La resa di Thibaut: «Dopo tre ore, il buio…»

25.04.2021
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Alla partenza della penultima tappa del Tour of the Alps da Naturno, mentre Thibaut Pinot si scaldava sui rulli, il diesse Philippe Mauduit in un angolo li osservava e intanto spiegava.

«Il problema è la schiena – diceva – e non passa. Da quella caduta il primo giorno dell’ultimo Tour, a Nizza. Abbiamo visto ortopedici e osteopati, ma il primo disse le parole giuste. Questo tipo di lesioni sono meno gravi di una frattura. Ma una microfessura nell’articolazione sacroiliaca è lunga da far guarire. Possono servire dai 6 agli 8 mesi, fino a un anno. Thibaut sta certamente meglio. Ci sono dei giorni in cui si allena senza sentire dolori e altri in cui non riesce a stare sulla bici. In corsa magari sta per due ore a non avere nulla, ma appena serve più forza, deve rialzarsi».

Al via dell’ultima tappa, Thibaut scherzava con Bardet
Al via dell’ultima tappa, Thibaut scherzava con Bardet

La fuga e la resa

Per questo Pinot ha rinunciato al Giro d’Italia e verosimilmente dovrà rivedere la sua stagione. E’ stato lui per primo a spiegarlo sul traguardo dell’ultima tappa, a Riva del Garda, in cui aveva… beccato la fuga giusta. Solo che mentre Grosschartner è andato all’arrivo e l’ha vinta, il francese ha dovuto rialzarsi.

«Mi sono divertito in quest’ultima tappa – ha detto Thibaut prima di salire sul pullman – ma è stato ancora una volta frustrante, essere stato nella fuga che è andata sino alla fine e non aver potuto lottare per la vittoria. E’ successo come gli altri giorni, più passano i chilometri e meno stavo bene. I risultati sono catastrofici, non c’è stato molto di positivo in questa settimana. Non sono in condizione di fare bene al Giro».

Questa la caduta di Nizza, prima tappa del Tour 2020, dove tutto cominciò
Questa la caduta di Nizza, prima tappa del Tour 2020, dove tutto cominciò

Tre ore di corsa

Alla partenza dell’ultima tappa sembrava di buon umore, scherzando con Bardet in riva al lago di Idro, poi le cose si sono rimesse ad andare male e neppure 24 ore dopo è arrivato il comunicato della squadra.

«Se venissi al Giro – spiegava ancora Pinot a Riva – soffrirei inutilmente e non potrei aiutare la squadra. Non è nemmeno una questione di forma, ma il mal di schiena mi impedisce di esprimermi. E’ difficile da spiegare. Purtroppo più passano i chilometri, più il dolore aumenta e ad un certo punto fa troppo male forzare. Dopo tre ore di corsa, per me si complica tutto. Ma adesso voglio curarmi, lasciarmi alle spalle questi problemi alla schiena per ritrovare il mio livello e lottare con i migliori».

Philippe Mauduit, ds della Groupama, parla con Novak: dietro il bus, Pinot sui rulli
Philippe Mauduit, ds della Groupama, parla con Novak

Infiltrazione, no grazie

Alle spalle di tutto questo, una luce positiva c’è e riguarda la dignità e la rettitudine di questo ragazzo introverso ma trasparente. Raccontano i colleghi francesi e conferma la squadra che durante l’inverno, di fronte al dolore che non passava, gli è stato proposto di fare un’infiltrazione. Pinot è sempre stato contrario all’uso di simili pratiche, che nel calcio o nel tennis sono all’ordine del giorno, ma si trattava di un periodo fuori competizione e per potersi allenare accettò.

«Quando vedo l’effetto che l’infiltrazione ha avuto sulla mia schiena – ha raccontato di recente Thibaut a L’Equipe – mi dico che avrei potuto finire diverse gare. Ma nonostante questo non ho mai avuto intenzione di ricorrervi in gara. Preferisco rimanere retto nella mia convinzione».

In fuga verso Riva con Grosschartner: l’austriaco vincerà, Pinot dovrà rialzarsi
In fuga verso Riva con Grosschartner: l’austriaco vincerà, Pinot dovrà rialzarsi

Modello ciclismo

Sull’argomento nelle scorse settimane è arrivato anche il commento del tecnico francese Thomas Voeckler.

«Una posizione che va a suo merito – ha detto – e non sorprende che venga da lui. E’ uno di quei corridori che hanno una chiara concezione della propria professione. Nessuno dubita della sua integrità, come si fa oggi per altri corridori. La bicicletta, dopo essere stata additata, ora viene mostrata come esempio. In altri sport, alcuni campioni vengono dipinti come dei duri, perché giocano sotto infiltrazione».

Intanto però a margine di tanti discorsi, Pinot e la sua microfrattura hanno ripreso mestamente la via di casa. Nel team cresce intanto l’astro di Gaudu, ma per la simpatia verso il “vecchio” Thibaut, che comunque non ha ancora compiuto 31 anni, speriamo possa presto venirne a capo.

De Marchi, la squadra, il Giro e un bimbo in arrivo

21.04.2021
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Alessandro De Marchi in fuga, sulla bici e nei pensieri. Ha cominciato il Tour of the Alps prendendosi la sua bella dose di vento in faccia, pedalando verso la condizione migliore, un posto per il Giro e per metabolizzare la fatica di due settimane sul Teide assieme a Chris Froome, che ha imparato a conoscere meglio. Tutto intorno la nuova squadra con cui prendere le misure e abitudini da resettare dopo anni importanti nel gruppo Bmc. E poi alla fine della stagione, che potrebbe portarlo al Tour e alle Olimpiadi, già si intravede un raggio di felicità che già scalda il cuore e le parole.

Ultime regolazioni alla sua Factor e poi si può partire
Ultime regolazioni alla sua Factor e poi si può partire

In 4 sul Teide

«Froome… – inizia e fa subito una pausa – prima non lo conoscevo tanto, non era facile avvicinarlo oltre il limite del corrergli ogni tanto accanto. In queste due settimane sul Teide abbiamo diviso la stanza e ci siamo conosciuti meglio. D’altra parte eravamo in quattro, noi due e due ragazzi israeliani: il tempo per conoscerci non è mancato. Gli ho visto fare cose dure, lavorare sul corpo prima ancora che sulla bici, sull’equilibrio. Si vede che ancora ha dolore e nonostante tutto sta affrontando tanti sacrifici. E’ sicuro di quello che sta facendo, determinato da morire, pronto a prendersi quello che sarà senza troppa paura».

