Pogacar, un solo colpo, ma giusto per vincere il Lombardia

09.10.2021
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Doveva solo decidere dove e quando, anche se non tutti pensavano che stavolta fosse forte abbastanza. Nell’anno dei vincitori debuttanti, dopo Colbrelli alla Roubaix, Tadej Pogacar si porta a casa il Giro di Lombardia con un’azione delle sue. Tutti aspettavano Roglic dopo le prove all’Emilia e al Gran Piemonte, ma forse a fine stagione si fa meglio a dosare le forse per giocarsi tutto sul bersaglio grande.

«Non so lui – dice il giovane sloveno – nel mio caso non direi che in quelle corse ho cercato di risparmiarmi. Semplicemente i brutti giorni possono capitare. Io ho sempre cercato di fare il massimo. Non sapevo cosa sarebbe successo qui oggi…».

Dopo l’arrivo è crollato sull’asfalto, sfinito e incredulo
Dopo l’arrivo è crollato sull’asfalto, sfinito e incredulo

Da Como a Bergamo

Il Lombardia da Como a Bergamo è sempre un boccone faticoso da masticare, pur riconoscendo il valore di tornare con una simile festa nella Bergamo straziata dal Covid. Sapevamo che sarebbe stato bello, ma forse la corsa avrebbe diritto ad un’identità più precisa, che renda possibile comparazioni e racconti incrociati. Non è forse vero che fra tutte le prove monumento, questa sia la sola che cambia spesso percorso e salite?

Ci arrivi a fine stagione, come quando alla fine di un lungo viaggio vai a sederti nella trattoria di sempre. Solo che invece di trovare i piatti e i sapori che rendono classico quell’appuntamento a tavola, un giorno scopri un menù totalmente diverso. Il cuoco è bravo, non mangerai male. Ma è innegabile che per un po’ dovrai convivere con la sorpresa.

Davvero strano il Ghisallo in partenza e percorso al contrario…
Davvero strano il Ghisallo in partenza e percorso al contrario…

Un bel momento

Mancavano 36 chilometri all’arrivo, quando Pogacar ha colto l’ispirazione ed è partito. In quei frangenti è questione di attimi. E se dal gruppetto di testa sul passo Ganda va via Pogacar, uno come Alaphilippe deve seguirlo: non fare calcoli o pensare che si rialzerà. Pogacar non attacca mai a vanvera. Invece il campione del mondo ha esitato, forse non avendo le gambe per fare diversamente. E così nella scia dello sloveno si è lanciato Fausto Masnada, che le strade qui intorno le conosce molto bene, visto che ci è nato.

«Era già da un po’ – racconta Pogacar – che Formolo e Majka venivano a chiedermi cosa avremmo fatto, ma onestamente fino all’ultima salita non ne avevo idea. In quel momento invece mi è venuta l’idea di capire come stessero gli altri e ho provato. E’ stato un bel momento. Sapevo dov’ero e cosa stavo facendo.

«E anche quando Masnada ha smesso di tirare, ho capito che non potevo costringerlo. Alla radio sentivo i vantaggi, sapevo di dover andare il più regolare possibile e poi fare la salita finale al massimo. Mentre allo sprint… Poteva anche rimontarmi, ma sapevo che potevo giocarmela».

Nel 2022 un altro Tour

I paragoni si rincorrono e tutto sommato viene da chiedersi a cosa serva chiedere e cosa ci si aspetta che risponda quando gli dici che solo Coppi e Merckx prima di lui hanno vinto nello stesso anno il Tour e due prove monumento. Nel suo caso la Liegi e il Lombardia.

Le misteriose gomme azzurre della Jumbo? Ce le spiega Vittoria
Le misteriose gomme azzurre della Jumbo? Ce le spiega Vittoria

«Mi piace correre – dice col massimo candore – mi piacciono le classiche e le corse a tappe, che per certi versi sono più interessanti. Fare paragoni è difficile. Alla storia francamente non ci penso. Quello che mi piace fare è andare sulla mia bici, godermi il momento e non pensare a cosa farò da grande. Il mio sogno è godermi il ciclismo più che posso. E quando tutto questo finirà, cercherò altri obiettivi. Ma non è ancora il momento.

«Presto si parlerà di programmi per il prossimo anno e sarà composto da grandi corse, ma non dal Giro. Mi piacerebbe fare Giro, Tour e Vuelta. Ma è impossibile fare tutto e l’anno prossimo l’obiettivo principale sarà nuovamente il Tour».

Pensiero a Peiper

Chi sperava di vederlo al Giro, avrà ora un brutto colpo. La sensazione è che l’italianità supposta della Uae, in cui ci ostiniamo a vedere le vestigia della Lampre, sia ormai tramontata da un pezzo. Per cui il fascino immenso del Giro, che da italiani sentiamo forte e a suo modo sacro, non attacca in un corridore che non preoccupandosi (giustamente) di entrare nella storia, forse non sa neanche troppo bene chi sia quel Coppi cui ci si ostina a paragonarlo. Ma l’ultimo pensiero per Allan Peiper è pieno di delicatezza.

«Lo conobbi anni fa – dice – alla corsa di Cadel Evans in Australia. Poi abbiamo iniziato a collaborare e abbiamo vinto insieme il Tour. Gli auguro tutto il meglio e di portare avanti la sua lotta».

Il tecnico australiano del UAE Team Emirates sta lottando contro un cancro e le sue apparizioni nel ciclismo sono sempre più rare. Nel parlare di lui, il pacifico Tadej Pogacar è parso commuoversi.

Lombardia, finale inedito con Masnada… al volante

07.10.2021
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La 115ª edizione del Giro di Lombardia vivrà una delle sue fasi calde nello scenario delle mura veneziane di Bergamo Alta, che dal 9 luglio 2017 sono Patrimonio Unesco e che per la prima volta dalla nomina tornano protagoniste di una corsa. Qui, sullo strappo di 1,6 chilometri che terminerà ai 3,5 dall’arrivo, chi avrà gambe, coraggio e astuzia potrà tentare il colpo di mano.

