Tre performance 2023 e tre coach. Spuntano VdP e Groves

06.11.2023
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Tre performance che abbiano colpito tre preparatori nella stagione appena archiviata. Molti hanno in mente i duelli fra Pogacar o Vingegaard sulle vette del Tour de France. Chi c’è stato ricorda il giorno memorabile del trionfo al Giro d’Italia di Roglic sul Lussari davanti alla sua gente, ma i coach guardano altro. Guardano i numeri, è vero, ma non si fermano alle emozioni di determinate azioni.

A Paolo Slongo, Giacomo Notari e Pino Toni abbiamo chiesto quale performance li avesse più colpiti. Sul piatto abbiamo anche messo diversi momenti clou dell’anno. Per esempio, la crono di Vingegaard al Tour, esaltata per valori e preparazione al dettaglio. La Liegi di Remco o le sue cavalcate in Spagna. Le volate in rimonta di Milan. La Roubaix di Van der Poel… Ma loro avevano già le idee chiare. 

Ai mondiali di Glasgow, Mathieu Van der Poel scatta a 23 chilometri dal traguardo e distrugge dei super campioni
Ai mondiali di Glasgow, Mathieu Van der Poel scatta a 23 chilometri dal traguardo e distrugge dei super campioni

Toni: VdP a Glasgow 

Partiamo da Pino Toni. Il tecnico toscano non ha avuto dubbi: la sua performance preferita? Il mondiale di Van der Poel, ci ha detto immediatamente. 

«Al di là che c’erano tutti e tutti erano al top e volevano vincere – spiega Toni – l’olandese ci è arrivato benissimo. In una corsa di un giorno tutti sono al massimo. Questo vale anche per i grandi Giri, ma è diverso. Mathieu mi ha stupito soprattutto per la facilità con cui ha fatto quei 5′ “a blocco” in cui ha staccato tutti. Ed era lontano dal traguardo, 23 chilometri se ben ricordo. E dietro aveva quattro corridori fortissimi, tutti con caratteristiche diverse: chi era più esplosivo, chi per le salite lunghe, chi velocista… segno che si trattava di un mondiale duro. Per quel calibro di motori mancava solo Ganna, ma lui forse ha una mentalità diversa».

Per Toni quei 23 chilometri sono stati un mix di tattica, potenza e preparazione azzeccata. Ha rifilato oltre un minuto e mezzo a Van Aert, Pogacar e Pedersen, il più veloce in teoria, ma poi il più stanco nel finale. E quasi 4′ al quinto, Kung.

«Non conosco di preciso i suoi numeri. Uno sguardo gliel’ho dato, ma il file reale è un’altra cosa e sarebbe bello averlo! Ma di certo sono stati valori fuori dal comune».

Sembra una volata di gruppo, in realtà Ganna (a sinistra) e Groves (al centro) erano i “reduci” della fuga a Madrid, finale della Vuelta
Sembra una volata di gruppo, in realtà Ganna (a sinistra) e Groves (a destra) erano i “reduci” della fuga a Madrid, finale della Vuelta

Notari: Groves a Madrid

Giacomo Notari, preparatore dell’Astana Qazaqstan  ci stupisce, ma poi ripensandoci, neanche troppo, e la sua perla è la vittoria di Kaden Groves a Madrid, nell’ultima tappa della Vuelta. Vale la pena ricordare che di solito la frazione finale di un grande Giro è una passerella, quel giorno invece per “colpa” di Evenepoel le cose non sono andate così.

«Vedere un velocista andare in fuga con dei campioni, dei cronoman come Ganna ed Evenepoel è stato particolarissimo. E sì che stando in gruppo – spiega Notari – lui avrebbe vinto al 99 per cento, perché non era “un velocista”… Era il velocista più forte della Vuelta».

Groves aveva già dimostrato in altre occasioni di essere più di un velocista, ma con altri andamenti tattici. E infatti anche sul Montjuic aveva fatto secondo, ma stando coperto in gruppo. Uscire allo scoperto è stato davvero insolito per uno come lui.

«Io quel giorno ero in ammiraglia. Sono andati talmente forte che la gente si staccava dal gruppo. Il circuito di Madrid poi non è piattissimo, anzi…. Groves in volata ha numeri importantissimi, sta sui 1.600-1.700 watt e tutto sommato visto che in fuga erano in sei, quei 10”-15” di trenata riusciva a digerirli bene, fisicamente. Ma se si pensa che hanno fatto oltre 50 di media e nel finale è riuscito ugualmente a sprintare, per me è la performance dell’anno».

Van der Poel ha attaccato nella seconda parte del Poggio, gli altri (si notano sullo sfondo) erano in riserva lui no
Van der Poel ha attaccato nella seconda parte del Poggio, gli altri (si notano sullo sfondo) erano in riserva lui no

Slongo: Vdp sul Poggio

Chiudiamo quindi con coach Paolo Slongo, in forza alla Lidl-Trek. Paolo “torna in Italia” e lo fa con Van der Poel anche lui, ma alla Sanremo.

«Di episodi interessanti ce ne sono stati tanti in questa stagione – dice Slongo – ma le performance che più mi sono piaciute sono state quelle di Van der Poel, perché quel che ha dichiarato è poi riuscito a vincere. Dai mondiali di cross a quelli su strada».

In ballo con il mondiale anche lui, alla fine Slongo ci ha parlato della Sanremo. E del Poggio in particolare. Ci è arrivato con una preparazione al millimetro.

«Era qualche anno che non si vedeva un numero del genere sul Poggio. E’ stato un numero di forza: Mathieu è riuscito a fare la differenza quando tutti erano stanchi, ha avuto una sparata in più. Ed questa la prestazione. Vero, c’era vento e Pogacar ha tirato molto, ma Pedersen, Van Aert… non sono riusciti a dare la botta ulteriore.

