Gasparotto alla Bora? Un ottimo acquisto, ecco perché

18.11.2021
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Gasparotto ha già cominciato a lavorare. Martedì si è caricato in macchina Matteo Fabbro e, approfittando del fatto che il biondo vive vicino ai suoi genitori, sono andati insieme a vedere la tappa del Santuario di Castelmonte, terzultima del Giro.

«Tappa interessante – dice prima di rimettersi in viaggio per Lugano – in zone che non ho mai frequentato. Quello è il feudo di De Marchi, che abita ai piedi delle prime salite di tappa. La salita di Kolovrat che parte dalla Slovenia vicino Caporetto è davvero dura. Sale su uno di quei passi su cui le dogane non sono controllate. Là in cima hanno tutti il fucile in casa. E’ un po’ lontana da Castelmonte, perché prima di scendere su Cividale c’è una serie di su e giù. Ma è dura…».

Un post su Instagram per annunciare il passaggio alla Bora-Hansgrohe
Un post su Instagram per annunciare il passaggio alla Bora-Hansgrohe

Progetto Bora-Hansgrohe

Il “Giallo” è uno dei nuovi direttori sportivi della Bora-Hansgrohe ed è stato bravissimo a tenersi il segreto in pancia, dato che le trattative sono iniziate molto presto nel corso della stagione. Dice che al momento dei primi contatti era concentrato su altre cose e che lo ha conquistato il fatto che si sia parlato di un progetto a lungo termine.

«Hanno parlato di anni futuri – spiega – e questo mi convince, perché non è facile cambiare tanto in una squadra in poco tempo. Avevo diverse idee per la testa. Nel 2021 ho avuto la fortuna di capire come si lavora in un’organizzazione come Rcs. Poi ho avuto la possibilità di sperimentarmi nel ruolo di direttore sportivo, sia pure in una continental (in apertura, sull’ammiraglia della Nippo Provence, in una foto scattata da sua moglie Anna Moska, ndr). E’ presto per dire se quello che sto iniziando è ciò che mi piacerebbe fare da grande. Adesso siamo tranquilli, vedremo come andrà sotto stress».

Gasparotto ha partecipato al Giro d’Italia del 2021 come regolatore in moto, assieme a Velo, Longo Borghini e Barbin
Gasparotto ha partecipato al Giro come regolatore in moto, assieme a Velo, Longo Borghini e Barbin

Giovani direttori

I team manager hanno capito che puntare su direttori sportivi appena scesi di bici offre un enorme vantaggio nel rapporto con i corridori. Perché sanno cosa vivono i ragazzi, avendo ancora sulla pelle e nella testa le stesse sensazioni. Parlano la stessa lingua. E gli atleti giovani, che credono ai fatti più che alle parole, ascoltano più volentieri un tecnico che fino al giorno prima era in mezzo a loro e aveva una voce forte nel gruppo. Uomini che hanno vissuto la schiavitù dei watt, ma sanno che in un corridore c’è tanto di più. E’ così con Pellizotti al Team Bahrain Victorious, con Tosatto alla Ineos e sarà così con Bennati in nazionale.

Si dice che da grandi si tende a imitare quello che si è vissuto. Quale sarà il tuo riferimento?

Per me Rolf Aldag è stato un bel modello e ho la fortuna di lavorarci anche alla Bora. Poi un altro bell’esempio è stato Marcello Albasini, con cui ho lavorato nella continental. Lui è stato illuminante per la capacità di essere padre dei corridori nonostante la grande differenza di età, il fatto di saperli ascoltare. Da tutti si può prendere qualcosa, non vorrei fare nomi…

Nemmeno di Fortunato Cestaro?

Fortunato fu un secondo padre, abbiamo lavorato insieme nei dilettanti e purtroppo non c’è più. Porto con me tutto il buono che mi ha insegnato. E a questo punto, parlerei anche di Franco Cattai, che mi ha messo in bici e che diceva allora in dialetto veneto le cose che ora vengono dette in inglese. Da tutti ho imparato qualcosa, che mi tornerà utile. Il ciclismo è cambiato molto. E’ tutto o niente, è diventato totalizzante. Si rischia di trascurare l’aspetto umano e le esigenze dei ragazzi

Sai già i nomi dei corridori con cui lavorerai?

Ne avrò sei e alcuni che mi intrigano, perché hanno dei caratteri particolari. Ci sono anche gli italiani…

Nel 2005 Gasparotto è passato alla Liquigas, qui al Trofeo Laigueglia
Nel 2005 Gasparotto è passato alla Liquigas, qui al Trofeo Laigueglia
Cosa ti pare di Aleotti?

Quando su un atleta si fanno programmi a lungo termine, vuol dire che la squadra ci crede. Giovanni ha caratteristiche simili alle mie, sarebbe intrigante portarlo alle classiche del Belgio e provare a fare qualcosa di buono.

Credi che questo incarico pareggi i conti con la cattiva sorte che ha condizionato tanto la tua carriera?

Non pareggia i conti, perché in definitiva nonostante gli alti e i bassi, sono contento della strada che ho fatto. Non ho rimpianti e rifarei certe cose, perché tutto, anche gli errori, mi hanno consentito di essere la persona che sono oggi. E sono contento perché entro in un ambiente che, tolti Aldag ed Eisel, non mi conosce…

Che cosa intendi?

Se mi avessero conosciuto 10 anni fa, magari il ricordo li condizionerebbe. Il “Gaspa” di oggi non è quello di prima e devo ammettere che mi piace più quello di oggi di quello di allora. Riconosco che ero un bel testone…

Ti sei fatto da solo la prossima domanda…

In che senso?

Che cosa diresti al “Gaspa” di allora se fossi il suo direttore sportivo?

Eh… (ride, ndr). Cercherei il canale giusto. Gli spiegherei quello che ho vissuto, sperando che accenda la lampadina anche a lui. Ho da raccontare esperienze pratiche che a me sono costate, io ho avuto tempo per rimediare, loro non ce l’hanno. Bisogna tirare fuori il meglio da tutte le situazioni, perché oggi il margine di errore è davvero ridotto.

Fabbro e Aleotti sono due dei corridori che lavoreranno con Gasparotto
Fabbro e Aleotti sono due dei corridori che lavoreranno con Gasparotto
Come si fa a conquistare la fiducia dei corridori?