Che Froome soffra, si è visto bene nelle prime tappe e lo ha confermato Claudio Cozzi, direttore sportivo del team. Parte sempre con il bendaggio al ginocchio e a volte, come nella prima tappa a Innsbruck, ha dei momenti di disagio e altri in cui le cose si mettono a girare per il meglio. Proprio quel giorno, mentre Chris stentava nelle retrovie e si avviava a tagliare il traguardo con 5 minuti di ritardo, Alessandro concludeva la sua tappa in fuga a 3’27” da Moscon, cercando di recuperare e trasformare la fatica in condizione.

Il Tour of the Alps iniziato con una lunga fuga nel giorno di Innsbruck
Il Tour of the Alps iniziato con una lunga fuga nel giorno di Innsbruck

«Non si poteva fare di più – dice – eravamo a tutta. Anche avendo più collaborazione, il risultato sarebbe stato quello. Siamo qui per provarci e per farci vedere. Il posto va guadagnato».

Verso il Giro

La stagione, si diceva, è complessa e l’esclusione dal Giro lo scorso anno fu il chiaro segnale che il gruppo in cui aveva trascorso gli ultimi sei anni si stava sfaldando.

«Quella scelta è stata una grossa delusione – disse – contavo molto sulla corsa rosa, tutto era in sua funzione, mi ispirava. Al Tour andavo avanti sapendo che poi avrei corso in Italia. Avrei puntato alle tappe. Già nella prima settimana ce n’era più di qualcuna adatta alle fughe. Senza contare quelle due in Friuli, ci tenevo molto. C’erano giornate lunghe, adatte alle fughe… insomma l’ideale per me».

Averlo dato per scontato fu ciò che rese l’esclusione più difficile da digerire, per cui non c’è da stupirsi, conoscendolo, che ora parli con cautela.

Si parte presto, la temperatura è rigida: meglio coprirsi: Spicca il braccialetto per Giulio Regeni
Si parte presto, la temperatura è rigida. Il braccialetto per Regeni e lì…

«Lo so bene – dice – che ho uno dei due numeri già cuciti sulla schiena, ma è giusto anche dare qualche segnale. La squadra è nuova, ci sono equilibri da cercare e da creare. Una cosa però posso dirla: fra corridori c’è davvero uno splendido clima, anche lo staff si sta impegnando tantissimo per non farci mancare nulla».

Voglia di crescere

La squadra è il nodo, perché non è facile ritrovarsi nel WorldTour e dover colmare in poco tempo il gap da altri team organizzati da tempo. La scelta di puntare su corridori di esperienza come il friulano nasce proprio da questo.

«Percepisci la voglia di crescere – conferma Alessandro – e ti rendi anche conto di quanto sia difficile farlo avendo poco tempo a disposizione. Per questo siamo tutti contenti di dare i nostri feedback. Ci sono delle riunioni in cui partecipiamo anche noi più esperti. Ci viene chiesto di condividere il nostro punto di vista e devo dire che stiamo fornendo un bel numero di indicazioni, che vengono raccolte e spero che gradualmente siano messe in atto. Solo mi rendo conto che non è per niente facile a stagione iniziata. E mi rendo anche conto che il confine fra dare il proprio contributo e passare per rompiscatole è sottile, soprattutto per uno come me abituato ad avere tutto organizzato al dettaglio. In questo, la squadra in cui ero prima ci aveva abituato troppo bene, altrove non ce ne sono poi troppe che lavorano a quel modo».

Nel primo arrivo in salita, tutti attorno a Froome: con il Rosso di Buja, anche Daniel Martin
Nel primo arrivo in salita, tutti attorno a Froome: con il Rosso di Buja, anche Daniel Martin

Un raggio di sole

Con la tappa che si accinge a ripartire per fare rientro in Italia e ciascuno che si tiene stretto in tasca l’esito dell’ennesimo tampone, l’ultimo sguardo è alla stagione che sta per entrare nel vivo, con l’eventuale convocazione olimpica come discriminante per le scelte.

«Diciamo che adesso si pensa a Giro – spiega De Marchi – e poi per il seguito dell’estate andremo avanti un passo per volta. Ci sarebbe il discorso Tour, che per la squadra è importante. Non nascondo che con un buon recupero dopo il Giro d’Italia si potrebbe ragionare di andarci, ma bisogna anche vedere in quali condizioni arriverò a Milano. Il discorso olimpico sarebbe un tassello che, se collocato nel tempo giusto, permetterebbe di accelerare anche altri discorsi. Prima di Rio non feci il Tour, la Bmc non mi convocò e andai a prendermi la condizione al Giro di Polonia. E comunque sia, quando sarà ottobre e sarò sfinito come ogni anno al termine della stagione, la casa si rallegrerà per l’arrivo di un altro bimbo. Dopo un periodo nervoso e duro come quello che abbiamo vissuto e che ancora stiamo vivendo, questa notizia ci ha portato tanta felicità e tanta energia. Ci voleva proprio».

Alessandro De Marchi, Andrea, Anna, Artegna, dicembre 2020
Alessandro con Andrea e Anna, ad Artegna, durante la nostra visita dello scorso dicembre
Alessandro De Marchi, Andrea, Anna, Artegna, dicembre 2020
Alessandro con Andrea e Anna, durante la nostra visita di dicembre

Il tempo di pensare agli auguri per Anna e Alessandro e a quanto si divertirà con un fratellino o una sorellina il piccolo Andrea ed è già tempo di ripartire. Il via da Imst stamattina sarà dato alle 9,50. Da Imst a Naturno ci sono 162 chilometri e quattro salite. Sarebbe, a dire il vero, un altro perfetto giorno da fughe…

Fate piano, guardate qua: è nata la Maglia Rosa…

19.04.2021
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Novant’anni di maglia rosa. Dal Giro d’Italia del 1931 è diventata l’oggetto del desiderio di qualunque corridore al via della corsa che attraversa lo Stivale per tre settimane. A introdurla fu Armando Cougnet, penna de La Gazzetta dello Sport. Il primo ad indossarla fu Learco Guerra, il 10 maggio di quell’anno. Ma a conquistarla al termine della diciannovesima edizione fu il piemontese Franco Camusso.

Un altro piemontese, Filippo Ganna, sogna di vestirla di nuovo il prossimo 8 maggio a Torino. Quel giorno sarà messa in palio per la prima volta la maglia 2021 ideata dall’azienda italiana Castelli, che dal 2017 realizza anche gli altri capi per i leader della classifica dei giovani (bianca), di miglior scalatore (azzurra) e a punti (ciclamino).

