Giro, occhio ai numeri monster. L’analisi con Gasparotto

19.10.2022
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I numeri fanno impressione, ma tante volte vanno analizzati. Quelli del prossimo Giro d’Italia potrebbero fare pensare ad una corsa mostruosa: oltre 51.000 metri di dislivello totale, una media di 170 chilometri e 2.440 metri di dislivello per tappa. Tre crono. Sette arrivi in salita. E al netto delle crono, per le restanti 18 frazioni la lunghezza media è di 187 chilometri.

Poi però gli stessi numeri vanno analizzati. E ad uno sguardo più approfondito, planimetrie alla mano, il disegno del percorso potrebbe sembrare meno di quel che sembra. Prima del Bondone e di Crans Montana per esempio ci sono dei tratti di pianura che in qualche modo potrebbero, il condizionale è d’obbligo, inibire attacchi da lontano. E le stesse salite non sono tremende. Idem la frazione verso Zoldo o il Gran Sasso. 

Per Gasparotto le crono della prima parte favoriranno gli specialisti come Evenepoel che potranno mettere fieno in cascina
Per Gasparotto le crono della prima parte favoriranno gli specialisti come Evenepoel

Parola a Gasparotto

Enrico Gasparotto, è il direttore sportivo che con Hindley ha conquistato l’ultima maglia rosa. Proponiamo questo nostro punto di vista al tecnico della Bora Hansgrohe che sembra avere già le idee chiare.

«E’ un Giro a due tempi – spiega Gasparotto – un po’ come una partita di calcio. Il primo tempo dura dodici tappe (fino a Rivoli, ndr) e sarà influenzato dalle due crono. Ci sono anche diverse salite che si prestano ad attacchi, ma chiaramente anche parecchio spazio per i velocisti. Il secondo tempo è totalmente a favore degli scalatori. E anche se c’è la crono del Lussari che nella prima parte è piatta, poi i 7-8 chilometri che restano sono come lo Zoncolan.

«Per me resta un Giro impegnativo. Magari un Roglic o un Evenepoel potrebbero prendere del vantaggio nelle cronometro e quindi nel primo tempo, poi difendersi nel secondo. Però penso anche che con un po’ di fantasia gli attacchi da lontano ci possano essere».

La Bora-Hansgrohe nell’azione spettacolare di Torino al Giro 2022
La Bora-Hansgrohe nell’azione spettacolare di Torino al Giro 2022

Ricordando Torino

Gasparotto parla di fantasia e attacchi da lontano. I numeri della corsa possono dargli ragione, ma le altimetrie? La tappa intermedia e nervosa, quella da imboscate stile Torino 2022, sembra mancare. E quella è stata la tappa chiave della corsa rosa 2022.

«Magari può esserlo quella di Bergamo», ribatte Enrico. Vero, può esserlo, come si dice la corsa la fanno i corridori, ma è potenzialmente più complicato. Facendo la parte del diavolo, il Valpiana è posto a 29 chilometri dal traguardo di Bergamo e il finale è più lineare, non presenta stradine strette come Torino. Semmai si presta più a certe azioni la frazione di Fossombrone, lì forse sognare è più lecito.

«Che Torino sia stata bella e decisiva – replica – lo diciamo adesso. E’ facile parlare a posteriori. Siamo stati noi ad interpretarla in un certo modo. Siamo stati noi a renderla folle. Ma se fosse venuta male avremmo spremuto la squadra per nulla e non se la sarebbe ricordata nessuno. Invece i ragazzi ci hanno creduto ed è andata come è andata. Magari anche il prossimo anno una tappa potrà essere interpretata così».

Non vogliamo smorzare l’entusiasmo circa la corsa rosa. La nostra è un’analisi fatta rivedendo le tappe e i numeri nel loro insieme. E per questo abbiamo chiesto il parere di un esperto, il quale, infatti, rilancia con ottimismo circa gli attacchi. E poi, come si è visto in diverse occasioni, percorsi troppo duri hanno inibito gli attacchi, anche quelli futuri.

«Anche lo scorso anno la tappa del Kolovrat (Santuario di Castelmonte, ndr) fu interpretata in un certo modo. Le squadre che puntavano alla classifica generale si annullarono a vicenda: non riuscendo ad inserire un uomo in fuga, alla fine si risparmiarono le energie in vista della Marmolada del giorno dopo».

E le salite?

Lago Laceno, Crans Montana, Monte Bondone e anche il Gran Sasso (ad esclusione del finale): i numeri parlano di dislivelli importanti però, è questo è un dato oggettivo, sono scalate pedalabili. Come si può fare bagarre con questo genere di montagne?

«E anche per questo – dice Gasparotto – conterà molto la squadra, anche per quei tratti in pianura prima della salita finale. Ma se mandi in fuga gli uomini giusti puoi fare molto. Un po’ come fecero Scarponi e Nibali. Oppure attaccare con un capitano, se ce n’è più di uno. Ritrovarsi un uomo o due lungo salita finale è importante, proprio se questa è pedalabile: possono dare una grossa mano. O al contrario una squadra ben strutturata può cercare di correre quella che in gergo chiamiamo “cool down”, cioè tenere la corsa sotto controllo, farla scorrere con calma».

«Per quanto riguarda Crans Montana è una salita che conosco per averla fatta al Giro di Svizzera ed effettivamente non è impegnativa. Però la scalata che la precede, la Croix de Coeur, mi hanno detto che è più tosta. Ho sentito Steve Morabito, che fa parte del comitato tappa, mi ha confidato che è dura e stretta. Io andrò a vederla.

«E poi non scordiamo le condizioni del meteo. Se dovesse essere cattivo tempo lassù cambierebbe tutto». E chissà cosa potrà inventarsi “il Gaspa”…

Dal Carpegna ad Utrecht, la chiamata last minute per Fabbro

19.08.2022
4 min
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Matteo Fabbro è riuscito nell’impresa di battere Filippo Conca nel sapere di andare alla Vuelta. Per Filippo la chiamata è arrivata alle 12 del 14 agosto, per Matteo addirittura nella mattinata di Ferragosto. Ma l’importante è esserci!

