Campionati europei 2025, Drome Ardeche

Mondiali ancora caldi, ma è già tempo di europei

30.09.2025
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Siamo ancora in piena sbornia post mondiali, con le immagini di Kigali che scorrono fresche nella memoria, eppure è già tempo di voltare pagina. Dall’1 al 5 ottobre la scena si sposta in Francia, tra Drôme e Ardèche, per i campionati europei 2025. Un appuntamento che arriva quasi senza respiro, ma che porta con sé fascino, storia e la voglia di indossare quella maglia bianco-blu stellata che negli ultimi anni ha acquisito sempre più prestigio.

Il percorso degli élite, uomini ma anche donne, sarà al centro dell’attenzione, perché dopo i Mondiali si avverte aria di grande rivincite. Remco su Pogacar, le big donne sulle outsider. In tutto ciò la Francia si prepara a offrire un palcoscenico che fa fregare le mani, grazie a tracciati sì selettivi ma non impossibili e che pertanto dovrebbero essere più aperti.

Europei a crono di livello stellare (qui Ganna). Tutti le gare misureranno 24 km, ad esclusione della prova juniores femminile che sarà di 12 km
Europei a crono di livello stellare (qui Ganna). Tutti le gare misureranno 24 km, ad esclusione della prova juniores femminile che sarà di 12 km

Prima le crono

Il menu degli Europei sarà ricco e distribuito in cinque giornate. Si parte domani con le cronometro, che vedranno impegnate tutte le categorie: dalle juniores donne fino agli élite uomini. Le prove contro il tempo saranno il primo banco di prova, anche perché in Francia il tracciato offrirà difficoltà tecniche interessanti, con tratti vallonati che non favoriranno solo i passisti puri e un finale molto tosto.

In totale saranno assegnati 14 titoli tra cronometro e gare in linea e mix relay, uno in più rispetto ai mondiali. Ci sarà infatti anche la staffetta mista juniores.

Le prove contro il tempo hanno un parterre ricco forse come non mai. Al via tutti i top rider, da Remco Evenepoel fresco di maglia iridata, fino a Filippo Ganna, passando per Kung e Tarling, Almeida, Armirail… Un livello pazzesco.

Percorsi più aperti

Il culmine degli Europei sarà ovviamente la prova élite maschile. Il percorso misura 202,5 chilometri e presenta oltre 3.300 metri di dislivello. Si tratta di un tracciato misto, ben più equilibrato rispetto a quello di Kigali. Un tracciato che unisce durezza e scorrevolezza: salite brevi e ripetute, tipiche del paesaggio dell’Ardèche. Un profilo così potrebbero tagliare le gambe agli scattisti, ma non far scappare gli scalatori. Il profilo ricorda molto quello di una Liegi-Bastogne-Liegi. O, perché no, di una Clasica de San Sebastian. I numeri sono molto, molto simili alla classica basca. Secondo altri, invece, questo percorso ricorda molto le prime frazioni dell’ultimo Delfinato.

La gara femminile, élite chiaramente, non è invece durissima: 116 chilometri e poco più di 1.500 metri di dislivello. Se si pensa, insomma, alla nostra Elisa Longo Borghini, la sfida potrebbe essere sin troppo aperta. Per loro, rispetto agli uomini, lo strappo di Val d’Enfer sarà da affrontare solo due volte nel finale.

In entrambe le categorie, la gestione tattica sarà cruciale. Non ci saranno muri impossibili, ma la continua alternanza di salite e discese manterrà il gruppo in tensione. Su carta a decidere il tutto dovrebbe essere, come accennavamo, la Cote du Val d’Enfer: 1,7 chilometri al 9,3 per cento di pendenza media, con una porzione centrale al 14 per cento. Occhio però al falsopiano tra un passaggio sulla stessa Cote. Un momento d’incertezza lì potrebbe essere fatale, specie in campo femminile.

Un percorso che favorisce coraggio e aggressività, pronto a essere plasmato da chi saprà muoversi nel momento giusto. Per questo le varie nazionali dovranno essere attente e compatte, ben più che in Rwanda. La squadra davvero potrà essere un elemento chiave. Una curiosità poi. E’ vero che le previsioni meteo oltre i tre giorni hanno scarsa attendibilità, ma sembra che proprio le donne potrebbero incappare in una giornata di pioggia battente. Ecco dunque un’altra variabile che potrebbe risultare determinante.

Tre favoriti e tanti outsider

Quando si parla di favoriti, è inevitabile guardare al trittico del Tour de France: Jonas Vingegaard, Remco Evenepoel e Tadej Pogacar. Saranno loro i fari dell’Europeo, pronti a rinnovare la sfida che ha infiammato i mondiali e Tour. Vingegaard avrà dalla sua la resistenza e la freschezza di chi si è evitato una lunga trasferta e ha le gambe che lascia un Grande Giro (ha vinto la Vuelta). Di certo non vorrà essere da meno. Remco ha detto che senza problemi meccanici a Kigali se la sarebbe giocata con Pogacar. E Tadej sarà pronto a difendere il leadership con attenzione massima.

Eppure il percorso di Drome e Ardèche potrebbe aprire la porta anche a soluzioni diverse. Corridori come Skjelmose, Skujins o Healy hanno dimostrato di sapersi esaltare su terreni mossi e duri. Potrebbero approfittare della marcatura stretta dei tre big. E poi Almeida, Ayuso, Van Baarle, di certo almeno un francese che in casa darà più di quello che ha… La lista è lunga. E a questa lista lasciateci aggiungere Mads Pedersen: chiaro che se gli scalatori la butteranno giù dura lui è del tutto tagliato fuori, ma Mads appartiene alla schiera dei “mega motori” e quantomeno va citato.

E gli azzurri? L’Italia si presenterà con una selezione che sarà un mix tra nuovi innesti e atleti che erano presenti in Africa. Ulissi, Bettiol, Scaroni… per provare a giocarsela magari con un’azione da lontano, sfruttando qualche situazione tattica ambigua. Non sarà facile fronteggiare avversari di questa caratura, ma un piazzamento di prestigio, che ci servire come il pane, potrebbe non essere impossibile.

L’europeo dell’altro Mads, cronoman convertito al gravel

24.09.2025
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AVEZZANO – Dei campionati europei gravel e della vittoria di Erica Magnaldi abbiamo detto già domenica e ieri ne abbiamo riparlato con il cittì Pontoni. Qualche parola di approfondimento merita però anche Mads Wurz Schmidt, l’atleta che ha conquistato il titolo elite, nella gara che ha visto a lungo Gaffuri fra i protagonisti e poi finire al quinto posto.

Non c’è solo Pedersen: il nome Mads evidentemente ben si sposa ai ciclisti che vanno forte. Il danese, che è stato professionista dal 2017 al 2024, vivendo il passaggio della licenza e degli uomini dalla Katusha alla Israel-Premiertech, ha un palmares di tutto rispetto. Una tappa alla Tirreno-Adriatico e prima il doppio mondiale a crono: da junior nel 2011 a Copenhagen e poi da U23 nel 2015 a Richmond. Un metro e 76 per 70 chili, quando non ha più trovato posto su strada, si è convertito al gravel. E la sua azione di Avezzano, con due giri da solo, ha messo in risalto le doti che fecero di lui un grande talento contro il tempo. Quest’anno ha già vinto quattro tappe della UCI World Series cui ha aggiunto anche The Traka 200, gara spagnola di immenso fascino.

