Freddo estremo e Val di Sole in vista: cosa succede al fisico?

07.12.2023
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Andreas Leknessund che si allena a -24°, David Gaudu che corre sotto la neve, Simon Pellaud che va in mtb in un freddo e innevato mattino svizzero: cosa succede al fisico quando si fanno sforzi con temperature magari non estreme come quelle del norvegese, ma comunque piuttosto basse? A cosa vanno incontro i ciclocrossisti che domenica saranno impegnati a Vermiglio?

Negli scorsi anni siamo stati nel catino della Val di Sole che ospita la Coppa del Mondo di cross e in effetti i tratti ad ombra in particolare erano davvero freddi. Lì, la temperatura restava ben al di sotto dello zero. E quando atleti e ad atlete ci sfrecciavano vicino fumavano dalla bocca e persino dalla schiena.

Quando Nibali trionfò sulle Tre Cime sotto la neve, a seguirlo c’era il dottor Magni
Quando Nibali trionfò sulle Tre Cime sotto la neve, a seguirlo c’era il dottor Magni

Circolazione inibita

Una situazione non facile che il dottor Emilio Magni ci aiuta ad inquadrare. Il medico in forza all’Astana-Qazaqstan di esperienza, anche in caso di temperature molto fredde, ne ha da vendere. Cosa si devono dunque attendere i crossisti in Val di Sole?

«In questa situazione – dice Magni – si verificano le condizioni estreme e il primo effetto del freddo è la vasocostrizione. Si riduce il calibro delle arterie e come conseguenza c’è meno apporto sanguigno, specie nelle zone periferiche. Per questo, molto più di altre volte, è molto importante effettuare un buon riscaldamento».

In pratica mani e piedi, ma in misura minore anche naso, orecchie, guance… tendono a non avere una completa irrorazione. E senza irrorazione si raffreddano anche più velocemente e, nei casi estremi, si rischia il congelamento. Chiaramente, qui parliamo per teoria, non siamo dispersi ai Poli o in cima ad una vetta himalayana, ma il concetto è quello.

Riscaldamento, abbigliamento e bevande calde aiutano a mantenere sui 37°C la temperatura corporea. Che poi è lo stesso identico concetto, ma a parti inverse, dei gilet di ghiaccio, delle bevande fresche e delle calze di ghiaccio in estate.

I polmoni bruciano

In questo quadro la prima parte dell’organismo che paga dazio sono le vie respiratorie. Basti pensare che sotto a -20 gradi la Fis, la federazione internazionale dello sci, blocca le gare di sci di fondo: un rischio per la salute. Una volta si diceva: «Fa talmente freddo che l’aria brucia i polmoni», una frase che, come tutti i detti, si basa sull’esperienza, ma rende bene l’idea.

«Questa – prosegue Magni – è un’espressione popolare, ma il senso c’è. Nel caso degli atleti, quando si è sotto sforzo e si respira con la bocca aperta si inala una colonna d’aria fredda, molto, molto più bassa della temperatura del corpo. Un’aria che va direttamente nella trachea e nei bronchi sottoponendo le vie respiratorie ad un forte stress termico. Questo ne altera l’equilibrio dei batteri, riduce le difese. E i microrganismi che entrano o che abbiamo in bocca possono avere la meglio su questo equilibrio e possono insorgere infezioni o stati infiammatori».

Da qui bronchiti, polmoniti e altri problemi alle vie alte, come le definisce il dotto Magni. E’ questo comparto del corpo quindi il primo a pagare dazio in caso di freddo estremo.

Lo scorso anno a Vermiglio, Gioele Bertolini in ricognizione utilizzava guanti e copriscarpe riscaldati con un dispositivo elettronico
Lo scorso anno a Vermiglio, Gioele Bertolini in ricognizione utilizzava guanti e copriscarpe riscaldati con un dispositivo elettronico

Muscoli che stress

Ma non sono solo le vie alte, anche i muscoli non se la passano meglio. Essere abituati a certe temperature di certo aiuta, ma non basta ai fini della prestazione. Tempo fa Paolo Salvoldelli ci disse che al di sotto dei cinque gradi i muscoli non rendevano al meglio.

«A livello muscolare – spiega Magni – con temperature molto basse si ha quella che è chiamata rigidità muscolare. Questa si lega al discorso di prima relativo alla microcircolazione. Piedi, gambe, braccia… hanno meno apporto sanguigno, non lavorano in condizioni buone. Con il freddo estremo s’innescano dei processi di sopravvivenza. In pratica l’organismo pensa a mantenersi in vita e a salvaguardare gli organi vitali: cuore, cervello, fegato… quindi concentra la maggior parte del sangue in quelle zone. Prima siamo essere umani e poi atleti».

«Quindi il muscolo si ritrova con meno sangue, è meno reattivo e, cosa affatto non secondaria, è che avendo anche meno sangue fa anche più fatica a smaltire le tossine».

In tutto ciò aumenta anche il consumo calorico. L’integrazione va gestita con attenzione ma, almeno nel contesto del ciclocross in Val di Sole, questo non è un problema enorme, visto che parliamo di uno sforzo la cui durata è di un’ora.

Lo scorso anno, tecnici e atleti, ci dissero che mediamente s’ingerivano un centinaio di calorie in più rispetto allo standard, proprio in virtù di una termoregolazione più dispendiosa. E in tal senso anche l’abbigliamento può aiutare.

