadra di portarmi davanti nel momento giusto, sapevo che potevano farlo. E infatti alla “flamme rouge” (all’ultimo chilometro, ndr) avevo un’ottima posizione e ho rifinito il loro lavoro con le mie gambe».  In poche parole, il “Wolfpack” ha colpito ancora!

All’uscita dalla “S” Roglic attacca, alle sue spalle Alaphilippe e Valverde
All’uscita dalla “S” Roglic attacca, alle sue spalle Alaphilippe e Valverde

Roglic come Niewiadoma

Giusto la mattina, al via da Charleroi, Julian aveva detto che sarebbe stato importantissimo azzeccare il momento dell’attacco, perché questo muro ti inganna. E forse è quel che ha sbagliato Roglic, che era al debutto alla Freccia Vallone e ha anticipato un po’ i tempi. Lo sloveno però a fine gara ha detto di non aver rimpianti.

Roglic ha ricalcato esattamente quello che aveva fatto Katarzyna Niewiadoma poche ore prima. La polacca aveva sferrato l’affondo decisivo un po’ troppo presto, cioè all’uscita dalla S del Muro. E il risultato è stato lo stesso. Tra l’altro anche in quel caso a vincere era stata la campionessa del mondo.

«Dopo essere passati sotto l’ultimo chilometro, con la posizione che avevo ho solo controllato il più possibile – ha detto Alaphilippe – poi quando Roglic è partito e ho visto che ha fatto il vuoto dietro di lui… ho dato tutto.

«Oggi i ragazzi hanno fatto tutti un grande lavoro, devo ringraziarli. Honorè? Sì, lui sta facendo una grande primavera e sta correndo in un modo importante. Ha dato il massimo».

Temperatura intorno ai 18°, sulla Vallonia splendeva il sole
Temperatura intorno ai 18°, sulla Vallonia splendeva il sole

Erede di Evans

Quando Alaphilippe taglia il traguardo si leva un piccolo boato nell’aria, neanche fossimo in Francia. Sarà che ad organizzare la Freccia è l’Aso, la società del Tour, sarà che Alaphilippe è “internazionale”, ma non ci aspettavamo tanto clamore.

Vansevenant cerca Julien e si abbracciano. E lo stesso fa Valverde. Il murciano gli dà una carezza, come fosse un passaggio di testimone. Lui la Freccia l’ha vinta cinque volte e nonostante i suoi 40 anni (li compirà domenica durante la Liegi) è arrivato terzo. Primo dei “terrestri” a 6 secondi da Roglic e Alaphilippe. Questo per dire che i due hanno fatto gara a sé, ma anche per sottolineare che Alejandro c’è sempre. Avesse avuto cinque anni in meno, magari le sue gambe avrebbero avuto ben altra esplosività.

La carezza di Valverde. In due hanno vinto 8 Freccia
La carezza di Valverde. In due hanno vinto 8 Freccia

Testa già alla Liegi

Con la sua vittoria, Alaphilippe riporta la maglia iridata in testa sul Muro d’Huy. Non accadeva dal 2010, quando tale onore toccò a Cadel Evans.

«Eh sì, vincere qua con questa maglia è veramente speciale – ha aggiunto il francese – è solo la seconda dell’anno, ma è una vittoria importante. Non è mai facile vincere. Avevo la stessa fiducia in me stesso anche l’anno scorso, ma le cose non sono andate allo stesso modo. Bisogna sempre lavorare. La condizione è buona, ho lavorato per questo. E spero di fare bene anche alla Liegi, ma già così è qualcosa di super».

Tre volte la Freccia Vallone non è poco, specie se si hanno “solo” 28 anni. Julian volendo può agguantare e superare Valverde. «Non guardo a queste cose, veramente. I record verrano», ha detto.

A fine intervista, con l’adrenalina un po’ scesa, lo sguardo di Julian era di nuovo quello famelico visto la mattina al via della Freccia. A Liegi lo rivedremo molto, molto competitivo.

Van der Breggen sette volte regina d’Huy. Brava Elisa

21.04.2021
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Probabilmente ad Anna Van der Breggen daranno la cittadinanza onoraria di Huy, se non addirittura la faranno sindaco! La campionessa del mondo trionfa per la settima volta nella Freccia Vallone.

