Anche la Parigi-Roubaix 2022 è stata vinta da un atleta con ai piedi le scarpe Sidi Wire 2. Dopo il trionfo di Colbrelli dello scorso anno tra fango e pioggia, questa volta ci ha pensato Van Baarlea portare a casa la pietra più pesante del mondo. Quella vinta dal corridore olandese è stata una Roubaix dove polvere e vento hanno caratterizzato la corsa. Questi ultimi successi sono la dimostrazione di come le scarpe Sidi siano in grado di performare al meglio in ogni situazione.
Con Sidi la Ineos è riuscita ad imporsi su tutti i terreni, a dimostrazione della versatilità del modello Wire 2 Con Sidi la Ineos è riuscita ad imporsi su tutti i terreni, a dimostrazione della versatilità del modello Wire 2
Una settimana magica
Quella di Sidi è stata una settimana di corse davvero intensa e ricca di emozioni. Infatti, prima di conquistare per il secondo anno di fila il velodromo di Roubaix, era arrivata anche la vittoria all’Amstel Gold Race. A trionfare sul traguardo di Valkenburg, con un gran colpo di reni, è stato Michal Kwiatkowski. La particolarità? Anche il corridore polacco ha vinto con addosso le Sidi Wire 2.
La settimana di trionfi per Ineos e Sidi si è aperta con la Amstel conquistata da Kwiatkowski
Si è chiusa poi con la conquista della terza classica monumento della stagione: la Roubaix di Van Baarle
La settimana di trionfi per Ineos e Sidi si è aperta con la Amstel conquistata da Kwiatkowski
Si è chiusa poi con la conquista della terza classica monumento della stagione: la Roubaix di Van Baarle
Un delicato equilibrio
Le Sidi Wire 2 sono delle scarpe estremamente tecniche. Studiate e sviluppate per avere un equilibrio che favorisce la migliore prestazione su tutti i terreni. Una delle sue particolarità è nel sistema di chiusura, che, con il suo meccanismo centrale, permette un’equa distribuzione della tensione sul collo del piede. E’ stato aggiunto anche un innovativo pulsante che, se schiacciato, fa alzare una levetta per avere una miglior regolazione in corsa. Potrebbe essere stato anche questo uno dei segreti che hanno permesso a Van Baarle di vincere domenica.
Il sistema di chiusura si divide due parti: parte alta per il collo del piede e bassa per la punta
Il tacco è regolabile per una perfetta calzata
Il sistema di chiusura si divide due parti: parte alta per il collo del piede e bassa per la punta
Il tacco è regolabile per una perfetta calzata
Micro regolazioni
Il tallone è uno dei punti più delicati da far calzare all’interno della scarpa. Sidi ha ideato un sistema di regolazione che rinforza lo spoiler e migliora la calzata, permettendo di stringere il tallone in modo che non scalzi durante gli sforzi della pedalata.
Ogni lato del tallone può essere regolato in modo indipendente, per una calzata perfetta. Per una regolazione personalizzata, girare la vite verso il segno (più) per stringere il meccanismo e verso il segno (meno) per allentarlo.
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In una Campagna del Nord dove quasi tutte le punte azzurre sono assenti o quasi, per una congiunzione astrale mai così sfavorevole, bisogna guardare a quel che le corse portano e il fatto che fra i protagonisti dell’Amstel Gold Race ci sia stato anche Luca Rastelli non è cosa di poco conto. Il corridore cremonese si è gettato con grande ardore nella fuga iniziale, che ha contraddistinto tutta la prima parte di corsa, facendosi vedere e mettendo un timbro sulla sua prima esperienza in una classica del WorldTour.
La sua partecipazione alla corsa olandese ha avuto un’evoluzione positiva, ma non si può neanche dire che sia stata casuale: «Sin dalla vigilia noi della Bardiani sapevamo che l’obiettivo doveva essere mettersi in mostra – racconta Rastelli appena sceso dall’aereo che dall’Olanda lo ha portato in Sicilia, dove da domani sarà al via del Giro locale – per poter dare un senso alla partecipazione in una classica del massimo livello. Io ero tra quelli deputati a provarci e quando Gabburo ha lanciato l’offensiva mi sono buttato».
Luca Rastelli è nato a Cremona il 29-12-1999. E’ alla Bardiani da quest’anno dopo due anni al Team ColpackLuca Rastelli è nato a Cremona il 29-12-1999. E’ alla Bardiani da quest’anno dopo due anni al Team Colpack
Due corridori in un gruppo di 7, niente male come obiettivo centrato…
Sarebbe stato bello condividere la fuga insieme, purtroppo su un dosso Davide ha avuto un salto di catena e ha perso il nostro treno, d’altro canto nei primi 20 chilometri siamo andati davvero fortissimo per costruire un buon vantaggio, così non ha più avuto la possibilità di accodarsi.
Con la sua presenza avreste potuto fare qualcosa di più?
Sicuramente avrebbe fatto comodo, nella divisione dei compiti innanzitutto, ma anche per dare cambi e portare la fuga un po’ più lontano.
Hai mai sperato che si potesse anche arrivare al traguardo?
No, era impossibile. Quando partecipi a gare di questo genere, sai bene che le squadre WorldTour che aspirano alla vittoria lasciano sì fare, ma tengono sempre le redini della corsa, nel finale ci sarebbero passati sopra e infatti tutti noi che avevamo fatto la fuga, a una cinquantina di chilometri dal traguardo abbiamo mollato, quel che serviva era stato fatto.
Rastelli con Gabburo, entrambi erano entrati nella fuga inizialeRastelli con Gabburo, entrambi erano entrati nella fuga iniziale
Sei soddisfatto di questo tuo avvio di stagione?
