Che cosa avviene al Giro d’Italia nel giorno di riposo? Che cosa fanno i corridori? Il riposo è un concetto che può anche sembrare astratto, perché nel corso di una prova di tre settimane, molti sono i ciclisti che preferiscono rimanere in attività, provando a staccare la spina solo mentalmente. A chiarirci un po’ le idee è Davide Villella (Movistar) che sta affrontando il suo settimo Giro d’Italia e, dopo il ritiro del suo primo anno nel 2014, li ha sempre portati a termine.
«Normalmente durante il giorno di riposo due sono gli input che vengono dati ai corridori – esordisce il corridore di Magenta – il primo è dormire di più rispetto ai giorni di tappa, il secondo è comunque uscire per una sgambata in bici, dai 60 ai 90 minuti, per mantenere i muscoli agili. Se però la tappa dopo il riposo è piatta, molti non escono e cercano di riposare il più possibile. Me compreso…».
L’uscita quindi non è obbligatoria come si pensa…
Ci si regola in base alla propria esperienza, alle proprie abitudini. Dopo un po’ un corridore impara a conoscersi e a gestirsi. Io ad esempio – sottolinea Villella – nel giorno di riposo cerco di dormire finché posso e di recuperare perché so che poi ogni energia sarà preziosa, è la base per le tappe successive.
L’uscita nel giorno di riposo (qui la Jumbo Visma al Tour 2020) non è effettuata da tuttiL’uscita nel giorno di riposo (qui la Jumbo Visma al Tour 2020) non è effettuata da tutti
Dopo il pranzo, nelle ore nelle quali abitualmente si è in sella ed anzi le tappe sono nella fase decisiva, che cosa si fa?
Si riposa in camera, c’è anche chi fa un sonnellino pomeridiano, oppure ci si dedica a qualche film o programma televisivo. Un concetto che deve essere molto importante è che il riposo non deve essere solamente quello fisico, ma anche psicologico, è forse anche più importante. E’ chiaro che il pensiero a quello che ti aspetta c’è sempre, ma queste giornate servono anche per cercare di staccare la spina.
I massaggi si fanno anche nel giorno di riposo?
Rigorosamente, una volta al giorno. Non possono certo mancare, servono per mantenere la muscolatura reattiva per il giorno dopo.
In tanti anni a Villella è mai riuscito di avere 10 minuti per uscire dall’albergo?
Assolutamente no, so che è qualcosa che dicono tutti i ciclisti, ma è davvero così. Noi giriamo l’Italia, ma non riusciamo mai a vederla…
Domenica perfetta per la Ineos a sette mesi dal Giro dello scorso anno. Ganna vince la crono e racconta i giorni con quel capitano così piccolo e così duro
Gasparotto è passato dalla bici alla moto, come regolatore per Rcs Sport. Al Giro sono in 4: il capo è Velo, poi Longo Borghini e Barbin. Ecco cosa fanno
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Il pensiero dell’ultimo editoriale ha messo in moto un collegamento. Nibali potrebbe essere per Ciccone quel che Pantani fu per Garzelli nel 2000? Marco a quel tempo aveva 30 anni, era ancora lo scalatore più forte al mondo, ma usciva da un periodo drammatico. Nibali di anni ne ha 36 e il suo arrivo al Giro è stato piuttosto tormentato.
La corsa oggi riposa, Garzelli non ha incombenze televisive e si presta al ragionamento. I discorsi al Processo alla Tappa hanno fatto capire il continuo scambio di messaggi tra lui e Ciccone e il fatto che il varesino abbia già fiutato nel corridore della Trek-Segafredo il profumo della grande condizione, ma adesso andremo oltre.
«Stiamo vivendo un Giro bellissimo – dice Stefano – oggi al mondo i fenomeni sono Pogacar, Bernal ed Evenepoel e qui ne abbiamo due. In più con Bernal in maglia rosa, adesso salirà anche l’attenzione mondiale. E ancora non abbiamo fatto niente. Ho fatto i sopralluoghi delle ultime 10 tappe e da sabato prossimo sullo Zoncolan si apre un altro Giro. Ma secondo me, la tappa più pericolosa sarà quella di domani a Montalcino. Non conterà solo la gamba, serviranno anche abilità e fortuna».
Nibali e Ciccone: gli equilibri nella Trek-Segafredo stanno cambiando?Nibali e Ciccone: gli equilibri nella Trek-Segafredo stanno cambiando?
Come vedi Ciccone?
Ha dimostrato una condizione impressionante. Già a San Giacomo. Ha fatto quel finale così bello, dopo essere stato per 30 chilometri all’attacco con Bettiol. Si è salvato grazie alla gamba che ha.
Lo vedi Nibali che lo aiuta come Marco con te nel 2000?
E’ un discorso fattibile e direi anche naturale. Vincenzo ci ha abituato a dei grandi recuperi, ma questa volta la vedo difficile. Un po’ per l’infortunio e un po’ perché gli anni passano. A Campo Felice si è difeso bene, ma ha davanti dei ragazzi fortissimi, predisposti per vincere, sia a livello fisico sia mentale. Non penso che Vincenzo abbia voglia di lottare per altre due settimane per arrivare ottavo. Non è nella sua indole.
Quindi?