Il friulano della Bora-Hansgrohe, nell’immagine di apertura impegnato nelle foto di rito prima di un grande evento, è stato chiamato per il forfait di Emanuel Buchmann. Quando le cose vanno così l’avvicinamento non può essere dei migliori. Ma questo non significa che Matteo non ce la metterà tutta.

Un buon Delfinato per lo scalatore friulano, in fuga nelle ultime due frazioni di montagna
Un buon Delfinato per lo scalatore friulano, in fuga nelle ultime due frazioni di montagna

Fame di scalatori

E anche la squadra sa bene che Fabbro non l’ha preparata a puntino. Ma resta lo scalatore che più serviva alla causa del team tedesco.

«Matteo parteciperà alla Vuelta – ci aveva detto il diesse Gasparotto – la sua presenza è stata una decisione dell’ultimo minuto a causa della defezione di Buchmann, dovuta ad un’infezione. Si tratta del primo grande Giro per Matteo in questa stagione. Aveva dovuto rinunciare al Giro d’Italia a causa di problemi fisici che ne avevano compromesso la preparazione». 

«Inizialmente avevamo deciso di mantenere più o meno gli stessi scalatori che avevano fatto il Giro. Con Buchmann avremmo avuto 3-4 corridori pronti per la generale, senza Emanuel perdiamo un possibile uomo da classifica ma Matteo sarà in grado di dare una mano e sono certo che lo farà bene».

Fabbro (classe 1995) ha iniziato la sua seconda parte di stagione a San Sebastian
Fabbro (classe 1995) ha iniziato la sua seconda parte di stagione a San Sebastian

Quei lavori in quota

E Fabbro cosa dice? «Io – spiega il friulano – spero di essere pronto. Il mio post Giro tutto sommato era mirato su questo appuntamento. All’inizio ero nella squadra per la Vuelta, poi no… il problema è che avendo corso poco dopo il Giro e non essendoci state gare durante il Tour non avevo potuto fare e dimostrare molto. Da parte mia ho lavorato molto e punto ad essere competitivo, molto competitivo».

Dopo il Giro Fabbro si è allenato ad Andorra. Era di fatto con la squadra del Tour. Ha corso il Delfinato, ma sapeva che non sarebbe stato della partita per la Grande Boucle. Poi si è spostato a Livigno, dove vi è restato per un lungo periodo.

«E lì – spiega Fabbro – ho lavorato molto cercando di sopperire la mancanza di corse con lavori d’intensità».

E questa è un po’ una novità rispetto a quel che ci hanno detto praticamente tutti gli altri pro’, cioè che in altura hanno fatto quantità e non qualità. Anche perché si rischia di fare più male che bene.

«Ho fatto dietro moto, ma soprattutto a casa, mentre in altura ho fatto dei lavori intensi, però per questo tipo di sedute scendevo in basso. O non sopra i 1.600 metri. Pedalavo nella zona di Bormio, Valdidentro. Facevo i lavori verso Bormio 2000 o fino alla metà dello Stelvio».

I ragazzi di Gasparotto hanno fatto le prove per la cronosquadre di oggi pomeriggio ad Utrecht (foto Instagram @veloimages)
I ragazzi di Gasparotto hanno fatto le prove per la cronosquadre di oggi pomeriggio ad Utrecht (foto Instagram @veloimages)

Per la squadra e non solo

Come dicevamo, Fabbro ha saputo davvero tardi che sarebbe dovuto volare in Olanda. L’aver lavorato bene e tanto però è più di una consolazione per quando si parte per un grande Giro. La coscienza è a posto, ma soprattutto lo sono le gambe e si ha la consapevolezza di poter fare bene.

«Quando l’ho saputo – racconta Fabbro – ero sul Carpegna, mi stavo allenando e avevo anche rotto il cambio. Diciamo che il mio umore in quel momento non era dei migliori! Poi ha squillato il telefono, mi hanno detto della Vuelta e ho recuperato la giornata! Sinceramente ci speravo…».

Ma tornando al discorso del “fare bene” questa definizione ha molte sfaccettature e Fabbro con Hindley e Higuita in squadra rischia di avere poco spazio.

«Abbiamo una squadra forte. C’è un velocista di spessore come Sam Bennett e ci sono tre uomini di classifica come Hindley, Higuita e Kelderman… e capisco che potrei non avere troppo spazio. Ma senza Buchmann c’è un uomo di classifica in meno. Io credo che andremo avanti giorno per giorno e già la cronosquadre di oggi sarà importante per la generale. Se piove sarà pericolosissimo visto che il percorso di Utrecht è tecnico».

«Le montagne in questa Vuelta non mancano e se ci sarà un’occasione sarò pronto a sfruttarla. Certo, se andiamo in maglia sarà difficile e dovrò restare vicino al capitano. Ma avrò comunque l’occasione di mettermi in mostra tirando forte in montagna. Come del resto in passato hanno fatto dei grandi atleti e come mi dice il mio preparatore Sylwester Szmyd, lui è stato un ottimo corridore pur facendo il gregario».

Gasparotto: «Higuita alla Vuelta, un cammino lungo 10 mesi»

11.08.2022
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Nella strada che portava da Kielce a Cracovia, cioè per tutta la durata del Giro di Polonia di ben 1.209 chilometri, c’è stato un solo arrivo in salita. Nella tappa numero tre, sulle colline di Przemysl Sergio Higuita danza e si porta a casa tappa e maglia. Leadership persa poi nella cronometro di Rusinski per mano di Ethan Hayter. Un buon biglietto da visita per il colombiano, che ha iniziato la sua preparazione alla Vuelta Espana già dall’inverno. 

«Abbiamo messo nel mirino la Vuelta già da novembre con Sergio – dice Gasparotto diesse della Bora Hansgrohel’idea ad inizio stagione era di switchare la squadra da velocisti a scalatori. Lo abbiamo fatto con successo al Giro, portando tre capitani, diventati poi quattro in corso d’opera. Non abbiamo portato nemmeno un velocista nei due Grandi Giri fatti fino ad ora. Inizialmente al Tour avremmo dovuto portare Bennet, ma la grande condizione di Vlasov (poi quinto finale a Parigi, ndr) ci ha convinto a puntare tutto su di lui».