Direi di sì, soprattutto perché si è alzato il livello delle corse affrontate, dall’Uae Tour alla Tirreno-Adriatico fino all’Amstel. La squadra mi ha fatto fare esperienze importanti che mi hanno fatto crescere. Sento che la mia gamba è migliorata e confido che col passare delle corse possa arrivare anche qualche risultato positivo.
Che cosa prevede ora il tuo programma?
Intanto il Giro di Sicilia, che avevo affrontato anche lo scorso anno senza riuscire a portarlo a termine, poi il Tour of the Alps dal 18 al 22 aprile.
Un programma che sembra preludere a una tua possibile partecipazione al Giro d’Italia…
Non si sa ancora chi sarà chiamato a correrlo, la possibilità c’è e mi piacerebbe molto sperimentarmi in una corsa di tre settimane, credo che sarebbe un altro passo per la mia maturazione.
L’aspirazione di Luca è poter entrare nella squadra per il Giro d’Italia, per fare altra esperienzaL’aspirazione di Luca è poter entrare nella squadra per il Giro d’Italia, per fare altra esperienza
Questo concetto della tua maturazione graduale sembra contraddistinguere un po’ tutta la tua evoluzione.
Guardando quel che ho fatto – considerando che ho appena 22 anni – è un po’ la mia caratteristica, voglio crescere con calma e il far parte di un gruppo come la Bardiani mi dà questa tranquillità, il fatto che abbia potuto affrontare quest’anno prove del WorldTour è il segno che le cose stanno andando come desidero, attraverso una crescita graduale.
Si dice sempre che il problema per l’affermazione dei corridori italiani è non avere una squadra WorldTour di riferimento. Tu sei in un team italiano professional che spesso può gareggiare nelle gare principali, è davvero un handicap?
Dipende molto dal singolo carattere del corridore. A molti serve un ambiente che li coccoli un po’, altri riescono ad adattarsi tranquillamente in qualsiasi situazione e possono quindi affrontare avventure estere. Io posso dire che alla Bardiani sto molto bene, è l’ambiente giusto per seguire la mia strada e crescere, non saprei dire come mi troverei in un’altra situazione.
Bergen 2017, mondiale junior: Rastelli è argento, Gazzoli bronzoBergen 2017, mondiale junior: Rastelli è argento, Gazzoli bronzo
Tu sei stato argento ai Mondiali 2017 in Norvegia, nella gara in linea junior: chiaramente su di te erano state riposte molte aspettative, ti sei sentito schiacciato?
Inizialmente sì, c’era un po’ di pressione quando sono passato di categoria, ma poi ho trovato la mia giusta dimensione e dopo un paio d’anni di assestamento mi sono perfettamente adattato, ora devo solo seguire la mia strada.
Tu sei il classico passista-scalatore, con spiccate doti di resistenza. Sembra di descrivere il profilo ideale per un corridore da corse a tappe…
Potrebbe essere quella la collocazione giusta e farne in buon numero, in questa stagione, mi sta aiutando anche in questo senso. Serve ancora tempo per capire dove posso arrivare, in fin dei conti ho ancora 22 anni, è vero che il ciclismo attuale consuma tutto in tempi brevi, ma devo ancora capire dove posso arrivare.
Benoit Cosnefroy ha 26 anni e pochi grilli per la testa. Però con questa grande concretezza, nel 2020 si piazzò secondo alla Freccia Vallone vinta da Hirschi e l’anno dopo batté Alaphilippe nello sprint a due di Plouay. Lo vedi poco, ma c’è sempre. Nel frattempo il corridore della AG2R-Citroenha fatto qualche importante scelta di vita, come quella di lasciare Cherbourg, il comune sulla Manica in cui è nato per trasferirsi al sud della Francia per evitare viaggi più lunghi e trovare un miglior terreno di allenamento più vicino alla sede della squadra.
Ieri sul traguardo dell’Amstel Gold Race è stato per qualche minuto l’uomo più felice della terra (foto di apertura). Sognava così tanto la grande vittoria, da averla raccontata a tutti i compagni che alla spicciolata raggiungevano il traguardo. Poi in un secondo gli è arrivata fra capo e collo la mazzata del fotofinish. L’ha accusata, poi però ha rimesso i piedi per terra.
Ha appena saputo di essere arrivato secondo. Van Avermaet è quasi più abbattuto di luiHa appena saputo di essere arrivato secondo. Van Avermaet è quasi più abbattuto di lui
«Sono una persona che mette le cose in prospettiva velocemente – ha detto – è uno dei miei punti di forza. Ero vicino alla vittoria, ma se inizio a piangere dopo il podio all’Amstel, posso anche smettere di correre. Sono stato incredibilmente felice quando mi è stato detto che avevo vinto, ma devi mettere le cose nella giusta prospettiva. Sono contento del mio secondo posto. Quando sono salito sul podio, mi sono emozionato, sono momenti che raramente sperimentiamo in una carriera. Mathieu van der Poel, che era il favorito, non c’era. Non vedo perché dovrei buttarmi giù».
Sempre lucido
Kwiatkowski ha raccontato di averlo messo in mezzo, costringendolo a tirare di più con il pretesto che lui aveva dietro Pidcock. Ma l’analisi in corsa del francese è stata anche più lucida. Nessuna trappola, tutto calcolato.
«Non ho molti rimpianti – ha raccontato dopo le premiazioni – perché se fossero rientrati da dietro, sarei arrivato settimo o ottavo. Avevo in testa lo sprint pazzesco di Mathieu Van der Poel nel 2019 e mi sono detto che poteva anche riprenderci quei 20 secondi negli ultimi 500 metri. Non è stato facile da gestire. Mi sentivo più forte di ”Kwiato” e speravo che in uno sprint lanciato da lontano alla fine si sedesse.