Strettoia e ciotoli

La salita inizia dalla strettoia che sfiora la chiesa parrocchiale del quartiere Valverde (omonimia da sottolineare, chissà…) nella quale bisognerà passare in buona posizione, se il gruppo sarà ancora folto. Pochi metri, ma importanti. Così come restare davanti nel tratto centrale di acciottolato, di 200 metri, per assicurarsi il corridoio di destra, lastricato, senza sconnessioni. Poi la “esse” che porta nel drizzone della Boccola (la via che porta nel cuore del centro storico), che è tutto un crescendo di pendenza, fino al sottopasso che sbuca in Colle Aperto.

Trampolino e picchiata

Si respira 50 metri, poi il tranello. Un trampolino di 100 metri che sembra tuffarsi nella città bassa e sull’aeroporto di Orio al Serio, da cui potrebbe decollare chi avrà un briciolo di freschezza, rilanciando e gettandosi giù dalle Mura. Picchiata velocissima fino al traguardo di via Roma: c’è solo da “pinzare” secco per passare da Porta di S.Agostino, a 1.800 metri dall’arrivo.

Ultimo arrivo così: 15ª tappa del Giro 2017, vinse Bob Jungels in volata ristretta. Quando il Giro o il Lombardia affronta questo finale, nessuno è mai riuscito a staccare tutti, ma quest’anno si arriva con 4.500 metri di dislivello nelle gambe e 239 chilometro di acido lattico schiumante. Perché dopo la mitica ascesa del Ghisallo e una cinquantina di chilometri di relax, ci saranno da scalare cinque salite bergamasche in 115 chilometri: Roncola, Berbenno, Dossena, Passo Zambla e Passo Ganda.

A casa di Masnada

Salite di cui Fausto Masnada conosce ogni metro e ogni buca, lui che è di Laxolo, frazione di Val Brembilla a due passi dal Berbenno.

«Passerò davanti alla porta di casa – spiega il corridore della Deceuninck-Quick Step – sono strade che farei a occhi chiusi».

La Roncola è una salita dura, ma lontana dall’arrivo. Il Berbenno si fa in scioltezza, a Dossena qualcuno potrebbe tentare un attacco da lontano, mentre l’arrivo a Zambla è più panoramico che complicato.

«La gara si farà sul Passo Ganda – rivela Masnada – una salita vera. Anche le altre lo sono, ma quella è vicina al traguardo ed è la più dura».

Sono 9,2 chilometri al 7,3 per cento che faranno male. Dopo i primi chilometri secchi, la salita diventa pedalabile, ma è negli ultimi due chilometri che si affrontano le pendenze più severe. Ma non è finita.

«Bisognerà stare attenti nel tratto tra il passo e l’inizio della discesa di Selvino – spiega Masnada – c’è un saliscendi dove se lasci una decina di secondi, poi fai fatica a cucire il buco».

Il Lombardia del 2020 fu vinto da Fuglsang su Bennett e Vlasov
Il Lombardia del 2020 fu vinto da Fuglsang su Bennett e Vlasov

Tutti contro Alaphilippe

Anche perché la discesa di Selvino si snoda in 19 tornanti tutti da “rilanciare”. Dal termine della discesa all’inizio dello strappo di Bergamo Alta c’è una decina di chilometri con pendenza favorevole.

«E’ un percorso selettivo – chiude Masnada – e tutti correranno contro di noi che abbiamo Alaphilippe (i due sono insieme nella foto di apertura alla Milano-Torino, ndr). Io sto bene, spero di avere la gamba buona e sento già l’emozione di correre in casa: quando c’è un tifo come quello della Boccola, non senti nemmeno la fatica». 

Da quando le mura veneziane che cingono Città Alta (come i bergamaschi chiamano quello che si può definire il vero centro storico della città) sono state nominate Patrimonio Unesco – era il 9 luglio 2017 – nessuna corsa ciclistica è più passata da qui.

Rossella Ratto dice basta, ma lascia col sorriso

16.09.2021
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Le ultime pedalate sulle strade francesi del Tour de l’Ardeche – gara a tappe disputata dall’8 al 14 settembre – le ha prodotte sapendo già del suo futuro lontano dal ciclismo agonistico. E non devono essere state facili visto che era arrivato un incoraggiante quinto posto in fuga nella sesta frazione con poche settimane di corsa nelle gambe. Ma alla fine Rossella Ratto – campionessa europea junior su strada e crono nel 2011, bronzo al mondiale elite nel 2013 nella prova in linea e vittoria del Giro dell’Emila nel 2014 – ha deciso di dire basta con un post sui suoi profili social, come si conviene in questa epoca.

L’atleta della Bingoal Casino Chelvalmeire – che compirà 28 anni il prossimo 20 ottobre – ha vissuto una prima parte di 2021 non tanto semplice: a febbraio è rimasta vittima di un incidente in allenamento, poi il 4 marzo le hanno notificato le dimissioni dal gruppo sportivo delle Fiamme Azzurre (il corpo di polizia penitenziaria per il quale era tesserata) per mancanza di risultati.

Ai mondiali di Ponferrada conquista il 13° posto poi vincerà il Giro dell’Emilia
Ai mondiali di Ponferrada conquista il 13° posto poi vincerà il Giro dell’Emilia

La Ratto in effetti arrivava da un periodo di chiaroscuro iniziato l’anno scorso complice il covid-19 ma non si è persa d’animo. Lo scorso novembre ha conseguito la laurea magistrale in Scienze della Nutrizione dopo la triennale in Alimentazione e Gastronomia ottenuta a marzo 2019. Quest’anno una volta recuperato dall’infortunio ha dovuto ottimizzare i tempi pedalando e studiando per dare e passare l’esame di stato (il 20 luglio) per l’abilitazione a biologo. «Mi sono allenata fino a quel giorno ascoltando nelle cuffie il podcast delle lezioni anziché la musica», ci dice con un pizzico di soddisfazione.

Rossella, partiamo da questa tua decisione che un po’ ci ha spiazzati, visto che sei ancora giovane.