Quindi gli consiglio l’opzione di aiutare Ciccone, oppure quella di uscire pesantemente di classifica e provare a vincere un paio di tappe. Ma se riesce ad assimilare la bellezza di quel patto col compagno, credo che ne avrebbe un grande giovamento anche lui.
A Campo Felice, Ciccone è stato tatticamente impeccabileA Campo Felice, Ciccone è stato tatticamente impeccabile
Il suo apporto servirebbe a far capre a Giulio il modo migliore per correre.
Questo è un altro punto. Secondo me, Giulio sbaglia a vivere giorno per giorno. Sei secondo in classifica, mettiti a ruota di Bernal e segui lui. Quando nel 2000 Casagrande prese la maglia sull’Abetone, io ero secondo e mi misi alla sua ruota. Avevo aiutato Marco a vincere il Giro, sapevo che cosa volesse dire gestire le tre settimane. Giulio dice di non volere pressioni, allora si limiti a seguire Bernal, perché il Giro è molto lungo. Anche perché se si muovesse ora, non gli lascerebbero spazio. Dovrà aspettare il momento giusto e semmai attaccare a colpo sicuro, quando ci sarà la possibilità di far davvero male.
Pensi che se ne renda conto?
Credo di sì, nonostante quello che dice. Si è allenato bene. La terza settimana nelle gambe ce l’ha, quando vinse a Ponte di Legno era verso fine Giro. Forse con lui siamo ripetitivi, perché in alcune occasioni ha corso male. Il Giro si vince con le gambe e con la testa. E a Campo Felice è stato perfetto. Ha tenuto bene Bernal, lo ha perso solo quando Egan ha messo il 53.
Nibali potrebbe aiutarlo a Montalcino?
Sarebbe decisivo, anche perché è uno di quelli che guida meglio. Vincenzo ricorda sicuramente quel che accadde nel 2010, quando lui rimase vicino a Basso. E io credo che domani la Trek-Segafredo dovrà fare una scelta e dare la precedenza a Ciccone. Almeno se ci fossi io sull’ammiraglia, farei così. Secondo me da domani anche Mollema dovrebbe smettere di andare in fuga. E anche Nibali potrebbe diventare un faro per Ciccone. Non credo pensino che Vincenzo possa arrivare sul podo.
Il consiglio di Garzelli per Ciccone: «A ruota di Bernal e aspetta» (foto Alessandro Federico)Il consiglio di Garzelli per Ciccone: «A ruota di Bernal e aspetta» (foto Alessandro Federico)
Il campione che aiuta il compagno più giovane la vive bene o mastica amaro?
Un pochino mastica amaro, però lo fa. So che Marco non faceva i salti di gioia a stare accanto a me sull’Izoard, voleva andare a vincere la tappa e sappiamo bene che cosa avrebbe significato per lui. Per questo quel giorno ne uscì come un gigante. E credo che sarebbe così anche per Vincenzo. E’ uno che sembra sempre distaccato, ne acquisirebbe per primo un grande valore.
Vincenzo Nibali non aveva gran voglia di interviste, ma quando ha capito che il tema era Damiano Caruso, è sceso dal pullman. E si è messo a raccontare
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Quanto conta il riposo notturno per un corridore? Chiunque vi dirà tantissimo, ma se sei in un grande Giro, dove il recupero quotidiano dai chilometri percorsi è la discriminante che spesso decide le sorti della corsa, ancora di più. La sera, prima si anticipa il sonno e meglio è (in apertura i belgi Thomas De Gendt e Tim Wellens della Lotto Soudal impegnati nelle ultime incombenze di giornata, in una foto d’archivio)
Maurizio Mazzoleni, preparatore dell’Astana, ne è più che convinto: «Il recupero dell’atleta inizia appena conclusa la corsa, già il recovery nutrizionale e il trasporto in pullman verso l’hotel devono essere parte di questo recupero, ma la parte notturna è quella decisiva ed è anche quella di più difficile gestione».
In che senso?
Premesso che nel ciclo del sonno, più fasi Rem ci sono e più il recupero sarà profondo, il problema sono i tempi. Spesso abbiamo a che fare con tappe lunghe, trasferimenti dalla sede di tappa fino all’albergo che portano a iniziare tardi il ciclo dei massaggi, conseguentemente la cena e quindi l’andata a dormire. Lo stesso dicasi per la mattina, se dall’hotel bisogna partire presto per raggiungere la partenza. Sono variabili che alla lunga incidono.
Per Mazzoleni (Astana), anche una mezz’ora in più di sonno a notte può fare la differenzaPer Mazzoleni (Astana), anche una mezz’ora in più di sonno a notte può fare la differenza
C’è da parte delle squadre una particolare cura nella preparazione delle stanze negli alberghi?
Gli hotel sono stabiliti dall’organizzazione, che cerca a fine Giro di assegnare lo stesso numero di “stelle” in totale per ogni team. Cuoco e massaggiatore raggiungono l’albergo subito dopo la partenza per predisporre le camere: alcuni team portano propri materassi, alcuni corridori hanno con sé i cuscini di casa, si fa di tutto per riposare al meglio.
Come si fa a capire quanto un corridore abbia recuperato?