Sapeva che tirare nel finale fosse il solo modo per non far rientrare Van der PoelSapeva che tirare nel finale fosse il solo modo per non far rientrare Van der Poel
«Ho fatto uno sprint in due fasi. La seconda volta – ha spiegato – quando ha provato a rimontarmi mentre ero sul lato destro della barriera, non mi sono arreso. Sulla linea, ho avuto la sensazione che mi stesse superando. Poi è stato tutto così ravvicinato che ho creduto che fosse possibile aver vinto. Quando qualcuno da dietro il podio è venuto a mostrarmi il fotofinish, non ci sono più stati dubbi. E’ andata così, ho perso e ora spero di potermi rifare».
Rivincita sulle Ardenne
Rifarsi significa ricaricare le batterie e presentarsi di nuovo agguerrito per le classiche delle Ardenne, con la consapevolezza di stare comunque bene.
«Sento che la forma è buona – ha precisato – direi molto buona, l’avevo capito la settimana scorsa al Circuit de la Sarthe (è stato 2° nella prima tappa e poi anche nella generale alle spalle di Kooij, ndr). Potrei essere più controllato nelle prossime gare, ma ovviamente cercherò una vittoria. Adesso per me inizia un buon periodo. Mercoledì corro la Freccia del Brabante, poi torno a casa in Savoia per rientrare alla Freccia Vallone e alla Liegi-Bastogne-Liegi».
Aveva capito di stare bene al Circuit de La Sarthe, chiuso secondo dietro Olav Kooij
Alla Tirreno nella tappa dei muri di Fermo, Cosnefroy francobollato ad Alaphilippe
Aveva capito di stare bene al Circuit de La Sarthe, chiuso secondo dietro Olav Kooij
Alla Tirreno nella tappa dei muri di Fermo, Cosnefroy francobollato ad Alaphilippe
E se nel 2020 in quella Freccia Alaphilippe non c’era e Cosnefroy disse che un giorno gli sarebbe piaciuta vedersela con lui sul Muro d’Huy, questa volta sarà accontentato. Anche il campione del mondo ha le stesse intenzioni bellicose.
L’anno scorso la beffa fu cocente. E quando il fotofinish attribuì l’Amstel Gold Race a Wout Van Aert a scapito di Tom Pidcock, alla Ineos Grenadiers rimasero piuttosto male. Così questa volta Kwiatkowski è rimasto freddo, preferendo pensare di aver perso, mentre pochi metri più in là Cosnefroy festeggiava sicuro del fatto suo. Come Alaphilippe alla Liegi del 2020, ma senza l’ombra della squalifica.
«Ho imparato da Pidcock che bisogna sempre aspettare il fotofinish – ha detto il polacco – ma ammetto che è stato tutto molto confuso. Prima delusione, poi gioia. Soprattutto dopo una gara così dura».
Kwiatkowski ha giocato benissimo lo sprint e ha dato un colpo di reni magistraleKwiatkowski ha giocato benissimo lo sprint e ha dato un colpo di reni magistrale
Ritorno dal Covid
Kwiatkowski non è uno qualunque da portarsi fino a un arrivo ristretto. E se vinse il mondiale da giovanissimo arrivando da solo, quando si ritrovò allo sprint della Sanremo del 2017 con Alaphilippe e Sagan, la giocò da mago della pista e li lasciò a leccarsi le ferite. Invece all’Amstel del 2015, con la maglia iridata indosso, piegò in volata Valverde e Matthews. Però questa volta il polacco ha ammesso di aver finito davvero al limite.
«Gli ultimi quindici metri – ha detto – sono stati immensamente difficili. Ero fiducioso di vincere, ma è stata davvero dura. Mi ero reso conto che Cosnefroy aveva lavorato molto. Con Pidcock dietro di noi, non spettava a me fare il ritmo. Ad ogni modo, questa vittoria è molto gratificante. Ho avuto il Covid, ho avuto molta febbre, le persone intorno a me si sono ammalate. E’ stato un periodo difficile. Poter vincere questa gara che amo così tanto per la seconda volta è fantastico per me e per il team».
A ben vedere per il team Ineos Grenadiers il momento è d’oro, dopo gli squilli di Martinez e Rodriguez dai Paesi Baschi.
Kwiatkowski ha giicato bene le sue carte, costringendo Cosnefroy a tirare quasi da solo
Torna il pubblico all’Amstel e le strade si riempiono di gente
La convinzione di Cosnefroy di aver vinto è durata a lungo. Poi la doccia fredda…
Sul podio Cosnefroy sorrideva. terzo è arrivato Benoot
Kwiatkowski ha giicato bene le sue carte, costringendo Cosnefroy a tirare quasi da solo
Torna il pubblico all’Amstel e le strade si riempiono di gente
La convinzione di Cosnefroy di aver vinto è durata a lungo. Poi la doccia fredda…
Sul podio Cosnefroy sorrideva. terzo è arrivato Benoot
Vdp verso Roubaix
Chi invece ha mostrato il fianco a una condizione non ancora ottimale e senza troppe corse nelle gambe, è stato Mathieu Van der Poel, fresco vincitore del Fiandre e arrivato quarto a 20 secondi dal vincitore.
«Alla fine – ha commentato l’olandese, che proprio vincendo l’Amstel si presentò al grande ciclismo – ero dove dovevo essere in finale, ma in una gara del genere devi davvero essere super. Soprattutto quando sei nel gruppo di testa e devi reagire a ogni imprevisto. E io oggi non ero super. L’Amstel ha salite più lunghe dei muri del Fiandre. Sono stato bravo, ma non abbastanza».
Van der Poel sarà anche al via domenica prossima alla Parigi-Roubaix per provare a mettere per la prima volta nel suo palmares l’Inferno del Nord.