Higuita ha iniziato la stagione vincendo il campionato nazionale su strada a febbraio
Higuita ha iniziato la stagione vincendo il campionato nazionale su strada a febbraio

Annuncio a breve

La squadra per la Vuelta non è ancora stata annunciata dalla Bora, i giorni si contano sulle dita d’una mano. Tuttavia, seguendo il metodo di lavoro usato nelle corse a tappe precedenti, viene da pensare che la squadra sia disegnata tutta intorno allo scalatore colombiano

«Non posso ancora dire nulla sulla squadra che ci sarà alla Vuelta – prosegue Gasparotto – ma che Higuita ci sarà è praticamente fuori discussione. D’altronde abbiamo messo il mirino su questa corsa già dall’inverno, Sergio è colombiano e noi dobbiamo considerare dei periodi nei quali lavora in Colombia e altri in cui è qui per correre. Avevamo già tre leader per il Giro e il Tour ci sembrava troppo impegnativo, così abbiamo mirato sulla Vuelta. Poi lui, ad inizio stagione, aveva espresso il desiderio di correre nelle Ardenne. Allora ci è sembrato naturale fare così. Anche perché se vuoi fare bene nelle Ardenne, è difficile poi fare altrettanto al Giro».

Higuita è andato forte anche al Catalunya, prima, e fino ad ora unica, corsa a tappe vinta in stagione
Higuita è andato forte anche al Catalunya, prima, e fino ad ora unica, corsa a tappe vinta in stagione

Un percorso netto

Se si guarda alle corse fatte da Higuita, si vede un percorso netto, pulito. Condito da periodi di allenamenti intensi, per lo più svolti a casa sua (alcuni seguiti da un nostro inviato laggiù) ed altri di corse, dove ha ottenuto ottimi risultati. 

«Da febbraio ad oggi – riprende Gasparotto – il percorso è stato netto, preciso. Ha iniziato con il campionato colombiano ed ha vinto, poi è andato alla Volta Algarve ed ha vinto una tappa. Poi ha riposato un paio di settimane ed è andato alle Strade Bianche (decimo, ndr) e dopo poco ha vinto il Catalunya. Ci sono stati dei piccoli problemi ad aprile ed è rientrato alle gare alla Liegi, suo obiettivo di inizio stagione e ha fatto quinto. A maggio ha lavorato tanto in Colombia e poi è tornato in Europa a correre il Giro di Svizzera e il Polonia. Dai nostri corridori ci aspettiamo il meglio, non posso dire che non mi sarei aspettato questo percorso da Higuita. La nostra squadra vuole eccellere e diamo tutto ai nostri ragazzi per farlo».

Il colombiano è stato vittima di una caduta nelle fasi finali della quarta tappa del Polonia
Il colombiano è stato vittima di una caduta nelle fasi finali della quarta tappa del Polonia

Le sue salite

Higuita, al termine della terza tappa del Tour de Pologne, ce lo aveva detto: «Queste sono le mie pendenze, qui mi trovo a mio agio, la salita si fa sempre più dura e serve forza per andare avanti». 

«Vero – conferma Gasparotto – al Giro e alla Vuelta troverebbe le sue salite: lunghe ma con pendenze aspre. Al Tour le salite non sono così dure e non hanno grandi pendenze, quindi lui soffre questo rispetto agli altri. Ce l’ho in squadra solo da quest’anno, ma devo ammettere che Sergio è una delle persone più facili con cui lavorare. E’ molto “colombiano” nel modo di fare – dice ridendo – non si lamenta mai. Per lui c’è sempre una soluzione, non si preoccupa troppo delle cose. Vi faccio un esempio: eravamo al Giro di Svizzera e non gli è arrivata la valigia dalla Colombia, quindi non aveva tutto il materiale, non ha fatto una smorfia. Non è una di quelle persone che vede problemi anche dove non ci sono, penso sia un fatto culturale, che aiuta molto la squadra».

Sibiu è davvero palestra per giovani? Risponde Gasparotto

08.07.2022
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Ci sono corse che per qualche anno azzeccano la formula e diventano banchi di prova perfetti perché i corridori più giovani si esprimano. Una di queste è il Sibiu Tour, che negli ultimi due anni ha premiato Aleotti. Lo dimostra il fatto che questa volta alle sue spalle, nella classifica finale, si siano piazzati ragazzi fra i 19 e i 24 anni, che evidentemente sulle strade della Transilvania trovano le condizioni di percorso, un campo partenti e una collocazione in calendario che gli sorride.

Enrico Gasparotto, Saudi Tour 2020
Enrico Gasparotto è da quest’anno il direttore sportivo della Bora-Hansgrohe
Enrico Gasparotto, Saudi Tour 2020
Enrico Gasparotto è da quest’anno il direttore sportivo della Bora-Hansgrohe

L’occhio di Gasparotto

Il riscontro non può che venire da chi ha vissuto la corsa da dentro e la scelta è caduta su Enrico Gasparotto, che ha guidato Aleotti alla vittoria e il portentoso Uijtdebroecks sul podio. L’occhio del direttore sportivo spesso coglie ciò che da fuori non vediamo.

«Anno dopo anno – conferma il “Giallo” – vengono sempre più squadre WorldTour. Di conseguenza il livello si è alzato e questo dà valore a quello che hanno fatto questi giovani. Anche perché alcune WorldTour sono venute a caccia di punti e non per fare una passeggiata».

In una squadra di tanti giovani, un corridore esperto come Benedetti ha tenuto la rotta (foto Bora Hansgrohe)
In una squadra di tanti giovani, un corridore esperto come Benedetti ha tenuto la rotta (foto Bora Hansgrohe)
Corse come la Adriatica Ionica Race avrebbero gli stessi ingredienti, ma fanno fatica…

Loro pagano la collocazione nel calendario, perché in quel periodo le squadre hanno il focus sul Tour e non vedono altro. Invece durante il Tour, c’è sempre necessità di corse. Quando correvo, andavo spesso al Giro d’Austria, sempre con i corridori giovani della squadra. Essere in calendario dopo i campionati nazionali è una bella cosa. Soprattutto adesso che hanno cancellato il Bink Bank Tour, Sibiu diventa una scelta interessante.

Cinque squadre WorldTour non rischiano di alzare troppo il livello?