Lo so, ma l’ho presa in maniera ponderata. Ho vissuto intensamente i primi anni della mia carriera. Sostanzialmente dopo tanti infortuni e sfortune dai quali mi sono sempre rialzata, stavolta covavo da un po’ di chiudere la carriera questa stagione. Volevo onorare il contratto con la mia squadra però il ciclismo non mi stimolava più come prima.

La tua squadra come l’ha presa?

Eh, sono rimasti spiazzati anche loro perché gliene ho accennato proprio a fine Ardeche. Il mio diesse Davy Wijnant, che conosco fin dal 2013 quando ero con lui nella Hitec Products e che mi aveva rivoluto l’anno scorso, è rimasto sorpreso ma ha capito le mie motivazioni. Voglio ringraziarli perché sono stata bene con loro.

E le motivazioni quali sono state?

Sono state una serie di tante cose su cui ragionavo da tanto tempo. Lo studio è alla base, pensavo già ad un futuro immediato mettendo in pratica le mie lauree. Nel 2015 ho avuto problemi con la celiachia, attualmente ero ancora alle prese con un polso rotto nel 2018 che mi fa ancora male sotto sforzo e ultimamente mi condizionava troppo. Poi l’incidente di febbraio è stato un mezzo segnale. Infine è arrivato il licenziamento dal gruppo sportivo delle Fiamme Azzurre. A quel punto prepararsi per fare buoni piazzamenti diventava molto difficile.

Le dimissioni dalle Fiamme Azzurre come le hai vissute?

Male chiaramente, anche se avevo capito da qualche anno che sarebbero arrivate a breve. Loro dicono per mancanza di risultati e ci può stare. Ma in pratica nelle ultime due stagioni non ho corso come avrei dovuto o voluto. Sono dispiaciuta per le tempistiche, ma non ho risentimenti con loro. Anche perché ho un contratto a tempo indeterminato che mi permette di vivere presso il carcere di Bergamo dove lavoro (vive a Cene, ndr).

Ratto corre anche a Richmond 2015 e raccoglie Bronzini con la bici rotta…
Ratto corre anche a Richmond 2015 e raccoglie Bronzini con la bici rotta…
Come va lì? Cosa fai?

Bene, perché so che è un’esperienza che rimarrà per sempre nel mio bagaglio personale. La mia giornata principalmente si sviluppa in segreteria, dove gestisco documenti del personale della Polizia Penitenziaria. Però faccio anche servizi a contatto con i detenuti, come le traduzioni.

E con allenamenti e gare come hai fatto quest’anno?

Prendendomi le ferie ed ottimizzando i tempi. Però ho dimostrato a me stessa che potevo farcela a tornare a correre e ritrovare il ritmo gara dopo quasi tre anni. Anzi essere davanti per me è stata una vittoria. E dall’Ardeches, dopo una settimana bella tosta, sono uscita con una bella gamba.

C’è la possibilità quindi che tu possa ripensarci?

Direi proprio di no. In realtà c’è ancora in ballo la mia possibile partecipazione alla Tre Valli Varesine Women (in programma il 5 ottobre, ndr), la farei volentieri ma non c’è nulla di certo e quella sarebbe comunque l’ultima. Adesso sono contenta di come ho gareggiato in Francia con pochissimi giorni di corsa nelle gambe. Ci sono andata dopo aver fatto cinque tappe al Baloise Tour in Belgio in luglio e altre quattro al Giro di Norvegia in agosto. 

L’ultima corsa di Rossella Ratto è stato il Tour de l’Ardeche. Forse correrà la Tre Valli Varesine (foto Instagram)
L’ultima corsa di Rossella Ratto è stato il Tour de l’Ardeche. Forse correrà la Tre Valli Varesine (foto Instagram)
A questo punto devi far incastrare gli impegni di lavoro? Quali progetti hai? Magari coinvolgendo i tuoi fratelli ex corridori?

Nei prossimi giorni dovrò capire bene cosa fare ed eventualmente come far combaciare tutto. Sentirò sia Daniele sia Enrico (rispettivamente Ratto e Peruffo, suoi fratelli, ndr) che hanno entrambi un negozio di bici per fare qualcosa anche con loro. L’idea è quella di restare nell’ambiente, mi piacerebbe fare una sorta di giornalismo ciclo-gastronomico, ma il sogno sarebbe lavorare con i giovani ed insegnare loro come alimentarsi a dovere. C’è troppa esasperazione sul peso dei ragazzi che corrono, l’ho vissuto sulla mia pelle. Ho scelto quelle facoltà apposta ed ora vorrei diventare una linea guida per loro.

MARC, nuova identità per sfidare il mercato tessile internazionale

29.07.2021
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MARC è un’azienda specializzata nella produzione di elastici, nastri e tessuti siliconati altamente performanti per i settori sportswear, fashion e workwear. Elastici che attualmente sono esportati in tutto il mondo. Con oltre 30 anni di esperienza alle spalle, l’azienda lombarda si presenta oggi con una nuova identità e un nuovo portale per affrontare al meglio le sfide che impone il mercato globale.

Fabio Aceti, general manager MARC con la madre Mary
Fabio Aceti, general manager MARC con la madre Mary

Nuovo slogan, nuovo sito

Per celebrare questa nuova fase, è stato ideato il claim “The last detail”, che gioca sul troncamento della parola “elastic” e che vuole simboleggiare la capacità dell’azienda di differenziarsi rispetto alla concorrenza. Come? Grazie a quell’ultimo dettaglio che rappresenta un valore aggiunto nel confezionamento di capi dagli elevati standard qualitativi.

Contestualmente è stato rinnovato il sito aziendale, strumento fondamentale per presentarsi nel modo migliore sul mercato tessile internazionale. Il nuovo sito dedica ampio spazio alle diverse tecnologie che hanno reso famoso MARC in tutto il modo.

Sport, sportwear, lavoro, fashion: Marc è impegnata a 360°
Sport, sportwear, lavoro, fashion: Marc è impegnata a 360°

Grande attenzione alla ricerca

Dal 2016 MARC è diventata un punto di riferimento per il settore sportswear ed in particolare modo  per il ciclismo, grazie anche all’inaugurazione della nuova sede di Bergamo, a cui ha fatto seguito un processo di crescita del reparto commerciale e del marchio. 

