Quando su quel Muro 10 anni fa danzò “Purito” Rodriguez

20.04.2022
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Purito era l’uomo dei muri. Fino a un certo punto il più celebre da lui domato, certamente il più ripido, rimase quello di Montelupone alla Tirreno-Adriatico. Poi però venne il Muro d’Huy e a quel punto la sua reputazione esplose. Perciò, anche se in seguito Joaquim Rodriguez avrebbe vinto per due volte il Lombardia, la sua immagine in cima all’arrivo della Freccia ne è diventata un po’ il manifesto.

Lo intercettiamo appena atterrato all’aeroporto di Barcellona da Ibiza, dove ha partecipato a una gara di mountain bike.

«Un viaggio tranquillo – dice – con le famiglie al seguito. Mi serve fare movimento per non mettere su la pancia. E adesso torno verso Andorra, visto che vivo ancora lassù. Fra tutti i corridori che ci abitano e che incontro ogni giorno, magari c’è anche quello che vincerà la Freccia Vallone…».

Purito Rodriguez è appena tornato dalla Vuelta Ibiza di Mtb
Purito Rodriguez è appena tornato dalla Vuelta Ibiza di Mtb

Fra gioia e brutti colpi

Purito sorride sempre anche adesso. In tre sole occasioni in particolare abbiamo visto spegnersi il suo proverbiale buon umore. Al Giro del 2012, quando Hesjedal gli sfilò la maglia rosa nell’ultima crono di Milano. Nella Vuelta dello stesso anno, quando Contador lo spodestò a Fuente Dé. E poi al mondiale del 2013 a Firenze, quando si fidò di Valverde che invece a suo avviso spalancò la porta a Rui Costa.

«Ma di tutte queste cose – ironizza – preferisco non parlare. Diciamo che non sono mai successe. E comunque con Hesjedal ho corso ancora una gara di mountain bike in Costa Rica organizzata da Andrei Amador. Non era messo molto bene, la vita a volte è strana. Comunque meglio parlare della Freccia Vallone e della prima volta che la vidi. Ero già professionista, al primo anno. La seguii in televisione, mi pare che la vinse Verbrugghe. Mi piacque così tanto che chiamai Manolo Saiz, mio direttore di allora, e gli chiesi se a suo avviso poteva venirmi bene. E lui mi disse: “Tranquillo, che un anno o l’altro la vinci”. Io pensavo solo a Lombardia e Liegi, che però per me erano più difficili da vincere…».

La Freccia Vallone del 2012, giusto 10 anni fa, fu la sua prima classica
La Freccia Vallone del 2012, giusto 10 anni fa, fu la sua prima classica
Apriamo l’album dei ricordi: cosa ci dici allora della Freccia Vallone?

Una corsa dura dura, che negli anni ha fatto tanti percorsi diversi, ma ormai si è stabilizzata sulla tipologia di quando l’ho vinta io. E’ successo una sola volta, anche se in altre occasioni ci sono andato vicino. Sul Muro d’Huy ho vinto anche al Tour del 2015, battendo Froome. Un’altra edizione la vinse Dani Moreno, vestito come me dalla Katusha e grande amico. Per me quella del 2012 fu la prima classica della carriera.

Come si vince?

E’ prima di tutto un fatto di posizione. Se sull’ultimo Muro sei indietro, c’è poco da fare. Poi dipende dalle gambe, ognuno è diverso. Valverde poteva aspettare gli ultimi 100 metri, per me era meglio partire ai 400.

Sul Muro d’Huy, Purito vinse anche al Tour del 2015, battendo Froome
Sul Muro d’Huy, Purito vinse anche al Tour del 2015, battendo Froome
Cosa ricordi di quella vittoria?

Alla partenza proprio noi della Katusha organizzammo un ventaglio. Eravamo tutti scalatori, l’unico passista era Luca Paolini. Venne fuori una corsa spettacolare. Tirammo dalla partenza e vincemmo la corsa, facemmo tutti un gran lavoro.

Come mai tanta forza su quei muri?

Penso perché sono piccolino (è alto 1,69 per 58 chili) e nessuno si aspettava che in volata io potessi avere quello spunto. Invece avevo un plus di esplosività proprio su quelle pendenze. E poi era un discorso di tattica. A Montelupone, per partire aspettavano tutti il punto più duro. Io avevo individuato invece un passaggio in cui andavamo tutti a 5 all’ora. Aspettavo quel punto e lì cambiavo ritmo.

Nel 2018, in visita alla Vuelta. Ora è testimonial di Orbea
Nel 2018, in visita alla Vuelta. Ora è testimonial di Orbea
Vedrai la Freccia in tivù?

Certo, mi piace seguire gli amici che ancora ho nel gruppo. Soprattutto quelli di Andorra.

Da spagnolo, pensi che Valverde abbia ancora qualche chance?

Sono sicuro che se vince, non smette e fa un anno in più. Comunque in squadra è l’unico che va forte. In quella serie su Netflix, Eusebio Unzue non dice in modo secco che sia l’ultimo anno. Dice: vediamo se davvero è la fine. Io faccio fatica a pensare che Alejandro pensi di smettere, figurarsi se venisse una vittoria importante…

bici.PRO a casa Santini, per la nuova sede e le collezioni ASO

01.04.2022
11 min
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La maglia gialla era solo la punta dell’iceberg. Quando andammo nella sede di Lallio in cui Santini ha fatto base per una vita, fu subito chiaro che il simbolo del Tour de France portasse con sé un mare di altre iniziative. Da una parte le maglie di classifica delle diverse gare ASO (a cominciare dalla Parigi-Nizza), dall’altra le produzioni speciali abbinate alle corse più iconiche, soprattutto le grandi classiche. Dalla Roubaix alla Liegi, passando per la Freccia Vallone.

Via Zanica 14

Quando a distanza di qualche mese siamo andati a Bergamo per vedere la nuova sede dello storico maglificio, ci siamo ritrovati nel bel mezzo della loro preparazione ben prima che ne venisse dato l’annuncio, con la sensazione di essere ammessi in un dietro le quinte piuttosto esclusivo.

La nuova sede, prima di tutto. Si trova in via Zanica, a Bergamo, nel perimetro cittadino. La produzione è già stata spostata, gli uffici arriveranno quando la relativa palazzina sarà stata completata.