Ve lo dico l’anno prossimo (ride nuovamente, ndr). Siamo tutti diversi, per questo è bello e interessante farne parte. Non si può avere con tutti lo stesso approccio, con ciascuno va trovato quello giusto ed è parte del mio lavoro. Arrivo da un corso all’Uci, in cui erano comprese quattro ore di coaching per spiegare come essere a capo di un gruppo di corridori. L’ho trovato molto interessante.

Prossimi passi?

Ritiro in Germania per programmi e misure. Poi liberi fino a gennaio e a quel punto si andrà in ritiro a Mallorca. La squadra ha deciso di lasciarli liberi a dicembre, perché i ragazzi sono veramente professionali. Ai miei tempi c’era da puntare il fucile perché ci allenassimo, qui bisogna frenarli perché fanno anche troppo. Aleotti e Fabbro andranno alle Canarie, molti si stanno attrezzando in questo senso. Stressarli adesso non serve. Saltato il Tour Down Under, si comincerà tutti più avanti. E la stagione sarà ancora una volta lunghissima…

Blitz in California: Aleotti ricomincia dalla crono

16.11.2021
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Aleotti è appena tornato dalla California, anche lui dalla galleria del vento di Specialized. La Bora lo ha avvisato durante il ritiro in Austria di fine stagione, quando Gert Kodanic, il responsabile tecnico per lo sviluppo dei materiali, gli ha confermato la possibilità di lavorare sulla posizione della crono. Giovanni era consapevole della necessità, per cui non c’è voluto molto a trovare l’accordo e la data.

«Era la prima volta in galleria del vento e in America – sorride – mi è piaciuto molto. Avevo fatto tre settimane di vacanza dopo il Lombardia. Poi ho ripreso, ma dopo pochi giorni siamo volati negli Usa…».

Il primo anno da professionista è stato lunghissimo, con 69 giorni di corsa tutti… veri o quasi. A cominciare dalla primavera, in cui il debuttante emiliano ha messo in fila Strade Bianche, Tirreno-Adriatico e Giro dei Paesi Baschi prima del Giro d’Italia.

«Mi sento comodo – dice Aleotti – e soprattutto vedo bene». Il collo non sembra in rotazione
«Mi sento comodo – dice Aleotti – e soprattutto vedo bene». Il collo non sembra in rotazione
Che anno è stato?

Lungo è la parola giusta. Sono stato per tanti giorni via da casa e mi sono divertito tanto. Mi piacciono i training camp. Quelli d’inverno quando si va a pedalare al caldo e quelli d’estate, che se restassi a casa da solo, non mi allenerei bene.

E’ bello quando ogni giorno è una scoperta…

E io infatti ho scoperto tanto. Il Cycling Team Friuli è un ambiente più piccolo ed è giusto che sia così. Qui ho a che fare con una realtà grandissima. Basti pensare a questa trasferta americana, alla cura dei dettagli, al fatto che non si trascuri niente.

Che cosa avete scoperto in California?

E’ stata una cosa lunga, 4-5 ore di lavoro. Con me c’erano Kodanic, il capo dei meccanici e l’osteopata della squadra. Siamo partiti dalla posizione 2021 come riferimento, poi abbiamo cominciato con vari aggiustamenti, fino a trovare la posizione definitiva.

Circa 5 ore di test, per cercare (e trovare) la posizione più redditizia
Circa 5 ore di test, per cercare (e trovare) la posizione più redditizia
Basandosi su cosa?

Innanzitutto sulle mie sensazioni e poi sui numeri per piccole variazioni. Quando ci siamo resi conto che gli aggiustamenti non davano più benefici, ci siamo fermati. Sono molto soddisfatto, perché sono comodo e riesco a vedere bene davanti, senza dover forzare col collo.

Sei riuscito anche a fare il turista?

Pochissimo. Siamo stati quattro giorni, di cui due in galleria del vento. Solo l’ultima sera siamo andati a San Francisco in macchina. Abbiamo visto il Golden Gate (foto di apertura, ndr), Alcatraz e fatto un giro in centro. Poco, ma bello lo stesso.

Che cosa significa che la Bora-Hansgrohe abbia scelto te per andare in galleria del vento?

Che ci credono e mi fa piacere. Per me è uno stimolo in più. Ho capito che le crono sono molto importanti ed è bello che la squadra abbia voluto investirci.

La sua posizione a crono (qui al Giro nel giorno di Torino) era già interessante
La sua posizione a crono (qui al Giro nel giorno di Torino) era già interessante
Ci sono stati dei giorni di questo 2021 in cui ti sei sentito davvero forte?

Due occasioni, a parte Sibiu che ho vinto. La prima c’è stata al Giro di Polonia, nella seconda tappa, quando sono finito ottavo (traguardo di Premysil, ndr). Alla fine c’era uno strappo di 2 chilometri al 15 per cento, il classico finale da fare a tutta che mi piace tanto. Poi mi sono piaciuto a fine stagione alla Primus Classic, in Belgio. C’erano tutti quelli che preparavano il mondiale e mi sono ritrovato davanti con Van der Poel, Nizzolo e Alaphilippe.

Si dice che dopo un grande Giro la cilindrata aumenti.

Dopo il Giro sono migliorato, ma soprattutto per uno step mentale. Ho più consapevolezza, mi piace come sono stato gestito. Ho avvertito benefici subito dopo, a luglio, fra la Sardegna, San Sebastian e il Polonia, ma i compagni dicono che si vedrà di più quest’anno

Nel frattempo è andato via Sagan e sono arrivati solo scalatori.

Sagan è impossibile da rimpiazzare. Con lui se ne è andato il gruppo con cui ho legato tanto, con Oss e anche Bodnar. Il prossimo anno saremo più orientati sui Giri, ma finché c’è stato ho rubato tanto da Peter. Abbiamo corso insieme Tirreno e Giro, l’ho osservato.

E che cosa hai visto?

Soprattutto come gestiva il fuori corsa, da capire che per uno come lui la corsa è davvero il meno. In gruppo invece ho ammirato la sua freddezza, il saper essere un vero capitano. Gli viene naturale, lo vedi che non lo cerca, perché ce l’ha dentro e questo fa sì che tutti lo seguano. Nella tappa del Giro che ha vinto, abbiamo dato tutti il 200 per cento.

A te quando accadrà?