«Per fare quell’azione sul Poggio significa che ci arriva spendendo meno degli altri. Oltre ad avere un’enorme soglia aerobica, questo implica che ha anche una grande efficienza: il suo motore consuma poco. Se è frutto di un allenamento sui 20”-40”? Non lo alleno io e questo non lo so, ma di certo VdP tiene bene i 40”, anche 45” di attacco a tutta… anche dopo tantissime ore».

Pontchateaux, Vanthourenhout bis. Viezzi 4° fra gli juniores

05.11.2023
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Michael Vanthourenhout ha colpito ancora al momento perfetto e ha conquistato nuovamente il campionato europeo di ciclocross, come già lo scorso anno a Namur. Con Van Aert e Van der Poel ancora fuori dai giochi, il belga ha approfittato della giornata negativa di Thibau Nys e degli errori commessi da Lars Van der Haar sul percorso scivoloso e fangoso. 

«Avevo buone gambe – ha detto Vanthourenhout – e ho dato il massimo dall’inizio alla fine. Finora la stagione non era stata buona, ma già nel Koppenbergcross mi ero sentito bene, pur non essendo riuscito a capitalizzarlo. Ma qui a Pontchateau c’era in ballo una maglia, sono venuto con fiducia e tutto ha funzionato alla perfezione. Oggi è stata la mia giornata. Ho avuto un ottimo feeling subito dopo la partenza e sono riuscito a prendere il comando abbastanza presto. Fortunatamente sono stato abbastanza forte da reggere fino alla fine».

Per Michael Vanthourenhout, 29 anni, doppietta europea dopo la vittoria del 2022 a Namur
Per Michael Vanthourenhout, 29 anni, doppietta europea dopo la vittoria del 2022 a Namur

Due azzurri al via

La gara, che vedeva al via 30 corridori con Ceolin e Bertolini unici azzurri, è stata accesa per i belgi prima da Laurens Sweeck, che è partito a cannone e poi si è fermato.

E mentre ci si chiedeva il perché di quella strategia, nel secondo giro ha attaccato il campione in carica. Nessuno poteva ancora immaginare che fosse l’attacco decisivo, probabilmente neanche lui.

«Pensavo che la sua prima metà gara fosse stata fantastica – ha detto suo cugino e allenatore della nazionale Sven Vanthourenhout – ma a dire il vero dubitavo anche che avrebbe resistito».

Stopper Iserbyt

Hanno provato a rispondere prima gli olandesi e poi i britannici, ma questa volta nel ruolo di stopper si sono ritrovati fra i piedi Iserbyt e Ronhaar. Così a metà gara ci ha provato l’olandese Lars Van der Haar, che sta attraversando un ottimo momento di forma. A quel punto tutti si aspettavano che entrasse in azione anche Thibau Nys, ma l’attesa è rimasta vana.

Van der Haar è diventato pericoloso nel quinto giro, quando Iserbyt ha forato, ma è stata una scivolata a impedirgli di rientrare sul fuggitivo, che invece ha disputato una gara impeccabile. Al settimo di otto giri, la prova si è praticamente conclusa quando Van der Haar ha avuto l’ennesima caduta.

Vanthourenhout ha così confermato il suo titolo, al secondo posto è arrivato il britannico Cameron Mason, terzo lo sfortunato Van der Haar.

U23, ancora Belgio

In questa domenica di fango e pioggia, il Belgio l’aveva già fatta da padrone fra gli under 23, su un percorso con molti colpi di scena, con passaggi fangosi che hanno costretto i corridori a superare ostacoli più insidiosi che impegnativi.

Belgi molto attesi e partiti infatti a ritmo forsennato, al pari di quello che avrebbero fatto in seguito gli elite. Il primo giro è parso una gara su strada, al punto che i primi cinque corridori al primo passaggio erano tutti belgi.

Quello che non ha fatto il percorso, lo hanno fatto gli errori. L’olandese Haverdings, forse il più atteso, al pari di Van der Haar ha messo insieme errori e rotture. E solo i francesi hanno provato a inseguire in modo organizzato quando in testa all’europeo under 23 si sono ritrovati Michels e Verstrynge, ma il loro margine si è rivelato troppo grande. Anche perché i due belgi in fuga sono compagni di squadra e non hanno avuto dubbi a collaborare sino in fondo. Solo nel finale si sono sfidati, con Michels che si è avvantaggiato approfittando di un problema meccanico del compagno ed è arrivato a braccia alzate. Il primo degli italiani è stato Filippo Agostinacchio, 15° a 3 minuti: 26 secondi meglio di Luca Paletti.

Bronzo azzurro sfiorato

Vittoria francese infine fra gli juniores, con la vittoria di Sparfel, 17 anni. Il francesino ha potuto approfittare del vantaggio preso relativamente presto, per festeggiare la sua vittoria nel sottobosco fangoso di Pontchateau. Il corridore dei Vosgi ha vinto davanti all’ungherese Zsombor Takacs, mentre al terzo posto si è piazzato un altro francese, Jules Simon.

Al quarto posto si è piazzato Stefano Viezzi, che ha lottato con Simon fino all’arrivo, vedendo sfumare il bronzo per l’inezia di un secondo. Fra i primi anche Mattia Agostinacchio, decimo a 1’14”.

Europei cross: brilla il bronzo di Sara Casasola

05.11.2023
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Potente, grintosa, con la gamba piena: Sara Casasola va a prendersi un bronzo europeo fantastico. Un bronzo che forse neanche lei si aspettava. Oggi sul bellissimo circuito di Pontchateu è stata magistrale. E poco importa che Fem Van Empel abbia demolito le sue avversarie. La gioia italiana è tutta sulle spalle di Sara Casasola.