Lo abbiamo incontrato dopo l’arrivo degli europei. Dopo aver sollevato la bici al cielo, se ne stava fermo sul lato dell’arrivo guardando un punto fisso all’infinito. Aspettando forse qualche compagno di squadra o semplicemente mettendo in ordine i pensieri.

Si può dire che sia stata come una lunga cronometro?

Sì, volevo aspettare un po’, ma Gaffuri stava tenendo un ritmo sostenuto. Per un po’ l’ho seguito e poi in un tratto di discesa ho attaccato. Su questo percorso si faceva più velocità andando da soli. E’ dura, ma se hai le gambe vai meglio da solo. Così ho deciso di provarci e  per fortuna sono stato abbastanza forte da tenere il ritmo alto.

Hai trovato un percorso che ti si addiceva?

Era un percorso perfetto per me. La salita era dura, ma ho avuto abbastanza potenza per fare ugualmente velocità. Mi si addiceva molto. Le discese erano tecniche e io non sono il corridore con la tecnica migliore, ma non sono nemmeno il peggiore. Quindi si trattava di sopravvivere e continuare a spingere per tutto il giorno. Sapevo dalle gare precedenti che quando attacco da solo, posso tenere il passo e resistere fino alla fine. Quindi sono partito, ho dovuto credere in me stesso e sono felice che abbia funzionato.

Hai vinto gare importanti su strada quando eri più giovane. Cosa significa questa vittoria oggi?

E’ importante. Sono super orgoglioso di me stesso, vincere questo campionato europeo significa molto ed essere stato campione europeo sarà qualcosa che varrà la pena ricordare. Come vincere The Traka e fare bene nella Unbound, è difficile da descrivere a parole. Sono davvero orgoglioso del percorso che sto seguendo da inizio luglio.

Il mondiale di ottobre è uno dei prossimi obiettivi.

Certamente. Ho lavorato duramente per essere al top della forma in questo momento, con il supporto della mia squadra, della mia famiglia e del mio allenatore. E’ stato un percorso molto bello e sono felice di poter ripagare loro e me stesso con un buon risultato.

Fidanza-Wiebes, la pista e la strada: cosa abbiamo imparato?

22.02.2025
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Fra le cose belle dei campionati europei di Zolder, il testa a testa nel finale dello scratch fra Martina Fidanza e Lorena Wiebes è quello che più ci ha fatto drizzare i peli sulle braccia. Succede sempre quando Davide batte Golia e Golia sorride, ma capisci che vorrebbe essere altrove. L’azzurra era in testa. L’olandese ha iniziato la rimonta in un finale che sembrava già scritto. Invece, quando forse pensava di averne fatto un sol boccone, Martina ha dato ancora gas e non l’ha lasciata passare.

«Pensavo davvero che rimontasse – sorride d’orgoglio – perché non sono mai riuscita a battere la Wieibes in volata. L’ho vista arrivare. Mi ha affiancato. In più a un giro dall’arrivo, alla campana è riuscita a mettermi anche il manubrio davanti. Perciò quando ho visto che era lei, mi sono detta: “Vabbè, è già andata. Adesso devo solo cercare di tenerle la ruota”».

Martina Fidanza, bergamasca di 25 anni, ha nel palmares 5 titoli mondiali e 11 europei in pista, oltre a 10 vittorie su strada
Martina Fidanza, bergamasca di 25 anni, ha nel palmares 5 titoli mondiali e 11 europei in pista, oltre a 10 vittorie su strada

Nella mente di Villa

Fermo sul bordo della pista, Marco Villa guardava la scena. E anche se prima di partire per lo scratch avevano parlato della possibilità di battere la super Wiebes, in quel momento la possibilità era davvero a portata di mano, senza però la possibilità di comunicare.

«In quel momento, lei sa a cosa sta pensando – dice il tecnico dei record – io sono giù e non lo so. Ho sperato che la tenesse e non la facesse passare a un giro e mezzo dalla fine, per poi provare la rimonta all’esterno. Secondo me in quel caso non sarebbe stata così competitiva. Anche solo rimontare la lunghezza della bicicletta sarebbe stato molto difficile. Ormai doveva tenerla e difendere quel metro e mezzo di vantaggio che aveva e poi giocarsela alla pari. Se la faceva passare, anche sfruttando la scia, non avrebbe avuto il tempo per riattaccarla. Quindi ho sperato solo che non la facesse passare e lo ha fatto bene».

A un giro dalla fine, al suono della campana, Wiebes ha provato ad affiancare Fidanza
A un giro dalla fine, al suono della campana, Wiebes ha provato ad affiancare Fidanza

Tutto quello che è rimasto

E’ il momento in cui la testa rifiuta di arrendersi. Non succede spesso, soprattutto contro gli imbattibili. Ma quando capita, il supplemento di dolore che si accetta può fare la differenza. L’atleta si trasforma in una creatura sovrannaturale e il finale non è più così scontato.

«Il tempo di pensare che mi avrebbe passato – prosegue – e ho cercato di alzarmi sui pedali. Ebbene, ho visto che lei rimaneva lì e poi pian piano indietreggiava. In quel momento ho capito che magari sarei riuscita a batterla, quindi ho cercato di affondare il più possibile e ho visto che rimaneva definitivamente dietro. Sentivo di avere un po’ di margine, però non pensavo che sarebbe stato abbastanza per vincere».

Dopo la delusione di Parigi, Fidanza (qui con il cittì Villa) aveva bisogno di risollevarsi
Dopo la delusione di Parigi, Fidanza (qui con il cittì Villa) aveva bisogno di risollevarsi

Fra resistenza e velocità

Villa adesso va avanti nell’analisi e ci fa capire con evidenza che a questi livelli nulla avviene per caso. E se anche si tratta di fare il numero della vita, la condizione necessaria perché vada in porto è avere nelle gambe il lavoro per sostenerlo.

«Fidanza – riflette Villa – è migliorata molto anche sulla resistenza. Anzi, in questi due o tre anni abbiamo lavorato tanto di più su questo aspetto, per arrivare più avanti possibile nelle tirate del quartetto. Invece avevamo un po’ tralasciato le punte di velocità che per lei erano naturali, perché qualcosa bisogna tralasciare: non si può fare tutto. Ma visto che ora ha un po’ di resistenza in più, si è ricominciato a lavorare sulle partenze sul fermo, sull’esplosività e sul correre di più in pista. Prima dell’europeo, Martina è andata a fare le gare a Grenchen, qualcosa che prima non avevamo fatto, perché ci interessava il quartetto per le Olimpiadi.

«E poi c’è il discorso dei rapporti. Anno dopo anno ci siamo accorti che noi aumentavamo di un dente, ma gli altri ne avevano sempre uno in più. Così quest’anno abbiamo giocato di anticipo e forse eravamo noi quelli con mezzo dente in più. Sapevamo di aver lavorato anche sulla forza, quindi l’abbiamo giocata bene».

Martina Fidanza ha aperto la stagione su strada al UAE Tour
Martina Fidanza ha aperto la stagione su strada al UAE Tour

Dalla pista alla strada

Quanto è lontana la pista dalla strada? Questa volata può essere l’anticipazione di un passo avanti anche su strada? Il discorso è chiaramente teorico, su strada ci sono le salite, le curve e le discese. Si arriva alla volata dopo ben altre fatiche, ma come dice Villa aver capito di poterla battere, fa pensare che forse è possibile farlo ancora.