Guerciotti Silvelle, divertente, funzionale e moderna

06.12.2023
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Guerciotti Silvelle, la bici da ciclocross della gamma media. Ci piace considerarla come la naturale evoluzione della Lembeek, per impatto estetico, prestazioni e soluzioni tecniche funzionali in ottica agonismo.

Con il modello Silvelle, Guerciotti cala un bel tris. La Eureka CXS resta il top di gamma del catalogo ciclocross, la Madame è la bici versatile per le ragazze, mentre Silvelle è una sorta di (ambizioso) medio di gamma. Anche grazie ad essa, si conferma una volta di più la vocazione crossistica dell’azienda milanese, con un’offerta ampia e davvero interessante.

Silvelle è una bici approvata UCI, un fattore non banale in questa fascia del mercato, quindi adatta a gareggiare anche nelle competizioni internazionali e campionati ufficiali di categoria. L’abbiamo provata.

Una bici compatta il giusto, con una geometria sfruttabile
Una bici compatta il giusto, con una geometria sfruttabile

La Silvelle del test

Una taglia media con il passo complessivo di poco superiore al metro, l’angolo del piantone a 74°, mentre quello dello sterzo è di 72°. Taglia per taglia, ha uno sterzo di dimensioni ridotte (nella taglia in test è di 105 millimetri), che conferma il DNA da ciclocross. E’ buona l’altezza da terra: 25 centimetri (misurati dalla scatola del movimento centrale e con le gomme da 33) che rende la Silvelle facile da portare al di sopra degli ostacoli. Ma il vantaggio principale arriva dall’ampio passaggio per le ruote (forcella e tutto il carro posteriore), fattore che limita gli accumuli di fango. A conferma di questo, abbiamo estremizzato la nostra prova montando anche dei tubeless da 40. Una gravel da gara? Ci può anche stare, ma con tracciati dal chilometraggio contenuto.

La trasmissione è Shimano GRX 812 1×11 (monocorona da 40 denti), le ruote sono Ursus Orion in alluminio (gommate Challenge Grifo Wire) e la sella è di Selle Italia in versione XLR. Piega, attacco manubrio e reggisella (rotondo da 27,2 millimetri) sono in alluminio QTC.

Il telaio e la forcella della Guerciotti Silvelle sono in carbonio. Il peso rilevato è di 8,8 chilogrammi, con un prezzo di listino di 3.885 euro.

Come va

Il primo aspetto che emerge è l’agilità e la facilità con la quale si entra in curva e nei passaggi più stretti, quelli dove è fondamentale chiudere la traiettoria interna. Un fattore da considerare e per nulla banale, non comune a prodotti che cercano di abbinare la tecnica ad un prezzo adeguato.

L’avantreno è piuttosto sostenuto, non troppo rigido e diretto nelle risposte, ma al tempo stesso è stabile e semplice da gestire anche quando la velocità di alza. Non ha mai mostrato del sottosterzo. La Guerciotti Silvelle è un buon compromesso, sia intesa come bicicletta ampiamente sfruttabile dalle categorie giovanili sia per gli amatori che usano il ciclocross come attività invernale.

Il retrotreno è da Dottor Jekyll e mister Hyde, reattivo il giusto e con una lunghezza adeguata (42,5 centimetri) per garantire trazione e “spalmare” i colpi che inevitabilmente si prendono quando si pratica ciclocross. Ha una trazione esemplare, non comune in questa categoria di biciclette. E’ necessario lavorare con la pressione delle gomme e con la tipologia di ruote (per chi pratica abitualmente cx è la normalità), ma la stabilità del carro è “tanta roba”. A nostro parere è merito anche del piantone con una forma non esagerata, che asseconda il comportamento degli obliqui e del loro innesto (che ha una forma particolare). Inoltre, si ha la sensazione costante di pedalare su una bici robusta e sostanziosa, che non guasta mai.

In conclusione

Non è facile trovare una bella bicicletta che si posizioni al di sotto dei top di gamma, fatta bene e moderna, che funzioni bene e gratifichi nelle fasi di guida più tecniche. Guerciotti Silvelle è questa bici. Pur pagando qualcosa nei termini del peso (anche l’allestimento è da considerare), ci troviamo a raccontare un prodotto che alza l’asticella di questa fascia del mercato e lo fa contenendo il prezzo.

Pochi fronzoli, certo alcune soluzioni di design che la rendono accattivante si vedono, ma diventano funzionali anche ad un pacchetto complessivo che vuole abbinare al meglio i diversi componenti. Ci piace immaginare la Silvelle come la naturale evoluzione (anche più performante) della storica Lembeek, bicicletta che ha segnato più di un’epoca per gli appassionati del ciclocross.

Guerciotti

Cross del Nord e percorsi italiani: modelli prestativi differenti?

03.12.2023
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I fettucciati italiani e i percorsi del cross in Belgio: una differenza abissale. Senza entrare nel merito di queste differenze e del problema tecnico che ne deriva, ci siamo interrogati sui modelli prestativi che nascono da tracciati tanto differenti. 

In un percorso come quello di Follonica, per fare un esempio, un crossista sta al massimo per 15”-20” consecutivi, cioè tra una curva e l’altra. A Niel, in Belgio, abbiamo visto tratti pedalati che superavano il minuto. Va da sé che s’innesca un processo metabolico differente. E’ come dire: «Faccio atletica», ma un conto è fare i 110 ostacoli e un conto i 400 metri piani.