Non mi pare, anche se parliamo comunque di una corsa di valore. Ci sono anche tante continental, che hanno la possibilità di valorizzare il talento dei ragazzi. La Coppi e Bartali ha anche più WorldTour e questo per gli organizzatori è sicuramente un piacere. Però sono corse che farei solo avendo buoni giovani per fare esperienza.

Aleotti a Sibiu ha vinto l’arrivo in salita e la cronoscalata: il più forte era lui (foto Bora Hansgrohe)
Aleotti a Sibiu ha vinto l’arrivo in salita e la cronoscalata: il più forte era lui (foto Bora Hansgrohe)
Altrimenti?

Se avessi solo corridori esperti, probabilmente ne farei a meno. Ma per i giovani sono passaggi importanti, in linea con quello che vi ha detto Christian Schrot sull’opportunità che gli under 23 facciano attività con i pari età nella nazionale.

Perché?

Perché da giovani vincono tutto, poi capita di doverne portare uno all’Amstel e arriva 50° senza mai vedere la corsa. Ci è successo proprio con Uijtdebroecks perché questa primavera a un certo punto non avevamo corridori. In queste gare mantengono lo spunto vincente, nelle altre prendono sberle. E a forza di sberle, perdi il corridore.

Aleotti ha vinto Sibiu per due anni di seguito, cosa significa?

Gli ha fatto bene confermarsi. E’ arrivato più magro di quanto fosse al Giro e ha dimostrato di essere il più forte nelle tappe di salita. Dopo il Giro non ha mollato, ma a questi ragazzi giovani devi dare le raccomandazioni opposte a quelle che davano a noi. Loro dopo il Giro devi tenerli a freno, noi tendevamo a mollare un po’.

Sul podio finale Vanhoucke (25 anni), Aleotti (23), Uijtdebroeks (19) (foto Bora Hansgrohe)
Sul podio finale Vanhoucke (25 anni), Aleotti (23), Uijtdebroeks (19) (foto Bora Hansgrohe)
E’ questo il suo standard migliore?

Giovanni è arrivato al punto di dover fare uno step up, di salire un gradino. Se lo avessi avuto con questa condizione nelle Ardenne ci saremmo divertiti, ma in quel periodo è arrivato dopo vari acciacchi. Al Giro è stato quello che portava i leader nella posizione giusta. Sa limare bene, sa guidare la bici. Lui è fatto per le classiche delle Ardenne.

Adesso riposerà?

No, adesso viene con me al Giro del Polonia. Forse ci sarà anche Higuita, che prepara la Vuelta. Saranno i nostri due leader. E sono curioso di vedere come andranno.

Due parole con Ralph Denk prima della sbornia rosa

30.05.2022
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In barba a ogni possibile scaramanzia e rendendoci conto che avrebbe preferito parlare a giochi chiusi, alla partenza della crono di Verona abbiamo intercettato Ralph Denk, capo della Bora-Hansgrohe, classe 1973 e un passato da atleta.

Addio a Sagan

L’uomo coi baffi a un certo punto, scaduto il contratto di Sagan e del suo gruppo, ha deciso di voltare pagina e nel giro di pochi mesi ha cambiato completamente faccia alla squadra. Via gli uomini da classiche, porte aperte agli scalatori. Unica eccezione, il ritorno di Sam Bennett, dopo la turbolenta avventura alla Quick Step. Sono arrivati fra gli altri Vlasov, Hindley e Higuita che, sommati a corridori come Kelderman, Buchman, Fabbro e Aleotti hanno composto la spina dorsale di un gruppo votato ai grandi Giri.

Sull’ammiraglia sono arrivati Rolf Aldag dalla Bahrain Victorious ed Enrico Gasparotto, pescato con grande intuito dopo un anno alla Nippo-Provence di Robert Hunter e Marcello Albasini, vivaio della Ef Procycling.

Alla partenza del Tour 2019, Sagan con Schachmann, Sagan, Buchman e Konrad
Alla partenza del Tour 2019, Sagan con Schachmann, Sagan, Buchman e Konrad

«Penso che non tutti nel mondo del ciclismo o tra i fans – spiega Denk a bocca stretta – abbiano capito quello che abbiamo fatto e qualcuno non ha capito perché abbiamo lasciato andare Peter Sagan. Ma alla fine avevamo un piano chiaro, una chiara strategia. Tanta gente attorno al team ha una grande passione e una grande motivazione per questo progetto ed è molto bello vede come il piano abbia funzionato dopo neanche mezza stagione».

Il progetto Giri

Certe cose non si fanno per caso o perché il capo s’è stancato del team per com’era. Attuando un semplice gioco di squadra e tracciato il bilancio ormai insoddisfacente degli ultimi tempi, si è spostata l’attenzione sulle gare a tappe.

«Abbiamo valutato, parlando con i nostri main sponsor – spiega Denk – che i grandi Giri e le corse a tappe hanno un valore commerciale superiore rispetto alle classiche, specialmente in Germania. Non abbiamo una cultura ciclistica come in Italia o in Belgio. Se chiedi a qualunque tifoso tedesco, non sa cosa sia la Liegi-Bastogne-Liegi, ma conoscono molto bene il Giro d’Italia e conoscono molto bene il Tour de France. E questo è il motivo per cui ci siamo concentrati su queste grandi corse, pur sapendo che è molto più difficile vincerle nell’arco di tre settimane, ma con i nostri sponsor abbiamo deciso di provarci».

Isolato davanti al pullman, Denk ha atteso fra telefonate e religioso silenzio la fine della crono
Isolato davanti al pullman, Denk ha atteso fra telefonate e religioso silenzio la fine della crono

Il talento di Hindley

In barba a ogni possibile scaramanzia, si diceva. Avendo intuito la poca voglia di sbilanciarsi, abbiamo portato il discorso su Hindley, rilanciato senza esitazione dopo il brutto 2021.