Van Empel a mani bassi

A Pontchateu, cittadina nel Nord-Ovest della Francia, quasi sull’Atlantico, è stato ciclocross vero. Il campionato europeo femminile ha visto una corsa infangata come non accadeva da un po’. Specie per chi è abituato ad assistere al cross alle nostre latitudini e ancora di più nel finale, quando un forte acquazzone è tornato ad appesantire il terreno. L’allerta meteo e il conseguente stop di ieri, avevano “ridisegnato” il tracciato: più fango, fondo più lento, ma anche più tecnico. 

Ma al tempo stesso restava un tracciato “da gamba”: lunghi rettilinei, giusto un paio di tornanti, sede larga… si poteva passare. Un percorso ben diverso dagli stretti fettucciati italiani e sul quale bisognerebbe riflettere.

Ma torniamo a Pontchateu. In questo contesto Van Empel è andata a nozze. Una gara mai in discussione. Già dopo un paio di giri c’erano metri di vantaggio, che sono poi diventati secondi e infine minuti.

«In realtà al primo giro – ha detto la neocampionessa europea – ho avuto qualche problema: non riuscivo a prendere il ritmo, poi le cose sono migliorate e ho fatto la mia corsa. Ora mi godrò questa vittoria e per un paio di settimane mi riposerò».

Il bronzo di Sara

Ma come la fuoriclasse olandese faceva il vuoto, così Casasola recuperava. Dapprima restava in scia a mostri sacri quali Inge Van Der Heijden e Manon Bakker, poi piano piano le passava. Le altre davano sempre più di spalle, mentre la friulana filava via senza indugio, stabile, compatta e sicura sulla sua Guerciotti.

A due terzi di gara, dopo aver superato Van Der Heijden, per un po’ Casasola sembrava riuscire a mettere nel mirino addirittura Celyne Alvarado, nomi che fanno tremare solo a pronunciarli. Ma poi l’olandese rimetteva le cose in chiaro, spingendo e scavando un distacco di sicurezza. Ma al costo di rischi non da poco: imbarcate, scivolate sulle gradinate di legno, cambio di bici.

Sara invece guidava pulita. Cercava l’erba, da sempre segno di tenuta in certe situazioni, e tagliava decisa all’interno delle curve. E all’uscita spingeva bene il rapporto. Davvero un’ottima impressione e un bronzo strameritato.

Aggiungendo una nota di poesia, quando Casasola stava per tagliare il traguardo è anche spuntato un grande arcobaleno e proprio sotto l’arco colorato il cittì Pontoni le correva a fianco per incitarla, anche se ormai i giochi erano fatti. Mancava giusto l’ultima curva su sterrato, poi solo la lingua d’asfalto che portava al traguardo.

Gioia azzurra

Eva Lechner ce lo aveva detto pochi giorni fa: «Sara sta andando davvero bene». Il settimo posto in Coppa del mondo non era dunque casuale. E questo bronzo può aprire nuove prospettive.

Un bronzo che non è piaciuto del tutto agli olandesi. La stampa di Amsterdam ha parlato di: “sorprendente italiana”, “giovane inaspettata” e “l’italiana che ha interrotto l’egemonia olandese”. Visto che le top 7 erano tutte olandesi, gli Orange si aspettavano una tripletta facile facile e invece…

Sara prima di tutto complimenti. Hai guidato benissimo…

Grazie – risponde con tono raggiante – effettivamente stavo bene.

Ti aspettavi un risultato simile?

Dire che me lo aspettavo no, magari dopo i buoni tempi sul giro fatti in Coppa potevo sperare nelle cinque. Speravo più che altro in una buona giornata, ma non nel podio. Anche perché a questi livelli le migliori arrivano accanite e ben preparate.

Hai cambiato qualcosa nella tua preparazione?

Sinceramente no, semplicemente sono riuscita a fare una stagione su strada più completa, senza troppi intoppi. Quelli che invece avevo avuto lo scorso anno. Come si dice, si cresce di anno in anno e credo sia questa la motivazione del mio miglioramento.

Tempesta, allerta meteo e un percorso diverso: ti è piaciuto questo fango?

A me i tracciati così difficili non dispiacciono e anche se c’era da correre a piedi non mi spaventava perché sono sempre andata bene. Semmai c’era l’incognita del maltempo perché di fatto in Italia non abbiamo mai trovato fango, maltempo… ma sempre tutto secco. Stamattina invece, quando abbiamo provato era tutto diverso, specie dopo la gara degli under 23.

Sara Casasola (classe 1999) raggiante sull’arrivo e anche dopo
Sara Casasola (classe 1999) raggiante sull’arrivo e anche dopo
E infatti ti volevo chiedere proprio di questo e delle scelte tecniche. Con che gomme hai corso?

All’inizio pensavamo di mettere una da fango davanti e un’intermedia dietro, ma poi vedendo i ragazzi e parlando anche con Daniele (Pontoni, ndr) abbiamo deciso di non rischiare e ho montato entrambe le gomme da fango. Anche perché poi con tutta quell’acqua e quel fango non c’erano più tutti questi tratti così scorrevoli.

E poi ha anche ripreso a piovere…

Esatto. Il meteo è andato peggiorando e questa si è confermata la scelta giusta. Gli under 23 scivolavano veramente tanto.

Ultima domanda, sappiamo che sei impegnatissima in questo post gara: ma dicci la verità, ti è passata per la mente l’idea di andare a riprendere la Alvarado?

Eh sì, per un po’ ci ho anche pensato. Io ci ho provato fino all’ultimo, ho dato tutto, ma credo che nel finale i miei tempi sul giro si siano alzati un po’, mentre lei è stata costante. Forse ho pagato un po’ la mia parte centrale di gara, in cui ho spinto di più. Ma va bene così dai!