«Strada e pista sono mondi diversi secondo me – ragiona Fidanza – perché in pista ho più esperienza rispetto a lei, quindi magari anche nei dettagli riesco a guadagnare qualcosa che mi ha permesso di batterla. E’ vero che comunque non l’ho battuta di poco, però su strada penso che sia ancora nettamente superiore. Su strada è una questione di quanti watt riesci a esprimere alla fine della gara, perché ci sono tanti fattori che ti influenzano più che in pista. Basta soltanto prendere una curva 10 posizioni più avanti e sono watt che risparmi. E poi comunque devi anche avere l’occhio di correre su strada e per me questo è il motivo per cui lei riesce ad arrivare nei finali con più forze da spendere.

«Quest’anno con la squadra stiamo lavorando tanto sui treni, sia per me sia per l’altra velocista, e magari affinando questa tecnica riusciremo a fare qualcosa. Penso che anche su strada il modo di batterla sia anticiparla, perché se parte prima, ci prende tanto margine. Lorena ha un picco breve, ma veramente forte con cui ti prende subito quella bicicletta che poi è dura riuscire a rimontare. Per cui, anticipandola, è lei che deve guadagnarla. Però averla battuta mi riempie di orgoglio…».

Su strada Wiebes ha ancora vantaggio, ma quanto vale ora Fidanza? Qui è terza alla Scheldeprijs 2024, dietro Lorena e Kool
Su strada Wiebes ha ancora vantaggio, ma quanto vale ora Fidanza? Qui è terza alla Scheldeprijs 2024, dietro Lorena e Kool

In crisi dopo Parigi

Fidanza, come le ragazze del quartetto, è andata agli europei di Zolder con la voglia di chiudere il ciclo di Parigi con un buon sapore in bocca. Il quarto posto del quartetto ha colpito duro: erano lì, invece sono tornate a casa a mani vuote.

«Sono uscita da Parigi – dice Fidanza – con una grossa delusione addosso. Le altre ragazze sono riuscite a vincere la madison e hanno dato morale a tutta la squadra. Però a livello di quartetto siamo uscite male, perché abbiamo fatto tanto, eppure probabilmente non abbastanza. Onestamente ho sofferto parecchio, ho passato un periodo in cui mi sono sentita anche un po’ persa. Però adesso posso dire che grazie alla nuova squadra nuova e ai tanti stimoli che sto ricevendo, sono riuscita a ritrovare la mia strada. Riprenderò alla Vuelta a Extremadura, con una condizione tutta da scoprire e ricostruire, dopo la pista, in vista delle gare che verranno. Spero di ritrovare presto il colpo di pedale e l’occhio della strada. E poi, chissà quando incontrerà la Wiebes la prossima volta…».

Caschi Rudy Project alla FCI: una storia di orgoglio italiano

16.02.2025
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Da Kask a Rudy Project, il cambiamento non è passato inosservato. Per il nuovo quadriennio, come avevamo anticipato nei giorni scorsi, la Federazione italiana si servirà di materiale Rudy Project, già sponsor tecnico del Team Bahrain Victorious: basta guardare le immagini degli europei su pista di Zolder per rendersene conto.

Come avvengono certi cambiamenti? In base a cosa viene fatta la scelta? Alla fine dell’anno, la Federazione ha coinvolto una decina di aziende, precedentemente individuate, perché portassero i loro modelli al fine di farne una valutazione. Abbiamo chiesto pertanto a Massimo Perozzo (marketing & communication manager presso Rudy Project) di spiegarci i vari passaggi dell’approdo dell’azienda veneta alla nazionale. Fra quelle aziende infatti c’erano anche loro.

«La Federazione – spiega – ha chiesto la possibilità, soprattutto per la parte relativa alla pista, di testare dei caschi per valutare i marginal gain. Sono stati fatti dei test con più atleti in diverse situazioni. Il quartetto come pure il singolo atleta. L’uomo e la donna. Le posizioni più disparate e per ciascuna di queste è stata valutata tutta una serie di aspetti. E alla fine il Wingdream è risultato in assoluto il casco più performante, con una buona valutazione anche per il The Wing e il Nytron».

Firmato il contratto, gli uomini di Rudy Project sono corsi a Montichiari: qui con Diego Bragato
Firmato il contratto, gli uomini di Rudy Project sono corsi a Montichiari: qui con Diego Bragato
Quando si è svolta questa fase di selezione?

Alla fine dello scorso anno, intorno a fine novembre, inizio di dicembre. Visti i risultati dei test, la Federazione tramite Infront ha cominciato a prendere contatti con noi per capire se da parte nostra ci fosse la volontà di collaborare, dato che a loro interessava avere il nostro miglior prodotto.

E voi?

Lo dico proprio in maniera molto sincera: per noi è orgoglio puro. Siamo un’azienda italiana, composta da 50 persone che stanno sul mercato da 40 anni e ogni anno cercano di fare qualcosa in più. Sappiamo che da qualche stagione stiamo lavorando bene sull’aerodinamica e arrivare a questo traguardo è stato il coronamento di un percorso. Un regalo per i nostri 40 anni. Così, quando abbiamo capito che la Federazione era contenta dei caschi e voleva usare il nostro Wingdream, abbiamo cominciato a parlare con Infront. Abbiamo iniziato a definire il rapporto con la Federazione con cui collaboreremo fino alle Olimpiadi di Los Angeles.

E’ stato un percorso complesso?

Passo dopo passo, giorno dopo giorno, telefonata dopo telefonata, siamo arrivati a chiudere i dettagli del contratto che è stato firmato, come sapete, la settimana scorsa. A quel punto abbiamo dovuto portare in tutta fretta i caschi a Montichiari in previsione degli europei. I ragazzi avevano già testato il nostro casco, ma c’era ancora da fare il lavoro di settaggio. C’è da valutare per ogni singolo atleta le necessità di taglia o se ci siano da fare delle modifiche strutturali a livello di comfort. Siamo stati una giornata con loro a Montichiari e li abbiamo messi tutti a posto. Mentre in questi giorni degli europei c’è sempre stato uno dei nostri che li ha seguiti passo dopo passo, per fare eventuali correzioni.

Sono tre i modelli di casco a disposizione della FCI, in base alla specialità: Wingdream, The Wing, Nytron
Sono tre i modelli di casco a disposizione della FCI, in base alla specialità: Wingdream, The Wing, Nytron
Ed è andata bene, dato che sono arrivati alcuni ori e altre medaglie…

Gli ori di Martina Fidanza e del quartetto femminile, ma anche quello di Matteo Bianchi nel chilometro da fermo. La distribuzione dei caschi e quando usarli invece ha un regolamento a parte. Se si parla di una specialità che coinvolge più corridori, come il quartetto o la velocità a squadre, gli atleti sono tenuti a utilizzare il nostro casco anche per ragioni di aerodinamicità. Se l’atleta invece fa parte di una squadra in particolare o di un gruppo sportivo che ha un altro sponsor, nelle specialità individuali potrà usare il casco del suo sponsor. Per questo ci ha fatto piacere che Matteo Bianchi abbia usato il nostro casco e anche Viviani che però al momento è senza squadra.

Avete già avuto dei riscontri?

Stiamo parlando come sempre dei famosi marginal gain, che in queste specialità sono essenziali. Per cui un casco come il Wingdream, che ha dimostrato così tanto guadagno o risparmio di watt, risulta essenziale. E poi siamo contenti che i ragazzi lo usino volentieri.

Ha parlato di settaggio: quanto c’è di personalizzabile su un casco come questo?