Al suo risveglio si effettua un controllo sulla variabilità cardiaca, bastano 5 minuti per avere un’idea di come sia stata la notte. Noi come Astana poi utilizziamo nelle camere i depuratori di ozono per sanificarle, come abbiamo fatto per tutto il 2020, in modo da prevenire anche rischi di contagio da Covid. Viene acceso 15-20 minuti per ogni camera che è così sanificata prima dell’arrivo del corridore.
Quanto deve dormire un corridore?
Non c’è uno standard predefinito, ma più riposa meglio è. I corridori più esperti fanno un po’ da guida per i più giovani, richiamandoli al riposo. Basti pensare che andare a letto anche solo una mezz’ora prima ogni sera significa che a fine Giro hai riposato una notte in più…
Jai Hindley riallaccia il filo con il Giro d'Italia e prova a riprendersi la rosa persa l'anno scorso all'ultima tappa. Primo inverno lontano dall'Australia
Un altro incontro con Roche, questa volta parlando di biciclette. La bici da gara con ruote alte è solo per grandi “manici”. E Bardet lo prende in giro...
Quel che manca semmai è il coraggio di sognare. Perché non dirlo chiaramente: Ciccone ha il Giro nelle gambe. Invece siamo così convinti di essere spacciati, che alla fine nemmeno ci proviamo più. Le parole dette ieri da Elisabetta Borgia potrebbero applicarsi anche al nostro ambiente.
«Ciascuno di noi è razionalità, emozione e comportamento. Le percentuali con cui questi tre fattori si mescolano dipendono da persona a persona. Se il nostro approccio con la vita è legato soltanto alla logica e tagliamo totalmente le emozioni, alla lunga avremo dei problemi. Idem per il contrario. Uno dei meccanismi più diffusi è quello della profezia che si autoavvera, la self fulfilling prophecy, per la quale le convinzioni che abbiamo determinano la realtà. Ci convinciamo così tanto che alla fine funziona. Una sorta di effetto placebo. E’ la fiducia in se stessi, il credere di poter dare una svolta alla propria vita, contrapposto all’atteggiamento di chi non ci crede».
Nibali è in crescita di condizione, potrebbe essere il miglior riferimento per CicconeNibali è in crescita di condizione, potrebbe essere il miglior riferimento per Ciccone
Fiducia e cuore
La classifica del Giro è tutta lì. D’accordo, Bernal è un mostro e Remco promette di diventarlo. Noi abbiamo Ciccone, eppure continuiamo a etichettarlo come un peso piuma scriteriato, mentre a volte un abbraccio, qualche titolone e tifosi che urlano il tuo nome lungo le strade sono la spinta migliore. Il passaparola fa crescere la fiducia della gente, che arriva dritta al cuore. Non furono l’esaltazione, i titoloni e il coraggio le armi che per poco non portarono Chiappucci a vincere il Tour? Ma se parti già sconfitto, allora che cosa parti a fare?
Una scazzottata
Il Giro non è il Tour. Il Giro, al confronto di quel ring giallo e pieno di striscioni, è una scazzottata di strada, dove più che i massimi sistemi contano la rabbia e il coraggio. E Ciccone, di questo siamo certi, ne ha da vendere. Ieri Egan si è commosso raccontando i sacrifici fatti per arrivare sin qui, noi ci sentiamo di dire che la vita di Giulio degli ultimi due anni non sia stata più tenera, fra il cuore da mettere a posto, la malattia di sua madre e per ultimo il Covid. L’abruzzese non si piega, piuttosto si spezza. E’ vero che Bernal viene da una fame antica e non ha paura di sporcarsi le mani, ma perché non credere di potersela giocare?
Garzelli vinse il Giro del 2000 anche grazie al riferimento in corsa di Marco PantaniGarzelli vinse il Giro del 2000 anche grazie al riferimento in corsa di Marco Pantani
Il ruolo di Nibali
Il Giro d’Italia è apertissimo e con le sue curve e le sue montagne, ha spesso mandato in crisi gli schemi perfetti. E se lo scorso anno il Team Ineos riuscì ad adattarsi grazie alla chiave di lettura offerta da Tosatto, siamo certi che Ciccone abbia in casa l’arma vincente. Colui che, finché le gambe glielo consentiranno, potrà dargli le indicazioni su come correre e quando affondare i denti. L’ago della bilancia di questo Giro sarà Vincenzo Nibali: il miglior navigatore in corsa per Ciccone, se riuscirà a svestire i panni del goleador ed entrare in quelli del regista. Anche Garzelli vinse un Giro d’Italia grazie alle sue doti e a quel giorno sull’Izoard in cui ebbe accanto il più grande di tutti. Si può fare. Noi vogliamo crederci, magari Cicco ci crede già dal primo giorno.
L'attacco di Simon Yates ai 900 metri parla di fiducia. Il vincitore del Tour of the Alps sta ritrovando smalto. Bernal lo ha capito e ha risposto forte
L’Aquila e il Giro d’Italia. Ricordi e ferite. Oggi la corsa riparte da qui, dalla stessa città che nel 2005 salutò la splendida volata di Danilo Di Luca e che cinque anni più tardi, appena un anno dopo il terremoto, fu il teatro di una delle fughe più pazzesche della storia della corsa rosa. E proprio a quel giorno vogliamo riportarvi.