Le imprese di Hoogland sotto la lente di Quaranta

05.11.2023
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55”433. E’ il nuovo record del mondo nel chilometro da fermo, stabilito sfruttando appieno i benefici dell’altura di Aguascalientes (Messico) da parte di Jeffrey Hoogland– Il trentenne olandese da tempo cercava questo primato, ma non aveva mai trovato il tempo per curare tutta la lunga preparazione e la gestione della trasferta. Hoogland ha abbassato il precedente primato di quasi 9 decimi. Non contento di ciò, due giorni dopo si è preso anche quello sui 500 metri, in 24”564 con due decimi di margine sul tempo siglato dal britannico Hoy a La Paz nel 2007, mancando però dopo ben 3 tentativi quello sui 200 metri, 9”100 che resta a Nicholas Paul di Trinidad per appena 3 millesimi.

Di tutti questi numeri abbiamo voluto parlare con il tecnico della nazionale Ivan Quaranta, per capire quali significati ci sono dietro di loro perché le imprese di Hoogland oltreAtlantico sono già oggetto di studio: «Abbiamo raccolto una gran massa di dati e di immagini – sottolinea Quaranta – sui quali il Gruppo Performance sta già lavorando ed elaborando grafici e studi che saranno utilissimi anche a noi nel lavoro sui nostri ragazzi».

Ivan Quaranta è da due anni il tecnico della velocità italiana su pista
Ivan Quaranta è da due anni il tecnico della velocità italiana su pista
Che impressione hai tratto dal tempo di Hoogland sui 1.000 metri?

Intanto va sottolineato che il vecchio primato il francese Pervis lo aveva stabilito 10 anni fa e da allora c’è stato un enorme progresso tecnico, in termini di materiali, di preparazione dell’uomo ma anche delle condizioni ideali della pista, che è stata scaldata prima del tentativo. Si tratta comunque di una pista magica, dove è quasi garantito che si ottenga il record, anche Vittoria Bussi ha stabilito lì il suo primato sull’ora. Questo però non toglie che si tratti di tempi enormi, soprattutto se raffrontati a quelli sul livello del mare (dove il record è sempre di Hoogland, 57”813 stabilito a Grenchen in Svizzera, ndr). Il suo primato mi ha fatto molto pensare…

Perché?

Quando l’ho saputo, mi sono chiesto se Hoogland abbia voluto puntare al record come a un lascito di fine carriera oppure sia la maggior dimostrazione della sua caratura. L’olandese veniva dal mondiale di agosto, ha tirato dritto con la preparazione per il record ed ora lo aspetta quella per gli europei di gennaio. Senza mai mollare, devi essere un fenomeno per farlo.

Hoogland ha 30 anni, vanta 9 titoli mondiali, 14 europei e l’oro olimpico di Tokyo 2020 nel Team Sprint
Hoogland ha 30 anni, vanta 9 titoli mondiali, 14 europei e l’oro olimpico di Tokyo 2020 nel Team Sprint
Non pensi che potrebbe anche sorvolare sugli europei? In fin dei conti l’Olanda non ha certo problemi di qualificazione olimpica e soprattutto ha un bacino di talenti enorme, può tranquillamente sostituirlo…

L’ho pensato, oltretutto anche non al 100 per cento potrebbe comunque vincere considerando il margine enorme che ha su tutti gli altri. E’ chiaro però che una tale forma tenuta così a lungo è un caso anomalo, noi siamo abituati a cicli che al massimo possono prevedere due picchi di condizione, ma bisogna anche saperli programmare e raggiungere. Lui invece ha mostrato una continuità strabiliante.

A fine gara il recupero è stato molto difficoltoso: non riusciva a scendere dalla bici e ha impiegato oltre mezz’ora per riprendersi completamente.

E’ normale vista la rarefazione dell’aria. In quelle condizioni si rischia l’embolia, lo svenimento. Aveva infatti la maschera dell’ossigeno sia prima che dopo. Il fisico viene praticamente inquinato dall’acido lattico che senza l’adeguato contributo di ossigeno si fatica a smaltire. Io ho corso in altura, so quanto ci si mette a recuperare.

Hoogland ha migliorato anche il record sui 500 metri mancando però quello sui 200. Come lo spieghi?

Ne abbiamo parlato anche con altri tecnici e questo conferma una tesi che abbiamo sviluppato: si è ormai vicini al limite massimo di velocità massima in curva. Mi spiego meglio: Hoogland ha avuto una velocità media in curva di 79 chilometri orari. Non si può andare molto oltre, perché a quel punto prevale la forza centrifuga che porta via l’atleta dalla linea di corsa. Bisogna anche tenere conto della massa corporea – Jeffrey sarà almeno tra i 100 e i 110 chili – e della resistenza dell’aria non direttamente proporzionale alla velocità. Sono tutti termini sui quali col gruppo performance stiamo lavorando analizzando minuziosamente i filmati provenienti da Aguascalientes.

Questi record sono anche una risposta a Lavreysen, per uscire un po’ dalla sua ombra?

Io li conosco bene, la pista è un ambiente ristretto e ci si frequenta un po’ tutti. Loro si rispettano molto, ma sono fieri rivali. Inoltre sono molto diversi, fisicamente e come caratteristiche. Non è un caso se Lavreysen sia più forte in certe discipline e Hoogland in altre, quelle contro il tempo, poi nella velocità a squadre si completano. Penso che Lavreysen non riuscirebbe e raggiungere questi livelli nel chilometro, neanche in altura.

L’olandese ha stabilito due record in terra messicana, mancando quello dei 200 di 3 millesimi
L’olandese ha stabilito due record in terra messicana, mancando quello dei 200 di 3 millesimi
Queste prestazioni sono un buon esempio per i ragazzi italiani?