La fase ideativa è conclusa, bozzetti approvati: si entra in fase realizzativa
La fase ideativa è conclusa: si entra in fase realizzativa

Brainstorming

A raccontarci il dietro le quinte ci pensa Laura Zambon, Apparel Product Developer del marchio di abbigliamento che fa base a Fonzaso, in Veneto.

«La Maglia Rosa 2021 – dice – nasce come sempre da un brainstorming interno. Si parte dalla lettura della “Styleguide” che Rcs prepara ogni anno, poiché la maglia rosa ha una forte immagine ed è importante che comunichi in modo coerente. Al brainstorming interno, partecipiamo io, il brand manager Steve Smith e i graphic designer che si occuperanno del progetto».

Ogni singolo pezzo compone la maglia e le dà la giusta vestibilità
Ogni singolo pezzo compone la maglia e le dà la giusta vestibilità

Bozzetti e dettagli

Sono sempre i piccoli dettagli a fare la differenza. Come la frase scritta all’interno del colletto della maglia rosa 2021, “Disposto a salir a le stelle”. E’ l’ultimo verso della Cantica del Purgatorio della Divina Commedia di Dante Alighieri. Un omaggio al Sommo Poeta, a 700 anni dalla sua scomparsa. Laura ci racconta come si passa alla fase successiva.

«I graphic designer – dice – propongono quattro o cinque bozzetti. In parallelo, io mi occupo del design e dello sviluppo degli accessori come la tirazip con la forma del Trofeo Senza Fine, le etichette o altre applicazioni. Poi, insieme a Steve Smith e a Sitip, che è la partner del progetto, scegliamo i tessuti. A quel punto sta a me supervisionare tutta la fase di messa a punto della vestibilità. Ci sono molte ore di lavoro per l’industrializzazione del capo e riguardano diversi settori aziendali, perciò quantificarle è difficile».

L’impatto ambientale dei capi per i leader della Corsa Rosa 2021 sarà ridotto grazie all’utilizzo di filati riciclati al 100%, prodotti dall’azienda italiana Sitip.

Marchi e loghi sono stati stampati, il passo successivo è la cucitura
Marchi e loghi sono stati stampati, il passo successivo è la cucitura

Quasi mille

I bozzetti vengono visionati internamente e poi ricevono l’approvazione di Rcs. A questo punto l’ultima approvazione è quella degli sponsor delle singole maglie leader. E la Maglia Rosa comincia così a prendere forma.

«Questa è la parte è più bella – racconta Laura – perché la Maglia Rosa viene letteralmente plasmata sotto i miei occhi. Nonostante sia già il quarto anno che la facciamo, è sempre una grande emozione quando la confezioniamo nel nostro atelier interno. Per Rcs è prevista un’intera collezione di 8 prodotti che viene messa a disposizione dei detentori delle maglie di leader. Li vestiamo per tutte le condizioni atmosferiche o di gara. Ci sono le nostre famose Perfetto e Perfetto Long Sleeve. Il gilet Vest antivento. La maglia Premiazione e il body Crono, fino ai manicotti e, dall’anno scorso, anche la mascherina per la premiazione. In totale, forniamo a Rcs circa un migliaio di capi della collezione, per coprire il fabbisogno di tutta la durata del Giro».

Si fa tutto a mano: è nata la Maglia Rosa 2021
Si fa tutto a mano: è nata la Maglia Rosa 2021

Sfumature di rosa

Le sfumature di rosa sono davvero parecchie. «Le differenze tra i capi della collezione dipendono dal loro utilizzo. La maglia Premiazione, per esempio, ha una vestibilità più abbondante, per essere indossata quando l’atleta è sul podio sopra la maglia della propria squadra. La maglia Leader è pensata sia nei tagli, distribuzione dei tessuti e fit, per essere performante. Il body per le cronometro che noi chiamiamo Bodypaint 4.0 TT Suit sintetizza tutto il nostro know-how in fatto di performance e aerodinamicità. Mentre nelle prime due maglie citate i tessuti sono gli stessi, nel Bodypaint abbiamo privilegiato tessuti con modulo elastico maggiore per essere più aderente possibile e super lisci».

Tao Geoghegan Hart, Ineos Grenadiers, Giro d'Italia 2020
E’ il momento più bello: la Maglia Rosa ha scelto il suo padrone: qui Tao Geoghegan Hart nel 2020
Tao Geoghegan Hart, Ineos Grenadiers, Giro d'Italia 2020
Il momento più bello: la Maglia Rosa ha scelto il suo padrone

Fitting speciale

E’ una delle curiosità che assale ogni cicloamatore che voglia vestirsi di rosa: che taglie vestono i corridori?

«Le più usate sono le S e le M, ma ad esempio il nostro “TopGanna” indossa una L. La vestibilità delle maglie Leader è determinata da tutta la nostra esperienza in fatto di corporatura del ciclista professionista medio. Essere fornitori del Team Ineos ci agevola in questo. In alcuni casi però, vengono fatti degli interventi prima di alcune gare, per esempio per le cronometro. Qualche atleta che non aveva mai indossato i nostri capi ha avuto bisogno di una sessione di fitting speciale (verifica di vestibilità). In questi casi siamo noi dell’ufficio R&D a raggiungerlo nelle località di tappa. Oppure i colleghi che seguono la gara verificano per conto nostro e ci mandano le informazioni. In pochissimo tempo, siamo in grado di ricreare nel nostro atelier un capo da far avere all’atleta».

La Maglia Rosa 2021 è pronta, ce ne sono di tutte le taglie e da mercoledì 21 aprile sarà possibile preordinarla sul sito www.castelli-cycling.com, così da cominciare a entrare in clima Giro.

Torna in gruppo il Battistella sparito: era sul Teide

19.04.2021
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Corridori che arrivano, corridori che vanno e corridori che spariscono. Sarà per le mascherine, il casco e gli occhiali, ma a un certo punto ci siamo accorti che Samuele Battistella era introvabile. E andando a scavare ci siamo resi conto che dal quarto giorno della Parigi-Nizza del veneto si erano perse le tracce. Era sul Teide, dice. Perciò potete immaginare che piacere rivederlo fra i partenti dell’Amstel Gold Race.

«Anche se non l’ho finita – ammette – era impossibile dopo venti giorni sul Teide e tutto il carico di lavoro fatto per il Giro d’Italia. Dal primo metro ho fatto una fatica incredibile. Sono venuto quassù per tirare e l’ho fatto al massimo fino al circuito del Cauberg, poi li ho visti andar via…».