Grazie a questa fuga, Carlos Sastre, vincitore del Tour 2008, rientra in classificaGrazie a questa fuga, Carlos Sastre, vincitore del Tour 2008, rientra in classifica
Schock a Montalcino
Il 19 maggio 2010 è un mercoledì. Il Giro d’Italia ha già alle spalle la tappa del fango a Montalcino vinta da Evans con Vinokourov in maglia rosa e l’arrivo di Terminillo, che ha consolidato il primato del kazako. L’11ª tappa parte da Lucera e arriva all’Aquila, con un profilo altimetrico che ricorda la frazione di ieri. Solo il finale non è in salita e forse per questo nessuno può immaginare lo sconquasso che sta per accadere.
«Nessuno lo pensava – sorride Alex Sans Vega, oggi direttore sportivo del Team Qhubeka Assos– ma ci si mise di mezzo un meteo pazzesco. Partimmo col sole, era una bella giornata. Io al tempo ero sull’ammiraglia del Team Cervélo, il nostro capitano era Carlos Sastre. Nel giorno di Montalcino avevamo perso troppo tempo, per cui il piano era di entrare nelle fughe per recuperare terreno».
Vinokourov non tira, perde la rosa e scivola in classifica a 9’58”Vinokourov non tira, perde la rosa e scivola in classifica a 9’58”
Dopo la galleria
La salita dopo lo svincolo di Volturara Appula ha in cima una galleria. Mancano più di 200 chilometri al traguardo, è già partita una fuga e nel gruppo proprio Sastre racconterà di essersi accorto di una strana elettricità.
«La salita era lunga – ricorda Sans Vega – ma non era dura. Così i corridori entrarono nella galleria con il sole e quando uscirono dall’altra parte pioveva da matti. Dalla primavera all’inverno in un colpo solo. Il gruppo era già mezzo rotto, ma appena arrivarono di là dalla galleria, si fermarono quasi tutti per chiamare le ammiraglie e chiedere le mantelline. Noi non ci fermammo. Quando all’uscita del tunnel vidi che stava succedendo qualcosa di strano, dissi ai ragazzi di tirare dritto. Serviva tutta la squadra davanti e ci trovammo con Sastre, Xavi Tondo e inizialmente anche Gustov. Andammo avanti nel diluvio per 10 chilometri senza tirare il fiato. E quando arrivammo sui primi con l’ammiraglia per portargli le mantelline, la corsa era già spaccata. Vinokourov e tutta la Liquigas erano indietro anni luce…».
La fuga si avvicina all’Aquila, si riconoscono i segni del terremotoLa fuga si avvicina all’Aquila, si riconoscono i segni del terremoto
Blackout radio
Con i primi c’è anche Wiggins, che non ha ancora vinto il Tour (nella foto di apertura, il britannico ha a ruota Gustov). E il Team Cervelo fa un capolavoro. In più, la tecnologia si mette di mezzo. Con i corridori tutti intabarrati, fradici e coperti dalle mantelline, radio corsa non riesce a dare tempestivamente i numeri dei corridori che si vanno aggiungendo alla fuga.
«Per cui quando hanno detto chi c’era davanti – sorride lo spagnolo – era già tardi. Vinokourov, Basso ed Evans si misero a litigare per decidere chi avrebbe dovuto tirare. Ricordo che nella fuga c’erano dei loro compagni di squadra, che vennero fermati per aiutare. Ricordo che avevamo iniziato la tappa con Tondo a 6 minuti e Sastre a 10. La sera nell’hotel sul mare Adriatico, Tondo era risalito al 4° posto, mentre Sastre all’8°, con la maglia rosa sulle spalle di Richie Porte».
Si raddrizza anche il Giro di Xavi Tondo, spagnolo simpatico, che morirà per un incidente l’anno dopoSi raddrizza anche il Giro di Tondo, spagnolo simpatico, che morirà l’anno dopo
La terza ammiraglia
Oggi tutto questo non sarebbe possibile, perché proprio da allora le squadre analizzarono quanto accaduto e si inventarono di mandare ogni giorno un’ammiraglia in avanscoperta, che riferisse al gruppo le condizioni del vento e del meteo.
«Oggi questa situazione l’avremmo prevista – ammette il tecnico spagnolo – grazie alle ammiraglie e alle varie app che permettono di prevedere il meteo nel dettaglio, chilometro dopo chilometro. Però quelle zone sono adattissime per certe azioni. Nel 2019 facemmo una tappa simile, nella stessa zona, sempre con arrivo all’Aquila e vinse Pello Bilbao, lasciandosi indietro tutti gli uomini di classifica».
Basso taglia il traguardo a 12’45” nel gruppo degli uomini di classifica
Evans, l’eroe di Montalcino, non sta bene, ha avuto tutto il giorno mal di stomaco
Basso taglia il traguardo a 12’45” nel gruppo degli uomini di classifica
Evans, l’eroe di Montalcino, non sta bene, ha avuto tutto il giorno mal di stomaco
Un giorno pazzesco
Il commento di Sastre a fine tappe rende perfettamente la misura della giornata che lancerà lo spagnolo Arroyo – uno degli eroi dell’Aquila – verso il secondo posto finale, costringendo la Liquigas di Basso e Nibali agli straordinari sulle grandi montagne.