Sicuramente, vanno studiate con attenzione, anche nella posizione in sella, nelle traiettorie. Noi guardiamo al nostro, abbiamo già iniziato la preparazione per gli europei di gennaio, sarà una stagione subito intensissima con 4 grandi eventi da gennaio ad aprile (comprese 3 prove di Nations Cup, ndr) per giocarci la qualificazione olimpica. Siamo decimi ma poco distanti dall’ottava squadra, ultima ad accedere a Parigi 2024. Ci proviamo, ma non dimentichiamo che i nostri sono di gran lunga i più giovani del lotto. Noi siamo i più forti al mondo fra gli U23, ma per arrivare a quei livelli serve una preparazione di anni perché certi pesi in palestra non li sollevi da un anno all’altro. Dateci tempo…

Anche il Tour sullo sterrato, alla ricerca del ciclismo eroico

05.11.2023
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In Spagna si chiamano “caminos de tierra”, in Francia “chemins de vigne”, in Italia “strade bianche”. Una volta erano il terreno su cui si misuravano gli eroi del ciclismo, oggi sono diventate lingue di sterrato preziose e temute. La nona tappa del Tour de France 2024 avrà ben 14 settori di sterrato spalmati sui 199 chilometri da Troyes a Troyes

Una frazione che sulla carta è già spettacolare, così come il contesto che la ospiterà. Immersi nelle vigne dello Champagne e del Pinot Nero, questo tipo di strade approderanno per la prima volta al Tour de France. Se si parla si strade bianche e ciclismo eroico, il primo nome che salta alla mente è quello del suo creatore Giancarlo Brocci, che ha reso queste strade dimenticate da tutti un valore aggiunto. 

Qui Vincenzo Nibali durante l’iconica tappa da Carrara a Montalcino nel 2010
Qui Vincenzo Nibali durante l’iconica tappa da Carrara a Montalcino nel 2010

Spettacolo da vedere

E’ impresso negli occhi di tutti l’immagine di Vincenzo Nibali in maglia rosa, imbiancato dalla polvere bagnata della frazione che da Carrara andava a Montalcino. Neanche a dirlo ma in Italia questo spettacolo in un Grande Giro lo abbiamo già visto. Ed è stato uno show incredibile. 

«Ho impresse – dice Giancarlo Brocci – le parole che mi disse Gianni Mura nel 2010 in occasione di quella tappa. “Il ciclismo disegnerà il suo futuro guardando al passato.” Da Repubblica gli raddoppiarono le righe che avrebbe dovuto scrivere perché in redazione tutti avevano guardato la tappa. Il segreto è tutto qui. Quel ciclismo che torna all’antico, recupera improvvisamente l’innocenza perduta e una dimensione umana che unisce tutto il gruppo. Il Tour tutto questo lo sa e ha rispetto per chi guarda la corsa».

Qui Pidcock alle Strade Bianche 2023 in mezzo a due ali di folla esaltate
Qui Pidcock alle Strade Bianche 2023 in mezzo a due ali di folla esaltate

Ciclismo eroico

Remco Evenepoel in merito a questa tappa ha detto: «Ci sono già gare e campionati separati per lo sterrato, non c’è bisogno di inserirle nei grandi Giri». Il pensiero di ASO per il 2024 è esattamente l’opposto e, inutile dirlo, Brocci approva. 

«Sulla strada bianca non si può stare a ruota – dice – e fare grande lavoro di squadra come sull’asfalto. Le differenze le noti e poi introduci altri elementi che sono la destrezza, la capacità di guida di una bicicletta e il coraggio, insomma, ci vogliono delle abilità supplementari per poter andare forte anche su strada bianca. Il Tour ha visto questi valori ed è andato anch’esso alla ricerca di quel ciclismo eroico che esce dalle dinamiche di oggi.

«Nel 2008 con l’Eroica io cercai proprio questo e da lì è partito un movimento che cresce sempre di più, nonostante la continua evoluzione dei materiali e della preparazione. Chi vince una Strade Bianche o una Roubaix rimane nella storia. Il volto infangato e l’impresa è un qualcosa che va a colpire lo spettatore e gli scolpisce un ricordo indelebile».

Qui alcuni dei tratti che verranno affrontati nella nona tappa del Tour (foto E.Garnier-L’Equipe)
Qui alcuni dei tratti che verranno affrontati nella nona tappa del Tour (foto E.Garnier-L’Equipe)

Patrimoni da conservare

Per la nona tappa il luogo individuato dagli organizzatori di ASO è quello delle colline dello Champagne. Strade sterrate che vanno su e giù in mezzo alle vigne. Luoghi magici e affascinanti come il villaggio di Essoyes, dove Pierre-Auguste Renoir visse e dipinse per trenta estati, trasponendo sulle sue tele la straordinaria gamma di colori della vite locale. Le strade non vedranno la carovana passare su di esse proprio per tutelare questi tratti oggi diventati preziosi.

«L’idea di riportare la bici da strada fuori dall’asfalto – prosegue Brocci – è quella che ha caratterizzato l’Eroica. E’ nata anche per la salvaguardia delle ultime strade bianche che a suo tempo erano fondamentalmente un disvalore, cioè erano un parametro di zona depressa. Oggi il ciclista deve avere coraggio per prendere la bici e pedalare in mezzo alle macchine e al traffico. Questo è un modo per avvicinare anche i giovani e portare il cicloturista a godersi una pedalata come lo era un tempo».

Giancarlo Brocci, ideatore e fondatore di Eroica e della Strade Bianche per i pro’ (foto Facebook/Eroica)
Giancarlo Brocci, ideatore e fondatore di Eroica e della Strade Bianche per i pro’ (foto Facebook/Eroica)

Un passo avanti

Un Grande Giro ogni anno disegna il suo percorso per mostrarlo al mondo intero. Per il 2024 il Tour ha deciso di misurarsi con le strade sterrate, mettendo un possibile primo appuntamento che potrebbe diventare un elemento caratteristico della corsa gialla. In Italia la classica di inizio anno e gli eventi di Eroica, ogni anno portano migliaia di appassionati in terra Toscana. L’abbiamo visto nel 2010 e in qualche altra timida occasione. 