Un parco stupendo

Nei capannoni si produceva già abbigliamento intimo a marchio Perofil, in un sito con interessanti spunti di design e circondato da un parco pieno di sculture cui non è possibile apportare modifiche. Gli spazi sono triplicati rispetto alla sede precedente, conseguenza dell’aumento del personale e del volume di lavoro.

«E’ anche la previsione di assunzione di nuovo personale – ha dichiarato Monica Santini in sede di presentazione – che ci ha portato a fare questa scelta. Da quando sono entrata in azienda oltre un decennio fa con 60 dipendenti, oggi siamo a oltre 140 persone, a cui vanno aggiunte altrettante risorse esterne, grazie all’indotto che abbiamo saputo generare sul territorio bergamasco. Nella scelta della nuova sede, ci hanno guidato anche i valori aziendali, come la volontà di avere una struttura dal forte connotato green, sia come spazi verdi che come costo energetico».

Il tetto dell’intera struttura accoglie infatti un’importante pannellatura solare che permetterà a Santini di abbattere i costi energetici.

L’Inferno del Nord

Veniamo ora alle maglie delle grandi classiche, una delle chicche Santini per il 2022. La Parigi-Roubaix si correrà nel weekend di Pasqua: 16-17 aprile. Sabato l’edizione femminile, l’indomani quella degli uomini. Santini lancia due: la linea Paris-Roubaix e la capsule L’Enfer du Nord

La grafica, sia per uomo che per donna, richiama i colori e la simbologia usati sul percorso di gara per indicare i settori di pavé e la loro difficoltà. Nella collezione L’Enfer du Nord, i colori scelti sono quelli dell’inferno dei corridori quando affrontano i settori a cinque stelle.

In perfetto abbinamento sia con le maglie e la capsule L’Enfer du Nord, Santini propone calzoncini e intimo, uno smanicato, una giacca e vari accessori. La giacca è realizzata in Polartec NeoShell, tessuto traspirante e impermeabile che offre protezione contro le condizioni climatiche avverse e permette scambio d’aria e capacità di movimento.

Il Muro d’Huy

La Freccia Vallone si corre invece il 20 aprile, in questa nuova disposizione del calendario che vede le tre classiche ASO nella stessa settimana. E visto che la corsa è famosa per il Muro d’Huy, ad esso e alle sue cappelle si è ispirato Fergus Niland nel disegnare la linea dedicata alla Freccia.

Il Muro, noto anche come Chemin des Chapelles, per le sei piccole cappelle che vi si incontrano, è lungo solo 1.300 metri, con il nome ripetuto ossessivamente da una serie di scritte il cui stile appare sulle maglie Santini.

Maglia e salopette sono realizzati, nella versione maschile, con sfondo giallo e nero e la scritta Flèche Wallonne in rosso. In quella femminile, invece, ugualmente la scritta in rosso e lo sfondo grigio e nero. Gli accessori, la maglia tecnica, l’intimo e lo smanicato sono in abbinamento cromatico.

La Doyenne

Infine, tre giorni dopo la Freccia Vallone, sarà tempo de La Doyenne: la decana di tutte le classiche. La Liegi-Bastogne-Liegi, che si corre dal 1892 e sarà disputata il 24 aprile.

Dato che il percorso si snoda nei boschi e sulle cotes delle Ardenne, protagonista del design dei capi sono varie gradazioni di verde e la presenza di salite stilizzate che richiamano le undici cote della Liegi.

La linea uomo presenta maglia, pantaloncini, t-shirt tecnica e maglia intima, così come quella donna che si differenzia per il calzoncino senza bretelle, mentre la giacca, realizzata in Polartec Power Shield Pro, un tessuto impermeabile (con valore di 5.000 mm colonne d’acqua) e nello stesso tempo leggero e traspirante. Gli accessori coordinati si abbinano a tutti i capi della collezione.

Sorprese in vista

Altre produzioni mirate su eventi ASO sono in fase di preparazione, non vi anticipiamo nulla per rispetto dei tempi dei padroni di casa. Di sicuro, andando a spulciare da anni sui caravan delle maglie al Tour de France, non avevamo mai notato una simile abbondanza.

Santini Cycling

Rebellin e il Muro d’Huy, viaggio fra ricordi e rimpianti

04.02.2022
6 min
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Leggere che Valverde disputerà quest’anno la 16ª Freccia Vallone, eguagliando il record di Zoetemelk, Albasini e Rebellin, ci ha fatto pensare proprio al vicentino che si sta riprendendo dalla frattura di settembre e che alla Freccia non partecipa dal 2009. Valverde ne ha vinte cinque, Davide tre. Valverde è stato fermo due anni per squalifica, poi è tornato vincendone altre quattro. Anche Rebellin è stato fermato per due anni, ma a lui la possibilità di tornare sul Muro d’Huy non è stata più data, per quei meccanismi punitivi che emarginarono alcuni e graziarono altri.

E con lui allora abbiamo voluto parlare proprio del Muro più bello, quello che per i fedeli si chiama Chemin des Chapelles e li conduce alla chiesa di Notre Dame de la Sarte. Per i corridori invece conduce alla gloria.

Il Muro d’Huy. In alto una delle cappelle che lo affiancano. Questa è l’uscita dal tornante (foto climbbybike.com)
Il Muro d’Huy. In alto una delle cappelle che lo affiancano. Questa è l’uscita dal tornante (foto climbbybike.com)

Prima volta nel 1993

La prima volta che ci mise le ruote fu nel 1993. Valverde allora aveva 13 anni, Alaphilippe doveva ancora compierne uno. Davide era uno di quei talenti che l’Italia giustamente si coccolava, un vero predestinato.

«Ero alla MG-Technogym – ricorda – non so dire in realtà se ci fossi già passato da dilettante quando con Zenoni andavamo a correre in Belgio. La prima volta presi di sicuro tanti schiaffi (arrivò 28° a 3’08” da Fondriest, ndr), ma capii subito che fosse una salita che si adattava alle mie caratteristiche. Corta. Esplosiva. Mi entusiasmò farla e provai la stessa sensazione anche tornandoci negli anni successivi. Sapevo che sarei stato protagonista, ero emozionato all’idea di andarci».