«E’ stato uno spettacolo impressionante – dice lo spagnolo – più di tremila metri di dislivello a 41 di media. Ho passato tutto il giorno a chiedermi cosa facessero dietro, ma non è un mio problema capire che cosa abbiano fatto. Quel che conta è aver scardinato una situazione che sembrava compromessa. E’ un Giro matto, domani potrei crollare io, ma ora preferisco non pensarci».
Quel Giro lo vincerà Ivan Basso, su Arroyo e Nibali. Quarto Scarponi, mentre Sastre finirà ottavo. Accadeva 11 anni fa. Oggi L’Aquila ha meno macerie e accoglie Egan Bernal in maglia rosa. va proprio riconosciuto: da queste parti il ciclismo non è mai stato banale.
Thibaut PInot concude il Tour of the Alps e poi si arrende: troppo male alla schiena per pensare al Giro. Iniziò tutto dalla caduta di Nizza al Tour del 2020
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Quest’anno Nino Daniele, medico della Trek–Segafredo, non è al Giro, lasciando spazio a un suo collega, ma presto tornerà in carovana, magari per il Tour. Da tanti anni ormai è chiamato a girare il mondo al seguito delle squadre ciclistiche e nel corso della sua carriera ne ha viste davvero di tutti i colori.
Daniele soprattutto conosce bene quale sia la vita del medico al Giro: «C’è da lavorare tutti i giorni h24, è una faticaccia vera perché sai di avere una grande responsabilità: molti pensano che dobbiamo seguire solo gli 8 corridori ma non è così, un team al Giro è un gruppo composito, che vanta almeno 30 persone e tutti si rivolgono a te per qualsiasi problema, non ci sono solo gli eventuali incidenti…».
Il medico è chiamato a gestire il lavoro di massaggiatori, osteopati e delle altre figure?
La loro routine è già stabilita in precedenza e sanno bene quel che devono fare. E’ chiaro che per qualsiasi necessità dobbiamo essere pronti, anche solo per un consulto, per coordinare tutti gli interventi.
Nino Daniele insieme a Giacomo Nizzolo ai tempi della sua permanenza alla Trek, anno 2018Nino Daniele insieme a Nizzolo ai temi della Trek, anno 2018
Qual è stato il Giro più difficile che hai affrontato?
Difficile dirlo perché ogni edizione ha avuto le sue peculiarità, ogni giornata può riservare belle o brutte sorprese. Pensandoci mi viene in mente l’edizione del 2005: eravamo alla Discovery Channel con Savoldelli capitano, che poi vinse, ma non parlava inglese. Quindi feci tutto il Giro sull’ammiraglia a fare da interprete. Lavorai più da traduttore che da medico…
Le condizioni peggiori nelle quali hai lavorato?
Ricordo un anno che ci fu pioggia e cattivo tempo per quasi tutta la corsa e col passare dei giorni insorsero malattie respiratorie nei corridori. Con il clima freddo che si prolunga per più giornate, c’è il rischio che si ammali qualcuno e diventa difficile andare avanti. Eppure sapendo gestire la situazione riuscimmo ad evitare l’insorgere di bronchiti. Non dimentichiamo che siamo in presenza di ragazzi giovani, sani.
Il timore maggiore?
Risposta semplice: le cadute. Siamo in ansia tutti i giorni che succeda l’imponderabile, basta un nonnulla e possono accadere guai seri, anche gravissimi. Quando Weylandt è caduto io c’ero, il primo corridore a seguirlo era uno della mia squadra, sarebbe bastato un attimo e il destino avrebbe potuto colpire lui. Infatti fu subito sentito come testimone e ricordo che dovetti scrivere la sua testimonianza sul mio Pc. Oppure una vicenda ben più recente, la rovinosa caduta di Jakobsen in Polonia, uno dei 7 che lo seguivano era della Trek. Le cadute sono la cosa peggiore che possa avvenire, ogni volta abbiamo un sussulto al cuore.
Marco Giovannetti centrò un doppio podio alla Vuelta (che vinse) e al Giro del '90, nello spazio di poche settimane. Che cosa ricorda di più? La fatica...
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A prescindere dal fatto che oggi perda la maglia rosa oppure la tenga, ci sono state alcune parole di Attila Valter e del suo direttore sportivo Philippe Mauduit sulla soglia del dolore, pronunciate subito dopo la tappa di San Giacomo, che continuavano a risuonarci nella testa.
«Se mi convinco davvero di qualcosa – aveva detto l’ungherese – la mente sposta avanti il limite e a quel punto non c’è niente di impossibile».
Il tecnico francese era entrato più nel dettaglio: «Una cosa che abbiamo notato subito è la capacità di farsi del male quando è in difficoltà o quando ha un obiettivo. Sa andare oltre la soglia del dolore e lo fa razionalmente. Se lui si convince che può farlo, di solito lo fa. E’ grintoso. Se molla la presa, vuol dire che è davvero morto».
La maglia rosa è un bel peso da portare, in corsa si sente…La maglia rosa è un bel peso da portare, in corsa si sente…
Il riferimento alla soglia del dolore ci ha riportato agli interminabili discorsi sul tema con Marco Pantani, capace di andare oltre quel livello, portando i suoi rivali in una zona sconosciuta di cui spesso avevano paura. Per capire meglio ci siamo rivolti a Elisabetta Borgia, psicologa e mental coach, che collabora con la Trek-Segafredo e svariati altri atleti.