Ci vuole pazienza (sorride, ndr) e non so se ci arriverò mai. In questo primo anno non mi ero dato obiettivi, al di fuori di crescere. Certi ruoli non devi cercarli, se ci sono vengono fuori da soli. Per cui adesso si lavora. La prima settimana di dicembre andremo in Germania per test e controlli atletici. Poi a fine anno ho già prenotato con Matteo Fabbro e andremo a Gran Canaria fino al 10-12 gennaio, quando raggiungeremo la squadra a Mallorca. Sto bene, si riparte. Le vacanze sono finite.

Amadori 2021

Amadori: «Vi spiego perché non chiamo i WorldTour»

08.09.2021
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Sono giorni intensi per Marino Amadori: il calendario schiacciato lo tiene sulla graticola e conseguentemente i ragazzi che ha alle sue dipendenze per i vari impegni. Dal Tour de l’Avenir agli Europei il passo è stato breve e lo stesso sarà fra la rassegna continentale di Trento e quella iridata di Louvain. Amadori, che cura gli under 23, ha fatto le sue scelte e queste hanno generato discussioni, come sempre avviene, ma il tecnico di Predappio non si tira indietro nel rispondere.

La squadra per Trento è nata nel tempo, sulla base di un impegno preciso: «Dovevo realizzare qualcosa che si sposasse con il percorso, per questo lo siamo venuti a visionare con 4 atleti già due mesi fa, facendo giri su giri per capire quel che sarebbe stato necessario. Sulla base di quell’esperienza ho tirato fuori un gruppo di una decina di atleti tra i quali ho scelto i 6 che correranno sabato, anche in base alle scelte delle altre nazioni».

La prima obiezione è che sembra una squadra fatta sulla base dei corridori del calendario italiano under 23, non prendendo in considerazione chi ha esperienze superiori…

Non è così, visto che il leader è Filippo Zana, che milita in una squadra professional e ha già corso con i più grandi, ha addirittura affrontato il Giro d’Italia, ha vinto la Corsa della Pace, è andato sul podio al Tour de l’Avenir, insomma di esperienza ai massimi livelli ne ha accumulata quanta i big delle altre nazionali, se non di più.

Stagione finora da incorniciare per Zana, con vittorie ed esperienze importanti. Ora arrivano le gare titolate…
Stagione finora da incorniciare per Zana, con vittorie ed esperienze importanti. Ora arrivano le gare titolate…
Vero, com’è anche vero che nella squadra italiana non ci sono atleti delle squadre WorldTour…

Noi abbiamo Aleotti e Bagioli che faranno la gara elite e questo è un bagaglio di esperienza che per loro sarà fondamentale. Io sono stato subito favorevole a questa scelta, altrimenti li avrei tenuti in considerazione. Ho voluto costruire una squadra equilibrata, nella quale Filippo dà qualcosa in più in termini di organizzazione e di stimolo per gli altri, proprio con i risultati che ha conseguito.

Allarghiamo il discorso: c’è differenza fra gli under 23 che militano in squadre WorldTour e gli altri, quelli che fanno il calendario italiano?

Certamente, entrare in un grande team significa avere il massimo delle strutture a disposizione e fare sempre gare di alto livello, anche se non sei chiamato a correre classiche o grandi giri. Questo permette di allargare da subito le proprie esperienze, la propria cultura ciclistica. Il discorso però è più complesso.

Tiberi Italiani 2021
Antonio Tiberi è forse il principale assente del team azzurro, ma Amadori ha fatto altre scelte
Tiberi Italiani 2021
Antonio Tiberi è forse il principale assente del team azzurro, ma Amadori ha fatto altre scelte
Perché?

Perché se da una parte è vero che gareggiando sempre nel proprio Paese fai fatica a capire dove questo mestiere ti porterà, dall’altra non dobbiamo dimenticare che il calendario italiano è di alto livello, con molte prove internazionali, con molte sfide con i big. Guardate il Giro del Friuli: in gara c’erano due squadre professional. Di una cosa potete star certi: le squadre World Tour le ho tenute in considerazione, ho una lista precisa di under 23 che ne fanno parte, da Aleotti a Tiberi e ho monitorato le scelte delle altre nazionali per tutta la stagione, per capire quante e quali gare essi fanno e soprattutto chi emerge. In fin dei conti, l’Avenir lo ha vinto un ragazzo di una squadra Pro, secondo un WorldTour e terzo Zana.

Lavorare con i team WorldTour è più difficile?

Per certi versi sì, perché è naturale che diano ai propri ragazzi un calendario da seguire e spesso le esigenze federali non collimano. Con Zana ad esempio ho potuto lavorare con criterio e continuità e i risultati si sono visti. Quel che è certo è che una nazionale devi costruirla sulla base di un’idea, sennò non vai da nessuna parte, guardare che gare fanno i ragazzi e in che condizioni sono, per questo poi si operano delle scelte sempre dolorose verso chi non c’è.

Ayuso San Sebastian 2021
Juan Ayuso, dominatore del Giro U23 (sue tutte le maglie) vuole riscattare il ritiro al Tour de l’Avenir
Ayuso San Sebastian 2021
Juan Ayuso, dominatore del Giro U23 (sue tutte le maglie) vuole riscattare il ritiro al Tour de l’Avenir
Ci saranno differenze fra questa nazionale e quella per i mondiali?

Qualcuna, ma l’ossatura resterà la stessa, Baroncini ad esempio farà entrambe le gare, valuteremo Colnaghi, Frigo che a Trento non c’è ma era all’Avenir…

La sensazione è che comunque il nucleo sia nato già in Francia…

Sì, possiamo dire che le tre gare sono strettamente collegate, ma non è così solo per noi, basta guardare i roster delle altre nazionali.

A proposito, chi temi fra queste?

Soprattutto Norvegia e Olanda, che hanno grandi individualità e un’intelaiatura solida, poi la Spagna con Ayuso che, sono convinto, vuole riscattarsi dopo il ritiro al Tour che gli ha precluso la doppietta con il Giro. E’ esplosivo, in discesa è molto forte, può far saltare la gara e andrà seguito con attenzione, ma le altre nazioni come squadra mi fanno più paura.