Fabrizio Tacchino è uno dei coach del centro studi della Federciclismo e della Fitri
Fabrizio Tacchino è uno dei coach del centro studi della Federciclismo e della Fitri

Motori in ballo

In questo quadro, come abitudine di bici.PRO, abbiamo coinvolto un esperto, il preparatore Fabrizio Tacchino, formatore dei diesse italiani della Fci e della Federazione di Triathlon, ma anche preparatore di giovani crossisti.

«In Belgio – spiega Tacchino – la tradizione è diversa e alcuni circuiti sono storici e identificativi, quasi come quelli della Formula 1. E magari un percorso è più adatto ad un certo tipo di atleta e meno ad un altro. 

«In più quelli sono circuiti pensati principalmente per gli elite, mentre da noi sono realizzati anche per attirare più gente. E così sullo stesso tracciato devono correre dai G6 agli elite».

Riguardo ai modelli prestatitivi entrano in ballo i motori degli atleti. Sui percorsi più aperti e anche più larghi del Nord, chi ha una grossa cilindrata in qualche modo riesce ad emergere, al netto della tecnica chiaramente. E parliamo di cilindrate così grandi che nel cross italiano, in questo momento non ci sono. 

Tacchino parla di un motore alla Ganna, per fare un esempio. «In tempi recenti c’è stato Trentin che ha provato a fare un po’ di cross. Adesso abbiamo Colnaghi, che ci sta provando. Ma lui lo fa soprattutto per una questione di allenamento, non è dunque uno specialista. Nel cross si lavora sulle alte intensità, molto utili per quando ricomincia la stagione su strada».

Il percorso di Follonica, tappa del Giro d’Italia ciclocross: la differenza visiva è netta rispetto ad un cross del Nord
Il percorso di Follonica, tappa del Giro d’Italia ciclocross: la differenza visiva è netta rispetto ad un cross del Nord

Fibre rosse, fibre bianche

Dicevamo all’inizio dei modelli prestativi. Un conto è spingere per 15” un conto per un minuto, il tutto su uno sforzo costante che è l’ora di gara. Se analizzassimo il file di un ciclocrossita in un percorso italiano e in uno del Nord, di certo vedremo tanti più picchi in quello italiano. Frutto di tante ripartenze e frenate, in corrispondenza di curve, molto spesso a gomito, e rilanci.

«Specie nei tracciati italiani – riprende Tacchino – ci sono azioni corte di 20”-30” che anche se potenti non sono massimali: la maggior parte arriva a picchi di 600-700 watt. Se si pensa alla potenza e alla cadenza che sviluppa un velocista durante uno sprint, sono dati piuttosto normali».

«Quel che serve è anche l’esplosività. Questa si nota soprattutto nelle categorie giovanili: vedi subito se un corridore è scalatore o meno. Certi sforzi per lui sono poco adatti o meglio gli riescono meno naturali, in quanto ha fibre muscolari più resistenti, ma meno rapide. E il discorso è molto chiaro se si ragiona in modo inverso, cioè immaginare i crossisti puri su strada».

E in effetti i crossisti puri, anche i migliori del Belgio, su strada non emergono. Le loro fibre saranno esplosive, ma non rendono altrettanto dopo molte ore. Mentre il contrario può avvenire. Il pensiero va immediatamente a Van der Poel e Van Aert.  

Van Aert e Van Der Poel (entrambi in foto) ma anche Pidcock sono tra i pochissimi che emergono sia su strada che nel cross
Van Aert e Van Der Poel (entrambi in foto) ma anche Pidcock sono tra i pochissimi che emergono sia su strada che nel cross

Questione metabolica

Tra lo spingere un minuto di seguito e una manciata di secondi, varia anche il consumo degli zuccheri.

«Ci sono studi interessanti – dice Tacchino – sull’immagazzinamento dei carboidrati riguardo agli sforzi intensi. Ci si è accorti che anche negli sforzi brevi e intensi c’è bisogno di tanti carbo. E infatti si stanno sviluppando integratori che forniscono maggiore energia ai muscoli. Prima c’erano le caramelle gommose, che davano zucchero senza creare problemi intestinali, adesso i prodotti sono più complessi».

Noi stessi abbiamo visto dedicare parecchia attenzione alla fase di carico dei carbo nel pre gara e anche nel post gara, specie se il giorno dopo c’è un secondo un cross. La questione dei carbo è centrale anche in questa disciplina. Anzi, forse per certi aspetti lo è anche di più, vista la durata dell’evento e le intensità. In un’ora si brucia solo la benzina migliore, cioè quella dei carboidrati appunto.

Il percorso di Niel prevedeva lunghi tratti pedalati
Il percorso di Niel prevedeva lunghi tratti pedalati

Il focus sui dati

C’è infine la questione della preparazione vera e propria. Preparare un cross italiano e uno belga comporta delle differenze. Il coach fa lavorare di più su ripetute di 15” in Italia e più lunghe all’estero? La questione non è semplice, né univoca. Il concetto di base è “un’ora a tutta”.

«Non si fa un allenamento del tutto specifico per questo o per quel cross – conclude Tacchino – ma è chiaro che si vanno a vedere le caratteristiche del circuito. Lo facciamo anche nel triathlon. Nel cross più che sui battiti, la cui risposta è un po’ ritardata, si usano molto i watt».

«Oggi in parecchi iniziano ad avere il potenziometro anche nel ciclocross. E analizzando il file della gara, emergono dati interessanti, specie nei primi 5′-6′, quando si produce tanto lattato e ancora non lo si smaltisce. Lì si decide molto della gara. Poi ognuno prende il suo ritmo e ogni atleta basa la sua competizione, anche a livello tattico».