E’ arrivato all’Amstel dopo tre settimane sul Teide (foto Instagram)
E’ arrivato all’Amstel dopo tre settimane sul Teide (foto Instagram)

Il vulcano dei ciclisti

Ecco dov’era finito! Il Teide da anni è un vulcano al contrario: anziché sputar fuori lapilli e lava, inghiotte corridori. E quando li restituisce, solitamente sono più forti, temprati e a prova di fatica. E così anche Samuele, iridato under 23 ad Harrogate 2019, era lassù lavorando per il Giro: prima grande corsa a tappe della sua giovane carriera. Dopo che proprio il Giro dello scorso anno ha cambiato significativamente la cilindrata e le prospettive del suo compagno Matteo Sobrero.

Però eri sparito da prima, alla Parigi-Nizza…

Nella seconda tappa, mi è venuta una gastrite fortissima, ho provato a tenere duro, ma alla fine sono stato costretto a tornare a casa. E a quel punto mi sono beccato delle belle placche in gola, per le quali ho dovuto fare una settimana di antibiotici, da cui è stato difficile recuperare. Ho anche verificato con un tampone che non fosse altro e per fortuna non lo era. E poi è venuto il momento di andare sul Teide, non c’era tempo per correre o fare altro.

Parigi-Nizza, terza tappa: il giorno dopo il ritiro
Parigi-Nizza, terza tappa: il giorno dopo il ritiro
Come è fatto un blocco di lavoro pesante per il Giro lassù?

Non c’è pianura, pochissima. Anche sotto. Si fanno dislivello ed ore, con il corpo che ne esce stremato perché di fatto simuli lo stress di una corsa. Nell’ultima settimana abbiamo fatto anche lavori dietro moto per cercare il ritmo. Tranne un paio di volte che siamo scesi e risaliti in ammiraglia per fare dei lavori con le bici da crono, ogni giorno si tornava su in bicicletta. Era parte dell’allenamento. Ed è tanto lunga…

Con chi eri?

Con Sobrero e Felline, Vlasov, Tejada e Pronskiy. Doveva venire anche Gorka Izagirre, ma la figlia a scuola ha avuto un contatto con un positivo e in Spagna, in questi casi, mettono in quarantena tutta la famiglia per una settimana. Anche con tampone negativo. Per cui alla fine Gorka è rimasto a casa.

Se hai lavorato per il Giro, perché venire nelle Ardenne e non scegliere il Tour of the Alps?

Perché in futuro questo è il mio tipo di corse. Quando si tratterà di venire per vincerle, avrò le idee più chiare. Ieri non avevo la gamba, però l’Amstel mi ha ricordato tanto il percorso di Harrogate. Questo tipo di strade mi si addice. Ora torno alla Freccia e alla Liegi che ho fatto l’anno scorso per approfondire la conoscenza. E comunque non siamo andati male. Fuglsang è arrivato nella scia dei primi ed è stato spesso davanti, ma diceva che forse ha sbagliato a prendere troppo indietro l’ultimo Cauberg.

Come arriverai al Giro?

Molto bene. Dopo la Liegi farò un’altra settimana di altura e in tutto saranno 25 giorni. Mai fatta tanta in vita mia. Andrò per una settimana sul Pordoi, mi sono organizzato da me. La squadra ci ha pagato il Teide, parlando con Mazzoleni e Cucinotta è venuto fuori che quella settimana potrebbe essere importante e allora andrò su.

L’obiettivo dell’Astana al Giro è fare bene con Vlasov?

L’obiettivo dell’Astana al Giro è vincere con Vlasov. Lo conoscevo da prima, quando era under 23 in Italia. E’ russo, ma per certi versi è italiano anche lui. Vado ad aiutarlo molto volentieri. Sono stato in stanza con lui nelle due settimane di ritiro a inizio anno, è un bravissimo ragazzo.

Mondiali Harrogate, Samuele Battistella (Italy) - Stefan Bissegger (Suisse) - Thomas Pidcock (Great Britain)
Sul podio dei mondiali U23 di Harrogate, accanto a Bisseger e Battistella c’è Pidcock, che ieri si è giocato l’Amstel
Mondiali Harrogate, Samuele Battistella (Italy) - Thomas Pidcock (Great Britain) 2019
Con Pidcock sul podio di Harrogate 2019: all’Amstel scenari differenti
Soddisfatto del passaggio in Astana?

Come crescita personale, mi sto trovando molto bene. C’è un grande livello di serietà e di organizzazione. La preparazione è buona, lavoro con Cucinotta, ma di fatto è sempre in collegamento con Mazzoleni.

E’ cambiato qualcosa nel tuo modo di lavorare?

Parecchio, in realtà. Non faccio più tanti lavori di soglia e fuori soglia, ma abbiamo alzato il volume del medio. Come sensazioni, sento che la gamba spinge bene. Per andare bene al Giro immagino sia quello che serve. E questo ora è il mio obiettivo.

Hindley ci spiazza: Giro 2020 perso sull’Etna

18.04.2021
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Lo ritroveremo domattina con il numero attaccato sulla schiena a solcare le strade delle Alpi e riconoscere alcuni dei passaggi che all’ultimo Giro lo videro in rosa. Jai Hindley sembra sereno, con i capelli più lunghi e la risata divertita quando per qualche istante ci troviamo a parlare di Umbertone Di Giuseppe che lo accolse in Abruzzo al suo sbarco in Europa.

«Si lavora per quel Giro d’Italia che mi ha fatto conoscere – ammette – ma qualcuno mi conosceva già. Forse non avrei mai immaginato di arrivare alla partenza dell’ultima crono con la maglia rosa, ma il fatto di essere andato bene in montagna è il risultato di tanti anni di duro lavoro. Per cui, se mi volete chiedere se mi sia stupito di essere venuto fuori a quel livello, vi dico di no!».

Il Giro del 2020 perso nell’ultima crono: un colpo molto duro
Il Giro del 2020 perso nell’ultima crono: un colpo molto duro

Decisivo l’Etna

A dispetto del suo essere esile, il timbro di voce è quasi baritonale e ti rendi conto che tanti ragionamenti li abbia fatti e poi raccontati più e più volte. Piancavallo. Lo Stelvio. Campiglio. Sestriere. Sarà mai possibile che tutto si riduca alle tappe di cui s’è già tanto parlato e non ci sia da qualche parte il rammarico per un giorno che non è andato come se l’aspettava?

«Il giorno dell’Etna – dice e ci spiazza – quando ho perso quasi un minuto rispetto al mio compagno Kelderman. Magari se fossimo arrivati insieme, sarebbe stato un altro Giro. Ma non ho rimpianti, l’ho giocato al meglio che pensavo e facendo quel che mi è stato chiesto».