Oggi sono diversi i punti di forza dell’azienda, a partire da una grande capacità produttiva favorita da una costante ricerca e sviluppo di soluzioni innovative. Queste ultime permettono di lavorare i filati selezionati realizzando le finiture più complesse con puntualità e precisione. 

Il servizio di consulenza è molto importante in Marc. Specialmente per quel che riguarda la customizzazione delle richieste dei clienti, i quali sono seguiti passo passo: dalla scelta della materia prima al prodotto finito. Particolare attenzione viene infine riservata all’impatto che il processo produttivo ha sull’ambiente. 

La sede di Marc: macchinari d’avanguardia e produzione green
La sede di Marc: macchinari d’avanguardia e produzione green

Marc e il futuro

«Dal 2015 – spiega Fabio Aceti, general manager di MARC – registriamo una costante crescita del 10% all’anno: sia in termini di fatturato che di clientela acquisita. Nell’ultimo biennio abbiamo raddoppiato i posti di lavoro con l’apertura della sede di Bergamo. Uno sviluppo che sarà sempre guidato da un piano di azione ispirato ai valori dell’economia circolare. Ad oggi riutilizziamo al 100% gli scarti e il 35% del campionario è realizzato con materiale riciclato. L’efficientamento di tutte le attività, come un parco macchine per l’80% di ultimissima generazione, ci ha assicurato autonomia energetica per l’80% generata dal nostro impianto fotovoltaico e per il 20% acquistata da fonti rinnovabili». 

marc

Rota: «Stavo per smettere, ma riparto dal WorldTour»

Giada Gambino
13.02.2021
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Il nuovo corridore della Wanty Intermarchè, Lorenzo Rota, per fare un po’ di altura è andato in Sicilia e si è rifugiato nel caldo clima dell’isola e per sfruttare al meglio l’Etna, dove ha trovato la compagnia di Chirico alle prese con gli ultimi giorni di ritiro. Ma, ad accompagnarlo nei caldi innevati allenamenti siciliani, c’è anche Simone Velasco. Così, il bergamasco, 25 anni, si racconta tra i burrascosi momenti passati e il tanto ottimismo per il futuro… 

Com’è entrato il ciclismo nella tua vita ? 

Giocavo a calcio e non mi faceva impazzire. Un mio compagno di scuola un giorno mi disse che sarebbe andato a provare una bici da corsa, insistetti con i miei genitori per fare ciclismo. E così iniziai. 

Lo scorso anno alla Vini Zabù, Rota ha ritrovato il giusto feeling con il ciclismo
Nel 2020 alla Vini Zabù, Rota ha ritrovato il feeling
Le prime garette… 

Andavano abbastanza bene, fin da piccolo me la sono sempre cavata. Dai dilettanti in poi è cambiata la musica, il livello si è nettamente alzato, ma sono riuscito a difendermi. I primi anni da professionista sono stati duri, forse sono passato troppo presto dal momento che ciò è avvenuto al primo anno U23 e non ero pronto fisicamente e mentalmente. La fatica dei primi anni probabilmente è stata anche dettata dal fatto che non avevo un grande feeling con la squadra, la Bardiani. 

Dodici mesi fa… 

Avevo quasi smesso di correre. Dopo quattro anni con la Bardiani, nonostante i vari piazzamenti, non ero riuscito a trovare una squadra, avevo avuto dei contatti ma non erano andati a buon fine. Ho passato la prima parte dell’inverno ad allenarmi duramente nell’attesa di un contratto che, fortunatamente, nonostante il ritardo, è arrivato dalla Vini Zabù

Quel quinto posto al Laigueglia ? 

Avendo svolto un inverno di intenso allenamento, fin dalle prime corse mi sono sentito bene e in condizione. Quel piazzamento è stata la conferma del fatto che anche io potevo ritagliarmi un posto tra i professionisti. Dopo certi momenti difficili, iniziare la stagione così è stata un’iniezione di fiducia e, non a caso, le corse dopo sono andate tutte abbastanza bene. Nel mio momento migliore, però, si è fermata la stagione a causa del Covid, ma ero comunque già contento di ciò che avevo fatto

Sull’Etna, Rota si è allenato con Chirico e Velasco, sceso con lui in Sicilia
Sull’Etna, Rota si è allenato con Chirico e Velasco
E adesso nel WorldTour…

Nella scorsa stagione ho ritrovato qualcosa in più, forse sono maturato sia fisicamente che mentalmente. Sono comunque riuscito a mantenere un buon livello pre e post quarantena e questo mi ha permesso di farmi notare dalla Wanty Intermarchè. Mi hanno contattato e nel giro di due giorni ho avuto il contratto… ho colto l’occasione al volo!

Questa maturità da cosa è scaturita?

Col senno di poi siamo tutti bravi a parlare, ma penso che essere passato presto tra i professionisti non sia stato un punto a mio favore. Mi ha fatto prendere tante batoste. Non ho cambiato molto il mio modo di allenarmi da un punto di vista tecnico, ma ho visto una crescita nell’affrontare ciò che mi succede, le gare e l’allenamento. Ho fatto quel salto di qualità di cui avevo bisogno per essere competitivo e stare tranquillo. Adesso vedo corridori giovanissimi come Remco che riescono a fare cose incredibili, ma per quanto mi riguarda non è stato così. Ho avuto anche un paio di cadute brutte che mi hanno fatto perdere condizione e ritmo. A quei livelli, ritrovarti a inseguire qualcuno che va più forte di te non è semplice. 

Cosa non ti ha fatto mollare nel periodo buio? 

Ho sempre sostenuto una cosa… Se avessi avuto la possibilità di esprimermi nel modo in cui volevo, con certi materiali e certe programmazioni di calendario, avrei potuto fare qualcosa di buono. Finalmente quando lo scorso anno sono arrivato alla Zabù ho ritrovato tutto ciò e ho iniziato ad affrontare il ciclismo in modo diverso: per obiettivi. Sapevo che se avessi continuato ad allenarmi nel modo giusto, prima o poi qualcosa di bello sarebbe saltato fuori. Non volevo smettere con il rimpianto di non aver dato tutto. 