Passata la “buriana” del via, anche metabolicamente i valori tendono ad appiattirsi. Magari c’è qualcuno che nelle posizioni di vertice, è motivato a tenere duro. Ma per il resto si viaggia “regolari”, termine da prendere con le pinze in una gara di cross.

«Spesso i tecnici a bordo circuito analizzano anche le frazioni del giro, per capire dove e perché quell’atleta perde in quel punto. Perde perché ha lacune tecniche? Perché non ha gambe? Perché non è abbastanza forte nei rilanci?». 

Uno spagnolo in Belgio. Le imprese di Orts nel cross

28.11.2023
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NIEL (Belgio) – Felipe Orts Lloret, uno spagnolo in Belgio. Uno spagnolo tra i grandi del ciclocross. Il corridore iberico sta disputando l’intera annata nel regno del cross, un po’ come la nostra Francesca Baroni, di cui vi avevamo parlato qualche tempo fa.

Orts però sta andando davvero forte. E’ anche salito sul podio del Superprestige, nel tremendo giorno di Niel, dove la disciplina del fango sfoggia a detta di molti la sua veste più pura. Il percorso era davvero tecnico e del tutto naturale.

Felipe Orts (classe 1995) è anche un ottimo biker. Se la cava nel gravel. Su strada veste i colori della Burgos-Bh
Felipe Orts (classe 1995) è anche un ottimo biker. Se la cava nel gravel. Su strada veste i colori della Burgos-Bh

Da Alicante a Bruxelles

Ma chi è dunque questo ragazzo? Insomma non capita tutti i giorni di vedere uno spagnolo a questi livelli nel ciclocross. Felipe Orts Lloret, classe 1995, di Alicante, su strada veste i colori della Burgos-Bh, nel cross sta correndo con i vessilli della Spagna, in quanto campione nazionale e della Bh, il marchio di bici. Fisico possente, Orts è alto 180 centimetri, per 70 chili.

«In effetti è difficile incontrare uno spagnolo quassù! Tanto più uno spagnolo di Alicante, del Sud della Spagna – ci racconta Orts – faccio la spola con il Belgio tutti i fine settimana, dal venerdì al lunedì. Ho deciso di fare così perché vicino casa c’è un’ottima connessione aerea con Bruxelles».

«Certo non è facile passare dalle temperature di laggiù a quelle del Belgio. Per esempio prima di Niel a casa mia c’erano 30 gradi e mi allenavo in maniche corte e qui ce ne sono 7-8, ma ormai ci sono abituato. Comunque mi sono trasferito nei Paesi Baschi proprio per avere un clima e percorsi diversi che nel resto della Spagna».

Lo spagnolo è campione nazionale in carica. Col fango è a suo agio
Lo spagnolo è campione nazionale in carica. Col fango è a suo agio

Un podio storico

Orts ha dunque agguantato anche un podio nel Superprestige, ma quel che più conta è la sua costanza agli alti livelli. I piazzamenti nei primi dieci sono diversi. Sta insistendo molto sul Superprestige e paga sempre qualcosa il giorno successivo in Coppa. Ma fare bene nel circuito belga forse è anche più importante in termini di visibilità.

«Un podio da queste parte è incredibile – dice con soddisfazione Orts – sono felicissimo. Io tra questi campioni… Però è anche vero che ci sto lavorando già da un po’. Sono molti anni, dieci, che mi sto concentrando sul ciclocross. E per riuscirci al meglio mi sono dovuto trasferire, come detto, nel Nord della Spagna. Non è il primo anno che faccio la stagione qui. E’ molto costoso, ma quest’anno le cose stanno andando bene e credo ne valga la pena».

Altre volte Orts era stato vicino al podio. Lui parla di un buon momento di forma. E forse il fatto di tornare a casa lo aiuta non poco. Il clima più caldo fa meglio al suo motore e ai suoi muscoli. Ma forse gli fa pagare qualcosa in termini di tecnica.

Tuttavia è anche vero che correndo tutti i weekend in Belgio, la stessa tecnica si mantiene viva. E tutto sommato anche i suoi colleghi del Nord durante la settimana curano molto di più la parte del “motore” che quella della guida.

A Niel, un momento storico per Orts e la sua nazione: eccolo sul podio del Superprestige (foto Instagram)
A Niel, un momento storico per Orts e la sua nazione: eccolo sul podio del Superprestige (foto Instagram)

Motore e tecnica

«L’obiettivo? E’ quello di fare meglio ad ogni anno e in ogni gara. E per questo è importante anche l’aspetto tecnico appunto. Ho una bici molto competitiva, che sviluppo a casa e con queste gare. Mi piace il fango, ma preferisco quello liquido e mi trovo molto bene anche sui tracciati secchi e veloci. Io poi sono abbastanza tecnico e di mio. Preferisco concentrami molto sulla parte fisica, tanto più che qui vanno davvero forte. E comunque in tal senso mi aiuta anche la stagione su strada».

E la sua stagione su strada è stata affrontata proprio da ciclocrossista puro: corse concentrate soprattutto a partire dal termine dell’estate, proprio per affinare la gamba e trovare i cavalli necessari per affrontare queste sfide al Nord.