Jay Hindley, 2015, Aran Cucine
Jay Hindley nel 2015, quando correva in Abruzzo con la Aran Cucine
Jay Hindley, 2015, Aran Cucine
Hindley nel 2015, quando correva con la Aran Cucine

Inverno in Europa

L’inverno non è passato come al solito e anche in questo il Covid ci ha messo lo zampino. Niente caldo australiano a gennaio, bensì un inverno europeo come quello dei compagni.

«Non sono tornato in Australia a gennaio – ammette – dove di solito posso allenarmi a tutto gas. Sono restato in Olanda e quando faceva troppo freddo siamo andati in Spagna. Lo stacco invernale comunque è stato più lungo, perché di fatto ho finito di correre alla fine di ottobre. E poi quando ho ripreso, è stato subito chiaro che avrei dovuto lavorare per il Giro. Detto questo, non so dire se sarò uno dei favoriti, ma l’esperienza del 2020 sarà una buona base di partenza. Avremo una buona squadra, con Bardet che sarà un bel riferimento. E semmai mi scoccia aver dovuto abbandonare il Catalunya perché sono stato male. Il Tour of the Alps servirà a mettere nelle gambe i chilometri che mancano. Proverò a testare la mia forma, si andrà forte. Andiamo a divertirci. Il risultato non conta, la testa è sul Giro».

La terza settimana

L’Italia gli piace, Hindley ammette di avere un vero debole. Correre qui gli ha dato la sua vera dimensione di corridore, sin da quando si ritrovò a lottare per la maglia rosa al Giro d’Italia U23 del 2017, cercando con il compagno Lucas Hamilton, con lui al prossimo Giro, di sconfiggere l’imbattibile Sivakov di quegli anni.

«L’Italia – dice – mi ha aperto gli occhi su me stesso, non tanto per i risultati quanto per il coraggio di spingermi oltre il limite. Magari il Giro del 2020 non fa testo, è stato strano per tutti. Nessuno si sarebbe aspettato quel podio, nessuno avrebbe pensato a una corsa così selvaggia. Deve essere stato molto bello da vedere, molto duro però da correre. Quest’anno potrebbe essere lo stesso, ma mi auguro che si possa avere una gestione diversa delle tre settimane. L’anno scorso si è deciso tutto nella seconda, ma di regola il Giro si decide nella terza, sulle grandi montagne. E se penso che anche quest’anno ci sarà una cronometro come ultima tappa… ».

Prove di crono alla Parigi-Nizza: il Giro si concluderà ancora con una crono
Prove di crono alla Parigi-Nizza: il Giro si concluderà ancora con una crono

E Remco come sta?

Non lo ammette, ma aver perso la maglia rosa in quell’ultimo giorno a Milano gli fa abbassare lo sguardo e cambiare il discorso.

«Secondo voi – mettendosi nei panni dell’intervistatore – cosa ci dobbiamo aspettare da Evenepoel? Io non avrei mai scelto di debuttare in un grande Giro, anche se il suo incidente è stato davvero brutto. Gli auguro tutto il meglio, perché è un grande atleta».

Il bello del ciclismo è che ogni anno si riazzera la memoria e si ricreano nuove storie. La sua riprenderà da domani sulle montagne fra l’Austria e l’Italia, in attesa di riprendere in mano quel filo rosa strappato nel 2020 all’ultimo tiro.

Dowsett in Turchia con la testa su Giro, Tokyo e Ora

17.04.2021
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Ora o mai più. Tra una trenata e l’altra al Giro di Turchia, Alex Dowsett guarda avanti e pensa ai tanti obiettivi del 2021. Nei pensieri c’è il ritorno al Giro d’Italia, dopo l’inedita vittoria in fuga dello scorso ottobre a Vieste (a sette anni dall’affermazione nella crono rosa di Saltara), la corsa contro il tempo all’Olimpiade di Tokyo e poi il tentativo del record dell’Ora. 

Il trentaduenne cronoman inglese della Israel Start-Up Nation l’ha già detenuto per poco più di un mese nella primavera del 2015 (52,937 km, il 2 maggio), lanciando un messaggio globale anche fuori dalla pista, vista la sua condizione di unico ciclista emofiliaco capace di abbattere barriere così robuste nello sport. Il 7 giugno dello stesso anno, il connazionale Wiggins gliel’ha strappato (54,526 km), prima che il 16 aprile del 2019 finisse nelle gambe di Victor Campenaerts (55,089 km), collega per cui Alex stravede, ma che si augura di superare in autunno, sempre a Manchester. Voleva già farlo sul finire dell’anno passato, ma il Covid l’ha costretto a rimandare il tentativo che, in un futuro non così lontano, stuzzica anche il nostro Filippo Ganna. Alex lo sa bene e non ha intenzione di farsi bruciare sul tempo dal jet azzurro.

Alex Dowsett ha partecipato alla Settimana Coppi e Bartali, vincendo la cronosquadre
Ha partecipato alla Coppi e Bartali, vincendo la cronosquadre
Come va al Giro di Turchia?

Finalmente ci sono temperature più miti, mentre i primi giorni è stata una follia.

Qual è il tuo programma successivo?

Andrò al Romandia, poi spero al Giro d’Italia, anche se la selezione per la Corsa Rosa è ancora aperta. Dopodiché, mi piacerebbe fare l’Olimpiade e giocarmi una medaglia, ma è tutto ancora da definire.

Com’è stato ritrovare Chris Froome?

E’ bello essere di nuovo compagni, abbiamo corso insieme al Uae Tour. Abbiamo passato tanto tempo insieme nel Team Sky prima che lui cominciasse a vincere i grandi Giri e che io andassi alla Movistar.

Hai un rapporto speciale con il Giro con due successi arrivati, entrambi all’ottava tappa, nel 2013 e lo scorso anno. Stavolta vuoi anticipare i tempi con la cronometro di apertura a Torino?

E’ sempre eccitante quando un grande Giro inizia con una prova contro il tempo e in questo caso c’è in palio la maglia rosa. Poi, non so se aiuterò nelle volate o in salita, oppure su tutti i terreni, perché ancora non è stata definita la squadra. Magari avrò anche qualche chance di giocarmela in fuga.

Sei un ciclista molto “social”. Hai conosciuto tua moglie su Tinder, entrambi siete molto attivi su Instagram e sui vostri canali Youtube e sei molto presente su Strava e Zwift. Ti piace aiutare a crescere la comunità ciclistica attraverso la condivisione?