«Sono stato contattato varie volte da Prudhomme – continua Brocci – per parlare anche di questo. Sono contento che abbiano deciso di puntarci e di mettersi in gioco, so che ci stavano lavorando da tempo. Negli anni ho provato anche io a proporre l’appuntamento “fisso” nella corsa rosa, ma l’idea non ha mai trovato una risposta positiva».

In un articolo realizzato da Gaétan Scherrer per L’Equipe, Thierry Gouvenou, direttore tecnico dell’evento e responsabile del percorso ha detto: «Ci siamo ripromessi di non disputare mai più di due tappe sprint di fila nel Tour. Tuttavia, con la configurazione del percorso nel 2024, ci troveremo in pianura all’uscita delle Alpi (4a tappa)  a Cantal (11a tappa). Quindi abbiamo dovuto trovare un trucco e togliere i sentieri bianchi rimasti un’ipotesi per cinque anni».

Doppietta Giro-Tour. E’ possibile nel 2024?

05.11.2023
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Non c’è niente da fare, l’eterno discorso della doppietta Giro-Tour tiene sempre banco. Fa discutere, sognare, pensare… Se in oltre cento anni di storia ci sono riusciti solo in sette, un motivo ci sarà. E quest’anno più che mai, con due percorsi più accessibili, magari è la volta buona. Ma ecco che spunta il terzo “incomodo”, le Olimpiadi, a frenare la doppietta. Doppietta che Stefano Garzelli, in passato ha visto realizzarsi da vicino, grazie al compagno di squadra e capitano Marco Pantani.

Stefano Garzelli (qui con Alessandra De Stefano) ha vinto il Giro del 2000. Dal 2016 è commentatore tecnico per la Rai
Stefano Garzelli (qui con Alessandra De Stefano) ha vinto il Giro del 2000. Dal 2016 è opinionista per la Rai
Stefano, doppietta Giro-Tour, ma con vista sulle Olimpiadi…

Credo che possa riguardare soprattutto Pogacar questo discorso, ma penso anche che l’Olimpiade poi non vada ad incidere così tanto sull’eventuale doppietta. Il Tour de France resta obiettivo primario per un atleta di quel calibro, di quelle caratteristiche e di quella squadra.

Quest’anno i due percorsi per te favoriscono la doppietta?

Su carta sì, perché non sono due percorsi impossibili (qui quello del Giro e qui quello Tour, ndr). Tutti e due hanno un avvio molto tecnico, molto impegnativo e poi hanno una settimana finale molto impegnativa. Il Tour forse è un po’ più facile nella parte centrale. Il Giro d’Italia, tolto il tappone di Livigno che suera i 5.000 metri di dislivello, non ha frazioni impossibili. E anche in quella tappa, gran parte del dislivello si accumula con Aprica, prima, che non è dura, e con la Forcola soprattutto. La Forcola è lunga, ma non è a ridosso dell’arrivo e concede ampi recuperi e non credo farà grandissima selezione.

Al Tour certi tapponi non ci sono proprio… Molti hanno detto che Vegni ha disegnato questo percorso proprio per lui. Cosa ne pensi? Sarebbe l’occasione giusta?

Io credo che ancora per quest’anno, Tadej imposterà la sua stagione sul Tour de France. Viene da due secondi posti e vuole rivincere. Fisicamente potrebbe anche riuscirci e provarci, ma poi con un Vingegaard così deve essere al top del top. Non puoi fare il Giro prima del Tour, oltre al dispendio energetico ti esponi a rischi di cadute, infortuni… Hai un mese e poi ti devi far trovare subito pronto, perché come detto, la partenza è dura.

I tracciati di Giro e Tour non sono impossibili, ma le partenze non prevedono tappe di pianura come una volta, specie in Francia
I tracciati di Giro e Tour non sono impossibili, ma le partenze non prevedono tappe di pianura come una volta, specie in Francia
Prima invece si poteva non essere al 100 per cento….

Esatto. E poi con Vingegaard che è diventato un killer, sarebbe troppo rischioso. Quest’anno senza la caduta di Liegi (il riferimento è a Pogacar, ndr) credo che se la sarebbero giocata sul filo dei secondi fino alla fine, ma anche per un fenomeno come lo sloveno stare 25 giorni fermo in quel momento dell’anno non è facile. Anzi, solo lui poteva riuscire a fare secondo in quelle condizioni.

E a Stefano Garzelli sarebbero piaciuti questi due tracciati per tentare la doppietta?

Se avessi dovuto vincere il Tour, no. Rispetto ai miei tempi il ciclismo è cambiato ed è cambiato ancora di più negli ultimi 3-4 anni. E’ tutto più esponenziale, tutto vissuto al massimo. Pantani nel 1998 si ritrovò in quel Tour con le prime dieci tappe piatte. Non c’era neanche una salita. Nella crono di apertura arrivò tra gli ultimi (181° su 189, ndr). Poi, per una serie di circostanze e perché si chiamava Pantani, è riuscito a vincerlo. Marco andò in Francia senza troppa pressione. Aveva vinto il Giro. Ma oggi è diverso e il Tour è troppo importante.

Purtroppo per il Giro…

Purtroppo per il Giro, esatto. Se Pogacar questa estate avesse vinto la maglia gialla, magari al Giro ci sarebbe venuto, anzi forse lo avrebbe fatto al 100 per cento. Ma oggi più che mai sembra che conti sempre di più solo vincere. Come se un secondo posto in certe corse fosse da buttare, specie nella sua squadra. Sono arabi, hanno un’altra cultura. Sì, ne hanno messi due sul podio… ma non hanno vinto.

Marco Pantani sigla l’impresa a Montecampione e di fatto vince il Giro, 54 giorni dopo sarà in giallo a Parigi
Marco Pantani sigla l’impresa a Montecampione e di fatto vince il Giro, 54 giorni dopo sarà in giallo a Parigi
Hai parlato spesso delle due partenze, impegnative per entrambi i Giri: i percorsi vecchio stile con molta pianura all’inizio avrebbero favorito la doppietta?