Nel 2007 vince la seconda su Valverde (vincitore l’anno prima) e Di Luca, primo nel 2005
Nel 2007 vince la seconda su Valverde (vincitore l’anno prima) e Di Luca, primo nel 2005

Vince chi aspetta

Le tre vittorie arrivarono dal 2004 al 2009. La prima in quella fantastica primavera che portò prima l’Amstel e poi la Liegi. Nel 2007, vinse sul Muro dopo il secondo posto dell’Amstel e facendo poi quinto a Liegi. Nel 2009 vinse la Freccia, fu terzo alla Liegi, poi su di lui calò il maglio della giustizia sportiva. Ma il finale negli anni è rimasto sempre lo stesso…

«Sul Muro d’Huy – sorride al ricordo – vince chi riesce a partire per ultimo. Se ti muovi prima dei tornanti, è presto. Il punto è dopo l’ultima curva a destra, dove hai tutto il terreno per fare la differenza. Ma tanto dipende anche da come pedali. Io cercavo di farlo il più possibile seduto, cercando di gestirmi. Anche nei tornanti, magari con un dente più agile. La tentazione di alzarsi in piedi c’era, ma sapevo di dover risparmiare la gamba».

La vittoria del 2007 indossando la maglia di leader dell’allora ProTour
La vittoria del 2007 indossando la maglia di leader dell’allora ProTour

Tornanti con il 39×23

I due tornanti sono la parte più scenografica del Muro, quella delle foto e del clamore dei tifosi assiepati. E anche la più traditrice per chi volesse anticipare.

«Se a metà Muro sei stanco – spiega Rebellin – non hai possibilità. Lì devi salvarti. Nell’ultima scalata, io andavo sui tornanti con il 39×21-23 mentre nei primi passaggi usavo anche il 25. Poi, quando partiva la volata, cominciavo a scendere con i pignoni. Non ho mai usato il 53 in gara, anche se a qualcuno l’ho visto fare. In allenamento invece capitava di provarlo. Adesso con i cambi elettronici rischi meno, ma prima poteva capitare che ti saltasse la catena e non potevo permettermelo. Così iniziavo ad accelerare in progressione, soprattutto nel tratto in alto dove un po’ spiana. Sembra corto, ma si recuperano dei bei secondi. E la catena in quel tratto scendeva anche fino al 39×13-14».

Agili sui tornanti, duri nel finale: questo Alaphilippe, nell’edizione vinta lo scorso anno
Agili sui tornanti, duri nel finale: questo Alaphilippe, nell’edizione vinta lo scorso anno

Tre vittorie diverse

Tre vittorie diverse le sue, tre storie diverse e l’accenno a quel che accadde dopo il 2009 gli fa ancora tremare la voce.

«La prima volta – dice – fu una vera sorpresa. Venivo dalla vittoria dell’Amstel, non me l’aspettavo. La seconda volta sapevo già meglio come muovermi, perché il Muro alla fine sai come gestirlo. Non è come la Liegi, che cambia in continuazione e provare gli ultimi 100 chilometri è sempre utile. La Freccia si gioca negli ultimi 200 metri e devi snobbare tutto quello che succede prima. La fatica c’è, ma non devi pensare alle fughe. E’ un rischio, ma devi salvare le gambe».

Nel 2016 Valverde vince la quarta Freccia: alle sue spalle Albasini, anche lui a quota 16 partecipazioni
Nel 2016 Valverde vince la quarta Freccia: alle sue spalle Albasini, anche lui a quota 16 partecipazioni

Le stesse facce

E poi si ritrovano tutti su quel Muro. Sanno chi sono, perché i nomi della Freccia Vallone sono sempre gli stessi. Quelli capaci della botta secca, corridori leggeri abituati a sorseggiare l’acido lattico.

«Sai con chi devi vedertela – conferma – alla Liegi troverai gli stessi nomi, però magari vinceranno altri, perché la distanza e le tattiche sono diverse. E certo che ho un po’ di nostalgia per quella strada. Ci sono tornato con il Giro del Belgio e un anno in cui mi invitarono per una pedalata al caffè che c’è in cima. E’ la classica più adatta a me, mi sarebbe piaciuto correrla ancora. In quel periodo avevo 37-38 anni, ero ancora nel pieno e avrei fatto delle belle prove. L’ultima però l’ho vinta, se non altro ho lasciato il Muro d’Huy con il dolce in bocca».

Rebellin ha vinto l’ultima Freccia Vallone che ha corso: era il 2009, di lì a poco sarà 3° alla Liegi di Schleck
Rebellin ha vinto l’ultima Freccia Vallone che ha corso: era il 2009, di lì a poco sarà 3° alla Liegi di Schleck

La bici al chiodo

Davide Rebellin ha 50 anni ed è appena rientrato da Palma de Mallorca, dove si è unito alla Work Service-Vitalcare. A breve andrà a Gran Canaria per partecipare alla Epic Gran Canaria, una gran fondo cui spesso lo invitano. La frattura è a posto, ha giusto un po’ di fastidio alla caviglia quando si alza sui pedali. Il rientro è ancora da stabilire, probabilmente sarà a Laigueglia. Poi alla fine di questa stagione anche Davide, come Valverde, appenderà la bici al chiodo. E chissà se qualcuno dopo di loro riuscirà a conoscere tanto bene il Muro d’Huy. Una cosa è certa: se non gli avessero cucito addosso la lettera scarlatta, quelle 16 partecipazioni Davide se le sarebbe lasciate da un pezzo alle spalle.

Valverde, i numeri di una vera leggenda

30.01.2022
4 min
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Durante il ritiro del Movistar Team ad Almeria, Alejandro Valverde ha confermato che il 2022 sarà davvero il suo ultimo anno in gruppo.

«Il mio ciclo sta per chiudersi – ha detto – non voglio sentirmi di troppo. Tutti questi anni trascorsi in bicicletta rimarranno per sempre scolpiti nella mia memoria».

Chissà se dopo la vittoria di ieri nel Trofeo d’Andratx (foto di apertura), dentro di sé abbia iniziato a ridiscutere la scelta. O se proseguirà con l’idea di godersi ogni giorno con la leggerezza che gli è tipica. Di sicuro, visto il successo e il suo essere ben competitivo, l’ultima stagione potrebbe permettergli di centrare qualche record

La sua popolarità in Spagna è ai massimi livelli
La sua popolarità in Spagna è ai massimi livelli

Valverde compirà 42 anni il 25 aprile ed è il corridore più anziano del gruppo WorldTour, dopo Jens Voigt che nel 2014 disputò il Tour de France a 42 anni. Professionista dal 2002, ha appena iniziato la 21ª stagione da pro’ (fra il 2010 e il 2011 è rimasto fermo per squalifica).