Come si fa a decidere di soffrire?
Ognuno trova il pulsante per tirare fuori il meglio da se stesso. Sono doti diverse, tratti della personalità. Ci si arriva tramite la razionalità estrema, come magari nel caso della maglia rosa, oppure per istinto e mi viene in mente Alaphilippe.
Parliamo del pulsante?
Ciascuno di noi è razionalità, emozione e comportamento. Le percentuali con cui questi tre fattori si mescolano dipendono da persona a persona. Se il nostro approccio con la vita è legato soltanto alla logica e tagliamo totalmente le emozioni, alla lunga avremo dei problemi. Idem per il contrario. Uno dei meccanismi più diffusi è quello della profezia che si autoavvera, la self fulfilling prophecy, per la quale le convinzioni che abbiamo determinano la realtà. Ci convinciamo così tanto che alla fine funziona. Una sorta di effetto placebo.
Nel famoso giorno di Montecampione al Giro del 1998, Pantani portò Tonkov oltre il limite del dolore e il russo ne ebbe pauraA Montecampione nel Giro del 1998, Pantani portò Tonkov oltre il limite del dolore
Una sorta di volere è potere?
Alla base però c’è un allenamento mentale. Gli atleti hanno a disposizione un’infinità di dati sulla propria fisiologia, ma l’aspetto mentale è cruciale. Marc Madiot, per cui corre Attila Valter, lavora molto sui punti di forza. E’ bravo a tirare fuori il meglio dai suoi ragazzi, puntando sull’allenamento e anche sull’aspetto motivazionale. In ogni caso, ciò che accomuna la gestione razionale e quella istintiva, è il senso di responsabilità nei confronti del proprio futuro. La fiducia in se stessi, il credere di poter dare una svolta alla propria vita, contrapposto all’atteggiamento di chi non crede in se stesso.
Come si fa a imporsi la sofferenza e accettare il dolore?
E’ il momento più difficile da gestire. Sei a tutta, quindi sei vulnerabile, fragile. Ognuno di noi ha una soglia della sofferenza, il fatto di saper andare oltre dipende da quanto sei mentalizzato in partenza e da quanto sei efficace nella tua azione. Se sei in forma, ti viene più facile.
Puoi entrare più nel dettaglio?
Quando feci il Master in Psicologia dello Sport, il dottor Vercelli diceva che quando siamo alla frutta, abbiamo ancora un 5% da dare. E faceva l’esempio della madre che vede il figlio in pericolo e per salvarlo compie gesti fuori da ogni schema.
Oggi al via, Attila sa che Bernal, Evenepoel e Ciccone lo attaccheranno: come reagirà?Attila sa che Bernal, Evenepoel e Ciccone lo attaccheranno: come reagirà?
Quindi è qualcosa che non si può allenare?
Qualcosa si può fare. Dipende dal dialogo interno. Nel momento in cui siamo a tutta e ci spingiamo verso quella porta, qualcosa ci stiamo dicendo. Pensateci. Quando fate uno sforzo molto intenso, non parlate con voi stessi? Di solito ognuno di noi si incita. Oppure visualizza l’immagine dell’arrivo in cima e dell’obiettivo raggiunto. Bisogna imparare a trasformare in termini positivi quello che ci diciamo ed escludere tutto il resto.
Escludere cosa?
La nostra mente ha il limite di processare un’informazione per volta. Se adesso io vedessi qualcosa che mi distrae, automaticamente smetterei di ascoltarti. Staccherei l’attenzione dal primo obiettivo. Se l’atleta vuole rendere al massimo, non deve pensare ad altro. Questa capacità va allenata. Per contro, capita che arrivi da me il professionista che non ce la fa più, che parla di «vomito da fatica». Che non riesce più a reggere perché magari è un po’ depresso ed è entrato in un circolo vizioso.
Le preoccupazioni della vita quotidiana limitano la capacità di soffrire e accettare un altro dolore?
Quando l’atleta porta le sue problematiche, è chiaro che non si parla più solo di sport. Parliamo prima di tutto di uomini e donne. In quei casi, non si possono fare miracoli, ma si lavora per scindere i due aspetti per il breve tempo necessario. E’ un palliativo, perché le due sfere sono integrate. Il massimo che puoi fare è lavorare sulla superficie e sulla concentrazione per portare a casa il risultato.
Ultimo aspetto. Inizialmente hai parlato della quantità di dati che si hanno a disposizione. Esiste un rovescio della medaglia?
Al riguardo ho una visione… equilibrata. Il ciclismo ha avuto un’evoluzione incredibile, sul fronte degli strumenti e per la necessità di limare ogni dettaglio, dalla bici al peso. Il corridore è iperstimolato su più fronti e si rischia che abbia sempre più bisogno di un supporto esterno per sapere cosa fare. Bennati mi raccontava che atleti più giovani non sono capaci di allenarsi se la batteria dell’Srm è scarica. Per me la via di mezzo è quella maestra.
Ieri verso Guardia Sanframondi qualcuno ha visto primi segnali di cedimento nell’unghereseIeri verso Guardia Sanframondi qualcuno ha visto primi segnali di cedimento nell’ungherese
Vale a dire?