Aleotti e il CT Friuli: il metodo olandese funziona anche qui

08.08.2021
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Non solo quelli della Jumbo Visma sanno lavorare con i giovani. La differenza, rispetto ad alcune realtà italiane, è che loro lo fanno avendo davanti una squadra WorldTour. Che non è poco. Però alcune delle dinamiche di cui ci ha parlato nei giorni scorsi Robbert de Groot le abbiamo viste svolgersi anche da noi. E se del Team Colpack e di come ad esempio abbia gestito Tiberi e Ayuso vi abbiamo parlato nei mesi scorsi, questa volta tiriamo in ballo uno dei talenti più belli che abbiamo in Italia e che già al primo anno di professionismo ha fatto un bel Giro d’Italia e ha vinto il Sibiu Cycling Tour: Giovanni Aleotti (in apertura secondo dietro Nizzolo al Circuito di Getxo). Ricordando il modo in cui è stato seguito al Cycling Team Friuli, le assonanze con il metodo olandese saltano agli occhi.

Un selfie dopo il tricolore del 2020 a Zola Predosa con Mattiussi, Baronti e Boscolo
Un selfie dopo il tricolore del 2020 a Zola Predosa con Mattiussi, Baronti e Boscolo

Da domani al Polonia

Giovanni è all’immediata vigilia del Giro di Polonia, che scatterà domattina e che bici.PRO vi racconterà con i servizi di Simone Carpanini, e si presta volentieri all’approfondimento.

«Il paragone ci può stare – dice – perché anche al CTF prima di prendere un corridore lo vogliono conoscere, a prescindere dai risultati. Quando andai lassù per la prima volta, non si può dire che fossi lo junior più vincente d’Italia, nemmeno il secondo. Cercavano un carattere che ben si integrasse con il loro progetto. Si accorsero di me, dai report della Sancarlese, la squadra in cui correvo, e grazie a quello che gli dissero Melloni e Donegà, che ci erano arrivati prima di me. Andai per la prima volta a Udine proprio con Donegà e parlai con Andrea Fusaz e Alessio Mattiussi. Non avevo grandi richieste, ero abbastanza uno qualunque».

Alla Jumbo parlano di conoscenza dell’ambiente familiare: i tuoi genitori incontrarono mai i dirigenti del team?

La prima volta andai da solo, ma a novembre quando si trattò di andare su per fare il posizionamento in sella, mi accompagnarono e conobbero l’ambiente. Non rimasero molto, mentre io restai su per qualche giorno in casetta.

I primi contatti li avesti con Fusaz e Mattiussi, oppure anche con Boscolo e Bressan, il diesse e il manager?

No, con Fusaz e Alessio. Boscolo e Bressan li lasciano fare, anche perché quelle prime fasi sono molto di competenza del CTF Lab. Con Renzo feci la conoscenza in un secondo momento.

Come faceste a capire che il tuo carattere si integrava con il loro progetto?

Te ne accorgi dai primi giorni di allenamento. Ci trovammo subito d’accordo, non era uno scambio di tabelle e dati, ma si crea un bel rapporto personale con gli allenatori. Come adesso alla Bora con Szmyd. C’è un bel rapporto umano e un buono scambio di feedback. Anche al CTF ci seguivano ogni giorno. Infine le trasferte per le corse cementano l’intesa.

La Jumbo cerca, così almeno dicono, corridori di carattere e con caratteristiche per brillare su tutti i terreni. Li chiamano corridori moderni.

Anche al CTF Lab cercano la completezza. Nel mio caso, andavo bene in salita ed ero veloce. Anziché spingere su una piuttosto che sull’altra, abbiamo lavorato sodo cercando di non snaturarmi, per migliorare in salita, tenendo lo spunto veloce, che mi è sempre stato utile. Ho sempre lavorato a tutto tondo, facendo corse impegnative già al primo anno, che fanno migliorare.

Un altro esempio del loro lavoro può essere Milan?

Johnny è l’esempio forse più lampante. Non so quanta pista avesse fatto prima di incontrarli e non è nemmeno facile gestire un ragazzo quando arriva al primo anno. Però lui come me si è affidato, perché ha visto un direttore e un allenatore che avevano una visione. Il primo anno magari non sei nelle condizioni di entrare nel merito delle scelte, dal secondo inizia lo scambio di idee, che ha permesso a loro di affinare la preparazione e a me di prendere coscienza dei miei mezzi. Anche Jonathan è arrivato che era molto acerbo e dopo due anni è diventato campione olimpico.

La Jumbo lavora per trovare corridori da inserire nella squadra WorldTour, quali sono gli stimoli del CT Friuli secondo te?

Lo fanno per passione, secondo me, e perché per Andrea Fusaz aver lanciato tanti atleti nel corso degli anni sia una bella soddisfazione. E’ una famiglia, si respira il clima di una famiglia. Mi piace pensare che sia così.

Cambierebbe qualcosa se ad esempi il CT Friuli diventasse il vivaio di una squadra WorldTour?

Non saprei (riflette per qualche secondo, ndr), ci sarebbero tanti fattori da valutare. Probabilmente smetterebbe di essere la piccola famiglia che ha portato al professionismo tanti di noi e che è sempre stata la sua chiave. Ci sarebbe da valutare e capire se ne vale la pena.

Milan
Andrea Fusaz, responsabile del CTF Lab, al lavoro con Milan per il posizionamento in sella
Milan
Andrea Fusaz, responsabile del CTF Lab, al lavoro con Milan per il posizionamento in sella
Che corsa vai a fare al Polonia?

La gamba c’è e ci sono tappe molto adatte. Dopo la pioggia di San Sebastian ho preso un po’ di raffreddore, spero di non aver perso troppo. Farò corsa parallela con Fabbro e poi vedremo. E di fatto, il Polonia sarà l’ultima corsa a tappe della mia prima stagione da pro’. Poi correrò a Plouay, in Vallonia e tutte le corse italiane fino al Lombardia. Il Giro è andato molto bene, la vittoria a Sibiu ci voleva. Insomma, non posso proprio lamentarmi.

E l’università?

Ecco, abbiamo trovato di cosa lamentarsi. In realtà d’estate è praticamente impossibile studiare. La sessione estiva c’era a maggio, in pieno Giro d’Italia. Vediamo se dall’autunno in avanti riuscirò a mettermi in pari.

EDITORIALE / Lasciamo stare Cassani, parliamo di programmi

02.08.2021
3 min
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Si potrebbe cominciare la settimana con Cassani e forse si dovrebbe. Ma cosa si può aggiungere a ciò che è stato già detto e a ciò che si è costruito fumosamente da più parti sopra quello che non è stato detto? Certo, ci sono mille sfaccettature e sensazioni dettate dall’esperienza, ma ha senso cavalcarle e dare loro dignità di notizia quando in ballo ci sono i programmi di uomini e atleti?