Sul suo interno, sulle imbottiture. La struttura infatti non deve essere toccata per motivi di sicurezza. Per cui una volta che il casco viene battezzato e certificato dall’UCI, la parte strutturale interna non deve essere toccata per meri motivi di sicurezza. L’unica parte su cui possiamo intervenire e di cui si occupa Ivan Parolin quando è alle gare con loro, è inserire degli inserti ad hoc, con materiale di diversi spessori. Si fa un lavoro personalizzato con l’atleta per capire quale spessore e quale materiale usare. Quando l’atleta indossa il casco, deve sentirlo fermo, comodo e capace di garantire sempre la sicurezza necessaria. Se un atleta è nel suo momento di comfort e quindi non ha disagio, riesce a performare al massimo.

Nel quartetto, intesa come specialità multipla, i corridori sono tenuti a utilizzare i caschi Wingdream
Nel quartetto, intesa come specialità multipla, i corridori sono tenuti a utilizzare i caschi Wingdream
E’ previsto anche un lavoro di sviluppo accanto alla Federazione?

Hanno già cominciato a darci dei consigli, su piccole modifiche che si potrebbero apportare per alcune discipline. Sono cose che facciamo regolarmente anche col Team Bahrain, che anzi ha uno staff proprio dedicato per questo. Durante l’anno c’è una sorta di lavoro a ciclo continuo. Riceviamo le loro informazioni e vengono passate sul prodotto, per sviluppare ad esempio l’altezza della visiera o la parte tecnica del rotore posteriore per il fissaggio. Ci sono mille particolari che vanno poi a incidere sullo sviluppo di un casco. Diciamo che il nuovo modello nasce già in modo abbastanza avanzato e poi viene calibrato sulle esigenze del team o, in questo caso, della Federazione.

La vostra sarà una fornitura standard?

La fornitura è già stata battezzata da oggi fino al 2028. E’ logico che in questo tipo di rapporto le quantità siano contrattualizzate, ma poi quelle reali sono sempre variabili e difficilmente minori di quelle che sono a contratto. Spesso sono di più, per dare diverse opportunità e possibilità di scelta. Se c’è una modifica da fare, si fanno delle prove e queste implicano un aumento della quantità da dover sviluppare e consegnare.

Se da qui al 2028 Rudy Project tira fuori un nuovo modello chiaramente lo propone anche alla Federazione?

Diciamo che il Team Bahrain ha una sorta di prelazione, perché il grosso del lavoro di sviluppo lo facciamo quasi sempre con la squadra. Il Wingdream nasce dal lavoro fatto con loro, ma la Federazione è comunque il primo soggetto che verrebbe interpellato e a cui verrebbe presentato un nuovo prodotto.

Viviani ha usato caschi Rudy Project, modello Wing, non avendo ancora una squadra
Viviani ha usato caschi Rudy Project, modello Wing, non avendo ancora una squadra
Il Wingdream è uno dei caschi che l’UCI voleva vietare?

Proprio lui. Quando produciamo un casco che poi viene dato a una squadra WorldTour, deve essere approvato dall’UCI. Noi non possiamo dare un casco a una squadra senza che l’UCI sappia o lo certifichi, allo stesso modo di quanto accade per le biciclette. Lo scorso anno il nostro casco, come il casco di Giro della Visma-Lease a Bike, ha avuto una grande risonanza. Non per la pericolosità, come qualcuno ha voluto dire, ma perché è un casco molto originale. Tutto quel parlare derivava soltanto da un fattore estetico. In questo momento non abbiamo ricevuto alcuna comunicazione dall’UCI. Le squadre stanno usando i nostri caschi su strada e lo hanno usato anche in pista. Ai corridori non importa tanto della forma quanto del fatto che il casco ti permetta di essere veloce. Tutto il resto, avendo le autorizzazioni a posto, è solo fumo.

Il quartetto delle regine e il sassolino nella scarpa

14.02.2025
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Nonostante sia quello che va detto in simili situazioni, è innegabile che le ragazze del quartetto avessero una pietruzza negli scarpini. L’uscita di scena dalle Olimpiadi di Parigi galleggiava e galleggia ancora in un’aria amara ed era chiaro che la loro presenza agli europei di Zolder non fosse casuale. Gli uomini, probabilmente alla fine del ciclo, si sono tutti votati alla strada. Le ragazze – Alzini, Consonni, Fidanza e Guazzini – hanno dato subito disponibilità, pur consapevoli di non arrivare alla sfida belga attraverso il cammino migliore.

L’oro di Martina

Se si sia trattato di un segnale, l’oro di Martina Fidanza nello scratch ha riacceso le luci e la fiducia, soprattutto perché per vincere la bergamasca ha dovuto battere in volata Lorena Wiebes. Su strada non ci riesce quasi mai nessuno e c’è da scommettere che durante l’anno anche Martina dovrà chinare qualche volta il capo. Averla battuta su pista porta però una fiducia nuova: nessuno è imbattibile.

«Penso che sia stato un risultato un po’ inaspettato – ha detto nella serata di mercoledì – perché non mi aspettavo di riuscire a batterla in volata. Invece ci abbiamo creduto, abbiamo messo un buon rapporto per poterle tenere testa e sono molto, molto soddisfatta. All’ultimo giro temevo che mi passasse, invece quando ho visto che rimaneva lì, mi sono detta che avrei potuto farcela».

Fidanza, Consonni, Alzini: lo sguardo di Consonni dice tutto. Il quartetto va per vincere
Fidanza, Consonni, Alzini: lo sguardo di Consonni dice tutto. Il quartetto va per vincere

Un giorno per ritrovarsi

Tutte con il UAE Tour nelle gambe, due di loro cadute nell’ultima tappa e Guazzini che prima di arrivare a Zolder aveva fatto scalo a Parigi per la presentazione della FDJ-Suez. Eppure sono arrivate in pista. Le quattro azzurre hanno avuto un giorno per ritrovare i meccanismi. E poi tutte insieme si sono prese il titolo europeo dell’inseguimento. Che non vale quanto un’Olimpiade o un mondiale, però intanto le altre sono finite tutte alle spalle.

«Penso che la partecipazione agli europei – ci ha detto Guazzini prima di raggiungere la nazionale – non sia tanto per rivendicare quello che non è andato come speravamo a Parigi, però comunque ci tenevamo ad esserci. La pista è qualcosa che ci piace. Abbiamo detto tutti che ci concentreremo più sulla strada, ma questo non vuol dire che non faremo più gare in pista. Vorrà dire, magari, che ci arriveremo senza aver fatto la preparazione degli altri anni. Però una volta che saremo lì sicuramente vorremo fare bene. Il UAE Tour è stato un disastro, spero di fare il meglio che posso. Cercheremo di tirar fuori il coniglio dal cilindro, perché quando siamo tra di noi, diamo sempre qualcosa in più. Il fatto di essere un gruppo di amiche sicuramente ci aiuterà molto».

Le fatiche del UAE Tour si sono fatte sentire: nell’ultimo giro il quartetto ha rischiato di disunirsi
Le fatiche del UAE Tour si sono fatte sentire: nell’ultimo giro il quartetto ha rischiato di disunirsi

Da Parigi a Zolder

Proprio lei a Parigi, accanto a compagne come Demi Vollering e Juliette Labous nella conferenza stampa che lanciava il 2025 della FDJ-Suez, è stata salutata come uno degli astri del ciclismo femminile e celebrata per l’oro olimpico conquistato proprio lì, ormai sei mesi fa.