Rastelli nel gruppetto dei sette partiti dopo una decina di chilometri e in testa per 20 muri
Trentin è stato il migliore degli italiani, ma lontano dai primi. Qui con Van der Poel
Rastelli nel gruppeto dei sette partiti dopo una decina di chilometri e in testa per 20 muri
Trentin è stato il migliore degli italiani, ma lontano dai primi
E Van Aert cosa fa?
«Un’altra triste domenica», ha scritto Wout van Aert su Instagram, costretto a saltare anche l’Amstel Gold Race dopo il Fiandre. E siccome da queste parti non si aspetta altro che il duello tra lui e Van der Poel, la Roubaix è parsa a lungo l’occasione giusta. Invece forse non sarà così.
«Ho letto da qualche parte – ha spiegato Richard Plugge, tecnico della Jumbo Visma – che le possibilità di partecipazione per Wout sono cinquanta e cinquanta, ma non si può dire così. Stiamo esaminando come si sviluppa ulteriormente la situazione e in base a ciò prenderemo una decisione. Preferirei che i miei corridori si prendessero altre due, tre o anche cinque settimane di riposo dopo il Covid, in modo da essere al top più tardi. E’ ancora molto difficile stimare l’impatto della malattia. Io stesso ho avuto il Covid due anni fa e mi ha infastidito molto. Quindi dobbiamo davvero essere sicuri che tutto sia a posto a tutti i livelli. Anche con il cuore».
Roman Kreuziger è alle Canarie, per godersi una settimana di relax con la famiglia prima di tuffarsi nel nuovo lavoro. Ha appena terminato i corsi per il patentino da direttore sportivo e già è pronto a tuffarsi nella nuova avventura nella Bahrain Victorious, ma vuole anche dedicare più tempo alla moglie e ai figli, che in questi anni ha potuto vedere poco. Le voci dei bambini che giocano fanno da corollario alla chiacchierata nella quale si sente che Roman sta entrando in una nuova dimensione.
La sua decisione di chiudere a 35 anni era maturata da tempo: «Ci avevo pensato già nel 2020 quando la NTT si dissolse, ma poi la Gazprom mi offrì la possibilità di riprovarci ancora. E’ un bel team, mi trovavo bene e mi avevano anche chiesto di restare a livello dirigenziale, la mia decisione non è dipesa da loro. Solo che le gare non mi davano più quelle emozioni di prima, in questo ciclismo attuale non mi ci rispecchio più come corridore, posso fare altro, sempre restando nell’ambiente».
Kreuziger in solitudine sul traguardo dell’Amstel 2013, con 22″ su Valverde e altri 14Kreuziger in solitudine sul traguardo dell’Amstel 2013, con 22″ su Valverde e altri 14
Com’è nato il tuo sodalizio con la Bahrain?
Parlando in gruppo con Colbrelli e Consonni. Quando gli ho detto che avrei mollato e che alla Gazprom mi avrebbero tenuto come diesse, mi hanno detto che alla Bahrain cercavano qualcuno di supporto, mi hanno messo in contatto con Miholjevic, con il quale avevo corso negli anni d’oro della Liquigas.
In tanti hanno parlato dell’ambiente che si respirava in quel gruppo con enorme nostalgia: che cosa c’era di così positivo?
Amadio era stato bravo a costruire un team equilibrato, con leader e giovani che potevano crescere con calma. Io sono passato professionista con loro a 19 anni nel 2006 rimanendo per 5 stagioni e sono state emotivamente le più belle, c’era un ambiente familiare che ti spronava a impegnarti, quando vinceva uno vincevano tutti, si viveva in un clima di fiducia. Non è un caso se da quel gruppo sono usciti campioni come Nibali, Basso, Sagan…
C’erano anche tanti che poi hanno continuato nel ciclismo a livello tecnico/dirigenziale, da Cioni a Gasparotto, dallo stesso Miholjevic a Pellizotti che ritroverai alla Bahrain. Pensi che ci sia un legame con quanto appreso allora?
Sicuramente. Io dico sempre che a quei tempi il mondo del ciclismo era fatto da gente che lo viveva con passione, senza paura dei sacrifici da affrontare. Ma la passione veniva prima di tutto. Oggi viene visto molto come un lavoro, ma c’è meno convivialità e questo pesa. Una volta si giocava a carte, si scherzava, si stava insieme, oggi appena in hotel tutti attaccati allo smartphone e non si parla più, non c’è contatto umano e su questo bisogna lavorare.
Kreuziger con Nibali alla Liquigas: due dei tanti campioni passati per quella magica squadraKreuziger con Nibali alla Liquigas: due dei tanti campioni passati per quella magica squadra
Come?
Bisogna fare gruppo. Questa era la forza di gente come Amadio e Rijs, sapevano creare il clima giusto, dal quale poi venivano i risultati. Avevi voglia di andare in ritiro, oggi molti ragazzi lo sentono un dovere e basta. Quelli che hanno lo spirito di una volta li riconosci. Pogacar non è un campione solo per il talento o le vittorie, sa fare gruppo, sa motivare i compagni, sta con loro. Se il leader appena finita la corsa si ritira in camera, qualcosa non va e lì deve essere bravo il manager a intervenire perché il collante fra i corridori è ciò che porta alle vittorie.
Facendo un consuntivo della tua carriera, sei soddisfatto?
Sono cosciente di aver dato tutto quel che potevo. Se guardo indietro, alle premesse dei primi anni, forse mi manca il podio in un grande giro, ma non posso certo dire di non averci provato. Ho avuto una carriera costante, che nel complesso non mi ha lasciato rimpianti.
L’Amstel del 2013 è il successo che ricordi con maggiore piacere?