In più nella sua zona, Alicante ci sono molti pro’. «Specie d’inverno – conclude Orts – con le squadre che vengono a fare i ritiri. Ma un grande salto me lo ha fatto fare la mia squadra, la Burgos-Bh, che mi ha consentito di disputare delle gare di primo livello. Gare che mi hanno dato molto».

Da sola in Belgio, l’inverno di Francesca Baroni

22.11.2023
4 min
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In questo primo grosso scorcio di stagione del ciclocross al Nord c’è anche un pizzico d’Italia. E c’è per merito di Francesca Baroni. La toscana sta di fatto disputando l’intero “inverno del fango” in Belgio. I suoi impegni principali sono infatti la Coppa del mondo e il Superprestige.

Anche domenica in Coppa è giunta 16ª e il giorno prima aveva corso il Superprestige di Merksplas, in cui aveva colto un buon 12° posto. Solo in questa stagione il tabellino di Francesca segna due vittorie, Tarvisio e Dusseldorf, e altri tre podi.

Francesca Baroni (classe 1999) sta correndo in Belgio: forse otterrà qualche vittoria in meno che in Italia, ma imparerà molto
Francesca Baroni (classe 1999) sta correndo in Belgio: forse otterrà qualche vittoria in meno che in Italia, ma imparerà molto

A casa di Van Aert

Ma certo la Coppa e il Superprestige sono un’altra cosa. Combattente, determinata, mai doma, Baroni si sta difendendo alla grande in mezzo a leonesse del calibro Pieterse, Alvarado, Brand e un livello medio molto alto.

«Ho preso una casa a Oevel – racconta Francesca – a una decina di chilometri da Herentals, non lontano da Van Aert, ma non l’ho mai incontrato. Mi piacerebbe molto, così gli chiederei di fare almeno una foto!

«Ho scelto quella zona perché è davvero comoda: in un’ora, massimo due, di auto sei davvero dappertutto. E questo mi consente di fare tutto in giornata. Senza contare che posso allenarmi a Lichtaart: il vero paradiso del ciclocross. Lì ci sono dei percorsi veramente molto belli e tecnici».

Non è facile a 24 anni stare da sola. Cucinare, lavare e soprattutto stare per molte ore in solitudine appunto. In più Francesca, al contrario di tante atlete, non fa la spola con l’Italia: resta fissa in Belgio anche nel mezzo della settimana.

«Sono arrivata a settembre – prosegue – e ci starò fino a febbraio, quindi farò la stagione totale. Ad ottobre sono tornata a casa una settimana, in quanto qui non c’erano gare. Ne ho approfittato per respirare un po’ di aria toscana! 

«Rientrerò in Italia per la classica di Fae’ Di Oderzo (il cross Del Ponte, ndr) e per la prova di Coppa del mondo in Val di Sole. Poi tornerò di nuovo qui e scenderò per il campionato italiano di Cremona».

La toscana da settembre ha preso parte a 19 gare
La toscana da settembre ha preso parte a 19 gare

Rendimento costante

Una lunga serie di piazzamenti ha costellato la stagione dell’atleta della Hubo-Remotive. Oltre a quelli citati, Francesca ha ottenuto diverse top cinque e top dieci. E anche nelle giornate in cui noi l’abbiamo vista in azione, Niel e Dendermonde, non è andata male. Specialmente a Niel. Ma quel che più conta è che mediamente i distacchi dalle vincitrici sono molto più ridotti rispetto allo scorso anno. Ricordiamo che Francesca è alla terza stagione fra le elite.

«In generale la stagione è iniziata benino – spiega Baroni – meglio dello scorso anno sicuramente, però non sono ancora dove vorrei essere. Devo lavorare tanto per raggiungere gli obiettivi che mi sono prefissata. Nel complesso sono soddisfatta dai!».

Francesca preferisce non rivelare i suoi obiettivi. Ce lo ha detto in modo esplicito e ci può anche stare: un po’ è scaramanzia e un po’ è il non voler scoprire le carte, ma è chiaro che uno di questi obiettivi ha lo sfondo tricolore. Francesca vorrebbe tornare a vestire quella maglia di campionessa italiana che indossò da U23.

«Voglio fare il meglio ad ogni gara cui partecipo – spiega Baroni – e cercare di ottenere i risultati migliori possibili. Purtroppo non sono brava in partenza. Resto dietro e mi ritrovo a dover rimontare ogni volta. Poi recupero ma non è facile».

Uno degli obiettivi principali di Baroni è quello di migliorare in partenza
Uno degli obiettivi principali di Baroni è quello di migliorare in partenza

Partenze e testa

Ma su questo aspetto sta lavorando. Prima del via è una delle atlete che più si riscalda. E’ sempre concentratissima. Si vede che è consapevole di questo problema con lo start. 

«Niel, per esempio, è stata una gara particolare – spiega Baroni – durissima, con un fango pesante. C’era tanto da spingere e tanto anche da fare a piedi. Fortunatamente ho colto una buona top 10. Su un percorso come quello, se hai una buona gamba riesci a recuperare, ma non sempre è così. In ogni caso la cosa principale resta la testa. Se non ha quella non vai da nessuna parte».

E la testa di Baroni sembra esserci, eccome. Quella che abbiamo visto in Belgio è senza dubbio una ragazza più matura. Super attenta per esempio all’integrazione pre e post gara, al riscaldamento, alla ricognizione. E anche con il suo team si vede che ha fatto un bel salto di qualità.