«E’ speciale per me essere di nuovo a Parigi – ha detto – perché mi ricordo che nella conferenza stampa di inizio 2024 dissi che le Olimpiadi sarebbero state il mio grande obiettivo. Tornare qui dopo un anno, con quel traguardo raggiunto, mi rende davvero orgogliosa. Il team mi ha supportato in questo e penso che sia la cosa migliore che potessero fare. Non mi hanno messo alcuna pressione per le altre gare. Dopo l’oro olimpico, è stato difficile trovare la concentrazione, ma ho avuto un buon inverno e ora sono motivata per affrontare questa stagione con nuove compagne di squadra e nuove ambizioni».

Nella serata di Zolder è arrivato anche l’oro di Bianchi (qui con Ivan Quaranta) nel km da fermo
Nella serata di Zolder è arrivato anche l’oro di Bianchi (qui con Ivan Quaranta) nel km da fermo

La grande vendetta di Guazzini

La strada e la pista, anche per lei che negli ultimi due anni ha sempre sognato di ben figurare alla Parigi-Roubaix e l’ha sempre dovuta lasciare malconcia e triste.

«Guardo con entusiasmo alla stagione delle classiche – ha detto – voglio aiutare la squadra a vincere e provare a fare qualcosa per me. Ho una grande vendetta da prendermi, mi piacerebbe arrivare al velodromo di Roubaix, ma per quello ci vuole anche un po’ di fortuna. Il resto infatti non manca. Abbiamo tutti i materiali, non ci manca nulla. Questo passaggio alla pista per gli europei è stimolante, ma l’attenzione poi sarà principalmente per la strada».

Dopo lo smacco di Parigi, il titolo europeo lancia le azzurre verso la stagione su strada. Consonni è davvero sfinita
Dopo lo smacco di Parigi, il titolo europeo lancia le azzurre verso la stagione su strada. Consonni è davvero sfinita

Il quartetto d’oro

Ora che la magia si è compiuta, è ancora Vittoria a firmare la cartolina da consegnare agli annali del ciclismo, a capo di un inseguimento che non è stato del tutto indolore. Le difficoltà del UAE Tour hanno presentato il conto, ma alla fine i 4’14″213 sono bastati per rifilare 7 centesimi alla Germania che nel 2021 ci aveva regalato l’argento nei mondiali d Roubaix che permise loro di doppiare col titolo iridato l’oro di Tokyo.

«E’ stata una prova – ha detto ieri sera Guazzini dopo il titolo europeo – che abbiamo gestito con tanta intelligenza. Abbiamo esperienza nel correre insieme, anche se nei giorni scorsi non abbiamo potuto girare tanto. Ieri (mercoledì, ndr) ci siamo ritrovate in qualifica e siamo andate bene, quindi ci abbiamo creduto fino all’ultimo metro. Ognuno ha fatto la sua parte, ogni pedalata è stata quella che ci ha portato alla vittoria»

In un modo o nell’altro, ci sentiamo di aggiungere, quella pietruzza se la sono cavata dagli scarpini.

Gravel, il futuro è da scrivere. Ma le polemiche non fanno crescere

19.09.2024
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Quando lo raggiungiamo al telefono, Tomas Van der Spiegel è incastrato nel traffico di Bruxelles che al mattino è qualcosa di pazzesco. Lui dice che somiglia a quello di Milano e lo prendiamo subito per buono. L’amministratore delegato di Flanders Classics va sempre a mille. E così, dopo aver organizzato con il suo team i recenti campionati europei di Limburg 2024, ora fa rotta sugli europei gravel di Asiago del 13 ottobre, prima che arrivi come un tornado la stagione del ciclocross.

Il motivo della chiamata è proprio la gara di Asiago, dopo la reazione di Mattia De Marchi che, parlando a nome degli specialisti, ha puntato il dito sulla data e il tipo di percorso. La data, per la concomitanza con un altro evento in Spagna: il friulano ha scelto per questo di non correre gli europei. Il percorso, additato in quanto troppo facile e di conseguenza tracciato a suo dire per favorire gli stradisti e penalizzare chi di gravel vive tutto l’anno (in apertura Wout Van Aert agli scorsi mondiali di Treviso). 

Cosa pensi di questa polemica?

L’ho seguita, conosco bene Mattia. Direi per prima cosa che il gravel è una disciplina che sta cercando ancora il suo posto nel mondo del ciclismo. Conosciamo bene i problemi che ci sono con i calendari, non solo per la strada. Il ciclismo è molto popolare e il calendario è strapieno. Organizzare tutto l’anno eventi gravel per la comunità gravel è bellissimo. Anche io ne sono molto appassionato. Sono venuto a Conegliano due mesi fa per pedalare anche con Mattia. All’inizio dell’anno ho fatto The Traka da 360 chilometri in Spagna. Mi piace molto il gravel, però stiamo cercando di capire quale sia il suo posto.

Come si sceglie la data di un campionato europeo?

In quel periodo ci sono tanti eventi gravel e ancora tante gare su strada, non è facile trovare la data giusta. Si lavora con le Federazioni internazionale, con la UCI e la UEC, non sei tu organizzatore che scegli e glielo comunichi. Secondo me quello del calendario è il primo topic. E su questo sono d’accordo con Mattia che ci vuole anche tanto rispetto per la gente che fa gravel tutto l’anno e che sviluppa la disciplina.

Mattia De Marchi, qui ai mondiali 2023, è uno dei primi specialisti italiani del gravel
Mattia De Marchi, qui ai mondiali 2023, è uno dei primi specialisti italiani del gravel
Che cos’è per te il gravel?

E’ qualcosa di molto inclusivo per tutti e anche noi che organizziamo eventi stiamo cercando la formula giusta per le prove di campionato. E’ il metodo che in inglese si chiama trial and error, cioè provare e correggere in base ai risultati. Credo sia questo il processo che stiamo vivendo in questo momento. Magari quello di Asiago non sarà il percorso ideale, però dire che è fatto solo per gli stradisti mi sembra un po’ esagerato. Sono stato già tante volte sul posto, conosco l’area molto bene. Credo che sarà molto bello anche così e che potremo accontentare tanta gente, mentre non è sempre semplice o possibile accontentare tutti.

Ci sono tante diversità?

Ci sono gare di 100 chilometri e altre oltre i 300. Ovviamente ci sono gli specialisti delle prime e gli specialisti delle seconde. Allora credo che se troviamo un bel misto di corridori gravel, stradisti e corridori di ciclocross, perché ci sono anche loro, possiamo dire di aver fatto un bel lavoro. E’ solo il secondo campionato europeo, abbiamo i diritti anche per l’anno prossimo. Se qualcosa quest’anno non ci piacerà, potremo migliorarlo il prossimo.

Mentre parlavi pensavamo alla mountain bike, che ha i mondiali di cross country e quelli marathon, perché non è detto che tutti possano convivere negli stessi eventi, non trovi?

Potrebbe essere, non ci avevo ancora pensato. Dobbiamo tenere conto di alcune cose. Per esempio, oggi è molto importante poter raccontare la storia di una gara. Se ne fai una di 300 chilometri in mezzo al nulla, è molto difficile fare una produzione televisiva che funzioni. Allo stesso tempo, da amatore gravel io odio i circuiti. Soprattutto perché ci sono gare in cui ti tocca girare per 6-7-8 volte in anelli di 15 chilometri. Secondo me non è lo spirito giusto. Per cui dobbiamo trovare la formula giusta. Non avevo pensato al parallelo con la mountain bike, ma merita un approfondimento. Forse ha senso fare il sabato una gara più breve, magari con finale in un circuito più esplosivo. E poi una gara più lunga il giorno dopo.