La corsa olandese mi è piaciuta subito, ma quella che più ha influito su di me è stato il successo al Giro della Svizzera nel 2008: vincere a 20 anni una gara così prestigiosa, dopo essere stato secondo al Romandia, mi ha fatto capire quel che potevo fare, che ero uno scalatore adatto alle corse a tappe. Questo mi favoriva anche in un certo tipo di classiche, pian piano diventai anche un corridore da Ardenne, mi piacevano molto quelle corse e l’Amstel era fatta su misura per me, infatti vinsi nel 2013 e finii secondo nel 2018.
Il ceko in azione al Giro della Svizzera 2008: in carriera Kreuziger ha vinto 15 corseIl ceko in azione al Giro della Svizzera 2008: in carriera Kreuziger ha vinto 15 corse
Che cosa ti è mancato per emergere anche in una corsa di tre settimane?
Non saprei definirlo con precisione, solo che se guardo me e Nibali, lui aveva quel qualcosa in più che gli ha permesso di eccellere, è quello che fa la differenza, non è solo questione di resistenza. Molti dicevano che avevo paura ad attaccare, ma io sapevo di che cosa ero capace e cercavo l’occasione giusta. Oggi per un diesse è molto più difficile capire come andrà la gara, come sarà impostata tatticamente perché si va sempre a tutta, è un modo di correre diverso.
Quando sei passato professionista eri giovanissimo, oggi è molto più comune passare a quell’età e molti dicono sia un male…
Perché oggi il ciclismo non ti dà i tempo di maturare con calma, io ho potuto proprio per quell’ambiente nel quale ho vissuto i primi anni da pro’. Guardate Evenepoel: è sicuramente forte, ma ha addosso una pressione enorme, tutta una nazione addosso e finora non riuscito a tener fede alle attese. Avrebbe bisogno di molta più calma intorno.
Pensi di aver influito con la tua carriera e i tuoi risultati sull’evoluzione ciclistica in Repubblica Ceka?
Io credo di sì, grazie a me e a Stybar il ciclismo da noi non è più uno sport di nicchia. Ma secondo me non bisogna neanche guardare al solo aspetto agonistico: oggi c’è molta più gente che esce in bici nel weekend, che affronta escursioni in gruppo, prima ci si dedicava al golf, ora si va in bici. Per me conta tantissimo.
Kreuziger è passato pro’ nel 2006 dopo uno straordinario 2004: da junior vinse oro e argento su strada e argento nel ciclocrossKreuziger è passato pro’ nel 2006 dopo uno straordinario 2004: da junior vinse oro e argento su strada e argento nel ciclocross
La Federazione del tuo Paese, sapendo dei tuoi propositi di ritiro, ha pensato di coinvolgerti?
A dir la verità no, credo che lo abbiano saputo dai giornali… Io comunque già da tempo lavoro per conto mio per la crescita del ciclismo giovanile ceko, abbiamo un team di allievi e junior che seguo da qualche anno. C’è un responsabile e un preparatore che li curano, sono una decina di ragazzi. Prima erano di più, ma abbiamo visto che 18 erano troppi avendo poche persone e pochi mezzi a disposizione, io quando potevo uscivo con loro in bici perché so che pedalando si parla e ci si apre molto di più che a tavola. Li seguirò ancora, in base al tempo disponibile, ma ora prima viene la famiglia e il nuovo impegno con la Bahrain.
Inizia una nuova avventura…
Sì, è una bella sfida, già da quel poco che ho visto ho capito che gestire una squadra è qualcosa di molto diverso da quello che pensi quando sei un semplice corridore. Devo imparare tanto, ma sono pronto a farlo.
Michal Kwiatkowski sfianca Cosnefroy e lo precede al colpo di reni. Vittoria da furbo, ma pedigree da primo della classe. VdP soffre. E Van Aert intanto?
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Corridori che arrivano, corridori che vanno e corridori che spariscono. Sarà per le mascherine, il casco e gli occhiali, ma a un certo punto ci siamo accorti che Samuele Battistella era introvabile. E andando a scavare ci siamo resi conto che dal quarto giorno della Parigi-Nizza del veneto si erano perse le tracce. Era sul Teide, dice. Perciò potete immaginare che piacere rivederlo fra i partenti dell’Amstel Gold Race.
«Anche se non l’ho finita – ammette – era impossibile dopo venti giorni sul Teide e tutto il carico di lavoro fatto per il Giro d’Italia. Dal primo metro ho fatto una fatica incredibile. Sono venuto quassù per tirare e l’ho fatto al massimo fino al circuito del Cauberg, poi li ho visti andar via…».
E’ arrivato all’Amstel dopo tre settimane sul Teide (foto Instagram)E’ arrivato all’Amstel dopo tre settimane sul Teide (foto Instagram)
Il vulcano dei ciclisti
Ecco dov’era finito! Il Teide da anni è un vulcano al contrario: anziché sputar fuori lapilli e lava, inghiotte corridori. E quando li restituisce, solitamente sono più forti, temprati e a prova di fatica. E così anche Samuele, iridato under 23 ad Harrogate 2019, era lassù lavorando per il Giro: prima grande corsa a tappe della sua giovane carriera. Dopo che proprio il Giro dello scorso anno ha cambiato significativamente la cilindrata e le prospettive del suo compagno Matteo Sobrero.
Però eri sparito da prima, alla Parigi-Nizza…
Nella seconda tappa, mi è venuta una gastrite fortissima, ho provato a tenere duro, ma alla fine sono stato costretto a tornare a casa. E a quel punto mi sono beccato delle belle placche in gola, per le quali ho dovuto fare una settimana di antibiotici, da cui è stato difficile recuperare. Ho anche verificato con un tampone che non fosse altro e per fortuna non lo era. E poi è venuto il momento di andare sul Teide, non c’era tempo per correre o fare altro.