«Prima di ieri (tappa del Fedaia, ndr) – dice – avrei detto che le chance erano 50 e 50. Carapaz è un corridore forte, ha già vinto il Giro. Ma dopo la tappa le cose sono cambiate. Ho invitato la squadra a stare calma e restare concentrata. Vedremo intorno alle 17,30 quale sarà il risultato. Noi credevamo in Jai avendo visto il suo potenziale nel 2020 nella tappa dello Stelvio al Giro. Ha avuto problemi di salute e l’anno scorso abbiamo cercato il modo per averlo con noi, risolvere i problemi e riportarlo al top. Questo era il nostro obiettivo. Sapevamo da prima quanto sia talentuoso e questo è il motivo per cui abbiamo trovato un accordo».

Denk ammette di aver creduto subito nelle potenziaità di Hindley
Denk ammette di aver creduto subito nelle potenziaità di Hindley

La scelta Gasparotto

E se l’orgoglio tedesco affiora e il suo inglese ha le durezze tipiche di lassù, è bello fargli notare che alla guida del suo progetto-Giri ci sia stato un tecnico italiano giovane e ambizioso come Gasparotto.

«Enrico – sorride questa volta Denk –  è uno degli uomini del nostro team che ha vera passione e vive il ciclismo 24 ore al giorno per sette giorni alla settimana. E’ il tipo di uomini di cui avevamo ed abbiamo bisogno. Ed è il motivo per cui lo abbiamo ingaggiato e gli abbiamo offerto questa possibilità. Non era mai stato prima direttore sportivo, ma qui ha portato un piano molto chiaro e si è dimostrato un vero uomo squadra. Siamo contenti di averlo con noi».

Nella tappa di Torino, l’attacco di squadra che ha scosso il Giro d’Italia
Nella tappa di Torino, l’attacco di squadra che ha scosso il Giro d’Italia

Tour con Vlasov e Bennett

In attesa di vedere come sarebbe finito il Giro (nelle foto sul podio dell’Arena, in apertura, Denk mollerà finalmente ogni indugio), una piccola anticipazione sul Tour svela che per la Francia i piani sono alti. Serve crescere ancora per sfidare i giganti della maglia gialla.

«Al Tour abbiamo Alexander Vlasov per la classifica – ammette Denk – ma abbiamo anche una strategia ben precisa per vincere qualche tappa con Sam Bennett. In Francia faremo una corsa completamente diversa. Sappiamo essere ragionevoli».

Quattro diesse italiani in vetta al Giro: i voti di Cassani

30.05.2022
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Ci sono quattro direttori sportivi italiani alla guida dei primi quattro della classifica generale del Giro: non è davvero per caso. Gasparotto nella Bora-Hansgrohe di Hindley. Tosatto nella Ineos Grenadiers di Carapaz. Volpi al Team Bahrain Victorious di Landa (in apertura sul podio come miglior team). E Martinelli nell’Astana con Nibali.

«Ho sempre detto – dice Davide Cassani – che abbiamo i tecnici più bravi al mondo. Il ciclismo italiano ha alcune eccellenze e i direttori sportivi ne sono una parte integrante. Sono bravi e soprattutto hanno la stima delle squadre e dei corridori».

Mondiali di Ponferrada 2014, nel primo mondiale di Cassani come cittì, Bennati era il regista
Mondiali di Ponferrada 2014, nel primo mondiale di Cassani come cittì, Bennati era il regista

L’occhio dell’esperto

Il cittì degli ultimi nove anni azzurri (Cassani è stato in Federazione dal 2014 al 2022) ha seguito il Giro con attenzione. Non dalla moto RAI come lo scorso anno, ma con lo sguardo attento di un professionista che nel ciclismo ha vestito i panni del corridore, dell’addetto stampa, dell’opinionista televisivo e del tecnico della nazionale. A lui abbiamo chiesto una valutazione di quei tecnici che con le loro tattiche hanno animato le tappe del Giro. A dire il vero alla fine abbiamo anche provato a chiedergli qualche rivelazione sulla possibilità che crei davvero una squadra, ma a quel punto Davide ha chiuso il discorso, pregandoci di avere pazienza.

Gasparotto, qui con Benedetti, ha dato nuova linfa alla Bora
Gasparotto, qui con Benedetti, ha dato nuova linfa alla Bora

Imprevedibile Bora

Gasparotto è arrivato alla Bora-Hansgrohe da quest’anno. Al Giro dello scorso anno era sulla moto come regolatore dei mezzi in corsa. Ha sicuramente imparato a leggere meglio certi movimenti della carovana, ma la sua capacità tattica è stata per certi versi inattesa.

«Sono stati – dice Cassani – l’unica squadra che abbia provato a inventarsi qualcosa. Non hanno avuto una condotta banale, che in certi momenti si è prestata a qualche critica, ma alla fine hanno avuto ragione loro. Gasparotto ha dimostrato di avere polso e carattere, con sui ha gestito la squadra più forte.

«Sono passati da tirare tutti insieme come a Torino al mettere un uomo nella fuga. Sono stati imprevedibili e mai schematici. Di sicuro Gasparotto conosceva bene pregi e difetti di Hindley. Essere corridori è una cosa, fare il diesse è un’altra. Ma Enrico è sempre stato intraprendente, sempre un uomo squadra. Per tutta la carriera ha sempre dimostrato una bella visione».

Hindley ha interrotto il filotto della Ineos Grenadiers di Matteo Tosatto: Giro sfuggito il penultimo giorno
Hindley ha interrotto il filotto della Ineos Grenadiers di Matteo Tosatto: Giro sfuggito il penultimo giorno

Ineos in difesa

A Tosatto e al Team Ineos Grenadiers non si può imputare certo qualcosa rispetto al crollo di Carapaz sul Fedaia. Anzi, forse essendosi reso conto che il suo leader non fosse al 100 per cento, il tecnico veneto ha cerato di mascherarne i limiti.

«Anche secondo me lo sapeva – dice Cassani – infatti hanno cercato di addormentare la corsa, sempre tenendo Carapaz davanti. Che Richard non avesse il colpo del kappaò si è visto sul Blockhaus. Così hanno cercato di difenderlo. Paradossalmente però, l’unico giorno in cui la squadra si è dissolta, è coinciso con l’unico in cui Carapaz ha cercato di anticipare i rivali.

«La sconfitta del Fedaia non è stata della squadra. Sabato lo hanno portato davanti fino agli ultimi 5 chilometri. La loro speranza secondo me era che Carapaz crescesse con il passare delle tappe, ma purtroppo non è successo».