Rota ha ammesso di essere passato troppo presto. Qui con l’amico Masnada
Rota: «Sono passato troppo presto». Qui con l’amico Masnada
Oltre la bici, qualche passione ? 

Non ne ho di particolari o meglio… le moto! Tempo fa sono riuscito ad andare a vedere una gara di MotoGp e spero di poter andare presto a vederne una di Formula Uno. 

In questa nuova stagione…

Mi piacerebbe fare una buona prima parte e mi sto preparando per quello, in modo da poter staccare un poco a maggio e fare un finale altrettanto buono. So che è un obiettivo abbastanza grande, ma mi piacerebbe essere competitivo nelle corse di un giorno e migliorare i piazzamenti che ho fatto lo scorso anno in gare come il Lombardia o la Milano-Sanremo. Fare quel passettino avanti per entrare in top 10.

Quale grande corsa a tappe è nel tuo calendario ? 

Farò la Vuelta probabilmente. Le corse di tre settimane, se devo dire la verità, non sono mai riuscito a prepararle al meglio. Per questo penso che concentrarmi sulle gare in linea che rispecchiano più le mie qualità sia la cosa migliore. 

Da under 23, Rota ha vinto il Giro delle Pesche Nettarine. Qui con Pearson e Garosio
Da U23, ha vinto il Pesche Nettarine: qui con Pearson e Garosio
Un ricordo indelebile che ti ha regalato il ciclismo ? 

Una trasferta fatta con Masnada lo scorso anno in Colombia. Tralasciando l’allenamento, ci siamo ritrovati in un mondo completamente diverso dal nostro. Vedere altre culture e modi di vivere così lontani da noi ti arricchisce a livello personale

Fausto Masnada… 

Mi alleno spesso con lui a Bergamo. Gli devo tanto, il suo essere meticoloso e il suo allenarsi in modo professionale è stato una fonte di ispirazione e mi ha aiutato davvero molto. Ha ottenuto tanti risultati, è un grandissimo atleta e lo ha dimostrato anche al Giro 2020. Lo vivo tutti i giorni e vedo come va e dove può arrivare… davvero lontano. 

Persico, una dinastia a pedali: Silvia racconta…

19.01.2021
4 min
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Silvia Persico tra strada e ciclocross non perde mai la voglia di andare in bici, seguire i propri sogni e rendere orgogliosi i suoi fratelli. Sono cinque e tutti hanno corso in bicicletta. A volte pensa a quando da ragazzini andavano a casa della nonna in montagna e tra loro facevano le gare che, naturalmente, era sempre lei a vincere. 

Com’è nata la tua passione per il ciclismo ? 

Ho cominciato quando avevo sette anni un po’ per caso. Vicino casa mia c’era una pista dove vedevo allenarsi sempre diversi ciclisti. Così, il giorno del mio compleanno chiesi ai miei se potevo ricevere come regalo una bici da corsa. Una richiesta, forse, un po’ inusuale da pare di una bambina. I miei ebbero alcune difficoltà nel trovarne una della mia misura, decisero di iscrivermi in una squadra e trovarono subito quella adatta a me. Da quel momento non ho più smesso. Il ciclocross invece l’ho scoperto più tardi tramite Arzeni, il mio preparatore

SIlvia corre su strada con la Valcar, ma ammette di preferire il cross
SIlvia corre su strada con la Valcar, ma ammette di preferire il cross
Cinque figli, tutti siete saliti su una bici da corsa…

Ho cominciato prima io, poi mio fratello maggiore Andrea, poi Simone, Davide e Chiara la più piccola. Davide è l’unico che ha continuato a correre ed adesso è alla Colpack, mio fratello maggiore fa l’architetto, Simone ha avuto sempre la testa al calcio e Chiara ha provato tanti sport diversi, ma non trova il suo. Penso che faticare non faccia per loro

Cosa pensavano i vostri genitori nel vedervi praticare lo stesso sport? 

Mia mamma Gabriella era molto contenta, soprattutto perché mio padre Gianfranco facendo il fruttivendolo lavorava anche la domenica e raramente veniva con noi. Per lei averci tutti insieme era molto più semplice a livello di organizzazione familiare. 

Le gare domenicali…

Erano puro divertimento! Siamo sempre stati molto affiatati e ci siamo sempre supportati, cosa che continuiamo a fare. In quelle mattine, fin quando non arrivava il turno della nostra categoria stavamo nel campetto, ma non ci isolavamo tra noi, anzi, stavamo sempre con gli altri compagni di squadra e giocavamo tutti insieme. Una domenica abbiamo vinto tutti quanti e siamo tornati a casa con tre mazzi di fiori. Mio fratello Andrea era quello più sfortunato, spesso si piazzava… ma vinceva raramente. I miei genitori non ci mettevano mai pressioni, loro volevano vederci felici e non badavano tantissimo al risultato. Cosa più che giusta. 

Cosa rappresenti per i tuoi fratelli ? 

Un punto di riferimento, almeno lo spero. Sono soprattutto consapevole e felice di esserlo oggi per Davide che sta seguendo la mia stessa strada. Quando possiamo ci alleniamo insieme, ma ormai lui è più forte di me e inizia a farmi faticare sul serio (ride, ndr). 

Ecco i 5 fratelli Persico, che a un certo punti correvano tutti in bicicletta
I 5 fratelli Persico hanno corso tutti in bicicletta
Un momento passato con la tua famiglia… 

Il mercoledì sera quando eravamo piccolini andavamo nella pista ciclabile vicino casa e ci divertivamo da matti. Venivano anche i nostri genitori ed era praticamente l’unico momento che condividevamo tutti insieme. Lo ricordo come se fosse ieri. Un altro momento che sicuramente mi è rimasto nel cuore è stato quando arrivai quarta al campionato del mondo in Danimarca. Sono venuti tutti quanti per farmi il tifo. Avere loro lì, è stato speciale. Era il mio primo risultato importante ed erano strafelici di quello che avevo fatto.

Ciclocross o ciclismo su strada ? 