«Vorrei davvero ringraziare il mio team per il supporto top che mi dà ad ogni gara. Ho dei meccanici bravissimi e qui contano molto. In generale questa squadra non mi fa mai mancare nulla e il capo, Kris Alaerts, mi è sempre vicino, specialmente nei momenti più difficili».

Per Venturelli è arrivato (a malincuore) il tempo delle scelte

16.11.2023
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MILANO – «Scusa Federica, cosa ci fai qui, se domani c’è la Coppa del mondo di ciclocross in Belgio?». Venturelli sgrana gli occhi e per un istante esita. Poi capisce che è uno scherzo e sorride. Però intanto la ragazza dai mille talenti, in bici e nello studio, ha dovuto accantonarne uno e ne ha fatto le spese appunto il cross. Il passaggio fra le under 23 su strada richiede un inverno di maggior concentrazione e migliore distribuzione degli sforzi e così una delle azzurre più forti ha appeso la bici al chiodo.

«Comunque era una bella domanda – riflette – e la risposta è che ho deciso di staccare dopo la stagione su strada e prendermi il mio tempo. Sarà un inverno molto impegnativo con la preparazione sia della strada sia della pista, quindi ho dovuto fare una scelta e mettere un po’ da parte il ciclocross. Questo non vuol dire abbandonarlo completamente, però appunto ridimensionare il calendario e il numero di gare».

Al Giro d’Onore della FCI, Venturelli è stata premiata per il suo talento multiforme
Al Giro d’Onore della FCI, Venturelli è stata premiata per il suo talento multiforme
Scelta difficile? Era nell’aria, ma finora erano state solo teorie…

Molto difficile. Il cross mi è sempre piaciuto, è la disciplina che mi fa divertire di più. Mi ha sempre permesso di staccare la testa anche in inverno, che per gli altri è un periodo di sola preparazione, e di darmi degli obiettivi a breve termine da cercare di centrare. Ma sono arrivata al punto in cui non si può fare più tutto come negli anni scorsi, quindi la decisione è stata inevitabile.

Si parla di te come di una perfezionista in ogni cosa faccia. Lasci il cross perché non riusciresti a farlo al top?

Purtroppo negli ultimi anni ho dovuto imparare a staccarmi dall’opinione degli altri. Non sono una macchina e devo mettermi dei limiti. Questo è il mio lato umano che viene fuori quando si tratta di scelte. Adesso sono all’università e quindi ho anche questo tipo di impegno che è ugualmente nuovo, quindi sto cercando di bilanciare tutto. Ho cominciato con le lezioni a metà ottobre, a gennaio e febbraio avrò i primi esami.

Lo scorso anno Venturelli ha disputato il mondiale juniores di cross a Hoogerheide, chiudendo al quarto posto
Lo scorso anno Venturelli ha disputato il mondiale juniores di cross a Hoogerheide, chiudendo al quarto posto
Hai ricevuto un premio dal Presidente Mattarella come Alfiere del lavoro. Sei uscita dal liceo con 100 e lode, vai forte in bici. Forse davvero la ricerca della perfezione ti appartiene?

Sono una ragazza abbastanza organizzata, so gestire il tempo. Poi conta la testa, la consapevolezza di dover fare tutto nel modo migliore, per cui anche quando sono stanca, continuo sino in fondo. Non ho mai valutato di smettere di studiare per fare solo l’atleta, anche se forse ha significato sacrificare la vita sociale. Però davanti a certi risultati, è un sacrificio che si può sostenere.

Perché prevedi un inverno molto impegnativo?

Essendo passata under 23 e dovendo quindi correre anche con le elite, la preparazione sarà diversa. Devo avere certamente più fondo, ma devo concentrarmi anche sulla preparazione dal punto di vista della forza. C’è un elevato numero di ritiri, mentre l’anno scorso avevo potuto dedicarmi al ciclocross, facendo la preparazione per la strada a fine febbraio. Adesso invece devo già cominciare e quindi la differenza è evidente dal punto di vista della preparazione. E immagino che dovrò lavorare diversamente anche in palestra, ma ho appena ricominciato con la bici e non so ancora nulla sulla preparazione specifica richiesta dalla squadra. Credo però che a breve saprò tutto.

Lappartient difende la “sua” Coppa o attacca il Belgio?

15.11.2023
4 min
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GAND (Belgio) – Da queste parti non si è ancora calmata la bufera lanciata lo scorso weekend dal presidente dell’UCI, David Lappartient. Il numero uno del ciclismo mondiale su DirectVélo aveva tuonato circa le assenze di diversi corridori di spicco nelle gare di Coppa del Mondo. Chi non farà la Coppa, non farà neanche i mondiali, né la Coppa stessa l’anno successivo: questa la summa del suo discorso.

Il che può anche starci, visto che Lappartient difende un prodotto gestito dell’UCI, ma il tutto ha preso altre pieghe quando all’interno di questa polemica ha inserito il nome di Thibau Nys, gioiellino rampante della Baloise-Trek-Lion e del cross belga.

Dendermonde, senza Van Empel e Pieterse era presumibile che Alvarado (in basso a destra) avrebbe vinto a mani basse
Dendermonde, senza Van Empel e Pieterse era presumibile che Alvarado (in basso a destra) avrebbe vinto a mani basse

La pietra dello scandalo

Il giovane Nys già da tempo aveva annunciato la sua assenza a Dendermonde, terza tappa della CdM, mentre era stato presente al Superprestige il giorno prima. Che poi è un po’ quel che avevano fatto altri big, in questo caso parliamo di due donne, Fem Van Empel e Puk Pieterse, solo che loro non avevano preferito un circuito “privato”, il Superprestige, a quello dell’UCI.