Corse e vittorie

Valverde ha partecipato a 33 classiche Monumento (ma non ha mai corso la Roubaix). Ha preso parte a 30 grandi Giri: 15 Vuelta España, 14 Tour de France, un Giro d’Italia.

Il totale parla di 1.335 giorni di corsa: come dire tre anni e mezzo in competizione. Ha partecipato 15 volte alla Liegi-Bastogne-Liegi, alla Freccia Vallone, alla Vuelta, al Gp Miguel Indurain.

Secondo i dati raccolti da L’Equipe, il Bala ha ottenuto il 73 per cento delle sue vittorie in Spagna, è il secondo fra i corridori in attività per numero di vittorie ed è fra i primi 20 atleti di tutti i tempi per palmares:

Mark Cavendish: 156 vittorie

Alejando Valverde: 132 vittorie

Peter Sagan: 119 vittorie

Elia Viviani: 85 vittorie

Arnaud Demare: 84 vittorie

Nel 2016 vinse la tappa di Andalo al Giro battendo Kruijswijk
Nel 2016 vinse la tappa di Andalo al Giro battendo Kruijswijk

Un po’ di numeri

Le sue vittorie sono state ottenute per il 57% in corse a tappe, il 25% in corse di un giorno, il 18% in classifiche generali.

Quanto al tipo di vittorie, il 22% le ha ottenute in sprint numerosi, il 20% in solitaria, il 18% in classifiche generali, il 12% nelle volate a due, il 6% a cronometro, il 22% in altri modi.

Valverde ha ottenuto il 14% delle sue vittorie nei grandi Giri. Ha vinto la Vuelta Espana del 2009 per un totale di 17 tappe: una al Giro d’Italia, 4 al Tour de France, 12 alla Vuelta.

Ha vinto un solo Monumento: la Liegi, per 4 volte.

Nel 2017 è arrivata la quarta Liegi. La dedicò a Scarponi, scomparso da poco
Nel 2017 è arrivata la quarta Liegi. La dedicò a Scarponi, scomparso da poco

I suoi record

E’ il detentore del record di vittorie alla Freccia Vallone: 5.

Ha sempre portato a termine la corsa sul Muro d’Huy, nel 67% delle partecipazioni è finito nei primi 10.

Nel 2006-2015-2017 ha centrato la doppietta Freccia-Liegi.

E’ anche il detentore del record dei podi al mondiale su strada: 7. Una vittoria, nel 2018. Due volte secondo: 2003-2005. Quattro volte terzo: 2006-2012-2013-2014.

Quella del 2017 è stata la sua quinta Freccia Vallone, record imbattuto. Nel 2021 è stato terzo
Quella del 2017 è stata la sua quinta Freccia Vallone, record imbattuto. Nel 2021 è stato terzo

Primati nel mirino

In questa ultima stagione da professionista, Valverde potrebbe raggiungere Rebellin, Albasini e Zoetemelk a quota 16 partecipazioni alla Freccia Vallone e diventare, eventualmente, il vincitore più anziano. Il record appartiene ancora a Pino Cerami, che la vinse a 38 anni.

Potrebbe eguagliare il record di 5 vittorie alla Liegi, appartenente a Eddy Merckx.

Potrebbe diventare il 7° corridore della storia a vincere Amstel, Freccia e Liegi, dopo Merckx, Hinault, Gilbert, Rebellin, Bartoli e Di Luca.

Potrebbe partecipare alla 16ª Vuelta Espana, fermandosi a un’edizione da Inigo Cuesta che detiene il record.

Longo Freccia 2021

Bronzini in trincea: «Cara Longo, ti difendo io…»

23.04.2021
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E’ singolare quel che i risultati di Elisa Longo Borghini hanno destato sui social. Si sono formati due partiti agguerriti: chi dice che non si risparmia abbastanza, non sa correre tatticamente e perde sempre perché i piazzamenti non contano nulla, chi invece pensa che faccia bene perché così raccoglie il massimo che può. Quando all’ultima Amstel tirando i remi in barca ha visto sfuggire una possibile vittoria o almeno il secondo posto, le parti però si sono invertite e chi la difendeva prima è diventato un suo detrattore.

Giorgia Bronzini ascolta interessata questa inedita analisi e affronta di petto il problema: «Le tattiche si stabiliscono prima, ma non sempre si riescono a mettere in pratica o a cambiare in corsa. Nelle gare maschili i direttori sportivi hanno a disposizione la Tv e possono intervenire alle radio in tempo reale, noi abbiamo quasi sempre una leggera differita e non sappiamo qual è la reale situazione».

Longo Bronzini 2014
Mondiali 2014: Elisa Longo Borghini consola una delusa Giorgia Bronzini, quarta al traguardo
Longo Bronzini 2014
Mondiali 2014: Longo Borghini consola Bronzini, quarta al traguardo
E’ vero però che Elisa mette sulla strada una generosità senza pari, non risparmiandosi e andando quasi sempre all’attacco, anche pensando a raccogliere quantomeno un piazzamento, sapendo che allo sprint finale sarà spesso sconfitta…

E’ una sua caratteristica della quale siamo orgogliosi: se vanno in fuga in tre, lei tira a tutta sapendo che almeno sarà terza. Elisa sa dare il giusto valore anche a un piazzamento, per una forma di rispetto verso la squadra e il lavoro che le compagne hanno svolto per arrivare fin lì. Va anche detto che la situazione è un po’ diversa rispetto allo scorso anno.

Perché?

Nel 2020 avevamo una Deignan in gran forma, spesso Elisa ha corso in sua funzione, basti vedere le classiche francesi. Ma ogni anno è differente, la britannica ha avuto un brutto inverno dal punto di vista fisico, si sta riprendendo pian piano, ma non era in condizione per fare le classiche, quindi Elisa è rimasta l’unica finalizzatrice della squadra. Inoltre non abbiamo una velocista, quindi dobbiamo sempre impostare gare d’attacco. Chi guarda da fuori non può avere ben presenti le dinamiche che esistono in un team.