Natan Haas e Lachlan Morton, primi due da destra, sono due specialisti del gravel di livello internazionale
Natan Haas e Lachlan Morton, primi due da destra, sono due specialisti del gravel di livello internazionale
Detto questo, è abbastanza chiaro che la presenza di Van der Poel, Van Aert, Pidcock e campioni del genere per i tifosi e per gli sponsor ha una valenza notevole, giusto?

Noi che siamo specialisti nel ciclocross, lo viviamo da anni. Oggi ci sono stelle della multidisciplina e credo che quello sia il futuro del ciclismo, del gravel e della strada. Non solo Mathieu, Wout e Tom, c’è anche Puck Pieterse fra le donne, c’è Fem Van Empel, c’è anche Thibau Nys che vince su strada e nel ciclocross… Forse il corridore del futuro è fatto così, anche per il gravel. Credo che questo sia un momento per raccogliere, dobbiamo usare questo fatto per far crescere anche il movimento. Dobbiamo trovare la via di mezzo. E’ vero che c’è questa comunità gravel che corre tutto l’anno, che ha i suoi appassionati, però per poter attrarre più gente bisogna anche avere delle stelle e credo che questa sia la vera sfida di oggi.

Nessuna polemica quindi?

Capisco molto bene certe frustrazioni, però credo che le polemiche non servano per far crescere il movimento. Dobbiamo guardare insieme come possiamo farlo. Dal mio punto di vista, il discorso è tutto qui.

Lo chiamano velocista gentile, ma questo Merlier non fa sconti

18.09.2024
6 min
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Domenica sera due uomini ad Hasselt non stavano nella pelle: Sven Vanthourenhout e Tim Merlier. Il tecnico della nazionale belga e il fresco campione europeo hanno visto i loro sogni esauditi. Anche se, rileggendo il film della corsa e dei giorni che l’hanno preceduta, sarebbe più corretto parlare di un piano ben riuscito. Si dubitava della possibile convivenza fra Merlier e Philipsen. E pur con l’assenza di Van Aert caduto alla Vuelta, pochi si erano soffermati sulla presenza in squadra di Jordi Meeus, vincitore lo scoro anno sui Campi Elisi a fine Tour. Invece Vanthourenhout ha realizzato un vero capolavoro. E dopo Wollongong 2022 con Evenepoel e la doppietta olimpica ugualmente con Remco (e il bronzo della crono con Van Aert), si è portato a casa anche il titolo europeo su strada. Quando il prossimo anno cambierà incarico, nessuno potrà rimproverargli di non essere stato un tecnico vincente.

Merlier esulta con la compagna Cameron (figlia di Frank Vandenbroucke) e loro figlio Jules
Merlier esulta con la compagna Cameron (figlia di Frank Vandenbroucke) e loro figlio Jules

Il treno per Philipsen

Contrariamente alle previsioni, il piano del Belgio era quello di dare a Philipsen il vero treno. Merlier invece, che ama muoversi con più libertà, si sarebbe arrangiato con la collaborazione di un solo uomo: Bert Van Lerberghe, suo amico dai tempi della scuola e suo leadout alla Soudal Quick-Step. Raccontano i corridori che all’uscita della riunione tutti erano convinti della scelta. I due velocisti più forti sono tornati nella loro camera d’albergo certi di avere la situazione per loro più confortevole. Pare che Vanthourenhout abbia avuto l’idea già dai giorni della Scheldepriijs, quando Merlier aiutato dal solo Van Lerberghe batté Philipsen che invece aveva schierato il treno della Alpecin.

Come ha raccontato dopo la corsa l’ultimo uomo del vincitore, perché certi finali vadano come si vuole, occorre che tutto prenda la piega giusta. Che il gruppo si apra davanti quando è il momento di lanciarsi e che la bici non abbia problemi di alcun tipo. Hanno raccontato che a Merlier sia caduta la catena ai 400 metri. Di solito per un problema del genere, non si riesce a fare la volata. Invece Tim l’ha fatta e anche forte. A capo di una corsa di 222,8 chilometri (dislivello di 1.261 metri), percorsa in 4 ore 37’09” alla media di 48,234, i dati Strava raccontano di una velocità massima di 72,9 chilometri raggiunta nello sprint.

Nel team belga, Philipsen aveva un treno tutto per sé. Per Merlier, il solo Van Lerberghe
Nel team belga, Philipsen aveva un treno tutto per sé. Per Merlier, il solo Van Lerberghe

La catena di Merlier

Il nuovo campione europeo, che per due volte era già stato campione nazionale, ci ha messo un po’ a capire di aver battuto tutti i velocisti più forti d’Europa. Ha confermato il salto di catena e quindi di non aver potuto fare la volata che aveva in mente. Il tempo di rimetterla su e si è lanciato, scacciando via l’alone di sfortuna che sembrava averlo ammantato nelle ultime settimane.

«Non ho capito bene cosa sia successo né come sia andata la volata – ha raccontato – so che all’improvviso la catena è caduta dal davanti. Ho cercato di farla risalire il più rapidamente possibile e in qualche modo sono riuscito a riprendere velocità. Forse è stata la mia fortuna, altrimenti sarei partito un po’ prima e con quel vento l’avrei pagata. Ho sentito le critiche. Ho lasciato il Renewi Tour per una caduta dopo un solo sprint. Sono caduto di nuovo ad Amburgo. E a quel punto ho pensato di rivolgermi al nostro mental coach, ma non l’ho fatto. Lunedì ho pedalato per quattro ore verso il confine francese, passando da un acquazzone all’altro. E’ andata meglio mercoledì e giovedì, con l’aiuto di Mario De Clercq che mi ha fatto allenare dietro moto. Sono arrivato al via con parecchia pressione addosso, è stato così per tutti».

Merlier a terra con Groenewegen nella prima tappa del Renewi Tour. Si ritirerà l’indomani dopo la crono
Merlier a terra con Groenewegen nella prima tappa del Renewi Tour. Si ritirerà l’indomani dopo la crono

Il ruolo di Van der Poel

Ai media piace così, a quelli belgi poi in maniera particolare. E questo ha fatto sì che i primi chilometri non siano stati esaltanti per Merlier, che pure un po’ da solo nella squadra deve essersi sentito. Nel gruppo davanti Mathieu Van der Poel, grande amico e compagno di squadra di Philipsen, faceva il diavolo a quattro. Correva per sé, per Kooij o per il compagno di squadra? E mentre per le prime due ore Merlier non ha avuto sensazioni eccezionali, quando la corsa si è infilata nel primo tratto di pavé, lo scenario è cambiato.

«Dicono spesso che per battere Merlier – ha raccontato – bisogna rendere la gara dura. In realtà di solito dopo le gare impegnative faccio delle belle volate, si è visto anche al Giro d’Italia. E ho capito che forse le cose stavano cambiando quando nel tratto di pavé di Manshoven ho bucato e ho trovato subito un uomo della nazionale con la ruota pronta. Solo dopo mi hanno detto che era Carlo Bomans (ex pro’ ed ex tecnico della nazionale, ndr). Nel giro precedente avevo visto che in quel punto c’era qualcuno con la felpa della nazionale. E dire che non foro quasi mai. Ho pensato che la sfortuna stesse per ricominciare e invece domenica se l’è presa con qualcun altro».