«E’ anche giusto che i ragazzi si riposino. Devono tirare il fiato. Non ci faremo mettere pressione. Serve un confronto con l’UCI», ha detto Sven Nys, papà di Thibau. In un amen suo figlio è diventato il simbolo di una lotta, quando altri ragazzi hanno fatto come lui.

E indirettamente le difese sono arrivate in suo soccorso. Bart Wellens, manager della Circus-ReUz-Technord non è stato leggerissimo con l’UCI. Di fatto ha detto che se si è arrivati a questa situazione è perché la stessa Federazione internazionale ha voluto espandere troppo il calendario della Coppa. 

«Sapevano – ha detto Wellens – che sarebbe successo questo con tante gare. Quest’anno tutto è stato amplificato dai lunghi trasferimenti (la CdM è partita dagli Usa, ndr). Una volta desideravi di correre in Coppa, adesso no». E ancora: «Un mondiale è qualcosa di speciale, senza i migliori non ha senso».

Bart Wellens, manager della Circus-ReUz-Technord
Bart Wellens, manager della Circus-ReUz-Technord

Nessuno tocchi quei tre

“Senza i migliori non ha senso”. E’ stata questa la domanda che a tutti e ad ogni latitudine è venuta spontanea: come la mettiamo allora con Wout Van Aert, Tom Pidcock e Mathieu Van der Poel? Loro non hanno fatto neanche una corsa dall’inizio della stagione del ciclocross. E con grandi probabilità saranno ancora loro a giocarsi la maglia iridata (non Van Aert, che ha già detto non ci sarà). Ma il concetto resta.

E qui ecco la levata di scudi: guai a toccare quei tre. Olandesi, ma soprattutto belgi, sono stati compatti: «Come si può fare un mondiale senza di loro?». Se questi atleti ci regalano tante emozioni durante l’anno – non solo nel cross – è anche perché fanno una certa programmazione. Lo hanno detto i tifosi, i giornalisti e persino i corridori, vedasi Lars Van der Haar.

Fatto sta che pochi giorni prima Van der Poel aveva presentato il suo calendario di gare e martedì, ma siamo certi sia stata una coincidenza, Van Aert, ha presentato il suo. 

In Belgio dall’8 ottobre al 21 febbraio sono previste 34 gare (dalle nazionali in su)
In Belgio dall’8 ottobre al 21 febbraio sono previste 34 gare (dalle nazionali in su)

Calendario e realtà

Alla fine forse il giudizio più importante è quello che il cittì belga della strada e del ciclocross, Sven Vanthourenhout, ha dato in tv a Sporza. Un quadro tecnico diretto e chiaro: «Certo che ci piacerebbe sempre vedere Van Aert all’opera nel cross, ma dobbiamo renderci conto che il ciclocross non è più la professione principale di corridori come Wout, Van der Poel o Pidcock. Sebbene la gente ami il ciclocross, non vede l’ora di vederlo competere al Fiandre, al Tour o ai mondiali su strada. Ma correre ovunque e sempre, non è più possibile. Questo fa parte del passato».

Le parole di Vanthourenhout, sono state rafforzate da quelle dello stesso Wout in seguito alla presentazione del suo calendario: «L’anno scorso ho trovato mentalmente difficile concentrarmi sulla stagione del ciclocross per poi passare subito alla primavera. Quest’anno non voglio lasciare nulla al caso per le classiche».

La polemica è in corso. Ora si aspetta il dibattito, ma appare chiaro che bisognerà rivedere soprattutto i numeri degli impegni. Tutti.

L’unica cosa che ci sentiamo di aggiungere, ma questa è una nostra sensazione, è che non sia stato un caso che Lappartient abbia tuonato proprio quando la “sua” Coppa faceva tappa in Belgio, a Dendermonde. E con il Superprestige di mezzo. Così come non è stato un caso mettere nel calderone un corridore belga, appunto Nys. Sappiamo infatti quanto sia importante il cross da queste parti e quanto sia “venerato” il Superprestige. E’ stato un colpo diretto a chi organizza troppe gare? Insomma le Federazioni che funzionano e “fanno cartello” infastidiscono l’UCI, che evidentemente ha meno controllo diretto.

Riscaldamento: gli azzurri del cross alla ricerca di un protocollo

13.11.2023
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Nel ciclocross il riscaldamento conta tantissimo. E’ uno sforzo particolare: è esplosivo, ma al tempo stesso di endurance. Le fasi del via sono quasi sempre le più importanti e decisive, specie sul fronte fisiologico. Spesso è da come si digeriscono queste sgasate “a freddo” che la propria corsa prende una piega anziché un’altra.

Marco Decet è un giovane preparatore da poco entrato nel giro del gruppo performance della nazionale. Decet è stato uno stradista prima e un endurista poi, il cittì Daniele Pontoni l’ha voluto nella sua squadra. E al tecnico veneto ha affidato uno scopo preciso: quello di standardizzare il riscaldamento. Si vuol creare un protocollo per i ragazzi, ciascuno chiaramente con i suoi piccoli adattamenti.

Marco Decet è un preparatore della Fci e ha anche un suo centro: Fuori di Soglia, a Feltre (Bl)
Marco Decet è un preparatore della Fci e ha anche un suo centro: Fuori di Soglia, a Feltre (Bl)
Marco, come sei arrivato a Pontoni?