Parigi-Nizza, terza tappa: il giorno dopo il ritiroParigi-Nizza, terza tappa: il giorno dopo il ritiro
Come è fatto un blocco di lavoro pesante per il Giro lassù?
Non c’è pianura, pochissima. Anche sotto. Si fanno dislivello ed ore, con il corpo che ne esce stremato perché di fatto simuli lo stress di una corsa. Nell’ultima settimana abbiamo fatto anche lavori dietro moto per cercare il ritmo. Tranne un paio di volte che siamo scesi e risaliti in ammiraglia per fare dei lavori con le bici da crono, ogni giorno si tornava su in bicicletta. Era parte dell’allenamento. Ed è tanto lunga…
Con chi eri?
Con Sobrero e Felline, Vlasov, Tejada e Pronskiy. Doveva venire anche Gorka Izagirre, ma la figlia a scuola ha avuto un contatto con un positivo e in Spagna, in questi casi, mettono in quarantena tutta la famiglia per una settimana. Anche con tampone negativo. Per cui alla fine Gorka è rimasto a casa.
Se hai lavorato per il Giro, perché venire nelle Ardenne e non scegliere il Tour of the Alps?
Perché in futuro questo è il mio tipo di corse. Quando si tratterà di venire per vincerle, avrò le idee più chiare. Ieri non avevo la gamba, però l’Amstel mi ha ricordato tanto il percorso di Harrogate. Questo tipo di strade mi si addice. Ora torno alla Freccia e alla Liegi che ho fatto l’anno scorso per approfondire la conoscenza. E comunque non siamo andati male. Fuglsang è arrivato nella scia dei primi ed è stato spesso davanti, ma diceva che forse ha sbagliato a prendere troppo indietro l’ultimo Cauberg.
Come arriverai al Giro?
Molto bene. Dopo la Liegi farò un’altra settimana di altura e in tutto saranno 25 giorni. Mai fatta tanta in vita mia. Andrò per una settimana sul Pordoi, mi sono organizzato da me. La squadra ci ha pagato il Teide, parlando con Mazzoleni e Cucinotta è venuto fuori che quella settimana potrebbe essere importante e allora andrò su.
L’obiettivo dell’Astana al Giro è fare bene con Vlasov?
L’obiettivo dell’Astana al Giro è vincere con Vlasov. Lo conoscevo da prima, quando era under 23 in Italia. E’ russo, ma per certi versi è italiano anche lui. Vado ad aiutarlo molto volentieri. Sono stato in stanza con lui nelle due settimane di ritiro a inizio anno, è un bravissimo ragazzo.
Sul podio dei mondiali U23 di Harrogate, accanto a Bisseger e Battistella c’è Pidcock, che ieri si è giocato l’AmstelCon Pidcock sul podio di Harrogate 2019: all’Amstel scenari differenti
Soddisfatto del passaggio in Astana?
Come crescita personale, mi sto trovando molto bene. C’è un grande livello di serietà e di organizzazione. La preparazione è buona, lavoro con Cucinotta, ma di fatto è sempre in collegamento con Mazzoleni.
E’ cambiato qualcosa nel tuo modo di lavorare?
Parecchio, in realtà. Non faccio più tanti lavori di soglia e fuori soglia, ma abbiamo alzato il volume del medio. Come sensazioni, sento che la gamba spinge bene. Per andare bene al Giro immagino sia quello che serve. E questo ora è il mio obiettivo.
Battistella e Conci sono stati le due teste di ponte degli azzurri. Il primo è rimasto in fuga per 230 chilometri. Il trentino era con Rota ed Evenepoel
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Se nessuno si è lamentato, vuol dire che il risultato del fotofinish sta bene a tutti, anche se a guardare le immagini, Pidcock dà ancora adesso la sensazione di esserci passato per primo. L’Amstel si è conclusa da poco e dalla valutazione dei pixel della fotocamera dell’arrivo emerge che il vantaggio di Van Aert sulla linea è di 6 millimetri. Il podio ha posto fine a ogni possibile dubbio, il belga ha capito al Brabante che del piccolo inglese non poteva fidarsi e lo ha preso sul solo piano in cui era certo di poterlo sopraffare: quello della potenza. Ma c’è mancato davvero poco.
La vittoria è stata assegnata a Van Aert con margine di 6 millimetriLa vittoria è stata assegnata a Van Aert con margine di 6 millimetri
Rammarico Pidcock
Pidcock ha tirato su col naso ed è tornato verso il pullman. Il suo programma prevede che resti al Nord fino alla Freccia e poi torni a casa, ma non ci stupiremmo se gli chiedessero di farsi un giretto anche sulle colline fra Liegi e Bastogne.
«Sarei dovuto partire per primo – ha detto Pidcock – perché ero più veloce. Questa è stata una grande lezione. Ho lasciato a Wout un piccolo margine, ma eravamo troppo vicini al traguardo. Ero dietro di lui, mentre sarei dovuto restare al comando. Ho fatto una buona gara. Penso di essere stato il più forte e sono contento di quella sensazione. Ma è frustrante che la differenza sia stata così piccola».
Alaphilippe ha provato a fare il forcing sul Cauberg, ma non ha fatto maleAlaphilippe ha provato a fare il forcing sul Cauberg, ma non ha fatto male
Miglior italiano
«C’è mancato poco anche che li prendessimo – scherza Kristian Sbaragli, settimo all’arrivo – sono stati fortunati che Chaves ha bucato. Stava tirando per Matthews e di colpo, ciao… Sennò con lui che tirava e anche un mio compagno, non so se ce la facevano. Ma con i se e con i ma non si va da nessuna parte, per cui onore al vincitore».