Nel ciclismo è fondamentale saper sopportare la fatica e soprattutto saper fare tanti sacrifici.  Le gare su strada a mio parere sono molto impegnative, soprattutto per il fatto che sono molto lunghe. Il ciclocross è sì impegnativo, ma è comunque una gara secca di 45 minuti circa. Forse preferisco il ciclocross perché è una disciplina individuale, siamo solo io e la mia bici. Su strada la maggior parte delle volte devo lavorare per qualcun’altra. Tirare una volata può essere bello, ma non dà la stessa soddisfazione di una vittoria di ciclocross.  

Davide Persico 2020
Per Davide Persico una vittoria nel 2020 a Castelletto Cervo, proprio in chiusura di stagione
Davide Persico 2020
Per Davide Persico una vittoria nel 2020 a Castelletto Cervo
Chi rappresenta per te un punto di riferimento ? 

Nella vita in generale mio fratello Andrea è un pilastro importante. Mi aiuta quando ho periodi brutti e lo stimo molto per tutto quello che fa. Per quanto riguarda lo sport… Sagan e la Vos, sono i numeri uno. Peter non si fa tante paranoie, non pensa troppo, è molto spontaneo e spesso tendo ad essere come lui. Della Vos mi piace il suo modo di correre, di stare in bici e di far gruppo. 

Norma Gimondi 2019

Ecco perché Gimondi tirerà per Martinello

15.01.2021
3 min
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Era più o meno di febbraio, quando Silvio Martinello si presentò da Norma Gimondi per chiederle se intendesse candidarsi nuovamente alla presidenza della Federazione. Andò a dirle che le loro idee coincidevano e sarebbe stato un peccato disperdere le energie in due corse parallele.

«Ma io – dice Norma – non avevo testa né tempo. Era morto da poco mio papà e sulle mie spalle erano cadute anche le cose che faceva lui nelle società immobiliari. Silvio disse che non sarebbe stato giusto disperdere il mio lavoro di 4 anni fa, ma gli risposi che avrei avuto bisogno di parlarne con mia madre. Mio padre all’inizio era stato refrattario. Mi diceva che si trattava di politica, che noi siamo persone schiette e in quel mondo non mi sarei trovata. Alla fine però era rimasto contento, perché ero stata corretta. Poco prima che venisse a mancare, mi disse che avevo fatto bene a candidarmi, perché la gente gli chiedeva di me e questo lo inorgogliva. Fino ad allora era stato sempre lui il personaggio, adesso volevano sapere di sua figlia. E quando anche mamma ha detto che dovevo riprovare, ho chiamato Silvio».

Ci sono affinità fra Gimondi e Martinello?

Ho visto il suo programma ed è simile al mio per la vicinanza al territorio. Sembra che la Federazione abbia radici soltanto a Roma, mentre abbiamo bisogno che sia presente nelle regioni, nelle province, nei singoli comuni. E poi il concetto di squadra…

Renato Di Rocco, Thomas Bach, Imola 2020
A Di Rocco, qui con Thomas Bach, Norma Gimondi riconosce il merito di aver portato il mondiale a Imola
Renato Di Rocco, Thomas Bach, Imola 2020
A Di Rocco, qui con Bach, il merito di Imola 2020
Silvio ha dichiarato che non sarà un uomo solo al comando.

Esatto, il confronto aiuta ad analizzare i problemi. Il lavoro di gruppo apre scenari diversi e magari da un altro arriva la soluzione o la visione che a te sfuggiva. Silvio lo conosco sin da quando ero ragazzina, perché passò professionista nella Sammontana-Bianchi di cui mio papà era team manager e lo vedo determinato e puntiglioso. Sulle problematiche ha la capacità di focalizzare che negli altri non vedo.

Di cosa ha bisogno secondo te il ciclismo italiano?

Di rottura con il passato. All’attuale gestione do il merito di aver portato i mondiali a Imola e la gestione dell’attività nell’ultimo anno, ma dietro questo ci sono sempre i soliti problemi, che non si affrontano.

Credi che Martinello sia schietto alla Gimondi?

Non gli manca la capacità di mediare, a volte io entro più dura. Forse la moderazione gli viene dal lavoro di opinionista, io invece ho imparato nel mio lavoro che il magistrato ti ascolta solo nei primi 3 minuti, quindi devi dire subito le cose importanti.

Che cosa ti resta della corsa di 4 anni fa?

La fortuna di aver incontrato persone che mi hanno passato la loro esperienza. Francini, Pozzani, Dalto. Lo hanno fatto in modo pulito e questa è stata la cosa più bella, senza aspettarsi nulla in cambio. Persone che mi sono rimaste vicine anche quando è morto mio padre. E poi ho conosciuto il livello pratico della politica federale. Avevo fatto un corso, ma la pratica è un’altra cosa. Capisci che chi hai di fronte non si muove sempre in modo lineare e pulito. Impari a riconoscere gli sgambetti e le pugnalate anche da parte di chi doveva esserti vicino.

Ti saresti candidata se non fosse morto tuo papà?

Penso di sì, avevamo cominciato a ragionarne e avrei fatto la mia corsa. Ma va bene anche così, forse non avrei neanche il tempo di fare altro. Dobbiamo rompere lo schema oppure non cambia niente. In diversi punti del programma, Silvio parla di meritocrazia, che è la base dello sport. Deve esserlo in tutti gli ambiti. Perciò, siamo pronti…

Wladimir Belli, Marco Pantani, Giro d'Italia 2001

I due giorni che cambiarono la carriera di Belli

06.01.2021
5 min
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Quando Wladimir Belli vinse il Giro d’Italia dei dilettanti nel 1990, eravamo tutti un po’ più giovani. Ma lui, che aveva ancora 19 anni, aveva davvero la faccia di un bambino. Fu l’ultimo Giro di quel tipo, con i giovani sullo stesso finale dei pro’, nell’edizione di Bugno in rosa dall’inizio e folle clamorose sulle strade. Nacque lì la sua rivalità, poi diventata amicizia, con Marco Pantani: nella foto di apertura i due sono insieme al Giro d’Italia del 2001.

«Immaginate cosa fosse per noi ragazzi – ricorda sorridendo Belli – fare Pordoi e Aprica con tutta quella gente? Se devo dire, si tratta ancora del mio ricordo più bello, perché mi proiettò verso il professionismo».