Non ci si può più allenare come Coppi, ma torniamo alle sensazioni. Ho caricato i dati su Training Peaks, ho mandato i file al coach. Tutti sanno come sto, ma io come mi sento? Le corse si vincono con i watt, ma anche con le azioni creative. Una cosa che mi sembra sempre strana è vederli arrivare stravolti sul traguardo, quasi barcollare, eppure schiacciare il tasto sul computerino. Cosa cambia se non lo fai? E siccome i più giovani copiano i pro’, si rischia di creare un esoscheletro, ma dentro non c’è niente e poi succede che il corridore arrivi al burnout (molto interessante una precedente intervista con Elisabetta Borgia sulle motivazioni che portarono al ritiro Tom Dumoulin, ndr).
Quindi la morale qual è?
Bisogna lavorare sulla formazione dei direttori sportivi nelle categorie giovanili, è l’unico modo.
Attila terrà la maglia rosa? Le sue parole fanno pensare davvero a un atleta capace di motivarsi fino a far avverare la sua profezia. Se mollerà, come dice Mauduit, avrà dato davvero tutto. Sapremo tutto fra poche ore. Speriamo di avervi dato un’altra chiave di lettura per la tappa di Campo Felice. Ma quanto è bello il ciclismo? E quanto c’è ancora da imparare?
A Montichiari giornata intensa per le nazionali della pista. Il cittì Villa ed il suo staff prepara gli ultimi dettagli in vista degli europei di Grenchen
Ciccone riparte dalla Spagna con la voglia di ritrovare le sensazioni del Giro e grande bisogno di fortuna. Nibali addio. E qualche critica da rispedire
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Passano a 8 secondi di distanza l’uno dell’altro. Gavazzi e Carboni, i due italiani nella fuga col francese, lo spagnolo, i due belgi, il tedesco e il colombiano. Gavazzi arriva secondo e un po’ viene da mangiarsi le dita. Carboni alla fine è quinto, dopo aver viaggiato per un po’ in testa alla corsa. Prendere la dannata fuga del giorno non è stato affatto facile. Quasi 60 chilometri di scatti e controscatti. Quasi si fosse alla fine del Giro e tutto il gruppo volesse in qualche modo lasciare il segno. Anche se mancano due settimane. E giornate come questa le sentiranno certamente nelle gambe.
Campenaerts non ha dato una grossa mano e Carboni si è ritrovato presto da soloCampenaerts non ha dato una grossa mano e Carboni si è ritrovato presto da solo
Delusione 2020
Gavazzi parla poco. Gli ultimi mesi della sua carriera sono stati un toboga di cambi di direzione, delusioni e risalite. Lo incontrammo per caso, in un mattino al Giro d’Italia U23 sul lungolago di Colico, mentre faceva colazione. Una mattinata tersa e stupenda, che portava al Giro d’Italia cui Francesco avrebbe preso parte. Eppure la storia andò diversamente, la sua stagione si stava avviando a conclusione.
«Per certi aspetti non è mai iniziata – raccontò a fine anno a FIlippo Lorenzon – sono stato escluso dal Giro d’Italia diciamo per delle incomprensioni con il team…».
A salvarlo dal malumore è arrivato Ivan Basso, che aveva bisogno di mettere nella nascente Eolo-Kometa qualche nome di sostanza per fare da chioccia ai più giovani. Qualcuno capace di concretezza.
Lafay è andato, Carboni si volta e vede arrivare GavazziLafay è andato, Carboni si volta e vede arrivare Gavazzi
L’occasione della vita
«Purtroppo non è andata – dice oggi dopo un secondo posto che brucia, ma parla di un corridore ancora in palla – però a 36 anni essere qui a lottare per una vittoria è importante. Ci riproveremo ancora. Col senno di poi, magari era giusto seguire Lafay quando è partito. E’ andato forte anche lui, quindi complimenti. L’obiettivo della squadra da inizio Giro è vincere una tappa. Oggi mi si è presentata l’occasione della carriera. Una vittoria al Giro avrebbe ripagato i sacrifici di un’intera carriera. Sarebbe stata un’emozione grandissima. Già prendere la fuga è stata una grande cosa. Me la sono giocata fino alla fine. Purtroppo è venuto un secondo posto, come i tanti altri che ho avuto. Bisogna accettarlo e da domani ci riproveremo».
Gavazzi ha iniziato la risalita forse troppo tardi, la rimonta si è fermata a 36″ dal successoGavazzi ha iniziato la risalita forse troppo tardi, la rimonta si è fermata a 36″ dal successo
La va o la spacca
Carboni lo sentiamo che sta mangiando sul pullman dopo la tappa. I commentatori in tivù, soprattutto Garzelli, hanno detto che forse il suo errore è stato voler seguire Campenaerts, che lo ha mandato fuori giri troppo presto.
«In realtà – spiega lui – l’ho seguito perché è un super passista e speravo che mi avrebbe portato ai piedi della salita con un buon margine. Però dopo i primi due cambi, mi sono accorto che remava e non andava avanti. Ma a quel punto ero partito e ho tirato dritto. Oggi tutta la squadra doveva provare e aver preso la fuga giusta era un bel modo per ricambiare i compagni che hanno attaccato nei giorni scorsi. Sinceramente non sentivo bene la radio, quindi non sapevo che Lafay stesse arrivando. O la va o la spacca. Oggi mi hanno spaccato, la prossima volta magari va bene a me».