La risposta è no. Forse la sola cosa da dire è che, se si è dichiarato ai quattro venti che tutto proseguirà allo stesso modo fino ai mondiali, non ha senso mettere in mezzo facce nuove e cambiare i programmi. A meno che non ci siano già in atto strategie diverse, che contraddicono la premessa.

Giacomo Nizzolo, Davide Cassani, europei Plouay 2020
Fra le vittorie di Cassani come cittì azzurro, ecco l’europeo di Nizzolo lo scorso anno a Plouay
Giacomo Nizzolo, Davide Cassani, europei Plouay 2020
Fra le vittorie di Cassani come cittì azzurro, ecco l’europeo di Nizzolo lo scorso anno a Plouay

Scuola Jumbo-Visma

Perciò inizieremo la settimana facendo una riflessione su quel che ci è rimasto addosso dopo aver approfondito la realtà della Jumbo-Visma e i programmi con cui nello squadrone olandese si individuano e si gestiscono i talenti (in apertura Jonas Vingegaard circondato dai compagni del Development Team alla Settimana Coppi e Bartali vinta ad aprile). La prima sensazione è che davvero si possa lavorare a quel modo solo avendo alle spalle uno sponsor molto ricco che condivide il tuo modo di lavorare. La seconda, più rivolta verso casa nostra, riguarda il sistema italiano e l’assenza di una grande squadra.

Fatta salva qualche eccezione, da noi la selezione dei talenti passa attraverso i procuratori e poco di più. Buona l’intuizione di Reverberi di crearsi in casa la squadra degli under 23, ma di fatto e a costo di sembrare noiosi, l’ultimo progetto degno di essere accostato a quello della squadra olandese risale a 21 anni fa, con la Mapei giovani, che aveva appunto alle spalle uno sponsor molto ricco che condivideva il modo di lavorare dell’area tecnica.

La rincorsa dei nostri ragazzi al professionismo è una gara allo sfinimento senza troppi programmi, per dimostrare di valere qualcosa, in squadre che non disdegnano la conta delle vittorie. Ci sono in giro concorsi riservati agli U23 che mettono in luce ogni anno una serie di nomi scintillanti e prestigiosi. Ma poi dove finiscono?

Gli ultimi anni hanno portato a qualche eccezione, alcune squadre si sono distinte per programmi e politiche più lungimiranti, ma si tratta pur sempre di gestioni non riconducibili a team professionistici, quindi per certi versi prive di controllo. 

Giovanni Aleotti, cresciuto nel Cycling Team Friuli, è un esempio di gestione lungimirante del talento
Giovanni Aleotti, cresciuto nel Cycling Team Friuli, è un esempio di gestione lungimirante del talento

Il peso delle vittorie

Ecco, c’è un concetto che resta leggendo le parole di Robber De Groot: il contratto non si firma subito e i risultati non sono tutto. I risultati sono al massimo uno spunto, i valori fisiologici sono un tassello. La famiglia che hai alle spalle, il carattere, la capacità di fare gruppo, la cultura, la maturità: sono questi i valori che andrebbero cercati per individuare il corridore moderno.

Quali manager di squadre nostrane o riconducibili a gestioni italiane si prendono ogni volta la briga di incontrare i genitori degli atleti più giovani, parlare con i loro insegnanti o approfondire la loro formazione? Se così facessero, se davvero vedessero in quei ragazzi un investimento da far fruttare per il futuro della propria squadra, non sarebbe tanto facile per loro lasciarli a piedi dopo averli buttati nella mischia per due stagioni. Se i criteri di selezione fossero una cosa seria, non rischieresti (o rischieresti meno) di prendere corridori che non valgono. E poi ci si chiede come mai non ci sia ricambio alle spalle dei campioni a fine carriera. Ma giusto, che sbadati, quella è colpa di Cassani…

C’era un filo invisibile fra la Sardegna e il resto del mondo

19.07.2021
4 min
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Nel sole accecante riflesso dalla candida Basilica di Bonaria, uno dei simboli di Cagliari, partono fili invisibili che collegano l’Isola di Sardegna al mondo. A Parigi, per esempio, dove il Uae Team Emirates sta festeggiando il trionfo di Tadej Pogacar. Diego Ulissi si unisce ai festeggiamenti “da remoto”, conquistando d’autorità la prima edizione della “Settimana Ciclistica Italiana… sulle strade della Sardegna”. Il campione toscano è un corridore ritrovato dopo la grande paura dello scorso inverno. Nell’Isola ha messo in chiaro le cose sin al primo giorno, sprintando a Sassari per prendersi la maglia azzurra di leader e confermandosi nel Capo di Sotto sempre in una volata sul filo. Ha fatto venire qualche dubbio al ct Davide Cassani, ma è sereno.

«Per me essere qui, avere avuto l’attenzione di Cassani che ha tenuto la porta aperta sino all’ultimo – dice – è già una vittoria. Ci sono altri appuntamenti da qui alla fine della stagione, anche per la Nazionale. Dovrò farmi trovare pronto».

In Sardegna Ulissi ha ritrovato fiducia, sorriso e vittoria
In Sardegna Ulissi ha ritrovato fiducia, sorriso e vittoria

Da Cagliari ai Campi Elisi

La Sardegna lo ha reso felice, le due tappe e la classifica – conquistata con 8” sull’irriducibile Sep Vanmarcke – non le ha considerate vittorie di ripiego e altrettanto ha fatto Pascal Ackermann, anche se la sua mente seguiva quel filo invisibile, sino in Francia: «No, questi non sono i Campi Elisi – ha detto spalancando il suo sorriso sul rettilineo che gli ha regalato due sprint su due, magistrali e diversi – ma ogni vittoria conta per me e per queste tre in Sardegna sono davvero felice».

Tre successi (Oristano e due volte Cagliari), tre come il suo compagno alla Bora-Hansgrohe, Peter Sagan, nel 2011, ma in realtà sono cinque in quindici giorni, contando il Sibiu Tour: «Ho dovuto superare qualche problema di famiglia, speravo di andare al Tour, ma ho dimostrato di essere in buona forma e adesso spero di continuare così. Una piccola pausa, poi penserò al Polonia».

Da Cagliari a Tokyo

Tra Sardegna e Romania, su quel filo invisibile, ha fatto il funambolo anche Giovanni Aleotti: una tappa, un secondo posto e la classifica finale al Sibiu Tour, un terzo posto di tappa e quello nella “generale” in questa Settimana Italiana, con il primato tra i giovani.