Alberto Volpi è stato il diesse del Team Bahrain Victorious assieme a Pellizotti
Alberto Volpi è stato il diesse del Team Bahrain Victorious assieme a Pellizotti

Perplessità Bahrain

La condotta di gara del Team Bahrain Victorious ha suscitato qualche perplessità. Secondo alcuni la squadra ha lavorato per portare Landa al terzo posto e Pello Bilbao al quarto, rinunciando a correre rischi.

«Si sono mossi inseguendo da una parte la vittoria di tappa – dice – dall’altra la classifica. A Landa è mancato qualcosa e non so se sacrificando Pello si sarebbe potuto cambiare qualcosa. Pensavamo un po’ tutti che anche lui nella terza settimana potesse dare in colpo e aveva per sé una super squadra, ma se poi ti stacchi sugli arrivi in cui devi esserci in prima persona, la squadra può farci poco.

«Si è detto che avrebbero potuto inventarsi qualcosa. Ma cosa? Potevano sganciare Bilbao, ma bisogna vedere se ne aveva le caratteristiche e la condizione. Se ci pensate, il vantaggio della Bora è stato che Kelderman sia uscito subito di classifica. Magari avrebbe lavorato ugualmente per Hindley, ma diciamo che si sono tolti il dubbio. Il fatto è che Landa sia mancato e che sul Fedaia abbiano provato a vincere la tappa dimostra che sapevano che Landa non avrebbe potuto fare altro».

Martinelli ha restituito serenità e motivazioni a Nibali, che ha chiuso il Giro al quarto posto. Con lui anche Zanini
Martinelli ha restituito motivazioni a Nibali, che ha chiuso al 4° posto (con lui anche Zanini)

Un Nibali inaspettato

Il quarto è Martino, quello che è sceso di sella prima di tutti e che dall’ammiraglia ha vinto Giri, Tour e Vuelta in numero industriale. Uno che non avrebbe bisogno di presentazioni e che quest’anno ha riaccolto Nibali e l’ha condotto fino al quarto poto finale. Ed è servita la sua maestria, perché la squadra doveva essere a disposizione di Lopez, che dopo poche tappe se ne è andato.

«Un direttore sportivo è bravo – dice Cassani – quando riesce a fa andare i propri atleti al loro meglio. E Nibali ha fatto quello che non mi sarei aspettato. E’ andato forte, restando sui tempi dei migliori, in un Giro in cui le salite sono state fatte forte. Il quarto posto non basta?

«Quando sei come Nibali, che hai vinto due Giri, un Tour e la Vuelta, andare fuori classifica significa fallire. Puoi farlo nell’anno in cui punti alle Olimpiadi, altrimenti non lo fai. Soprattutto nell’ultimo Giro della carriera. Devo dire che ho apprezzato più quel suo tenere duro fino al quarto posto, piuttosto dell’eventuale tentativo di vincere una tappa. Martino conosce Vincenzo. E’ allo stesso tempo tecnico e padre. Martino è Martino…».

Kamna decisivo. La mossa chirurgica di Gasparotto

29.05.2022
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Ieri a vincere non è stato solo Jai Hindley, che tra l’altro non ha vinto, bensì ha preso la maglia rosa, ma è stata la Bora-Hansgrohe. E più precisamente Enrico Gasparotto, il direttore sportivo di questo Giro d’Italia.

Ancora una tattica azzeccata da parte del tecnico friulano. Chiaro, ci vogliono sempre le gambe. Ma far coincidere buone gambe e buona tattica, è meno semplice di quel che possa sembrare.

Enrico Gasparotto (al centro) stava organizzando il ritorno a valle con l’elicottero. Era davvero tardi ormai sul Fedaia
Enrico Gasparotto (al centro) stava organizzando il ritorno a valle con l’elicottero. Era davvero tardi ormai sul Fedaia

Spazio alla Bahrain 

Sul Fedaia, sta per calare la sera. Mentre si dirige all’elicottero per tornare a valle con alcuni suoi ragazzi, rimasti a lungo al controllo antidoping, Gasparotto ci racconta della tattica della sua squadra.

Solo una settimana fa era “preoccupato” perché il gruppo aveva scoperto troppo presto quanto fossero forti. «Speravo di nasconderlo più a lungo», ci aveva detto. 

Oggi aveva mandato davanti Lennard Kamna (in testa sul Fedaia nella foto di apertura). Un punto di appoggio a prescindere, una pedina usata in modo chirurgico nel finale. Mentre tutti gli altri facevano quadrato intorno all’australiano, proteggendolo persino con un uomo alla sua ruota. E procedevano senza spendere un briciolo di energia in più del necessario dopo il super lavoro verso Castelmonte.

Kamna in fuga: Gasparotto lo aveva pensato proprio per ritrovarselo davanti (e fresco) nel finale del Fedaia
Kamna in fuga: Gasparotto lo aveva pensato proprio per ritrovarselo davanti (e fresco) nel finale del Fedaia
Enrico, complimenti prima di tutto. Andiamo al sodo. Kamna in quella posizione, in quel punto del Fedaia, era studiato?

Diciamo che “Lenna” aveva sofferto un po’ negli ultimi giorni, quindi il fatto di averlo davanti nella fuga ci avrebbe protetto nel finale. E in modo specifico in quella parte lì, quella finale del Fedaia, dove normalmente tutti sono da soli. Se fosse rimasto in gruppo non avrebbe tenuto sin lì.

Quindi era voluta?

Sì, l’avevamo studiata. Ed è venuta fuori bene, no?

Parecchio! Vi aspettavate questo crollo di Carapaz?

Tutti (corridori e tecnici, ndr) ci avevano detto che Jai era quello più forte in questi giorni. Lo vedevano in gruppo e lo vedevamo anche noi. Però, sapete, un conto è dirlo e un conto è farlo.

Però verso la Marmolada ti sei preso le tue responsabilità, hai concretizzato questa superiorità decantata…

Ovviamente una salita come la Marmolada non lascia spazio a dubbi, visto quanto è dura. Credo che Hindley se la meriti proprio questa maglia. Perché è sempre stato molto calmo per tutto il Giro, non solo in corsa. Ed è stato sempre regolare nelle prestazioni. Non è mai andato sopra le righe. Molto “balance” in tutto. E credo che questo lo premi. Che poi è il segreto per vincere le grandi corse a tappe.