I miei numeri non sono spettacolari. Ci sono ragazzi in tutto il mondo che possono esprimere una potenza di 7 watt/kg per una ventina di minuti, io non ci riesco. Sono un professionista ormai da 10 anni e voglio mostrare che nelle corse c’è ben di più rispetto ai numeri, come ad esempio quando si tira una volata. Devi essere al posto giusto, al momento giusto e tenerti quella riserva di energia che ti permetta di farlo nel migliore dei modi. Non basta guardare il misuratore di potenza ed è anche per questo che mi piace condividere i miei dati in allenamento e in corsa. Poi, non ho nulla da nascondere e penso che sia affascinante per gli appassionati incuriosirli e mostrargli cosa ci vuole per essere un pro’. Mi sento fortunato a essere in questa posizione, in cui posso portare chiunque all’interno del nostro mondo. 

Al Giro del 2020 ha vinto la tappa di Vieste, staccando Puccio
Al Giro del 2020 ha vinto la tappa di Vieste, staccando Puccio
Com’è stato dover rinunciare al record dell’Ora a causa del Covid?

Non è stata una passeggiata. Il giorno in cui ho annunciato che avrei provato a riprendermelo, ho cominciato a sentirmi non tanto bene in bicicletta, poi sono arrivati tutti i sintomi. Ho fatto il test che è risultato positivo e mi ha messo ko per un bel po’. Ho avuto tante battute d’arresto nel corso della mia carriera e questa è stata una di quelle, ma ho continuato a lottare anche stavolta. Mi sono concentrato su come recuperare al meglio e riprogrammare il tentativo dell’ora per quest’anno.

Qual è il piano?

Vorrei provarci a Manchester perché è una delle piste più veloci in Europa, è al livello del mare ed è facile per me da raggiungere. L’altra opzione sarebbe Aigle, in Svizzera, ma bisognerebbe fare dei test perché abbiamo la teoria che possa essere veloce essendo anche più corta, però con la pandemia sinora siamo stati impossibilitati a svolgerli. Per cui, sono più orientato su Manchester, magari con un po’ di pubblico se sarà possibile.

Nella crono di Al Hudayriat Island al Uae Tour
Nella crono di Al Hudayriat Island al Uae Tour
Dunque, niente altura come Victor Campenaerts?

Dopo i test svolti, ho visto che battere il record dell’Ora sul livello del mare è molto difficile, ma possibile. In quota, invece, ogni corridore si comporta in modo diverso, per cui preferiamo andare sul sicuro e non fare azzardi. In tempi recenti, Wiggins è stato il primo ad alzare lo standard, poi Victor con la sua meticolosità l’ha portato su un piano ancora superiore. Ammiro moltissimo Campenaerts perché penso che abbia trasformato le corse contro il tempo per tutti: forse è per questo anche che ha vinto tanto subito da innovatore e ora fatica di più perché in tanti hanno deciso di emularlo. 

Anche Filippo Ganna ha messo il record dell’ora nel mirino: che ne pensi?

Ganna ha la possibilità di fare in modo che per tanto tempo a nessuno venga nemmeno in mente di provare a fare il record dell’Ora: con il suo pedigree in pista, il suo “motore” e le risorse che gli mette a disposizione la sua squadra, può arrivare più lontano di chiunque altro e non di poco. Io, invece, mi accontenterei di battere il record col minimo margine.

Dal Teide a Torino, Landa lancia la sfida al Giro d’Italia

13.04.2021
4 min
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Sulla strada del Giro d’Italia, la settimana scorsa Mikel Landa ha provato a mostrare i muscoli al Giro dei Paesi Baschi.

«Ma è stata davvero dura – dice con un mezzo sorriso – stare dietro a Roglic e Pogacar. Sto ancora recuperando. Non ci sono più tappe facili, si fa troppa fatica, ma era la corsa di casa. Non potevo far finta di niente. C’è da capire se anche nei Giri finirà come con le classiche, dove i favoriti hanno pagato gli sforzi».

Mikel Landa per il secondo anno leader della Bahrain Victorious
Mikel Landa, anche il 2021 da leader Bahrain Victorious

Capitano unico

Per il secondo anno consecutivo, il basco sarà leader della squadra, dopo le infinite stagioni condividendo la leadership con altri capitani. Il 2020 balordo del Covid gli ha portato il quarto posto del Tour, come nel 2017, e questo ha fatto scattare qualcosa nella sua testa e in quella di compagni forti come Caruso, Pello Bilbao e Colbrelli. Lo hanno detto a inizio stagione: quest’anno si va tutti al Giro per Landa, vada come vada. E Mikel da tanta fiducia si sente motivato e la grinta la percepisci nella voce.

Cosa farai prima del Giro?

Un piccolo ritiro sul Teide con 3-4 compagni. Non avrò il tempo per andare a vedere le tappe di montagna, anche perché su alcune strade c’è ancora la neve. Prima della Tirreno, siamo andati a vedere quella sugli sterrati in Toscana e null’altro.

Sei soddisfatto della condizione?

Volevo andare in progressione, per arrivare al massimo al Giro d’Italia. Alla Tirreno sono andato meglio di quanto mi aspettassi ed è venuto fuori il terzo posto, senza essere neanche lontanamente vicino alla miglior condizione. Per questo vado con fiducia verso il Giro, perché stiamo lavorando bene.

Nella crono deve difendersi: qui ai Paesi Baschi, a 49″ da Roglic
Nella crono deve difendersi: qui ai Paesi Baschi, a 49″ da Roglic
Che sensazioni ti dà preparare il Giro d’Italia sapendo di essere il capitano unico?

Molta fiducia, si capisce al volo. Da come mi parlano i direttori, quello che mi chiedono i compagni. Ho un gruppo intero intorno a me, che lavora con me e per me. Pensare che un corridore come Damiano (Caruso, ndr) abbia accettato di lavorare per me è importante. Lui ha tanta esperienza e ha corso accanto a campioni come Nibali e Porte, imparando qualcosa da tutti. E ora è al mio fianco. Questo mi dà tranquillità.

Riesci a dire a che punto ti trovi della tua carriera?

Mi sto trovando meglio di sempre. Alla Tirreno ho risposto bene, sono maturo e ho più resistenza.

L’immagine dello scalatore che attacca con il rapporto e le mani basse…

E’ il mio stile. Ho sempre pedalato così e credo che sia l’unico modo, se vuoi fare la differenza. Onestamente non ho mai pensato di cambiare pedalata, di sperimentare l’agilità per salvare la gamba.

Mentre a crono?

Sono migliorato un po’. Sono contento per come è andata ai Paesi Baschi (26° a 49″ da Roglic nella 1ª tappa di 13,9 chilometri), mentre alla Tirreno ho cercato di difendermi. Al Giro d’Italia non ci saranno tanti chilometri a crono, 28 in tutti, ma bisognerà farli bene.