Wladimir Belli, Giro d'Italia 2003, Zoncolan
Wladimir Belli, al Giro d’Italia del 2003, per la prima volta sullo Zoncolan
Wladimir Belli, Giro d'Italia 2003, Zoncolan
Belli, al Giro d’Italia 2003, sullo Zoncolan

Belli è stato professionista dal 1992 al 2006 con 11 vittorie fra le quali spicca il Giro del Trentino del 1996. Le attese su di lui erano altissime, perché oltre ad aver vinto il Giro, fra i dilettanti aveva vinto anche il Val d’Aosta. Ma in quel ciclismo dalle tante variabili e le strane variazioni, il bergamasco fece sino in fondo la sua strada. Oggi Belùn è uno degli opinionisti di riferimento di Eurosport e nel tempo libero fa anche il preparatore.

«Eurosport – dice – è quello che mi dà la continuità. Sul fronte degli atleti, ieri ero a Brescia a fare il test a quattro juniores, per consentire al loro direttore sportivo di impostare la preparazione. Altri invece li seguo da me alla vecchia maniera. Non mi piace mandare le tabelle via mail, molto meglio vedersi. E poi aiuto anche qualche professionista».

Quanto è impegnativo il lavoro con Eurosport?

All’inizio faticai per capire come funzionasse, fra la regia italiana e quella internazionale e tutto il meccanismo. Adesso ci sono da sei anni e siamo tutti soddisfatti. Dobbiamo arrivare in studio 45 minuti prima, ma io di solito faccio due ore, così ho il tempo per le mie cose. La prima volta, sarà che ero in ansia, arrivai talmente presto che mi misi sopra una coperta e dormii lì davanti, con la macchina accesa. Con il Covid purtroppo le cose si sono complicate.

Wladimir Belli, Alberto Loddo, Josè Serpa, Santo Anzà, 2007
Nel 2006 con la Serramenti Diquigiovanni, assieme a Loddo, Serpa e Anzà
Wladimir Belli, Alberto Loddo, Josè Serpa, Santo Anzà, 2007
Nel 2006, con Loddo, Serpa e Anzà
Che cosa è successo?

Tra il Fiandre e la Vuelta ci sono stati dei positivi in studio e siamo finiti a fare il commento da casa, davanti al computer. Già non è semplice senza essere sul posto. Devi documentarti, attingere all’esperienza da corridore, telefonare agli amici. Ma da casa il problema è anche inserirti per fare un commento. Normalmente segnali al commentatore che hai da dire qualcosa, da casa ero costretto a parlargli sopra e non era il massimo.

Non seguite mai le corse?

Ad ora gli unici sono stati Gregorio e Magrini, che hanno fatto una Sanremo e forse anche il Lombardia.

Il professionismo ha mai provato ad offrirti qualcosa?

Ho fatto per un po’ il preparatore e anche un po’ di ammiraglia alla Gazprom. Però col passare del tempo diventava incompatibile con Eurosport e ho lasciato. Di recente il team manager, Renat Kamidhuline, mi ha ricontattato, ma davvero non voglio lasciare quel microfono.

Quanti amici ti sono rimasti nel gruppo?

Amici è un parolone. Quando ho smesso e sono un po’ sparito, sono riuscito a distinguere quelli veri dagli altri. Non credo di fare torto a nessuno se cito Guerini, Milesi, Bramati, Cortinovis, Dolci. Alcuni sono ancora nel ciclismo, altri si sono fatti la loro vita. Poi, il tempo di arrivare a Eurosport e ne sono tornati anche altri.

La sensazione è che a un certo punto nella tua carriera ci sia stato un freno.

Ci sono stai due momenti. Il primo fu il giorno in cui morì Diego Pellegrini al Val d’Aosta. Io non c’ero, ma mi segnò. Il secondo fu il giorno in cui morì Fabio Casartelli al Tour e quella volta invece c’ero. Lo avevo salutato prima dello scollinamento. Avevamo corso insieme nelle squadre di Locatelli ed eravamo partiti insieme dall’Italia, non ricordo se da Linate o Malpensa. Lui arrivò in ritardo con la valigia e un pupazzo che gli aveva lasciato sua moglie, perché si ricordasse del figlio nato tre mesi prima. Nella discesa vidi un corridore della Motorola per terra e ricordo di aver pensato che fosse messo male. Solo che pensai fosse Armstrong. Per cui finita la discesa, la corsa si calmò e vidi Lance. Gli chiesi se fosse caduto e lui mi disse che era Fabio.

Wladmir Belli, Gazprom, 2018
Nel 2018 ha collaborato con la Gazprom, come preparatore e direttore sportivo
Wladmir Belli, Gazprom, 2018
Nel 2018 ha collaborato con la Gazprom
Capisti subito?

Andai all’ammiraglia da Pietro Algeri e gli chiesi se si sapesse qualcosa. Non disse una parola, ma la sua faccia non me la scordo più. Mi ritirai subito, non finii la tappa. Ero un sacco vuoto. Va bene la gioventù, pensai, ma iniziai a fare dei ragionamenti un po’ più profondi, che mi fecero crescere come uomo.

Potevi vincere un Giro.

Quello del 2001, quantomeno potevo salire sul podio e sarebbe stato il coronamento della mia carriera. Ero terzo in classifica, quando sulla salita di Santa Barbara diedi il famoso cazzotto al nipote di Simoni, che mi correva accanto insultandomi. L’elicottero aveva fatto la ripresa, adottarono il pugno duro e mi squalificarono. Negli anni abbiamo visto tanti episodi, compreso Lopez che due anni fa ne diede tre al tifoso ubriaco. Pensai che avesse fatto bene, ma a me la stessa cosa costò il miglior risultato della carriera. Stavo bene, avrei potuto vincerlo.

Vai più in bici?

No, da parecchio. Però cammino in montagna, sulla Roncola e quelle intorno casa. Corre mio figlio, invece…

Marco, in onore di… Marco?