«Se ci mettiamo anche le tre vittorie di Ackermann, credo che noi della Bora possiamo essere contenti», ammette, ricordando che il quarto assoluto è stato Felix Grossschartner. E mentre Santiago Buitrago completa le premiazioni indossando la maglia verde degli scalatori sopra quella rossa della Bahrain Victorious, con Ackermann primo a punti, la carovana si disperde verso la prossima meta.

Per qualcuno quel filo invisibile unisce l’Isola a Tokyo. Con gli azzurri (Alberto Bettiol, Giulio Ciccone, Gianni Moscon e Damiano Caruso), altri sei hanno scaldato i muscoli in vista della prova su strada della Olimpiadi: lo svizzero Gino Mader, il bielorusso Aleksandr Riabushenko (secondo nella quarta tappa), il russo Ilnur Zakarin (che ha chiuso nella top 10), lo slovacco Juraj Sagan, il sudafricano Ryan Gibbons e il lituano Evaldas Siskevicius.

Da Cagliari… al futuro

Un ultimo filo galleggia nell’aria cagliaritana. Parte dal podio e vola via, in attesa di unire questa prima edizione della Settimana Italiana, chiamata così per l’impossibilità di utilizzare il nome “Giro di Sardegna” (teoricamente la corsa è in calendario per ottobre), con la prossima. Se ne vede soltanto l’inizio: Natura Great Events e Gs Emilia proveranno a trovare l’altro capo nel 2022.

Toccherà a Ulissi raccontare la Sardegna a Fabio Aru

18.07.2021
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Diego Ulissi continua a tenere in pugno a suon di vittorie la “Settimana Ciclistica Italiana… sulle strade della Sardegna”, così si chiama la neonata corsa a tappe in chiusura oggi a Cagliari. Ma forse sarebbe stato ancor più semplice dire “Sulle strade di Fabio Aru”. Il Cavaliere dei 4 Mori è il convitato di pietra di questa prima edizione, che tra Giochi di Tokyo da preparare e necessità di un calendario Uci sempre affollatissimo, è rotolata nel bel mezzo di luglio. Proprio il suo mese, quello in cui Fabio compie gli anni (e con lui sua mamma Antonella e suo fratello Matteo). Quello in cui ha ottenuto il successo più prestigioso, sulla salita della Planche des Belles Filles, nell’ormai lontano Tour del 2017.

Aleotti, reduce dalla vittoria di Sibiu, racconta di un Aru in gran forma. A sinistra Ackermann
Aleotti, reduce dalla vittoria di Sibiu, racconta di un Aru in gran forma. A sinistra Ackermann

Le strade di Fabio

L’ultima frazione (Cagliari-Cagliari, come la penultima, ma con uno sviluppo totalmente diverso) si spinge verso il Sulcis, sino a Carbonia. Qui porterà il gruppo a una doppia ascesa sulla salita di Terraseo, classico terreno di allenamento per Fabio, quando viveva a Villacidro. Già la terza aveva esplorato i luoghi cari al trentunenne della Qhubeka-NextHash, con il simbolico gpm (definizione quantomeno generosa per un tratto di neppure 2 chilometri al 5 per cento) proprio a casa sua, nel Paese d’Ombre descritto da Giuseppe Dessì. Ben altro era l’omaggio che il “vero” Giro di Sardegna gli avrebbe riservato nell’edizione in calendario per ottobre, disegnata per lui ma che resterà nel cassetto! Perché la speranza di chiunque organizzi una gara nell’Isola è di avere alla partenza il più grande corridore sardo di sempre, orgoglio di un popolo che sussultò vedendolo salire sul podio di Madrid avvolto nella bandiera con i Quattro Mori, preferita al tricolore.

Milan continua a crescere, su strada e su pista. Qui con Volpi, suo diesse in Sardegna
Milan continua a crescere, su strada e su pista. Qui con Volpi, suo diesse in Sardegna

Il tabù Sardegna

Ma il tabù-Sardegna per Aru continua. Il Giro di Sardegna si è interrotto nel 2011, l’anno prima che lui vestisse la maglia dell’Astana. Da allora i pro’ sono sbarcati soltanto nel 2017, per il Giro d’Italia. Una caduta durante il ritiro in Spagna gli conciò male un ginocchio e alla Grande Partenza da Alghero Fabio si presentò in borghese, giusto per un saluto ai propri tifosi. Una delusione cocente. Stavolta c’era il Tour nei suoi programmi, ma il tricolore di Imola ha fatto scattare il piano B. Troppo tardi, però. La Qhubeka aveva già disdetto gli inviti e Aru non ha potuto dar seguito alle belle prove di Lugano e Sibiu Tour, dove soltanto Giovanni Aleotti gli ha negato (due volte) la decima vittoria in carriera. Ma è stato il primo segnale dopo tanto tempo.

Così dopo Sassari, Ulissi conquista anche Cagliari ed è sempre più leader
Così dopo Sassari, Ulissi conquista anche Cagliari ed è sempre più leader

L’omaggio di Aleotti

«Fabio è un grandissimo corridore, non c’è bisogno che lo dica io: il suo curriculum e la sua carriera parlano per lui», conferma l’emiliano della Bora-Hansgrohe che in Sardegna si è confermato in grande forma (è 3° in classifica). «In Romania andava veramente molto forte, quindi credo che sia ancora a un grandissimo livello».

Magari non avrebbe avuta la velocità per imporsi negli sprint, ma di sicuro il villacidrese sarebbe stato tra i protagonisti. Si farà raccontare la corsa da Diego Ulissi, suo vicino di casa a Lugano ed ex compagno per tre anni alla Uae Emirates. Dopo la seconda vittoria nello sprint ristretto di Cagliari, Diego è sempre più vicino al successo nella neonata Settimana Ciclistica Italiana sulle strade di Fabio Aru, pardon… della Sardegna.

Il Sibiu Cycling Tour riporta un po’ di luce su Aru

14.07.2021
6 min
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In quei 19 secondi alla fine del Sibiu Cycling Tour c’è la differenza fra un atleta che non riusciva a ritrovarsi e uno che ha provato a vincere. E d’accordo che la corsa rumena non fosse il Tour de France e alla partenza non ci fossero i più grandi fenomeni del ciclismo mondiale, ma a volte i risultati vanno contestualizzati. E per Fabio Aru essere lì a lottare contro Giovanni Aleotti è stato un momento importante. Se vi interessa capire il perché continuate a leggere.