Più resistenza e la giusta maturità: Landa sente di essere vicino al suo meglio
Più resistenza e maturità: «Sto meglio di sempre!»
L’anno scorso la classifica del Giro si è fatta nella seconda settimana.

L’anno scorso abbiamo avuto cose strane in un anno strano. Di sicuro la prima settimana sarà importante al pari della terza, perché ormai non ci sono più tappe tranquille. Storicamente il Giro d’Italia si è sempre deciso alla fine, voglio sperare che il 2020 resti un’eccezione. Di sicuro non puoi arrivare alla partenza di Torino senza una grande condizione, ma un margine di crescita serve comunque averlo.

Perché vai in altura e non corri come gli altri compagni del Giro d’Italia, fra Tour of the Alps e Romandia?

Prima, perché loro hanno già fatto l’altura. Secondo, perché mi sono trovato d’accordo con la squadra. A me l’altura fa bene, soprattutto in questa fase di preparazione. Per cui torno sul Teide, scendo una settimana prima e poi vado direttamente al Giro. Dite che funziona?

Funzionerà di certo.

Lo penso anch’io. Ci vediamo a Torino.

Basso sicuro: Nibali vale un altro Giro. Ecco come…

11.04.2021
4 min
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Ivan Basso ricorda perfettamente che quando arrivò in Liquigas, il giovane Nibali era un cavallo di razza difficile da domare. Ricorda le fughe in apparenza dissennate e anche lo stile di vita da affinare per raggiungere i risultati migliori.

«Perciò quando lo sento raccontare di certe abitudini prese osservando me – sorride Basso che ora guida la Eolo-Kometami sento un po’ orgoglioso di aver avuto un ruolo nella sua crescita».

Progressi e cadute

E la crescita c’è stata, facendo di Nibali uno degli italiani più forti di sempre. Con i due Giri, il Tour, i Lombardia e la Sanremo, le maglie tricolori e tutti gli attacchi che ci hanno fatto sognare, anche quelli vanificati dalle cadute. Hanno tanto da dire i suoi detrattori di una carriera costruita sulle cadute degli altri, senza tenere conto che proprio a causa di cadute Nibali ha perso occasioni che avrebbero dato al suo palmares i tratti della leggenda. Il mondiale di Firenze, le Olimpiadi di Rio, una grande chance al Tour del 2018 e di conseguenza la possibilità di giocarsi il mondiale di Innsbruck.

Gli ultimi anni però hanno mostrato il calo dovuto all’età. Il siciliano non appare più al livello dei contendenti nei grandi Giri, ma continua a seguire la preparazione di sempre, facendo delle sue stagioni lunghe attese di appuntamenti sempre più difficili da cogliere. Perché non sperimentarsi in classiche come il Fiandre o corse a tappe più brevi puntando alla vittoria? Proprio di questo vogliamo parlare con Basso, che quel calo fisico lo visse a sua volta e lo gestì mettendosi al fianco di Alberto Contador.

A causa della caduta di Montalcino nel 2010, Nibali perse la rosa e la chance di lottare per il Giro, poi vinto da Basso
A causa della caduta di Montalcino nel 2010, Nibali perse la rosa
Secondo Basso, Nibali sta gestendo bene questa fase della sua carriera?

Diciamo che Vincenzo ha raggiunto la maturità e si conosce molto bene. Io ho visto la sua evoluzione da giovane portentoso a grande campione e, anche se avevo meno talento rispetto a lui, posso fare questo ragionamento partendo dalla mia esperienza.

Partiamo pure…

Arrivi a un momento in cui non puoi più fare confronti con il te stesso di qualche anno prima. Ci sono i numeri, ma ci sono anche decine di variabili e perderesti troppo tempo ad analizzarle. Arrivi al punto in cui i numeri in effetti non danno più indicazioni che ti fanno effettivamente capire come stai. Prima facevi tre giorni di carico e il corpo rispondeva in un certo modo, a 37 anni però risponde diversamente. Prima facevi delle triplette e andavi meglio il terzo giorno, ora dopo il primo ti senti stanco. Subentrano problemi fisici legati all’età, ma anche alla capacità di soffrire e alla testa intesa come determinazione. Ma questo non vuol dire che Vincenzo non possa più fare risultato.

Nella vittoria al Tour del 2014, le sue prove di forza furono sorrette da un grande Scarponi
Vince il Tour 2014 con la forza, lanciato da un grande Scaproni
Serve un cambio di atteggiamento?

Serve tornare alle cose semplici, ai sacrifici basilari che sa che funzionano. Deve tornare a fidarsi della sua capacità di leggere la corsa. Ha vinto il Giro e il Tour con delle prove di forza, ma anche con tattiche azzeccate. Ha vinto la Sanremo con un colpo di genio. Deve partire da quel Nibali e smettere di fare i confronti, perché a questo punto è impossibile che i numeri tornino.

Fa bene a pensare ai grandi Giri?

Non deve immaginare la classifica generale come in passato. Può ancora vincere il Giro con un colpo alla Nibali e non come faceva cinque anni fa. Lo dico ricercando nella memoria le mie sensazioni. Nel testa a testa, quando gli altri decidono di dare gas, non ne hai. In una tappa di quattro salite, non puoi pensare di mettere la squadra a tirare sulle prime tre, poi di attaccare forte con l’aiuto di Scarponi, stancando i rivali e andando via da solo a metà dell’ultima. Questo tipo di scenario ora non hai la certezza che funzioni.

Al Giro del 2016, Scarponi fu invece colui che permise di attuare una tattica vincente
Al Giro del 2016, Scarponi permise di attuare la tattica vincente
E allora che cosa dovrebbe fare?

Ha senso studiare un piano simile a quando c’era il Vincenzo che sbagliava gli attacchi, solo che adesso saprebbe come farli senza sbagliare. Tutti sanno l’affetto che mi lega a lui, siamo stati per 8 anni nella stessa squadra. E se vincesse il Giro renderebbe felice l’Italia intera, perché è il campione che più ci ha fatto sognare negli ultimi anni.

Quindi secondo Basso dovrebbe tornare al Nibali dei primi tempi?

Togliersi dalla testa che il solo modo di vincere sia il testa a testa, perché in quel caso vedrei complicate le sue chance. Deve correre spensierato, perché ha i mezzi e il diritto di farlo. Questo almeno gli direi. Ma per correre a questo modo devi avere in squadra almeno altri 3-4 atleti in grado di entrare fra i primi 10 del Giro. Non dimentichiamo che il nostro compianto Michele era un vincitore di Giro che decise di mettersi al suo servizio.