Il migliore degli italiani si è reso conto subito che nella sua squadra mancava un nome importante e che se ci fosse stato lui, la corsa probabilmente non sarebbe arrivata tutta impacchettata fino agli ultimi 40 chilometri.
L’attacco decisivo di Pidcock, che si è dimostrato il più brillante in salitaL’attacco decisivo di Pidcock, che si è dimostrato il più brillante in salita
«Ma secondo me – dice – oltre che per l’assenza di Van der Poel, siamo andati tutti cauti perché nessuno conosceva il nuovo percorso. Compatti fino all’ingresso nel circuito del Cauberg, poi sono iniziate a saltare ugualmente le gambe, perché è venuta ugualmente dura. Eppure gli siamo arrivati a 3 secondi. Ho fatto una bella volata, mi porto a casa una bella top 10, un settimo posto tutto in linea con gli altri. Potevo benissimo essere quarto. Siamo arrivati a tanto così dal giocarci un’Amstel nonostante, senza Mathieu, nessuno ci desse un soldo bucato».
Lezione imparata
Van Aert è rimasto per un paio di minuti lunghi una vita al centro della strada, cercando nello sguardo dell’altro la conferma per una sensazione che non è mai stata davvero netta.
Per 5 minuti sullarrivo, Van Aert non credeva di aver vinto l’AmstelPer 5 minuti sullarrivo, Van Aert non credeva di aver vinto l’Amstel
«Il margine è stato davvero piccolo – ha detto – perché dopo il traguardo non riuscivo a rendermi conto di nulla. Pochi istanti dopo, mentre alla radio mi dicevano che avevo vinto, sul maxi schermo ho rivisto le immagini e mi sono tornati i dubbi. Ci ho creduto solo quando la Giuria è entrata nel locale in cui ci stavamo cambiando e mi ha dato la conferma. Io da solo non ci sarei riuscito. La sola lezione che ho imparato mercoledì alla Freccia del Brabante è di non sottovalutare mai più Pidcock, anche se onestamente non credevo di averlo fatto. Oggi è stato uno sprint diverso, più veloce e piatto, quindi sapevo che era a mio favore. Ma a giudicare dal margine risicato, devo dire che ho trovato un grande avversario. Quel ragazzino è davvero forte».
Sul podio dell’Amstel, prima il momento dei fiori, poi quello della birraAmstel, prima il momento dei fiori, poi quello della birra
Cosa fa Valverde?
Il resto è sparito nel segno della fatica che si è insinuata nelle gambe nonostante un dislivello non certo proibitivo. Come dice Sbaragli, ogni cinque minuti c’era una salita e questo alla lunga ha messo il piombo nelle gambe di tutti, soprattutto di quelli che sono arrivati a questo inizio di sfide al Nord con la riserva già accesa. Potrebbe essere il caso di Alaphilippe, ad esempio, che ha chiuso al sesto posto: forse il finale non si addiceva alla sua esplosività, ma per sapere come stanno davvero le cose, basterà aspettare un paio di giorni. Mentre Van Aert annuncia che ora la bici finirà in garage e Van der Poel ha annunciato un bel mese lontano dalle corse, per Julian arriva il clou della stagione. Cresce intanto il vecchio Valverde. Forse darlo per morto troppo presto non è stata la scelta migliore.
E’ tutto un altro Belgio, pensa Alice Maria Arzuffi pedalando sulle strade dal Brabante alle Ardenne. Per lei che lassù ci passa tutti i mesi d’inverno, il profilo boscoso della regione vallone è uno scenario tutto nuovo. Ma il fatto di ricominciare a correre su strada da queste parti la fa sentire in qualche modo a casa.
Oltre alla campionessa italiana di ciclocross, la Valcar-Travel&Service è sbarcata nuovamente al Nord con Balsamo, Guazzini, Pirrone, Piergiovanni e Malcotti. Nuovamente una casa in affitto e nuovamente Dalia Muccioli in cucina. Arzuffi è rientrata alle corse mercoledì alla Freccia del Brabante. Il lungo stacco dopo la stagione del cross è finito ed è tempo di ricominciare, cercando di mettere chilometri nelle gambe e belle sensazioni negli occhi.
A fine gennaio a Lecce ha conquistato il primo tricolore elite nel crossA gennaio a Lecce il primo tricolore elite nel cross
«Ho fatto l’ultima gara di cross il 24 febbraio – sorride – e poi mi sono concessa una bellissima vacanza di tre settimane a… Seregno. Ho comprato casa l’anno scorso, non si può andare da nessuna parte, ma se riesci a staccare con la testa, va bene qualsiasi posto. Per quest’anno almeno è andata così».
Sono tante tre settimane senza bici…
Infatti sto facendo tanta fatica. Però, dato che il mio obiettivo rimane il cross, da qui comincia un lungo periodo che porterà alla prossima stagione invernale. Per cui non serve avere troppa fretta, anche perché le gare quassù non saranno tanto allenanti, piuttosto saranno delle belle tirate di collo. Perché i percorsi sono duri. Alla Freccia del Brabante c’erano delle belle salite e dei tratti in pavé, ci sono ragazze che vanno a mille per cui darò una mano e starò semmai in gruppo. Spero di andare meglio in Spagna e poi al Giro d’Italia.
Se inizia la rincorsa al cross, con quale spirito correrai su strada?
Cercando di portare a casa dei buoni risultati. Al Giro voglio puntare a qualche tappa, senza guardare alla classifica generale. Pensando di prendere qualche fuga, correndo in modo aggressivo, non aspettando passivamente le salite. Qualche anno fa potevo ambire a una classifica, ma il ciclismo si sta specializzando e non basta fare cross per essere una scalatrice al livello delle più forti.