Ad Hasselt sotto il podio una folla oceanica: la vittoria di un corridore di casa ha fatto esplodere la festa
Ad Hasselt sotto il podio una folla oceanica: la vittoria di un corridore di casa ha fatto esplodere la festa

Il ciclismo che cambia

Ed è stato così che il velocista gentile ha marcato un bel punto a suo favore. Probabilmente questo non farà cambiare la considerazione generale nei suoi confronti, ma certo resta un bel punto a suo favore. 

«Sono un corridore cresciuto per gradi – ha raccontato – e forse sto crescendo ancora. Alcuni non mi considerano al livello dei migliori e noto che se non vieni elogiato dai media, sei destinato a rimanere piccolo. Io posso solo rispondere con i risultati. Il ciclismo è cambiato tanto negli ultimi dieci anni e a volte vedo juniores che lavorano più di quanto faccia io da professionista esperto a tempo pieno. Il livello delle gare è ogni anno più alto. Lo vedi dai numeri, dalle velocità in gara e quelle degli sprint. Guardate anche lo sprint di Hasselt. A 400 metri dal traguardo eravamo tutti lì, larghi quanto la strada, mentre una volta a quel punto della corsa c’era solo chi avrebbe fatto lo sprint. Per questo i tempi di lancio e posizionamento sono ancora più importanti. C’è sempre meno spazio e tanti fattori giocano un ruolo che può fare la differenza tra vincere o perdere».

Una foratura sul pavé, poi il salto di catena, ma alla fine Merlier e la sua bici ce l’hanno fatta
Una foratura sul pavé, poi il salto di catena, ma alla fine Merlier e la sua bici ce l’hanno fatta

Merlier è fatto così. La gentilezza, che a volte gli viene appuntata addosso quasi come un limite, fa parte di un modo di essere di cui va fiero. Nel confronto con gli altri sprinter forse paga in termini di immagine, ma di questa diversità si fa un vanto.

Il 2024 gli ha portato finora 15 vittorie e una maglia che potrà indossare ogni santo giorno sino al prossimo anno. Nessuna rivendicazione, salvo rispedire al mittente i dubbi di quanti credevano che il Belgio sarebbe tornato a casa con le ossa rotte. A lui sono bastati una chance e un solo compagno al fianco. Ma non era scontato che bastassero.

Petacchi, rivediamo insieme la volata di Hasselt

17.09.2024
6 min
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Tutto bene fino a 200 metri dall’arrivo, poi il patatrac e il titolo europeo va a Merlier con gli azzurri fuori dai primi 10. Poche parole per sintetizzare la corsa di Hasselt, ma riavvolgendo il nastro, la prova continentale ha detto molto di più. Certo, è facile giudicare col senno di poi, le vittorie arrivano sempre quando tutti i tasselli vanno a innestarsi perfettamente come in un puzzle e questo alla nazionale italiana non è riuscito. Rianalizzare la corsa serve però anche per capire non solo dove si è sbagliato, ma come funziona, nei particolari, la costruzione di una volata. Abbiamo rivissuto le ultime fasi dell’europeo sottoponendo a Alessandro Petacchi, che di volate se ne intende come pochi altri al mondo, 5 momenti specifici, attraverso i quali capire che cosa è successo e poteva/doveva succedere.

L’europeo in 5 fotogrammi dalla telecronaca Rai: qui il prezioso lavoro di Affini e Cattaneo
L’europeo in 5 fotogrammi dalla telecronaca Rai: qui il prezioso lavoro di Affini e Cattaneo

Il lavoro dei cronomen

Fino ai -2 chilometri, la squadra italiana aveva tenuto in mano le redini della corsa, questo almeno sembra trasparire dalle immagini televisive, quando Affini lascia le redini del treno azzurro a Cattaneo (parliamo dell’oro e del bronzo a cronometro…).

«Non dobbiamo però dimenticare – dice Petacchi – che poco prima la squadra azzurra, proprio attraverso loro due, aveva disinnescato la fuga dei 6 con Van der Poel, Pedersen e Laporte. Uno sforzo pesante che gli italiani si sono accollati appieno e questo è costato tante energie. Affini sarebbe stato utilissimo più avanti. Con la forma che aveva, poteva essere uno degli ultimi vagoni potendo portare Trentin e Ballerini ancora più vicini all’arrivo per il loro lavoro. Ma questa è la classica cosa che si può dire a posteriori.

«L’Italia d’altronde aveva una tattica obbligata – prosegue Petacchi – portare la corsa allo sprint. Era giusto, se hai un uomo come Milan in quella condizione. Era una tattica condivisa da tutti, non è che il cittì imponga. Il problema è che così la tattica era conosciuta anche dagli avversari, ma d’altro canto anche altre nazionali puntavano sulla volata, come il Belgio. Solo che i padroni di casa hanno rischiato lasciando fare agli italiani e alla fine hanno avuto ragione. A noi sarebbe servito avere un uomo in quella fuga: Trentin era deputato a seguire VDP come un’ombra, ma ci sta che ti può anche sfuggire».

Trentin ha preso in mano il treno azzurro, lanciandolo in velocità. Per ora tutto funziona
Trentin ha preso in mano il treno azzurro, lanciandolo in velocità. Per ora tutto funziona

L’impegno di Trentin

«Lungi da me l’idea di tirargli la croce addosso – ci tiene a sottolineare Petacchi – Matteo ha fatto un grandissimo lavoro e si vede quando il treno passa nelle sue mani. Ha svolto il compito in maniera magistrale, rispettando tutti i canoni della volata: si sposta al lato della strada consentendo ai componenti della fila azzurra di controllare solo una parte della carreggiata. Inoltre tiene una velocità altissima tanto che si vede la fila azzurra e dietro un gruppo sparuto, quelli che sono rimasti: gli altri treni. Lì però è emerso un fattore che sarà decisivo: il vento contrario. Venendo da dietro, quando vai avanti hai maggiore agio rispetto a chi tira che va controvento e ha consumato molte energie in più. Risalire è facile e infatti si vede il Belgio che rapidamente recupera».

Proprio il vento ha impedito a Trentin di mantenere la velocità alta quanto avrebbe voluto: «Il percorso era tutto rettilineo, aveva vento in faccia. Se si guarda Ballerini dietro di lui riesce a respingere una prima volta un belga, ma da dietro stavano comunque recuperando anche altri, proprio perché è più facile in quelle condizioni venire fuori da dietro».

Davide Ballerini si danna l’anima e rilancia, ma il Belgio sta venendo su al riparo dal vento contrario
Davide Ballerini si danna l’anima e rilancia, ma il Belgio sta venendo su al riparo dal vento contrario

Ballerini e la velocità

Quando Trentin si fa da parte, Ballerini prova a rilanciare, si alza anche sui pedali, ma la situazione si è fatta già più intricata.

«Il percorso stava cominciando a cambiare – avverte Petacchi – era infatti prevista nell’ultimo chilometro una sorta di chicane, ossia una curva a destra e subito a sinistra. “Ballero” ha tenuto alta l’andatura, ma il Belgio ha messo un uomo per risalire il gruppo e uno per sorpassare, sfruttando anche il fatto che avevano più uomini a disposizione. Questo ha permesso anche di far giocare le proprie carte sia a Merlier che a Philipsen. Ballerini il lavoro lo ha fatto bene, anche quando si è tirato da parte per lasciar libero Consonni, ma venendo da dietro un belga si era intanto messo davanti a Simone».