Che la si attacchi ai piedi del muro, in cima o da lontano, lei taglia per prima la riga dell’arrivo affianco alla chiesa di Notre-Dame de la Sarte.

Anna Van der Breggen (31 anni) nella mix zone a fine gara
Anna Van der Breggen (31 anni) nella mix zone a fine gara

Attacco alla favorita

Anche se in realtà è lei che attacca, almeno sulla rampa finale! E sì, perché le avversarie (forse ascoltando i consigli di Bartoli) hanno cercato di muoversi in anticipo, conoscendo le condizioni della portacolori della Sd Worx.

Sulla Côte de Chemin des Gueuses, penultima ascesa a circa 17 chilometri dal termine, l’eterna rivale e connazionale Van Vleuten ha smosso le acque con un affondo deciso. Con questa azione sono andate via in nove, quasi tutte le favorite. Tra le grandi non aveva risposto all’appello solo Marianne Vos.

L’azione della Van Vleuten era quindi giusta, a quel punto. Anche se non avesse staccato la Van der Breggen l’avrebbe comunque costretta a lavorare, a faticare o semplicemente le avrebbe stracciato il copione della sua corsa ideale: tutte insieme fino ai piedi del muro finale. Il problema è che su questo muro Anna si sente a casa.

La bici dell’iridata: da notare la catena sul pignone più grande
La bici dell’iridata: da notare la catena sul pignone più grande

E sono sette…

«Il fatto è che non abbiamo avuto il controllo della corsa – ha spiegato dopo l’arrivo l’iridata di Imola – e le cose non stavano andando secondo i piani. Ma le mie compagne sono state brave nel finale e sulla salita mi sono giocata le mie carte. E’ stata facile per voi? Io invece dico che ancora non ci credo».

La Van der Breggen saliva agilissima, ciò nonostante restava in controllo sulla Niewiadoma, la più pimpante e colei che di fatto ha sbriciolato il drappello nel finale.

Ma quando si procede così agili e si resta davanti si può fare quel che si vuole. E infatti negli ultimi 125 metri, che ad Huy sono infiniti, con quel filo di pendenza in meno, l’olandese ha buttato giù un dente e ha fatto la differenza. E così per lei sono sette vittorie, consecutive, ad Huy.

Però quando dice che non è stata così facile c’è da crederci. Appena tagliato il traguardo, Anna, stremata, ha subito ricercato il pignone più leggero (35×33). E lo testimonia la sua bici appoggiata ad una transenna in attesa che uscisse dal controllo antidoping.

Sul Muro d’Huy attacca la Niewiadoma (a destra), la Van der Breggen la bracca. Elisa fatica
Il momento chiave sul muro d’Huy. La Longo Borghini arranca ma non molla

La Longo c’è sempre

Merita poi un plauso Elisa Longo Borghini, come sempre “salvatrice della patria”. L’atleta della Trek-Segafredo chiude al terzo posto. E che terzo posto… per come andava nel finale c’è quasi rammarico.

Elisa infatti ha fatto il muro in modo speculare alla Van der Breggen. Loro due erano le più agili, solo che appena dopo la terribile “S”, il punto più duro, la Longo ha perso terreno. Tuttavia proprio in quel punto è stata molto intelligente e fredda. Ha perso contatto, l’hanno anche superata, ma negli ultimi 150 metri è stata forse la più veloce in assoluto. 

Come Anne davanti, anche Elisa ha innestato il “rapporto” ed ha riacciuffato la Garcia e la Van Vleuten, mostrando una grinta pazzesca e tanta energia. Quasi troppa verrebbe da pensare.

Però Elisa, che quest’anno sta cercando di cambiare le sue tattiche sin troppo generose (e per le quali è stata spesso criticata) non si può dire che non ci abbia provato. Quando la Van der Breggen a fine gara ha rivelato che le cose non stavano andando secondo i suoi piani, è proprio perché la Trek, la squadra della Longo Borghini, ha fatto corsa dura, attaccando da lontano, decimando le squadre e complicando la vita la vita alle favorite.