Il mio è stato un avvicinamento universitario, più che sportivo. Terminata la mia attività, mi sono reso conto quanto per un ragazzo fosse importante avere un riferimento che lo indirizzasse. E così ho fatto della mia passione la mia professione. Finiti gli studi (che in realtà non sono finiti in quanto procedono con dei dottorati, ndr) ho partecipato al bando della Fci per entrare a far parte del team performance. L’ho vinto e Pontoni, sapendo del mio passato da biker e vedendo il mio approccio scientifico che all’inizio avevo avuto con i ragazzi della Bmx, mi ha voluto con sé.

E avete iniziato a lavorare sul riscaldamento…

Esatto. L’idea è quella di standardizzare i protocolli del warm up per i ragazzi, in particolare per coloro che sono impegnati nel team relay, visto che si tratta di sessi ed età differenti, che per di più vengono chiamati in causa in momenti diversi. In questo caso si tratta soprattutto di individuare le tempistiche migliori per il riscaldamento. E questo, agli ultimi europei in Francia, è servito molto ai più giovani. Ma devo dire che anche i più esperti hanno apprezzato e ritoccato qualcosa.

In cosa consiste il tuo lavoro con il riscaldamento?

E’ un approccio totale alla gara. E quindi va dal riscaldamento vero e proprio all’ingresso in griglia. Mi sono concentrato soprattutto sul tema della temperatura corporea ideale da raggiungere. E come raggiungerla, chiaramente. Abbiamo visto che non è necessario un lungo tempo sui rulli, per portare i muscoli al di sopra dei 37 gradi, la temperatura ideale per il lavoro delle fibre e l’apporto di ossigeno al sangue.

Questo protocollo dà molta importanza anche all’abbigliamento: va gestito al meglio nei minuti tra riscaldamento e start
Questo protocollo dà molta importanza anche all’abbigliamento: va gestito al meglio nei minuti tra riscaldamento e start
Perché è importante standardizzare il riscaldamento?

Perché è una fase delicata in vista della gara e va fatta bene. In più avere un protocollo, delle certezze, apporta anche un beneficio mentale all’atleta che va sul sicuro. Per esempio abbiamo dato anche molta importanza all’abbigliamento.

Hai parlato di tempi non troppi lunghi: cosa intendi?

Che bastano anche 20 minuti, non serve consumarsi più a lungo. In questa fase c’è un po’ di tutto, anche del Vo2 Max, ma senza accumulo. Variazioni con cadenze che simulano il percorso…

Proviamo a vedere come potrebbe essere un riscaldamento standard?

La prima fase è quella dell’innalzamento della temperatura e della mobilità articolare, la seconda quella dell’intensità, c’è poi una terza fase che va dalla fine dell’intensità all’ingresso in griglia. La prima dura una decina di minuti: 5′ molto tranquilli, poi 3′ in una fase più intensa e 2′ a soglia, una “Z5” per intenderci. Successivamente inizia la seconda fase. Di base ci si mette a Z2 e si fanno delle variazioni: 2′ a soglia, poi 3×30”-30” sempre in Z5 e infine 2-3 progressioni da 15” che vanno dalle basse alle alte cadenze con un rapporto importante: quindi dalla forza massima alla forza dinamica. Tutta  questa seconda fase dura altri 10′, massimo 15’, a seconda dei soggetti.

Però hai detto senza accumulo, come fanno i ragazzi a capire che hanno recuperato tra una progressione e l’altra?

Da quando ritornano in Z2, quella è la base. Nel cross pochissimi hanno il potenziometro e quindi si regolano con i battiti, ma il concetto è quello.

Partenze violente ed esigenze di guida invitano a mantenere calde anche le articolazioni (in foto, Agostinacchio)
Partenze violente ed esigenze di guida invitano a mantenere calde anche le articolazioni (in foto, Agostinacchio)
E poi?

Poi, conclusa l’ultima progressione, il riscaldamento vero e proprio finisce. Si fanno ancora un paio di minuti in Z2, per non scendere col fiatone, e ci si va a cambiare. Da qui inizia per me la fase chiave, la più delicata. E’ molto importante in questo intermezzo prima della partenza, 10 minuti o poco più, mantenere la temperatura che si è raggiunta sui rulli. Bisogna sapere che già dopo 15 minuti si perde oltre il 70 per cento dell’efficienza del riscaldamento. Per questo consiglio ai ragazzi di coprirsi bene. Anche collo e viso, dove vi sono molti recettori della temperatura che, in caso di freddo, potrebbero inviare segnali non ottimali al cervello in vista della gara. Altra cosa da osservare: la mobilità articolare.

Spiegaci meglio, visto che anche prima l’hai citata in fase di riscaldamento…

In bici, e nelle discipline offroad soprattutto, non si deve solo pedalare, ma si deve anche guidare. E’ bene tenere al caldo polsi, anche, caviglie… sono aspetti che possono fare la differenza. Se non hai una buona “stiffness”, che si fa a monte anche con la palestra chiaramente, paghi un prezzo salato. Se scendi di sella e devi correre non puoi metterci tre passi per spingere bene. O magari ad ogni curva non sei sciolto a dovere. Potresti andare un pelo più più forte e sei costretto a recuperare facendo quel paio di pedalate in più nel tratto di transizione sprecando più watt. Moltiplichiamo questi watt per ogni curva, per un’ora… Va da sé quanto sia importante scaldare bene tutto il corpo.