Longo Deignan 2020
Tra Elisa e la Deignan una perfetta simbiosi, che nel 2020 ha fruttato molte soddisfazioni
Longo Deignan 2020
Tra Elisa e la Deignan una simbiosi, che nel 2020 ha fruttato molte soddisfazioni
Elisa è una capitana che sa anche cambiare ruolo?

Sicuramente, ha un forte spirito di squadra e si mette a disposizione quando si sviluppano strategie diverse. Quando le viene chiesto di lavorare per le altre, lei si mette sempre a disposizione e chiede che cosa deve fare, dà sempre una mano perché sa che nel ciclismo è un dare e avere.

Come è avvenuto alla Freccia Vallone?

Esatto, quando la Ruth è andata all’attacco, Elisa ha corso da perfetta stopper, sono state le altre squadre a lavorare e se non ci fosse stata la Vollering a tirare come una forsennata, la nostra americana avrebbe vinto. Dobbiamo saper muovere bene le pedine che abbiamo…

Il modo di correre di Elisa è poi ideale quando si tratta di gare con medaglie in palio, ad esempio come un appuntamento che ci sarà fra meno di 100 giorni, nel quale a vincere saranno in tre…

Una medaglia olimpica vale più di qualsiasi cosa e questo Elisa lo sa bene, la squadra comunque ha sempre approvato il suo modo di correre e valorizzato ogni piazzamento, anche perché ogni gara è diversa dalle altre, piena di trabocchetti e il nostro compito è essere attivi in tal senso, crearne agli altri per permetterle di giocarsi le sue carte.

Per vincere, la Longo Borghini ha spesso bisogno di staccare tutte, come al Trofeo Binda
Per vincere, la Longo ha spesso bisogno di staccare tutte, come al Trofeo Binda
Perché allora una tattica così rinunciataria nel finale dell’Amstel, quand’era in fuga con la Niewiadoma (nella foto di apertura)?

Io non c’ero, ma so che dopo in squadra si è discusso molto su quel che era successo. Eravamo nel finale di una gara molto faticosa, ci sta che in quei frangenti non si possa essere abbastanza lucidi. Elisa pensava che le avversarie fossero più distanti e neanche in ammiraglia si erano accorti che invece fossero così vicine. E’ stato un errore di valutazione generale

Se fossi stata tu in corsa come avresti agito?

Sicuramente in maniera diversa, ma nelle situazioni bisogna trovarcisi. Elisa ha deciso così e non può essere rimproverata per questo. Io le ho detto solo che da una sconfitta simile nascerà sicuramente una vittoria maggiore perché aumenterà la sua cattiveria agonistica.

Tornando all’appuntamento olimpico, non c’è il rischio che stia spendendo troppo?

No, abbiamo programmato un periodo di stacco dopo la Liegi. Riprenderemo a maggio con un periodo di preparazione che gestirò personalmente e un altro periodo specifico lo svolgeremo poi al Sestriere, per una ventina di giorni dove prepareremo il Giro, che sarà l’evento cardine per trovare la forma giusta per Tokyo. Elisa quando trova la condizione giusta, la tiene anche per un mese. Lei sa che quello è l’appuntamento della vita e arriverà pronta, state tranquilli…

Aru: «Ma quale Giro, dopo la Liegi riposo e guardo avanti»

22.04.2021
4 min
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«Sono gare che vanno fatte. Serve esperienza, devi conoscerle per affrontarle al meglio». Tra i debuttanti di lusso di ieri non c’era solo Primoz Roglic, ma anche il nostro Fabio Aru.

In effetti, per un motivo o per l’altro, il corridore della Qhubeka-Assos non aveva mai corso nelle Ardenne, aveva solo preso il via, senza finirla, all’Amstel Gold Race del 2016. Ma, come si dice, non è mai troppo tardi.

Aru appena dopo l’arrivo della Freccia Vallone
Aru appena dopo l’arrivo della Freccia Vallone

Vecchie care sensazioni

Non è mai troppo tardi, soprattutto se a fine gara hai un sorriso grosso così. Ti sei divertito, ti sei misurato e senti che finalmente sei sulla strada giusta. Quei fenomeni che sgomitano davanti, e di cui facevi parte, piano piano tornano a farsi più vicini.

Alla fine Aru ha tagliato il traguardo di Huy in 41ª posizione, ma quel che conta è che sia arrivato ai piedi del muro con il gruppo dei migliori.

E’ chiaro, non ha ancora la gamba per tenere testa a gente che in questi mesi viaggia su altri mondi e probabilmente questa non sarebbe stata la sua corsa, neanche se fosse stato il Fabio dei tempi migliori. Ma è meglio prendere quello che di buono c’è e guardare avanti, piuttosto che rimuginare sul quel che non ha funzionato o che poteva essere.

Il sardo nella pancia del gruppo. «E’ importante conoscere certi percorsi», ha detto Aru
Il sardo nella pancia del gruppo. «E’ importante conoscere certi percorsi», ha detto Aru

Come un neopro’

Al mattino, scambiando qualche parola, Fabio era entrato subito nel merito di una sua presunta partecipazione al Giro.

«Sinceramente – spiega Aru – rimango basito certe volte da quello che esce, da come vengono fuori le notizie, ma ormai ci sono un po’ abituato. Ho visto anche io che su alcuni siti davano la mia partecipazione al Tour of the Alps, che non era in programma, e poi anche al Giro. 

«La nostra squadra ha questo nuovo metodo di comunicare la convocazione degli atleti sui social, tramite annunci fatti da alcuni fans un paio di giorni prima dell’evento e nessuno aveva parlato di queste corse. Per quello i nostri programmi non escono mai troppo in anticipo. Insomma era completamente errata questa news della mia partecipazione sia al Tour of the Alps sia al Giro d’Italia. Mentre avevo in programma queste classiche, Freccia e Liegi, che tra l’altro corro per la prima volta. E quindi debutto come un neopro’!».

Aru (31 anni a luglio) è alla Qhubeka-Assos da questa stagione
Aru (31 anni a luglio) è alla Qhubeka-Assos da questa stagione

Condizione in crescita

Nella stagione della ricerca degli stimoli, ci sta bene cambiare radicalmente le cose. Mettersi in gioco su terreni sconosciuti non solo è propositivo, ma evita anche eventuali paragoni, ricordi. E’ tutto nuovo.