Consonni è davanti a Milan, ma i belgi gli vanno a tappare la strada. La corsa azzurra finisce lì…
Consonni è davanti a Milan, ma i belgi gli vanno a tappare la strada. La corsa azzurra finisce lì…

Le difficoltà di Consonni

Simone, se si guarda bene il suo lancio dello sprint, era stato bravo a ritrovare il varco all’estrema sinistra, il fatto è che dietro Milan non c’era più e Petacchi lo specifica.

«Il problema è stato lì – dice – si sono persi. Probabilmente Jonathan si è toccato a destra con qualcuno, perché seguendo l’azione del Belgio anche altri corridori si erano frapposti. Ad esempio Laporte si era portato avanti e avrebbe anche lui bloccato sul nascere l’azione di Milan. Consonni non ha sbagliato, sono stati i belgi a fare tutto nel modo giusto e Milan a destra non poteva più uscire. Magari quando Ballerini si è tirato via bisognava spingere a tutta, ma c’era vento.

«Lo si vede anche dal fatto che la volata è a ventaglio – continua Petacchi – e chi veniva da dietro era favorito. Forse Jonathan poteva essere un po’ più a destra di Consonni al passaggio fra Ballerini e quest’ultimo, ma sono ipotesi. In quella situazione, Milan la volata non ha proprio potuto farla, ha provato 2-3 volte ma era sempre stoppato».

Simone ha ritrovato strada libera, solo che Milan ormai è alla sua destra, con un muro davanti
Simone ha ritrovato strada libera, solo che Milan ormai è alla sua destra, con un muro davanti

La gamba di Milan

Molti osservatori hanno sentenziato che l’olimpionico non avesse la gamba giusta per la volata: «E come si fa a dirlo se la volata non ha potuto farla? Per me il vento ha giocato un ruolo decisivo: guardate Merlier come viene su, lo stesso dicasi per Kooij, mentre Philipsen non ha avuto quel cambio di ritmo che gli è riconosciuto. Tim è uno che adora questo tipo di sprint, aveva gambe eccezionali e sa scegliere il tempo giusto per saltar fuori.

«Io dico che un giudizio su Milan non si può proprio dare, perché la volata non si è messa in maniera tale da permettergli di emergere. Non ci sono stati grandi errori da parte azzurra, ma piccole mancanze che alla fine hanno pesato. Si era scelta una tattica, ma non ha pagato».

Wiebes imbattibile, ma Balsamo rialza la testa: argento che vale

14.09.2024
4 min
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HASSELT (Belgio) – Nella gara delle donne elite, bruciante vittoria dell’olandese Lorena Wiebes su Elisa Balsamo, con la polacca Daria Pikulik al terzo posto. Da sottolineare la prova magistrale di tutte le azzurre. Elisa Balsamo, Rachele Barbieri, Elena Cecchini, Maria Giulia Confalonieri, Chiara Consonni, Barbara Guarischi, Vittoria Guazzini e Gaia Masetti hanno corso alla perfezione, conquistando con la Balsamo (argento) la quinta medaglia di questi europei.

Eravamo una delle squadre da battere e abbiamo dimostrato di saper gestire questo tipo di pressione. A contenderci il titolo c’erano le solite olandesi con la campionessa uscente Bredewold e la fortissima Wiebes (l’anno scorso seconda). Oggi la vittoria è stata di una bici sulla nostra Elisa. Poi, con l’assenza dell’iridata Kopecky (oro nella crono di mercoledì scorso), di Marianne Vos e Demi Vollering, il pronostico era apertissimo.

Wiebes imbattibile: Balsano è seconda, ma quasi con distacco
Wiebes imbattibile: Balsano è seconda, ma quasi con distacco

Zolder e poi il pavé

La gara si è disputata su 162 chilometri tra Heusden-Zolder e Hasselt. Il percorso comprendeva due circuiti. Il primo, chiamato “Hasselt” (14,5 chilometri), percorso all’inizio (un giro e mezzo) e alla fine (un giro e mezzo) della gara, senza difficoltà particolari. Il secondo, “Limburg”, è stato affrontato a metà gara per due volte. Lungo 33 chilometri, è stato molto insidioso, con due salite classificate. il Kolmontberg (800 m al 4,5 per cento) e lo Zammelenberg (800 m al 4,3 per cento), oltre a due settori di pavé: Manshoven (1.400 m) e Op de Kriezel (1.550 m), entrambi in leggera salita.

Con il successo della Wiebes (il novantesimo in carriera), dalla prima edizione dell’Europeo per le élite, nel 2016, il titolo è andato otto volte su nove a una ciclista olandese. Solo l’italiana Marta Bastianelli, nel 2018, ha interrotto l’egemonia delle “Oranje”.

«Voglio ringraziare le mie compagne di squadra», dice Elisa Balsamo. «Abbiamo corso bene, io ho fatto la miglior volata possibile e va bene così. Anche oggi Lorena (Wiebes, ndr) è stata più forte… e bisogna accettarlo. Noi avevamo scelto la scia di sinistra perché era palesemente la migliore, la più veloce perché in curva. Il piano era questo. Chi tirava si spostava a destra e chi faceva la volata si buttava a sinistra. Abbiamo eseguito tutto alla perfezione, ma purtroppo non è bastato».

Guazzini e Consonni a ruota: la coppia d’oro di Parigi oggi al lavoro per Elisa Balsamo
Guazzini e Consonni a ruota: la coppia d’oro di Parigi oggi al lavoro per Elisa Balsamo

Un CT soddisfatto

Paolo Sangalli ha commentato: «Il secondo posto brucia sempre, ma dobbiamo riconoscere il merito a una ciclista come Lorena Wiebes, che è di un livello stratosferico. Le ragazze sono state bravissime, hanno aspettato il momento giusto per andare davanti. Il treno della Wiebes è saltato, come a Monaco, e loro sono state perfette. E’ mancata solo un po’ di fortuna. È stato un finale convulso e rischioso, con sportellate a destra e sinistra, ma va bene così».

Sangalli ha aggiunto: «E’ molto bello. Dopo le medaglie nella crono con Marco Velo, che oggi mi guidava la macchina, siamo un tutt’uno, ed è davvero bello lavorare con lui. Ieri con le U23, oggi con le élite, e domani proveremo a far risultato con le nostre juniores. Due gare, due medaglie: possiamo essere contenti. L’Italia c’è, il gruppo c’è. Infine, un plauso a tutte le ragazze e al mio staff, che è stato perfetto anche sul percorso».

Sul podio degli europei, Wiebes e dietro Balsamo e Pikulik
Sul podio degli europei, Wiebes e dietro Balsamo e Pikulik

La sofferenza di Marta Bastianelli

In sofferenza davanti al maxi-schermo vicino al podio, Marta Bastianelli, l’unica finora ad aver interrotto l’egemonia delle “Oranje” in questa competizione con il suo successo nel 2018, ha condiviso il suo pensiero.

«E’ un ruolo diverso – dice – vedendo tutto da fuori, vi confido che ora vado più in ansia di quando correvo. In ogni caso, le ragazze hanno fatto un bellissimo lavoro. La volata è stata ottima, ma la Wiebes è superiore in questo momento. La Balsamo non deve recriminarsi nulla, e tutta la squadra è da elogiare, dall’inizio alla fine. Credo che oggi siamo stati gli attori principali di questa corsa. Meritavamo la vittoria, ma complimenti a Lorena. Ci sarà un’altra occasione per riprovarci».

Brave a tutte, domani toccherà alle juniores e ai professionisti, sperando che Jonathan Milan faccia ancora meglio di Elisa.