Proprio lui, ha 14 anni. L’altro giorno abbiamo letto insieme l’ultimo capitolo di “Era mio figlio”, ma non ce l’ho fatta a finirlo. Marco corre in mountain bike e quando vado a vederlo, mi nascondo. Soffre un po’ la pressione, anche perché a casa lo spingono tanto. E poi c’è mia figlia Vittoria che fa atletica, ma le gare sono ancora ferme.

Durante una telecronaca un ragazzo diversamente abile ti ha ringraziato per il tuo volontariato.

E io in risposta ho ringraziato lui, perché mi offrono la possibilità di aiutarli e di crescere. La mia compagna è psicologa e vado spesso in un centro con persone diversamente abili. E’ una dimensione lontana da quella dello sport professionistico. Lo dico sempre che in bicicletta ho imparato una parte della vita, ma questi incontri mi hanno insegnato quale sia la vita vera e fatto capire quanto nonostante tutto io sia stato fortunato.

Plebani tra pista, progetti e… cucina

05.01.2021
4 min
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Davide Plebani è uno degli uomini storici del clan di Marco Villa. E da qualche tempo è anche il compagno di Elisa Balsamo. Con lui abbiamo fatto una simpatica chiacchierata che spazia appunto dalla pista… alla cucina! E arriva fino a Tokyo, se non a Parigi 2024.

La casa dei campioni

Da qualche mese i due campioni convivono. La vita da atleti è bella, ma può anche non essere sempre facile, tanto più se lo sport è lo stesso e la si condivide in tutto e per tutto. C’è il rischio che si parli sempre di quello e che tutto diventi monotematico in qualche modo.

«Sono fortunatissimo – dice Plebani – a casa di ciclismo ne parliamo veramente poco. Emergono solo a volte dei temi tecnici, se magari in quella cosa si può migliorare. Ma non siamo i tipi che accendono la tv e si mettono a guardare il ciclismo. Variare è importante. E’ come se fai il commesso in un centro commerciale e in quel sabato libero… vai al centro commerciale».

Davide Plebani ed Elisa Balsamo
Davide Plebani ed Elisa Balsamo

In generale però Plebani dice che la vita in casa è per loro più facile. Le esigenze sono le stesse e la comprensione non manca.

«Un vantaggio è che riusciamo a sintonizzarci bene su molte cose, a partire da alimentazione e allenamenti. E i sacrifici si smezzano. Il cioccolatino lo dividiamo a metà! Ognuno è uno stimolo per l’altro e i problemi si affrontano in due. Lo svantaggio è che magari sei fuori per 200 giorni l’anno e quando torni parte lei. Almeno abbiamo la fortuna che per alcuni eventi partiamo insieme e questo è buono anche per supportarci, per l’agitazione della gara».

Davide ed Elisa escono spesso insieme, quasi sempre a dire il vero, ma non si lasciano influenzare. Ognuno fa il suo lavoro. Il riscaldamento lo fanno insieme ma poi si rincontrano lungo la strada. Ad entrambi inoltre piace allenarsi da soli.

E in cucina? «Lì sono più bravo io! Ma perché ce l’ho dentro, la famiglia che aveva un ristorante. Quando mi ci metto le cose vengono bene. Però devo dire che Elisa ha una capacità di apprendimento superiore alla media. Mi osserva cucinare e poi capita che magari rientro e mi fa: ti ho preparato questo piatto. Adesso abbiamo preso anche la macchina per fare la pasta fresca».

Idea velocità

Qualche tempo fa Ivan Quaranta ci disse che uno come Plebani, molto forte e veloce, ma che a suo dire avrebbe la strada sbarrata nel quartetto, dovrebbe puntare alle specialità veloci. Se non subito almeno in vista di Parigi 2024. Cosa ne pensa Davide?

«A dire il vero non ci ho mai pensato. Sinceramente non mi reputo così veloce dal passare a quelle discipline. Magari nel tempo scoprirò di avere questa qualità. Se proprio dovessi dire una specialità veloce? Bah, forse il Keirin, mi piace e soprattutto perché ci sono tanti giri da fare. Insomma non è una velocità esagerata. Il mio best è sui 20″-30” e non sui dieci. Sarebbe troppa esplosività. 

«Con Villa non ho mai parlato di questa cosa. Magari ci si può lavorare in futuro. Ho la fortuna di essere nelle Fiamme Oro e se dovessi prendere questa strada sarei supportato».

Plebani (a sinistra) con gli azzurri agli Europei 2019 quando furono argento
Plebani (a sinistra) con gli azzurri agli Europei 2019

Il quartetto in testa

Ma per adesso l’obiettivo di Plebani si chiama inseguimento a squadre, quel quartetto che è già leggenda per noi italiani. Tuttavia, come i suoi colleghi Scartezzini, Lamon, Bertazzo… Plebani è a rischio in vista di Tokyo

«Ne sono consapevole. A Tokyo ne andranno sei (e due dovranno fare anche le altre specialità: Omnium e Madison, ndr) e forse solo uno o due hanno la certezza di esserci. Ma i miei compagni non saranno mai avversari. Anche perché semmai dovessi andare io all’improvviso tornerebbero ad essere compagni? No…

«Io sono un buono e non girerei mai le spalle ai miei compagni. Magari questo è un punto a mio sfavore, ma ripeto: non saremo mai avversari. Semmai ci sono più stimoli. Non so, c’è quello che fa una partenza più forte e allora anche tu vuoi fare meglio. Per me adesso comunque l’importante è ritrovarmi. Ho avuto la mononucleosi e anche una ricaduta ad ottobre. Sento che ogni giorno sto meglio e questo è l’importante».

Plebani è un terzo uomo, colui che già in tabella di marcia deve mantenere la velocità e possibilmente fare un giro un più.

«Sono un buon terzo – conclude Plebani – un ruolo che sembra facile, ma che non lo è. E’ vero che sei già lanciato e sei in “tabella”, però nel secondo cambio devi cercare di tirare un giro in più. E se è così Ganna, o comunque il quarto, si “riposa” di più. Quando tira Pippo si sente. Se sei a ruota va bene, se sei in coda meno… In galleria del vento abbiamo visto che lui essendo grande impatta di più con l’aria e protegge il resto del quartetto. E infatti più sta là davanti e meglio è!».