«Sì, sì ci voleva questo! Non pensavo di essere così indietro. Ho perso veramente tanta continuità in questi anni e quindi c’è da lavorare, c’è da fare, c’è da correre, da far fatica sulla bici ed è quello che sto facendo».

A questo punto ci chiediamo se, vista la sua attuale condizione, fare gare di un giorno sia meglio da un punto di vista della fatica, per ritrovare il giusto colpo di pedale gradualmente. Magari le gare a tappe se non si è al top rischiano di affossarti. Ma con Michelusi, il suo preparatore, il piano è stato ben ponderato.

«In realtà stiamo facendo tutte e due, nel senso che ho fatto delle corse di un giorno in Francia a febbraio e altre a tappe successivamente. Finirò alla Liegi con 25 gare da inizio stagione più qualcuna di ciclocross. E’ un bel un bel blocco di lavoro, però era quello  di cui avevo bisogno. Ho ancora tanti atleti davanti, ma non sono neanche lontanissimo dai primi. Ai Paesi Baschi, ad esempio, avevo 20 corridori davanti a me, tutti top rider, ma so che sto progredendo, il corpo sta migliorando gara dopo gara».

Fabio Aru, Montodino 2020
Tra dicembre e gennaio Aru ha preso parte anche a diverse gare di cross
Fabio Aru, Montodino 2020
Tra dicembre e gennaio Aru ha preso parte anche a diverse gare di cross

Verso l’estate

Con la Liegi-Bastogne-Liegi, si chiude quindi la prima parte del 2021 di Aru. In pratica ha già uguagliato quanto fatto lo scorso 2020, quando mise nel sacco appena 26 giorni col numero sulla schiena. Solo che stavolta la storia non finisce qui.  

«Dopo domenica – dice Aru – farò un piccolo periodo di riposo per poi preparare appunto la seconda parte, l’estate. Mentalmente sono sereno e molto contento. Mi sto divertendo e questa è una cosa importante».

Non sappiamo se rivedremo il campione di San Gavino Monreale al Tour, ma se questa è la strada per ritrovare il suo talento ben venga. Il Tour o il Giro ci saranno anche l’anno prossimo. E comunque lui ha parlato di estate e ad agosto c’è la Vuelta.

Ma prima di andare ai bus: «A proposito, chi ha vinto?», ci chiede. «Alaphilippe – rispondiamo noi – e Roglic secondo». Lui fa un gesto col capo e scappa via. 

Alla Freccia, una Cervélo R5 tutta nuova per Roglic

22.04.2021
4 min
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Con quale bici ha corso Primoz Roglic alla Freccia Vallone? La sua Cervélo R5, a prescindere dalla colorazione nero antracite con filamenti gialli, ci ha subito colpito.

Così ci siamo concentrati meglio, per quel che abbiamo potuto fare viste le ristrettezze di movimento imposte dal Covid, anche per i giornalisti.

Carro rivisto?

Di sicuro si trattava di una Cervélo R5, la bici “leggera”, quella da scalatori, che ha in dotazione la Jumbo-Visma, quella aero infatti è la S5.

Quando Roglic si è presentato in zona mista e abbiamo potuto vedere per quei pochi secondi la bici da ferma, la prima cosa che ci ha colpito è stato il carro, soprattutto la parte alta dei pendenti, nell’incrocio con il reggisella. Non c’era più infatti la copertura in gomma per la brugola di fissaggio del reggisella stesso. Questi pendenti andavano a “circondare” il piantone e proseguivano fondendosi poi con il tubo orizzontale. Inoltre, nella parte posteriore del piantone, la “placca” di carbonio che si formava tra l’incontro dei due pendenti stessi, era più piccola. Forse perché questo telaio nasce per i freni a disco, mentre la “vecchia” placca più grande era pensata anche per l’alloggio del freno posteriore.

In zona mista, scatti rubati alla nuova Cervélo R5 di Roglic. Pendenti modificati?
In zona mista, scatti rubati alla nuova Cervélo R5 di Roglic. Pendenti modificati?

Altra cosa che abbiamo notato, sempre in zona carro è che i foderi bassi sembrano essere leggermente più oversize rispetto ai precedenti. Tra l’altro su di essi troneggiava la scritta FM 140 (Flat Mount), magari per indicare al cambio ruote che Primoz utilizza dei dischi da 140 millimetri. Un dettaglio che in caso di foratura potrebbe fare la differenza, se l’intervento non dovesse operarlo la sua ammiraglia ma quella dell’assistenza fornita dalla corsa.

Cavi anteriori spariti

E poi l’anteriore. I cavi della R5, che prima erano parzialmente integrati, sono spariti del tutto. L’ingresso non avviene più nella parte anteriore del tubo obliquo, nello stelo sinistro della forcella per quel che riguarda il freno anteriore, e nella parte avanzata dell’orizzontale, ma passano direttamente all’interno dell’attacco manubrio stesso e quindi del telaio. Attacco che infatti è cambiato. Non era il Vision utilizzato fino a poco tempo fa ma un Fsa. E con essa anche la piega era diversa.

Niente cavi esterni all’anteriore, tutto passa all’interno dell’attacco Fsa e del telaio
Niente cavi esterni all’anteriore, tutto passa all’interno dell’attacco Fsa e del telaio

Adesso bisognerebbe sapere (e indagheremo) se cambia anche qualcosa sul fronte di materiali e geometrie. A sensazione il telaio sembra leggermente più compatto, ma si è trattato davvero di una breve osservazione. Non si possono cogliere variazioni che semmai sono nell’ordine di pochi millimetri o pochissimi gradi di angolo.

Tuttavia, proprio l’angolo anteriore ci sembra più “dritto”: il che dovrebbe avvantaggiare la bici negli scatti. Se prima l’angolo di sterzo della R5 di Roglic (taglia 54) era di 73° adesso potrebbe essere di 73,3°. Ma ripetiamo: è solo un’ipotesi. Magari è stato solo rivisto il rake della forcella. O è solo la colorazione che inganna l’occhio.

Rumors tecnici

Viste le recenti polemiche, è stato ancora più difficile avvicinarsi alla bici del campione sloveno. Nel dopo gara, pensando volessimo parlare del “caso motorino”, ce l’hanno letteralmente coperta, prima con una giacca, poi con i fiori del podio e infine con lo zaino del massaggiatore.