Sul fronte della preparazione di certo è complicato. Al via del Giro devi farti trovare pronto. In più la corsa rosa ormai ha delle caratteristiche per le quali ogni giorno può esserci un’imboscata, un imprevisto, ogni tappa ha la sua storia… Al Tour c’è nervosismo. Sì, forse con due percorsi più facili in fase di avvio, la doppietta poteva essere un po’ più facile. E poi noi stiamo dando per scontato che vincere la corsa rosa sia facile, ma non lo è affatto. In più c’è da considerare che mentalmente è dura stare concentrati e sotto pressione 21 giorni e poi altri 21 giorni.

Inoltre nel 2024 ci sono le Olimpiadi, che forse riguardano più Pogacar che Vingegaard…

Come ho detto, non credo che le Olimpiadi incidano sulla doppietta. Chi esce dal Tour in questo caso o dalla Vuelta per il mondiale va sempre forte. Il tracciato dell’Olimpiade da quel che so non è durissimo e ci sono atleti come Philipsen, Van der Poel, Van Aert che ormai non sono solo velocisti, vanno forte anche su tracciati più tecnici.

E possono sfruttare il percorso per prepararsi al meglio. Pensiamo a Vdp quest’anno…

Chi va al Tour… va al Tour. Poi l’Olimpiade avrà un andamento tattico diverso, con pochi atleti per squadra. Pogacar correrà con la Slovenia, non con la UAE Emirates. La corsa pertanto sarà più difficile da controllare, specialmente se il percorso non sarà duro. Difficile per certi corridori puntare tutto su una corsa così.

Team continental e le gerarchie in corsa. Ce lo spiega Milesi

04.11.2023
6 min
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«Nelle gare pro’ per noi dei team continental è molto difficile arrivare in testa al gruppo e restarci. Ci sono chiaramente anche delle gerarchie. L’ho visto proprio al Giro del Veneto». Tra le tante risposte che ci ha dato Nicolò Arrighetti dieci giorni fa, queste parole ci hanno dato uno spunto di riflessione sulle gare in cui corrono atleti di due categorie diverse.

E’ veramente così complicato arrivare là davanti e provare a restarci? Oppure bisogna contestualizzare le varie situazioni che si creano ad ogni corsa? Per capire meglio come funziona in questi casi per le formazioni continental, abbiamo chiesto a Marco Milesi – proprio il tecnico del giovane bergamasco alla Biesse-Carrera ed ex pro’ per tredici stagioni – di spiegarci le varie dinamiche.

Il diciottenne Arrighetti nelle gare con i pro’ ha visto subito le gerarchie che si formano in gruppo (foto Elisa Nicoletti)
Il diciottenne Arrighetti nelle gare con i pro’ ha visto subito le gerarchie del gruppo (foto Elisa Nicoletti)

L’arte del “limare”

Il discorso oggettivo di Arrighetti va ulteriormente contestualizzato perché fatto da un ragazzo di 18 anni, che nell’arco di dodici mesi si è trovato a competere dagli junior alle gare “ProSeries”, ovvero quelle un gradino sotto le WorldTour. Normale che si notino subito tante differenze.

«Nicolò ha fatto l’ultimo mese – spiega Milesi – correndo tra i pro’, ha provato questa ebbrezza (sorride, ndr). Gli sono piaciute le tre corse che ha disputato perché ha del motore ed era in forma. E poi perché è una grande “lima”, ricorda molto me in questo (sorride, ndr). Se non sei capace di stare a ruota ed ottimizzare ogni pedalata rischi molto presto di pagare gli sforzi in corsa. Tra i dilettanti ti salvi ancora, ma tra i pro’ no. Prima di tutto per la differenza di velocità e cambi di ritmo. E poi perché non riesci a restare davanti a lungo. Adesso lo vedete anche voi, nelle gare si viaggia a blocchi di squadre.

A seconda di quanti team WT ci sono, le continental sanno se potranno avere più o meno spazio in determinate fasi di corsa
A seconda di quanti team WT ci sono, le continental sanno se potranno avere più o meno spazio

Ordine delle posizioni

«I team WorldTour, specie se ce ne sono 6/7, comandano la corsa – prosegue Milesi – poi ci sono le professional ed infine noi delle continental. Ad esempio se il gruppo resta compatto prima di una salita venendo da un percorso ondulato e veloce, le continental non riescono a superare le prime 30-50 posizioni. Se invece ci sono meno squadre WorldTour allora puoi sperare di guadagnare spazio nel gruppo. Penso a Foldager alla Per Sempre Alfredo dove ha fatto terzo. Ma dipende da tanti fattori. I rapporti che si tirano. Se hai solo ragazzi U23 o solo elite. Oppure dal tipo di gara».

Paradossalmente più è duro il percorso e più i migliori corridori delle continental possono restare davanti nel finale. Un esempio fu Pesenti del Team Beltrami che nel 2022 arrivò sesto nella prima frazione della Coppi e Bartali a ruota di Van der Poel ed altri corridori del WorldTour.

«Certo, perché ad un certo punto molti uomini delle WorldTour e Professional si mettono da parte dopo aver svolto il loro compito, quindi se la giocano i cosiddetti leader di ogni squadra. E quelli delle continental devono essere stati bravi a non aver sprecato nulla».

Pesenti della Beltrami (casco giallo) alla Coppi&Bartali 2022 fu protagonista su percorsi duri in mezzo ad atleti di team WT
Pesenti della Beltrami (casco giallo) alla Coppi&Bartali 2022 fu protagonista su percorsi duri in mezzo ad atleti di team WT

Consigli utili

Nel ciclismo non basta solo avere grandi gambe, ma ci vuole testa per saperle usare bene. In questo senso per una formazione continental e giovane come la Biesse-Carrera i suggerimenti di un tecnico navigato come Milesi sono utilissimi in certi tipi di corse, sia per la crescita che la sopravvivenza sportiva del corridore.