Un’altra rincorsa
La sua stagione di fatto è cominciata a febbraio, dato che per tutto gennaio c’è stato a fargli compagnia il Covid. Il Tour of the Alps è stato un boccone laborioso da mandare giù, ma adesso le gambe girano per il verso giusto e se l’allergia gli darà tregua, proverà di nuovo.
«La squadra sta correndo bene – dice – e probabilmente nel finale ho pagato gli sforzi fatti per entrare in fuga. Non succede sempre che 3/4 di gruppo vogliano entrare in fuga. Oggi erano tutti lì. Io sto bene, ci rivedremo ancora…».
Conci e Fedeli hanno firmato. Canola andrà da solo. Carboni, Malucelli e Scaroni hanno trovato uno sponsor. Inizia la trasferta tricolore dei 4 Gazprom
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«Ieri lo avete visto davanti a tirare per tenere al riparo Elia e i velocisti – dice Damiani ben soddisfatto per la vittoria di Lafay – tanto che quando stamattina abbiamo parlato di entrare nelle fughe, lui ha assicurato che si sarebbe buttato, ma aveva paura di avere già speso troppo. Invece stava ancora bene. Ha raccontato Elia che in corsa si sono mossi a rotazione per entrare nei vari tentativi, ma che lui ha provato ad infilarsi in tutte…».
Al via da Foggia e lungo il percorso, il gran calore del SudAl via da Foggia e lungo il percorso, il gran calore del Sud
Uomo squadra
In casa Cofidis stasera si brinda, sul fondo si sentono risate e il vociare di quando c’è qualcosa da festeggiare. Il vincitore ha appena finito di raccontare il suo punto di vista e sta facendo la doccia e di colpo salta alla memoria che ben prima di partire per il Giro, Damiani aveva fatto il suo nome.
«Avevo speso molte energie già nella prima parte di tappa per entrare nella fuga – ha raccontato Lafay – ci sono stati vari tentativi, ma il gruppo non lasciava molto spazio. Poi finalmente la fuga è partita e dopo un po’ il gruppo ci ha lasciato fare. A quel punto ho potuto recuperare un po’ di energie. Nel finale ci sono stati diversi attacchi. Quando ho allungato e ho visto che nessuno mi seguiva mi sono meravigliato. Non riesco ancora a credere di aver vinto una tappa al Giro!».
Restare a galla
Damiani pensa e ricorda. Il ragazzo esce da due anni un po’ balordi, tra infortuni e acciacchi vari. Racconta che l’anno scorso ha fatto la Vuelta, ma che al Giro è al debutto.
«Alla Tirreno-Adriatico – dice – abbiamo capito che al Giro avremmo avuto bisogno di due o tre elementi che ci tenessero a galla. Tre settimane senza niente sarebbero state troppe, invece così siamo tutti più sollevati. Queste sono vittorie che cambiano la carriera, a patto che adesso Victor rimanga con i piedi per terra e continui a progredire. Sa fare bene il suo lavoro e può investire su se stesso».
Lafay, grande freddezza nel finale: un solo attacco per riprendere Carboni e vincereLafay, grande freddezza nel finale: un solo scatto e vittoria
Martini insegna
Quel che colpisce della sua tappa è stata la freddezza. Mentre davanti Campenaerts e Carboni davano fuoco prematuramente alle polveri, Lafay è rimasto indietro fino al momento dell’unico scatto che aveva previsto di fare.
«Alfredo Martini – dice Damiani, ricordando anche i suoi anni in nazionale – diceva sempre che per vincere bisogna rischiare di perdere. C’è stata una bellissima collaborazione fra il corridore e l’ammiraglia che lo seguiva. Nei giorni scorsi avevamo messo un bel pallino rosso accanto a questa tappa. Ci preoccupavano Gougeard e Oliveira, ma Victor è stato capace di fare uno scatto solo, quello per vincere».
Questa vittoria può cambiare la carriera di Lafay, ma per Damiani deve essere un punto di partenzaQuesta vittoria può cambiare la carriera di Lafay
A cena con gusto
E così, in questo clima sollevato, Roberto racconta ancora che Lafay viene da vicino Lione e che è un ragazzo spesso sorridente, che vive il ciclismo in modo molto tranquillo. E’ un passista scalatore. Volevano lasciare un giorno di riposo ai velocisti, permettendo loro di arrivare nel gruppetto e salvare le gambe per le prossime volate: serviva andare in fuga e che fosse una fuga buona. Di conseguenza, in serate come questa, è bello andare a cena sapendo che un’azione pianificata è andata a buon fine. I cugini della Groupama si godono il secondo giorno in rosa, ma almeno adesso non si deve più guardarli dal basso. La cena sarà indubbiamente più gustosa. Fermo restando che in questo angolo di Campania, non serve certo un pretesto per mangiare alla grande.
Domenica perfetta per la Ineos a sette mesi dal Giro dello scorso anno. Ganna vince la crono e racconta i giorni con quel capitano così piccolo e così duro
Con Gilberto Simoni, parlando del rapporto fra il corridore e la montagna. Le storie dei suoi Giri. E quel senso di pace ogni volta che la salita iniziava