La R5 usata ai Baschi: si può fare un confronto con la foto di apertura
La R5 usata ai Baschi: si può fare un confronto con la foto di apertura

Per il momento le differenze che abbiamo notato sono state queste. Però qualche info, o meglio qualche rumors, lo abbiamo raccolto e sembra che questa nuova versione della R5 sia stata provata anche da Tom Dumoulin e che potrebbe debuttare già sulle strade del Giro d’Italia.

Due biker alla Freccia! Rosa e Velasco nella fuga di ieri

22.04.2021
4 min
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Scusate, ma la Freccia Vallone non era una corsa su strada? E allora cosa ci facevano ieri due biker in fuga? A parte gli scherzi, il destino ha voluto che Simone Velasco e Diego Rosa, entrambi con un importante passato nella mountain bike, si ritrovassero in testa alla classica belga. I due sono stati fuori per 150 chilometri, più o meno.

E così, osservati speciali durante la corsa, li abbiamo acciuffati nel dopo gara. In cima al Muro d’Huy la strada spiana e lì i corridori sfilano per tornare con la strada “parallela” nei bus a valle. 

Simone Velasco (25 anni) è alle prime esperienze tra le Ardenne
Simone Velasco (25 anni) è alle prime esperienze tra le Ardenne

Debutto con fuga

Il primo è Velasco. Raggiungiamo l’elbano, mentre un massaggiatore gli passa una bottiglietta d’acqua e gli spiega come raggiungere i pullman appunto.

«Al momento – dice Simone – so che non posso ancora reggere i migliori su questi arrivi e quindi ci ho provato anticipando. Siamo andati fortissimo tutto il giorno in fuga. Io ho fatto il meglio che potevo, poi mi sono mancate un po’ di gambe nell’ultimo giro, ma ci stava. Avevo speso tanto. 

«Guardiamo avanti, alla Liegi. Tenteremo di attaccare di nuovo. E poi, ragazzi, prima o poi arriverà anche il nostro momento. Comunque è sempre un onore fare queste corse».

Velasco è soddisfatto. Per il corridore della Gazprom-RusVelo si tratta del debutto nella Campagna del Nord e nelle Ardenne. E’ venuto qui per fare il trittico. Amstel e Freccia in qualche modo le ha messe nel sacco, adesso tocca alla più dura, alla Liegi-Bastogne-Liegi.

«E’ la mia prima volta quassù – riprende Velasco – e devo prenderci un po’ le misure. Oggi è stata dura ma anche domenica scorsa sul Cauberg non è stata da meno. Infatti adesso voglio recuperare per bene in vista della Liegi, perché vi assicuro che sono morto! Domani voglio un po’, un bel po’, di relax. Anche perché poi venerdì andremo a provare il percorso di domenica prossima».

Rosa e Velasco protagonisti alla Freccia 2021
Rosa e Velasco protagonisti alla Freccia 2021

Chiacchiera da biker

Intanto proprio davanti a noi sfila Diego Rosa. Lo chiamiamo a gran voce. E Simone ci fa: «E’ biker anche lui! E oggi siamo stati compagni di fuga».

Diego si ferma, gira la bici e ci raggiunge. Nel frattempo Velasco ci confida: «Diego ha detto che mi deve una birra da un litro, lo aspetterò!».

Finalmente arriva il corridore dell’Arkea Samsic al quale chiediamo subito perché è in debito di una birra. «E’ vero gliela devo – ammette Rosa – ma solo se mi restituisce la maglia che gli ho messo in ammiraglia! Una bella birretta, stasera non ce la toglie nessuno di sicuro…». In pratica Velasco ha fatto un favore a Rosa facendogli lasciare una maglia che si era tolto nella propria ammiraglia.

In questo intermezzo molto da biker vista la birra, cogliamo l’occasione per chiedere a Rosa se anche lui come Velasco ad ottobre farà il mondiale Marathon. Diego però cambia espressione. Si fa serio e ribatte a Simone. «Perché tu fai il mondiale marathon?». L’elbano annuisce con la testa e ammette che ci vuol provare. Tanto più che si corre sui sentieri di casa, a Capoliveri, proprio all’Elba. A questo punto Rosa gli fa un paio di domande. Evidentemente la cosa lo stuzzica.

Diego Rosa (32 anni) in azione sul muro d’Huy
Diego Rosa (32 anni) in azione sul muro d’Huy

Rosa, la condizione e il Giro

Ma torniamo alla Freccia e sentiamo il piemontese.

«Abbiamo fatto una “specorata” oggi… (“specorare” in gergo significa fare molta fatica, ndr). Devo andare a vedere ancora i dati, ma credo che siamo andati davvero forte in fuga – dice Rosa, esattamente come Velasco – Cosa aggiungere: c’è gente più forte di noi.

«La fuga non era in programma. L’idea era di muoversi nel circuito finale. Poi invece mi sono ritrovato in un gruppo grande davanti, ho visto che dietro facevano fatica a rientrare nonostante fossero tutti in fila indiana e ho pensato: qui ci lasciano andare. Ci siamo mossi una volta sola, sia io che “Simo”. C’è stata un po’ di guerra prima, per entrare in quel gruppo davanti. Ma va bene così, come diceva un vecchio diesse italiano: il vento in faccia fa gamba. Speriamo abbia ragione!

«Io sono alla ricerca condizione. Con questa fuga mi sono fatto gran bel regalo e poi con una giornata come oggi, con il sole, queste gare sono ancora più belle. Purtroppo si sente la mancanza di corse del 2020. L’anno scorso ho fatto davvero pochissimi giorni di gara tra il Covid e la caduta al Tour. Ci vuole un po’ di tempo. Solo adesso sto trovando un po’ di continuità con le gare».

Con Diego si parla anche del Giro d’Italia. La sua Arkea è stata vicino ad ottenere l’invito e lui stesso ci aveva fatto più di un pensierino.

«Ci sono rimasto davvero male quando ho saputo che eravamo fuori. Ci tenevo tanto a tornare al Giro. Saremmo stati una squadra molto competitiva, di sicuro la più competitiva tra le professional. Abbiamo dovuto ricambiare i programmi e adesso siamo un po’ in balìa del calendario. Almeno sono contento che ci siano squadre italiane. A bocce ferme poi ci ho ripensato. Alla fine noi il Tour lo facciamo ed è giusto che tutti abbiano le loro possibilità».