Secondo sul podio del Sibiu Tour dietro Aleotti e prima di Schlegel
Secondo sul podio del Sibiu Tour dietro Aleotti e prima di Schlegel

Il ruolo del giornalista

A Fabio si vuol bene, come quando conosci qualcuno da ragazzino, ne condividi i sogni, lo vedi realizzarli, poi lentamente scivolare verso chine inaspettate. Ti fai mille domande, le fai a lui. Qualcosa puoi scrivere, qualcosa no. Ma inizialmente non conta ciò che scriverai, conta ciò che puoi dirgli cercando di dare una mano. Però alla fine il giornalista ha l’obbligo di raccontare, così questa volta la chiamata è per scrivere, con il gusto reciproco di spiegare e capire. Nei giorni scorsi, parlando con altri corridori, il punto di domanda non era tanto sulla sua capacità di allenarsi, quanto piuttosto sulle grandi attese non sempre facili da fronteggiare.

Fabio è di ritorno a Lugano dopo un paio di giorni a Torino. Il tempo mette a brutto e anche se da quelle parti non fa mai particolarmente caldo, una rinfrescata ci sta bene. Gli sarebbe piaciuto correre in Sardegna alla Settimana Italiana appena partita, ma la sua squadra non partecipa e in nazionale ci sono i corridori per Tokyo. Parlare di programmi sarà un cammino a margine.

A Lugano ha tentato l’attacco solitario a 100 chilometri dall’arrivo, restando solo per circa 40
A Lugano ha tentato l’attacco solitario a 100 chilometri dall’arrivo, restando solo per circa 40
Come è andata a Sibiu?

Chapeau ad Aleotti per come è andato. Potevo giocarmi meglio la tappa in cui ho fatto secondo, ma il giorno dopo l’ho attaccato forte e non l’ho staccato. Poco da dire. E’ andato forte e io ho fatto buoni valori. Sono tornato a casa con belle sensazioni, come non succedeva da un pezzo, dopo una corsa ben organizzata e con un bel livello. In realtà ero andato abbastanza bene anche a Lugano. Sono arrivato 14° ma prima ho attaccato. Oddio, forse da troppo lontano, visto che mancavano 100 chilometri…

Stai bene?

Nelle ultime due settimane, anche in allenamento ho notato un bel cambiamento nelle sensazioni e nei valori. Ho finalmente buoni riscontri in salita. Ho pagato a caro prezzo la discontinuità degli anni passati. Non era normale finire tutte le corse con i crampi. E non crampi da disidratazione, ma da disabitudine alla fatica. La testa mi avrebbe spinto ad andare oltre, ma le gambe non ce la facevano. In più finora avevo fatto un calendario di primo piano e ho dovuto accettare il fatto di non avere ancora il livello per fare bene. Invece arrivare davanti in una corsa pur minore mi ha dato morale e mi ha permesso di correre diversamente, di non subire il ritmo degli altri.

Un bel cambiamento nelle sensazioni e nei valori?

Nelle ultime due settimane ho fatto dei record in salita. Non sono uno che pubblica su Strava, ma forse a volte a qualche tifoso farebbe piacere leggerlo. Solo che ora mi serve dare continuità. Con i miei allenatori abbiamo contato che da settembre 2019 all’inizio di quest’anno, quindi in circa 18 mesi, ho fatto solo 26 giorni di gara. Sia a livello fisico che di fiducia sono arrivato alla ripartenza con qualche lacuna.

A Sibiu ha ritrovato la possibilità di correre senza subire la gara
A Sibiu ha ritrovato la possibilità di correre senza subire la gara
Come mai il campionato italiano è finito con un ritiro?

Non era quello il mio livello, sono rimasto male anch’io. Ho avuto sensazioni negative inattese, ma proprio in seguito a quel giorno ho scelto di non andare al Tour. Non so come sarebbe stato in Francia. Ora invece il trend è positivo ed ho un morale diverso rispetto a quando dovevo sempre inseguire.

Credi che questa nuova assuefazione alla fatica sia completa adesso?

Avrei avuto bisogno di trovarla qualche mese fa, ma non è arrivata. Però di ritorno da Sibiu, mi sono voluto testare su salite che conosco e sono rimasto colpito da me stesso. Parliamo di Marzio, che però è in Italia, oppure di Carona.

Bernal ha vinto il Giro dicendo che finalmente è tornato a divertirsi. Tu ti diverti ancora?

Ce ne sarebbe bisogno. Questo sport è diventato tanto più professionale, raramente ti senti dire di fare una salita a sensazione per capire come stai. Certe volte disporre di così tanti dati è deleterio. Un conto è prendere il tempo sulla salita, altra cosa dover inseguire sempre i numeri… Che tanto poi alla fine conta sempre chi scollina per primo.

La condizione di partenza non era all’altezza delle gare WorldTour: qui alla Parigi-Nizza
La condizione di partenza non era all’altezza delle gare WorldTour: qui alla Parigi-Nizza

Divertirsi in bici

L’esempio di Bernal è calzante. La schiavitù dei programmi e dei numeri non viene accettata da tutti i corridori in egual misura. Ci sono quelli che in essa trovano un riparo e una disciplina e altri che non vi trovano l’orizzonte per il quale hanno scelto di fare questo mestiere. Il fatto che sia stato David Brailsford a… staccare tutti i cavi da Bernal, consentendogli di approcciarsi al Giro con il divertimento come linea guida, certifica che il discorso sta effettivamente in piedi. L’ambiente certo non aiuta. Fra le pieghe del discorso, che è andato avanti a lungo, una parentesi si è dedicata al rapporto con i giornalisti. Non è facile essere corridori di vertice, perché si hanno sempre microfoni e obiettivi puntati e a volte può capitare di non avere cose da dire o di essere stanchi di ripetere sempre le stesse (chiedere a Caruso come sia cambiata la sua vita dopo il secondo posto del Giro). Se anche ciò genera pressioni, diventa difficile riuscire a concentrarsi sulle sensazioni e l’allenamento. Dopo un po’ tutto questo schiaccia e isolarsi rischia di sembrare il solo rimedio, purtroppo non sempre azzeccato.