Hanno detto che Jai era il più forte. E allora perché non ha affondato il colpo già due giorni fa verso Castelmonte? Volevate conservare tutte le energie per il Fedaia?

La tattica della tappa friulana è andata diversamente rispetto al piano che avevamo. Speravamo che la Bahrain Victorious ci desse una mano, perché è una settimana che ci dicono che ci vogliono provare. E quindi abbiamo detto: okay, siccome si arriva tra l’altro in zone dove loro hanno delle sedi e magari sono anche motivati, facciamo qualcosa. «Dateci una mano». Glielo avevamo chiesto. Ma poi si sono tirati indietro. Evidentemente per loro è più importante la classifica a squadre o lottare per un piazzamento. A quel punto abbiamo puntato ad oggi (ieri, ndr), e Jai ha dimostrato di essere il più forte.

Kamna era entrato nella fuga di giornata. Dopo aver collaborato nelle prime fasi per prendere il largo aveva corso al risparmio
Kamna era entrato nella fuga di giornata. Dopo aver collaborato nelle prime fasi per prendere il largo aveva corso al risparmio
Saresti stato contento di arrivare alla crono con 3” di ritardo, come recitava la classifica prima del via da Belluno?

Sì, assolutamente. E non avremmo mai pensato di arrivare a Verona con quasi un minuto e mezzo di vantaggio. Però, scherzando, qualche giorno fa ho detto: tranquilli ragazzi, tanto sulla Marmolada guadagniamo due minuti e siamo a posto! Non sono due, è 1’25”, ma va bene!

Enrico, già questo inverno ci avevi detto: “Ma quale meteora, Hindley è forte davvero”. Come hai fatto ad inquadrare questo ragazzo in così pochi mesi dal tuo arrivo in Bora-Hansgrohe? Cosa ti ha colpito?

Perché per fare dei risultati del genere non sei un corridore banale. Jai aveva già fatto secondo al Giro e non lo fai per caso. Ha avuto una regolarità incredibile non solo in questo Giro, ma in tutto l’inverno, tra gare e preparazione. Ha fatto anche quinto alla Tirreno e questo premia.

I ragazzi sono tutti “innamorati” di te e di come li fai correre all’attacco…

Ah, ah – ride Gasparotto – non lo so! Loro sono contenti e sono contento anche io.

Il ritorno di Hindley, capolavoro nel nome della rosa

28.05.2022
5 min
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Non aspettava altro. Jai Hindley è lo scalatore più forte del Giro, si vedeva nel suo andare agile di tutti i giorni e nel rispondere facilmente alle accelerazioni di Landa e Carapaz. Non aveva mai calato un dente, facendosi bastare l’agilità. Sul Blockhaus ha vinto allo sprint. E oggi, davanti a un arrivo in salita degno di questo nome, ha dato gas e Carapaz si è sgretolato. Decisivo è stato l’aiuto di Kamna, incontrato sulla salita finale. E quando a 3,5 chilometri dall’arrivo è iniziato il forcing della Bora-Hansgrohe, la corsa ha finalmente vibrato come tutti aspettavano da giorni.

«Finora avevamo corso in modo accorto – dice la nuova maglia rosa – risparmiando energie. Abbiamo cercato di cogliere ogni opportunità, ogni occasione. Ma sapevo che la vera occasione in cui combinare qualcosa fosse oggi. E quando ho visto che Carapaz iniziava a soffrire, ho preso motivazione e ho dato tutto».

Il forcing della Bora è iniziato a 3,5 chilometri dall’arrivo, ai meno 2,8 Hindley è rimasto da solo
Il forcing della Bora è iniziato a 3,5 chilometri dall’arrivo, ai meno 2,8 Hindley è rimasto da solo

Quasi lacrime

Sul palco era commosso. La mente è andata alla tappa di Sestriere, come oggi la penultima al Giro del 2020, quando vestì la maglia rosa senza sapere che l’avrebbe perduta l’indomani per mano di Tao Geoghegan Hart. Poi a tutto il brutto della passata stagione, in cui sognava di dare seguito al bello mostrato invece un infortunio al ginocchio gli hanno impedito di concludere il Tour of the Alps e lo stesso Giro d’Italia, concluso mestamente col ritiro il giorno dello Zoncolan.

«Provai a tornare per la Vuelta – dice – ma non ce l’ho fatta. Così con la squadra abbiamo deciso di resettare tutto e concentrarci sul 2022».

La fiducia di “Gaspa”

Il nuovo anno si è aperto con l’arrivo di Gasparotto sull’ammiraglia. E il friulano aveva visto subito che il giovane australiano fosse sulla strada del ritorno.

«Jai sta bene – ci disse mesi fa – è ad un buon punto con la condizione. La nostra idea è di mettergli attorno una squadra che possa aiutarlo a confermarsi. Chiaro che un giovane possa avere delle difficoltà, soprattutto se deve riconfermarsi subito. Ci mette del tempo a processare la sua dimensione. Questo tempo è passato e noi vogliamo portarlo al Giro nel massimo delle condizioni». Detto e subito fatto.

Capolavoro Kamna

Quando parla del suo tecnico, Hindley cambia espressione e si intuisce che la fiducia ricevuta gli ha permesso di ripartire come sognava già lo scorso anno.

«Gasparotto è stato un grande corridore – dice – e ha portato la sua esperienza in ammiraglia. Conosce le strade, conosce le corse, conosce gli uomini. Correre non è la stessa cosa di guidare una squadra, ma con lui ci troviamo alla perfezione. Il piano oggi era chiaro. E quando ho trovato Kamna davanti a me, non è servito dirgli niente. Lui mi ha guardato e poi ha fatto il suo gran lavoro. Ha spinto fortissimo, ha agevolato il mio attacco. Non conoscevo la Marmolada e non sono venuto a provarla. L’ho studiata sul libro di corsa, ma era tutta la tappa a essere pericolosa, piena di salite e alla fine della terza settimana ».