Alaphilippe regale. Tempi perfetti e la Freccia è sua

21.04.2021
5 min
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«Grazie ragazzi». Julian Alaphilippe non è neanche sceso dalla bici, che si “aggrappa” al bottoncino della radio e ringrazia i compagni ancora intenti a sgambettare sul muro d’Huy. In questo modo li informa anche della sua vittoria. E infatti Vansevenant all’improvviso esulta e chi gli sta attorno, se non fosse del mestiere, lo prenderebbe per matto. 

Appena arrivato Alaphilippe schiaccia il bottone della radio per ringraziare i compagni
Alaphilippe schiaccia il bottone della radio per ringraziare i compagni

Il “Loulou” spavaldo

“Loulou” è il ritratto della tranquillità e della sicurezza. E questa nostra sensazione trova conferma mezz’ora dopo l’arrivo durante le interviste di rito. Quando Alaphilippe risponde schietto, veloce e con una battuta, vuol dire che sta bene.

La gara è andata secondo i programmi per la Deceuninck-Quick Step. La fuga, tra l’altro con dentro due italiani, Diego Rosa e Simone Velasco, è stata il pass per arrivare sotto al Muro nelle prime posizioni e con le gambe piene. E in questa situazione da “botta secca”, viste le sue caratteristiche, Alaphilippe era il favorito. Roglic è più scalatore e meno esplosivo di lui. Pogacar non è partito per i “presunti” casi di Covid in seno alla UAE e Pidcock, forse il più pericoloso, è rimasto coinvolto in una caduta.

La grinta e la fatica del campione del mondo dopo l’arrivo
La grinta e la fatica del campione del mondo dopo l’arrivo

Sicurezza Deceuninck  

“Loulou” era tranquillo, dicevamo. Al penultimo passaggio sul Muro era piuttosto indietro. Non esageriamo se vi diciamo di averlo visto in 60ª posizione, almeno… Però è anche vero che si voltava a cercare i compagni e che la sua bocca era socchiusa. Insomma stava bene. Era in pieno controllo. E quando glielo facciamo notare, lui risponde così.

«L’importante è essere stati davanti nell’ultimo di passaggio! Scherzi a parte, non ero mica tanto tranquillo, ma ho chiesto alla squadra di portarmi davanti nel momento giusto, sapevo che potevano farlo. E infatti alla “flamme rouge” (all’ultimo chilometro, ndr) avevo un’ottima posizione e ho rifinito il loro lavoro con le mie gambe».  In poche parole, il “Wolfpack” ha colpito ancora!

All’uscita dalla “S” Roglic attacca, alle sue spalle Alaphilippe e Valverde
All’uscita dalla “S” Roglic attacca, alle sue spalle Alaphilippe e Valverde

Roglic come Niewiadoma

Giusto la mattina, al via da Charleroi, Julian aveva detto che sarebbe stato importantissimo azzeccare il momento dell’attacco, perché questo muro ti inganna. E forse è quel che ha sbagliato Roglic, che era al debutto alla Freccia Vallone e ha anticipato un po’ i tempi. Lo sloveno però a fine gara ha detto di non aver rimpianti.

Roglic ha ricalcato esattamente quello che aveva fatto Katarzyna Niewiadoma poche ore prima. La polacca aveva sferrato l’affondo decisivo un po’ troppo presto, cioè all’uscita dalla S del Muro. E il risultato è stato lo stesso. Tra l’altro anche in quel caso a vincere era stata la campionessa del mondo.

«Dopo essere passati sotto l’ultimo chilometro, con la posizione che avevo ho solo controllato il più possibile – ha detto Alaphilippe – poi quando Roglic è partito e ho visto che ha fatto il vuoto dietro di lui… ho dato tutto.

«Oggi i ragazzi hanno fatto tutti un grande lavoro, devo ringraziarli. Honorè? Sì, lui sta facendo una grande primavera e sta correndo in un modo importante. Ha dato il massimo».

Temperatura intorno ai 18°, sulla Vallonia splendeva il sole
Temperatura intorno ai 18°, sulla Vallonia splendeva il sole

Erede di Evans

Quando Alaphilippe taglia il traguardo si leva un piccolo boato nell’aria, neanche fossimo in Francia. Sarà che ad organizzare la Freccia è l’Aso, la società del Tour, sarà che Alaphilippe è “internazionale”, ma non ci aspettavamo tanto clamore.

Vansevenant cerca Julien e si abbracciano. E lo stesso fa Valverde. Il murciano gli dà una carezza, come fosse un passaggio di testimone. Lui la Freccia l’ha vinta cinque volte e nonostante i suoi 40 anni (li compirà domenica durante la Liegi) è arrivato terzo. Primo dei “terrestri” a 6 secondi da Roglic e Alaphilippe. Questo per dire che i due hanno fatto gara a sé, ma anche per sottolineare che Alejandro c’è sempre. Avesse avuto cinque anni in meno, magari le sue gambe avrebbero avuto ben altra esplosività.

La carezza di Valverde. In due hanno vinto 8 Freccia
La carezza di Valverde. In due hanno vinto 8 Freccia

Testa già alla Liegi

Con la sua vittoria, Alaphilippe riporta la maglia iridata in testa sul Muro d’Huy. Non accadeva dal 2010, quando tale onore toccò a Cadel Evans.

«Eh sì, vincere qua con questa maglia è veramente speciale – ha aggiunto il francese – è solo la seconda dell’anno, ma è una vittoria importante. Non è mai facile vincere. Avevo la stessa fiducia in me stesso anche l’anno scorso, ma le cose non sono andate allo stesso modo. Bisogna sempre lavorare. La condizione è buona, ho lavorato per questo. E spero di fare bene anche alla Liegi, ma già così è qualcosa di super».

Tre volte la Freccia Vallone non è poco, specie se si hanno “solo” 28 anni. Julian volendo può agguantare e superare Valverde. «Non guardo a queste cose, veramente. I record verrano», ha detto.

A fine intervista, con l’adrenalina un po’ scesa, lo sguardo di Julian era di nuovo quello famelico visto la mattina al via della Freccia. A Liegi lo rivedremo molto, molto competitivo.