Basta errori

In quei 19 secondi alla fine del Sibiu Cycling Tour c’è la differenza fra un atleta che non riusciva a ritrovarsi e uno che ha provato a vincere. Il prossimo passo, dopo qualche giorno in montagna con la famiglia, sarà stabilire un calendario da cui ripartire. Ci sarà forse la Vuelta? Fabio allontana le attese, il concetto è assai semplice.

«Memore di alcuni errori fatti in passato – dice e saluta – ho deciso che in certe corse si parte soltanto se stai bene a livello fisico e mentale. Essere meno che al meglio, non sarebbe salutare e una mazzata morale sarebbe l’ultima cosa di cui ora ho bisogno. Faremo i programmi, voglio correre. Ma al momento non so ancora dove. Tutto qua…».

Dietro la curva spunta Aleotti. Giovanni firma la “prima”

13.07.2021
4 min
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Alzare le braccia al cielo dopo uno sprint, quasi all’improvviso, dietro una curva. E poi gioire. Sapere che dentro di te la strada percorsa è sempre più quella giusta, che i sogni, passo dopo passo, si stanno avverando. In una parola: sei felice. Giovanni Aleotti era felice qualche giorno fa sulla vetta del Paltinis, in Transilvania al centro della Romania.

Uno splendido posto: natura ancora selvaggia nei monti Cindrel. D’inverno si scia anche, ma nei giorni del Sibiu Tour la bici impazza. E vincere lassù, anche se non è il Tour che si corre 2.300 chilometri più ad ovest, ha il suo perché. Il corridore della Bora-Hansgrohe ha vinto la sua prima corsa da professionista, anzi le prime due, visto che oltre ad una tappa si è portato a casa anche la generale del Sibiu.

Al Sibiu Tour Aleotti firma la “prima”, davanti ad Aru
Al Sibiu Tour Aleotti firma la “prima”, davanti ad Aru
Giovanni, prima di tutto complimenti. Ti aspettavi questa vittoria?

Vincere al primo anno da professionista non me lo aspettavo. Partivo per fare bene perché la squadra mi dava l’opportunità di provarci. Sapevo che stavo bene ma da lì a siglare la prima… Comunque è stato un successo che mi dà molto morale per il resto della stagione.

E hai battuto Fabio Aru, che resta sempre un grande corridore. Vi siete parlati?

In realtà abbiamo parlato più dopo la tappa che in corsa. Mi ha chiesto se fossi andato in Sardegna per la Settimana Internazionale Italiana. Eravamo molto concentrati. Lui è stato fortissimo ed è un bravo ragazzo. E’ un corridore importante. E’ stata una bella sfida, dai. 

Cosa ti è passato per la mente quando hai tagliato quella linea?

Tanta gioia. Come detto ero concentrato, ma subito sono stato contento. La squadra era contenta, i diesse e lo staff erano contenti… E la sera con i compagni abbiamo festeggiato. Aver ricevuto da loro l’aiuto al primo anno da pro’ non è cosa da poco. E poi riuscire a finalizzare il lavoro è stata una soddisfazione in più.

Che poi il tuo piccolo capolavoro non lo hai fatto solo vincendo la prima tappa, ma controllando la corsa da vero leader. Come ti sei sentito in questo ruolo? Hai accusato un po’ la pressione?

Io mi sono impegnato al massimo sin da subito nel prologo cittadino del giorno prima. Poi dopo che abbiamo preso la maglia l’obiettivo era difenderla. Anche nella tappa successiva c’era un arrivo impegnativo: 23 chilometri di salita e traguardo a 2.030 metri di quota. Però io ero tranquillo e il team non mi ha fatto sentire la pressione. E poi già aver vinto una tappa era un buon risultato. No, no… l’ho vissuta bene!

In Romania podio italiano con il brindisi tra Aleotti ed Aru
In Romania podio italiano con il brindisi tra Aleotti ed Aru
Prima hai parlato di bella sfida con Aru. E infatti anche il giorno dopo siete arrivati secondo e terzo…

Mi aspettavo un suo attacco. Vedevo che Fabio era il più forte e il più attivo. E’ quello che mi ha messo più in difficoltà di tutti. Ma la squadra sapendo che Aru era il più pericoloso mi aveva detto di controllarlo, di stare attento soprattutto a lui. Poi devo dire che era una scalata adatta a me, perché era pedalabile, e anche questo magari ha inciso. 

Dopo il Giro cosa hai fatto?

Ho passato qualche giorno tranquillo anche se non ho staccato del tutto perché già pensavo all’italiano che era qua ad Imola (Aleotti è emiliano, ndr). Solo dopo ho staccato. Ma domani riprenderò alla Settimana Internazionale Italiana.

E non hai fatto altura? 

No, perché dopo il Giro ho deciso, in accordo con il team, di stare un po’ a casa. Di fatto mancavo da molto tempo, visto che ero stato in ritiro a Sierra Nevada prima proprio del Giro. E poi nel mezzo ci sono state parecchie gare e fare altura per pochi giorni ha poco senso.

Oltre alla Settimana Internazionale Italiana quale altre gare farai?

Farò San Sebastian e il giorno dopo il circuito Getxo.

La Bora controlla la corsa. Aleotti un vero leader
La Bora controlla la corsa. Aleotti (in giallo) un vero leader
San Sebastian è una gara importante. E’ adatta ad Aleotti…

Ed è anche impegnativa. Però con quelli che escono dal Tour…

Ma molti di loro però saranno a Tokyo…

Quello è vero – ride Aleotti – un occhio ce lo butto! E’ una bella gara, vedremo come starò.

Con Bressan, il tuo mentore tra gli U23 al Cycling Team Friuli, vi siete sentiti dopo il tuo successo?

Sì, subito mi ha inviato i vari articoli che parlavano di me. E’ una soddisfazione per lui, ma anche per la squadra, per  Renzo Boscolo. Ho messo in pratica tanto di quello che mi hanno insegnato. Loro mi hanno formato. E non lo dico tanto per dire.

C’era qualcosa che Bressan ti ripeteva sempre?

Roberto mi ripeteva sempre di fidarmi delle persone che avevo dietro, della struttura che mi supportava e così ho fatto. Quando senti la fiducia di chi hai intorno e gli altri si fidano di te fai la differenza. Tra di noi c’è un buon rapporto e l’ho sempre ascoltato. Tra gli under 23 ho messo da parte i suoi consigli già al primo anno perché potessi raccogliere qualcosa negli anni successivi.