Sul podio della maglia rosa, Hindley è parso molto commosso
Sul podio della maglia rosa, Hindley è parso molto commosso

La maglia più bella

Carapaz si è accasciato sulla bici a 2,8 chilometri dall’arrivo e a quel punto lo sgambettare agile di Hindley si è trasformato nello spingere duro a caccia di secondi da mettere in cascina prima della crono di domani a Verona.

La maglia rosa ha perso tutto il suo stile. E anche se poi Carapaz ha trovato un passo regolare, si è capito che il pedalare dell’australiano fosse più efficace. Il bilancio sul traguardo è stato di 1’28” in suo favore. Probabilmente avrebbe superato Carapaz anche arrivando alla crono con i 3 secondi di ritardo che aveva stamattina, ma certo così le cose per Richard si fanno irrecuperabili.

«Questa è la maglia più bella del ciclismo – dice Hindley – è un onore indossarla di nuovo, per di più al termine di una tappa così impegnativa. Avevamo un programma sin dall’inizio del Giro e gli siamo rimasti fedeli per tutta la corsa. La squadra ha fatto tutto per me, i corridori e il personale. Domani non sarà facile, ma ce la metterò tutta perché stavolta voglio vincere il Giro».

Wiggins ha detto chiaramente che il Giro si è chiuso sul Fedaia, ma ha consigliato a Hindley di restare concentrato stasera
Wiggins ha detto chiaramente che il Giro si è chiuso sul Fedaia

Ritorno in elicottero

Qualche cenno della sua storia prima di andare via. Il pensiero che va a Umbertone che lo accolse da dilettante e che quassù nel 2019 vinse con il suo Einer Rubio la tappa di cui ha raccontato Covi dopo la vittoria. Poi vengono a chiamarlo. Lo portano al controllo medico e poi all’abbraccio del resto del team. E quando tutto è finito, il sole ha iniziato a scendere e i giornalisti sono corsi a scrivere, un elicottero si è abbassato sul Fedaia e li ha portati tutti in hotel, con le bici a bordo e la gran voglia di far festa.

«Stia attento a cosa farà stasera – ha commentato Bradley Wiggins ai microfoni di Eurosport – resista alla tentazione di festeggiare. Dubito che Carapaz possa riprendersi la maglia rosa, a meno di una caduta o di una foratura. Ma occorre restare concentrati. Per le feste avranno tempo domani sera».

Colle di Superga, scatta il piano: la Bora scatena l’inferno

21.05.2022
4 min
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Non è stato per caso. Quando la Bora-Hansgrohe si è messa davanti, si è capito in un secondo che fosse un piano organizzato da prima. L’azione della squadra tedesca ha sbriciolato quel che restava del gruppo. Qualcuno è rimbalzato. Qualcuno ha perso la squadra. Per qualcuno il Giro si è chiuso.

Lo sprint fra Carapaz e Hindley per il secondo posto: l’ecuadoriano ha mostrato di essere forte
Lo sprint fra Carapaz e Hindley per il secondo posto: l’ecuadoriano ha mostrato di essere forte

Lo zampino di Gasparotto

Lo zampino di Gasparotto è stato subito evidente e lui non fa niente per nasconderlo: belli i direttori con idee e personalità.

«Abbiamo iniziato a parlarne già due giorni fa – spiega il giovane tecnico della Bora – ci siamo confrontati, perché sulla bici vanno i ragazzi. Dopo due giorni che ci pensavamo, ieri abbiamo chiesto se gli stesse bene mettere in atto questa tattica. E quando abbiamo capito che eravamo tutti sulla stessa pagina, il piano è scattato. Consapevoli che qualcosa si potesse cambiare, ma siamo partiti per fare quello che avete visto».

«Quando uno di noi si è trovato in fuga – dice Gasparotto – abbiamo chiesto se volessero continuare. Hanno detto di sì»
«Quando uno di noii si è trovato in fuga – dice Gasparotto – abbiamo chiesto se volessero continuare. Hanno detto di sì»
Mai un ripensamento?

Quando uno di noi, è entrato nella prima fuga, ho chiesto via radio cosa volessero fare. Nessun ripensamento, avanti col piano. L’idea era di fare la selezione sul Superga, invece l’hanno fatta in discesa e devo dire che è venuta anche meglio. Servono ragazzi forti per fare certe cose e loro sono stati bravissimi. Se qualcuno non ce la fa, è un attimo fare una figuraccia.

Qual era lo scopo?

L’obiettivo della Bora da inizio Giro è salire sul podio. Per cui dovevamo cercare di isolare chi poteva rimanere da solo, in una tappa in cui sarebbe stato impossibile fare una strategia di contenimento come sulle lunghe salite. Non c’era spazio per tirare con la squadra in fila, anche se Carapaz ha poi dimostrato di essere il più forte. Però abbiamo guadagnato su Almeida e su Landa, che se non trovava Pello per strada, avrebbe perso parecchio di più.

Se Pello non avesse aiutato Landa, forse il basco avrebbe perso molto di più
Se Pello non avesse aiutato Landa, forse il basco avrebbe perso molto di più
Davvero non si poteva lavorare di squadra?

Su un circuito così, se stai a ruota fai più fatica che a stare davanti. Non si poteva lavorare di squadra per inseguire, ma si poteva usare la squadra per attaccare. Non so quante altre tappe così troveremo al Giro, probabilmente nessuna ed era l’unica in cui imporre il nostro collettivo. Le prossime avranno salite lunghe, lì la Ineos tornerà forte.

Che cosa ti è parso della corsa di Nibali?

Lo Squalo sta bene e diventa pericoloso perché ha preso morale. Io lo conosco bene. Yates l’hanno lasciato andare perché è fuori classifica, Vincenzo invece non è così lontano e tutti hanno paura di Nibali nella terza settimana. Sapevo che sul Blockhaus avrebbe preso morale (quel giorni Nibali si piazzò 8° a 34” da Hindley, ndr), so cos’ha in testa.

Alla fine, Hindley ha portato al traguardo il lavoro dei compagni, consolidando la sua classifica
Alla fine, Hindley ha portato al traguardo il lavoro dei compagni, consolidando la sua classifica
Stasera cosa dirai alla squadra?

Stasera li lascio tranquilli. Parleremo domani sul bus. So che certi attacchi poi rischi di pagarli, ma non potevamo non sfruttare una tappa così.