A Livigno con sua cugina Maria Giulia Confalonieri (foto Instagram)A Livigno con sua cugina Maria Giulia Confalonieri (foto Instagram)
Tanto diverso questo Belgio dalle… tue Fiandre?
E’ un altro posto. Nelle mie gare vedo campi e terreni, qua ci sono altri paesaggi. L’unica volta che si viene di qua, è per la Coppa del mondo a Namur.
Ti sei allenata con Maria Giulia Confalonieri nelle scorse settimane?
La mia cuginetta… Abbiamo fatto qualche uscita in bicicletta prima che lei ricominciasse a correre. Se siamo entrambe a casa, ci alleniamo insieme, ma in questo periodo è difficile beccarci. Al massimo ci incrociamo.
Si sta bene alla Valcar?
Sono molto soddisfatta, mi piace andare in giro per l’Europa con questo gruppo. Sono proprio contenta di essere tornata.
Per molti anni, l’Amstel Gold Race è sembrata la “gara stregata” degli italiani. Dalla sua nascita nel 1966 fino al 1997, avevamo collezionato una sola vittoria e ben 7 piazze d’onore. C’era sempre qualcuno più forte, sin dal 1978 quando Francesco Moser dovette arrendersi nello sprinta duealla maggiore brillantezza del padrone di casaJan Raas, vincitore della corsa principe del calendario olandese per ben 5 volte.
La svolta di “Zazà”
A sfatare la maledizione era stato nel 1996 Stefano Zanini e per farlo dovette reinventarsi. Era un velocista, ma decise di anticipare lo sprint. «In fuga c’erano Missaglia, Sciandri e Peron, sono partito ai -15 per andarli a prendere – dichiarò all’epoca – poi scattai d’istinto e a 2 chilometri dall’arrivo, vedendo il gruppo in lontananza, capii che era fatta». Secondo fu Mauro Bettin, quinto Fontanelli: un’edizione molto azzurra.
Stefano Zanini, 29 vittorie in carriera, oggi Ds dell’Astana. In Olanda il giorno più belloStefano Zanini, 29 vittorie in carriera, oggi Ds dell’Astana.
L’acuto di Bartoli
Altre però ne sarebbero arrivate. Nel 2002 ad esempio ci fu il sigillo di Michele Bartoli, in fuga a 4 con il compagno di squadra russo Ivanov, l’olandese Boogerd e l’americano Armstrong. Quella fu l’ultima classica del Nord vinta dal toscano: «Era un periodo particolare, ero appena rientrato da un infortunio che avevo temuto potesse chiudere la mia carriera in anticipo, poi era appena arrivata mia figlia».
La settimana di Rebellin
Due anni dopo, proprio all’Amstel iniziò la settimana magica di Davide Rebellin, che in 8 giorni portò a casa oltre alla classica olandese anche Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi. Una gara fortemente italiana (terzo Bettini, quarto Di Luca), con l’olandese Michael Boogerd battuto nello sprint a due dal veneto.
Rebellin all’Amstel 2004, dietro Boogerd. Quell’anno il veneto vinse la Coppa del MondoRebellin all’Amstel 2004, dietro Boogerd. Quell’anno il veneto vinse la Coppa del Mondo
Boogerd merita un capitolo a parte: corridore di riferimento al tempo per il ciclismo arancione, con l’Amstel ha avuto un rapporto conflittuale, solo lenito dal successo nel 1999, quando batté Armstrong.
L’olandese infatti è giunto per ben 4 volte secondo e anche nel 2005 incassò una delusione, perdendo in volata con Danilo Di Luca, con Celestino terzo e Rebellin quarto. Boogerd in quel frangente tirava la volata a Freire, solo che andò così forte che lo spagnolo si staccò e quando non ne aveva più, Di Luca gli tolse un altro sorriso dalla bocca…
Cunego, la testa a Liegi
Nel 2008 venne la volta di Damiano Cunego, nel pieno del processo di trasformazione da specialista delle corse a tappe a capitano per le classiche. Nel suo anno migliore (nel 2008 vincerà anche il Lombardia), il veronese batté allo sprint il lussemburghese Schleck e la sua vittoria la raccontò così: «Avevo in testa la Liegi, così vedevo l’Amstel come una prova generale. Attaccavano tutti e non potevo essere sempre io a rincorrere, dovevo anticiparli, così ho trovato la carta vincente».
Amstel 2008: Cunego “giustizia” Frank Schleck sul CaubergAmstel 2008: Cunego “giustizia” Frank Schleck sul Cauberg
Arriva “Gaspa”
Proprio con Cunego e il suo Lombardia sarebbe iniziato un lungo periodo di astinenza da vittorie italiane nelle classiche. A interrompere la parentesi fu Enrico Gasparotto, uscito vittorioso nel 2012 da un quintetto con gente come Freire e Sagan. Il meno pronosticato, che però con l’Amstel aveva saputo instaurare un feeling speciale: sarebbe stato infatti capace di un clamoroso bis nel 2016 (oltre al podio preso anche nel 2018).
Il commovente arrivo di Gasparotto nel 2016, con la dedica per DemoitiéIl commovente arrivo di Gasparotto nel 2016, con una dedica speciale per Demoitié
Quella vittoria venne vissuta con uno stato d’animo diverso, caratterizzato ancora dal dolore per la perdita, subìta un mese prima, del compagno di squadra francese Antoine Demoitié, uno dei tanti caduti per incidenti stradali: «Il giorno prima arrivò in albergo la moglie, a darci lei una parola di conforto e di motivazione. E’ stata una delle emozioni più forti, io non ero neanche potuto essere al funerale, ero da solo in altura ad allenarmi». Già, certe vittorie hanno davvero un sapore particolare…