Due sedute di allenamento, entrambe in bicicletta. Per Wladimir Belli, preparatore atletico ormai di lungo corso, il futuro del ciclismo sarà questo. Alla doppia seduta si è arrivati da qualche anno, ma la differenza è che oggi si va al mattino in bicicletta e al pomeriggio in palestra per pesi o esercizi di corpo libero: a breve ci sarà la bici anche al pomeriggio. Ma anche il ciclismo, come il resto del mondo e degli altri sport, va verso la ricerca di una prestazione sempre più di alto livello. Che sconfina a volte nel fanatismo, nell’esagerazione, nella perdita di un romanticismo che da sempre contraddistingue questo sport e i corridori che lo animano
«Oggi – spiega Belli – già dopo il Lombardia alcune squadre radunano i propri corridori in ritiro. Si stacca sempre meno, difficilmente si va oltre i venti giorni di vacanza tra la fine della stagione e l’inizio della preparazione invernale».
Una modalità che rischia di logorare fisico e testa e che si aggiunge ad altri accorgimenti tutti diretti verso la stessa direzione: professionisti concentrati sul lavoro 12 mesi l’anno.
«Anche con l’alimentazione è così – aggiunge colui che oggi è anche un’apprezzata voce di Eurosport – i corridori non ingrassano più fino a 6 chili come succedeva un tempo. Rimangono sempre vicini al peso forma, ma questo richiede sforzi e sacrifici».
Sport alternativi
Altro aspetto che stride con quanto si era soliti fare fino a qualche anno fa: gli sport alternativi.
«Nella pausa invernale – ricorda Belli – frequentemente ci si dedicava ad altre attività come la corsa in montagna, le camminate in quota, oppure il classico sci di fondo o il nuoto. Questo oggi non è più consentito. Quando si riprende dopo la pausa, si monta subito in sella per macinare chilometri. L’unico sport alternativo accettato è la mountain bike, ma sempre di bicicletta si tratta».
Eccezione cross
Così per quasi tutti. Fortunatamente, almeno per chi ricerca nel ciclismo ancora tracce del suo dna, c’è chi varia sul tema. E non sono nomi da poco, anzi.
«Van Aert e Van der Poel – spiega l’ex corridore bergamasco – corrono ancora a piedi durante la preparazione invernale. Questo però perché sono anche ciclocrossisti praticanti, cosa che gli consente di non perdere la brillantezza che, al contrario, gli altri sport possono togliere, imballando un po’ la gamba».
Lo stress logora
Mode che passano e che si mescolano ad evidenze scientifiche. Ma Belli è d’accordo o meno con la nuova tendenza?
«Non sono molto d’accordo – risponde sicuro – perché questo stress psicofisico rischia di accorciare le carriere dei corridori ed esasperare il mondo del ciclismo. Credo che staccare di più e dedicarsi a qualcosa di altro sia necessario per tutti».
Qualità e quantità
Di certo c’è che non è più utile ricorrere ad allenamenti eccessivamente lunghi. Le corse stanno diventando sempre più brevi – ad eccezione delle classiche Monumento – per cui la qualità prevale sulla quantità.
Ad incrementare la specificità e la qualità degli allenamenti, sono arrivate anche le nuove scuole. Quelle nordiche ad esempio (Danimarca e Norvegia su tutte) per cui, grazie alla facilità con cui si può viaggiare oggi, si riesce ad allenarsi anche d’inverno in luoghi più idonei alla bicicletta, esportando il modello. Senza dimenticare la scuola britannica, esplosa da Wiggins in poi. E l’Italia?
«Abbiamo da sempre un’ottima scuola come preparatori atletici – sottolinea Belli – ma pecchiamo nelle categorie giovanili. Il discorso è complesso e ampio, tutto parte dalla necessità di rivedere il concetto di sport nelle scuole. Ora è trascurato, mentre negli altri Paesi hanno capito che educare i giovani allo sport incide sulla salute pubblica a lungo termine.
«Il ciclismo dovrebbe anche tornare un po’ indietro, quando ogni paese di provincia aveva la propria squadretta e portava i corridori a gareggiare senza badare a troppe strategie. Oggi invece il successo a tutti i costi è inculcato dalle famiglie e dalle stesse squadre».
Rischio social
In ultimo, la questione della condivisione dei dati di allenamento che porta i giovani a voler emulare i professionisti dal momento che possono vedere come si allenano.
«Succede sempre più spesso – chiude Belli – ma può essere un problema. Oggi tutti sanno tutto, mentre un tempo si guardava ai professionisti più esperti cercando di carpire segreti e imparare il mestiere. Rientra nel discorso delle performance a tutti i costi, che poi rischia di presentare il conto: se da giovane vinci tutto, poi da professionista incontri difficoltà e rischi di saltare subito».