La storia di Giovannetti che un giorno disse basta…

11.04.2021
5 min
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Pochi giorni fa, Marco Giovannetti ha compiuto 59 anni: per lui il ciclismo ormai è qualcosa da guardare in televisione, con quella curiosità mista a nostalgia per un mondo vissuto da protagonista, che ora gli appare lontano.

C’è il suo hotel da curare, da oltre vent’anni la sua realtà lavorativa in quel di Altopascio (Lucca): «Da quest’anno avremo anche a disposizione le bici per le escursioni nella zona, avremo anche le e-Bike. Qui c’è tanto da vedere, è davvero il paradiso delle due ruote, ma non eravamo ancora riusciti a realizzare qualcosa del genere. Solo che siamo anche noi bloccati, come tutto il mondo, in attesa che questa tempesta passi…».

In carriera Giovannetti ha vinto poco (in apertura è sul Gavia nel celebre Giro del 1988: fu 5° di tappa e 6° finale), appena 6 corse da professionista, eppure il suo peso nella storia del ciclismo non solo italiano è notevole perché quelle vittorie sono tutte di alto pregio.

Giovannetti gestisce l’Hotel Le Cerbaie ad Altopascio, ma una pedalata se la concede spesso
Giovannetti gestisce l’Hotel Le Cerbaie ad Altopascio

Il toscano è stato ad esempio uno dei pochissimi capace di centrare il podio alla Vuelta e al Giro nello stesso anno (anzi, quella Vuelta del 1990, che si correva ancora in aprile, la vinse sfruttando al meglio una fuga da lontano nelle prime giornate di gara, contenendo poi il ritorno del famoso Pedro Delgado).

«Quell’anno poi le due gare erano ancora più ravvicinate per i Mondiali d’Italia ’90. Meno di una settimana d’intervallo, non feci in tempo a scendere dall’aereo per la Spagna che ero già nella carovana della corsa rosa…».

Come riuscisti in quell’impresa?

La mia dote migliore è sempre stata il recupero: ero un buon passista ma non tra i migliori, un buon scalatore ma non tra i migliori, però riuscivo a recuperare bene dai grandi sforzi. Alla Vuelta trovai la forma strada facendo e al Giro andai forte nella prima parte. Ricordo ad esempio la crono di Cuneo, finii quinto ed entrai in classifica. Nella settimana finale ero cotto, anche nella cronometro degli ultimi giorni soffrii tanto, ma alla fine riuscii a terminare terzo dietro Bugno e Mottet.

Marco con sua moglie Paola, con cui ha condiviso gioie e dolori della sua carriera
Marco con sua moglie Paola, con cui ha condiviso gioie e dolori della sua carriera
Il bello è che nello stesso anno andasti pure al Tour…

Sì, ma fu una presenza per onor di firma. Alla Seur avevano bisogno che fossi al via affinché la squadra fosse ammessa, ma non ne avevo più e infatti dopo 5 giornate mi ritirai.

Come mai pur andando forte a Giro e Vuelta, con il Tour non hai mai avuto feeling?

Non mi piaceva: in Francia dovevi limare per almeno 10 giorni, stando attento a non cadere, ai ventagli, a me quel modo di correre non andava a genio. Il Giro è sempre stato tecnicamente la corsa più avanti a tutte, lì mi esaltavo.

La vittoria che ti è più rimasta impressa?

Nel mio cuore c’è il successo nella tappa del Giro 1992 a Pian del Re, sul Monviso, la montagna più bella che ci sia. Ho sempre saputo che per vincere dovevo davvero staccare tutti, perché in volata ero fermo come un paracarro e quel giorno mi riuscì. D’altronde sono sempre state le tappe più dure quelle dove andavo meglio. Se però guardo al complesso della mia carriera, c’è un successo davvero speciale…

Immaginiamo sia quello olimpico, la 100 Chilometri a squadre di Los Angeles 1984.

Quell’avventura è ancora stampata nella mia mente, giorni di allenamento pesantissimo. Eppure ci divertivamo tutti e 5 perché insieme a Bartalini, Poli e Vandelli io considero anche Manenti, lui che fu la riserva. Il Ct Gregori ebbe l’accortezza di lasciarci liberi, di farci vivere la nostra gioventù senza tenerci reclusi a pensare solo agli allenamenti, certo poi voleva che si andasse forte, che facessimo il nostro dovere e l’abbiamo fatto fino in fondo.

Da pro’, 4 presenze in nazionale: qui con Volpi e Bombini al mondiale del 1990 in Giappone
Da pro’ 4 presenze in nazionale: qui con Volpi e Bombini nel ’90 in Giappone
Qual è stato invece il giorno più brutto?

Di crisi ne ho attraversate tante, ma sicuramente il peggiore fu al Giro del ‘94, quando in una caduta presi una botta terribile alla schiena. Affrontai Stelvio e Mortirolo con un dolore fortissimo, soprattutto quando i tifosi mi spingevano vedevo le stelle… Arrivai fuori tempo massimo, poi a casa feci le lastre e si vide che avevo una vertebra rotta. Avevo rischiato di rimanere paralizzato. Allora dissi basta…

Perché non sei rimasto nel mondo del ciclismo?

Tante ragioni. Intanto la brutta esperienza con la Eldor, mi ritrovai a piedi prima del Giro ’93 dopo che nei primi mesi dell’anno avevo dovuto pensare più all’organizzazione della squadra che ad allenarmi. Ci salvò la Mapei. Speravo in un futuro con loro dopo il ritiro, ma non fu così. Mi ritrovai fuori dal mondo, senza spazi, ma non mi dispiacque più di tanto. Il Ds ad esempio non avrei voluto farlo, troppi giorni lontano da casa.

Una capatina nel ciclismo però l’hai fatta…

Sì, quando Vegni ed Allocchio mi vollero al Giro come responsabile delle partenze. Ho scoperto cose che non sapevo del mio mondo, i corridori dovrebbero davvero sapere quanto è difficile allestire una corsa, forse allora tante proteste non ci sarebbero.

Giovannetti al Giro d’Italia del 2009, ma in una veste diversa…
Giovannetti al Giro d’Italia del 2009, ma in una veste diversa…
Se tornassi ragazzo, faresti ancora il corridore?

Bella domanda… Il ciclismo è cambiato molto rispetto ai miei temi. Noi in allenamento ci si ritrovava in una ventina, ci si fermava per un panino, si viveva tutto con molta più tranquillità. Oggi invece con i preparatori ogni allenamento è durissimo, ci si diverte molto meno. D’altro canto però è la società intera che è cambiata: penso che se fossi un giovane d’oggi, sì, ci riproverei.