«Quando noi andiamo con i pro’ – analizza il 53 enne diesse nato ad Osio Sotto – sappiamo già che per noi sarà tutta esperienza, però vogliamo anche provare a non subire la gara. Diciamo che bisogna essere bravi a cogliere il momento per andare in testa e tentare la fuga, perché altro è quasi impossibile da fare. Quest’anno al Giro di Sicilia siamo andati all’attacco con Belleri nelle prime due tappe per la maglia pistacchio dei “gpm”. Nonostante fossimo una continental, non ci hanno dato inizialmente tanto spazio poi Michael finalmente è riuscito ad andare in fuga e rafforzare la classifica degli scalatori.

Foldager terzo alla Per Sempre Alfredo. Spesso gli atleti delle continental devono arrangiarsi nelle volate in mezzo ai pro’
Foldager terzo alla Per Sempre Alfredo. Spesso gli atleti delle continental devono arrangiarsi nelle volate in mezzo ai pro’

«Siamo noi diesse – va avanti Milesi – che dobbiamo dire cosa possiamo fare in corsa. Magari le continental che fanno poche corse con i pro’ possono fare un po’ di confusione in gruppo. Nel meeting pre-gara spiego sempre ai ragazzi che ci vuole rispetto delle gerarchie o dei ruoli. Infatti di grossi “casini” non ne abbiamo mai combinati (sorride, ndr) e su questo ci siamo creati una buona credibilità. In volata, ad esempio, gli atleti delle continental stanno a ruota. Ai miei dico sempre che non faremo treni per evitare caos. Anche perché in un rettilineo di quattro chilometri è impossibile mettere il naso fuori mentre ti puoi salvare se il finale è tortuoso».

Confronto col passato

Milesi è diventato pro’ nel ’94 e ha smesso nel 2006, quando un anno prima la riforma UCI creò le attuali categorie WorldTour, Professional e Continental. Sembrano trascorsi molti più anni di quelli che realmente sono e quindi appare difficile fare un paragone, ma qualche momento di gara simile si può trovare.

Limatore. Milesi in maglia Brescialat durante la Roubaix ’96. Da parte sua tanti consigli ai suoi ragazzi nelle gare con i pro’
Limatore. Milesi in maglia Brescialat durante la Roubaix ’96. Da parte sua tanti consigli ai suoi ragazzi nelle gare con i pro’

«Rispetto a quando correvo io – finisce la sua considerazione Milesi – alcune cose sono cambiate in meglio, altre in peggio. Già allora nelle gare più dure si procedeva a blocchi e quando il gruppo lo decideva, nessuno andava in fuga. Adesso i blocchi delle squadre si vedono anche prima delle gare. Stanno tutti assieme dall’uscita dal pullman fino all’arrivo. Onestamente mi piace poco questa tendenza. La mia impressione è che prima invece ci fosse più socialità. Tutti parlavano con tutti, senza distinzioni tra squadre più o meno forti. Di sicuro posso dire che ora qualche senatore si arrabbia se vede manovre azzardate di qualche giovane troppo esuberante. In questo senso Arrighetti l’ho catechizzato a dovere e non l’ho mandato al massacro. Questo dovrebbe sempre essere insegnato ai giovani, delle continental e non».

Villa: «Le Sei Giorni servono, quel che manca è il tempo»

04.11.2023
5 min
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Dopo il ritorno trionfale della Tre Giorni di Grenoble e con la Champions League che distoglie atleti e riflettori, la Sei Giorni di Gand lancia la stagione delle notti in pista. L’antica capitale delle Fiandre ospita l’evento dal 1922 (il velodromo di Kuipke è invece del 1927) e basta scorrerne l’albo d’oro per capire che si tratta di una manifestazione al top degli specialisti. L’ultimo italiano ad averla vinta fu Elia Viviani nel 2018, in coppia con Iljio Keisse che proprio quest’anno saluterà il suo velodromo. Andando più indietro, tuttavia, il 1998 salta agli occhi per la vittoria di Silvio Martinello e Marco Villa.

Proprio con il cittì della pista azzurra allora abbiamo voluto riprendere il discorso, partendo da due affermazioni opposte di Elia Viviani e Benjamin Thomas, entrambi grandi specialisti della pista, lanciati verso le Olimpiadi di Parigi. Viviani ha detto di voler correre di più su pista durante l’inverno, ma che le Sei Giorni non gli danno quello di cui ha bisogno, dovendo lavorare soprattutto sull’omnium. Il francese ha detto di volervi prendere parte. A dire il vero, se non fosse caduto nella penultima tappa in Cina, avrebbe corso anche a Gand. In ogni caso, ci ha detto che, avendo disputato soltanto tre madison durante la stagione, la Sei Giorni è quel che serve per riprendere l’occhio e i meccanismi della specialità.

Martinello e Villa hanno vinto a Gand nel 1998. Qui invece, sempre a Gand, ma nel 2001
Martinello e Villa hanno vinto a Gand nel 1998. Qui invece, sempre a Gand, ma nel 2001
Caro Marco, le Sei Giorni sono ancora utili per un pistard che svolge attività olimpica?

Dipende dai programmi delle Sei Giorni. Ai miei tempi nel calendario ce n’erano 12, i programmi erano diversi, l’intensità in gara era diversa. Però qualcuna fa sempre comodo, non solo a Benjamin Thomas, ma anche a noi. Stiamo facendo poche madison. Scartezzini e Consonni hanno corso abbastanza assieme. Viviani e Consonni hanno corso pochissimo e mi piacerebbe vederli fare un’americana. Un conto è farla per vincere una medaglia o da coppia che vuole vincere la gara, un conto è allenarsi. Più ne fai, meglio è. A volte essere in testa alla classifica di una Sei Giorni aiuta anche a capire come devi correrla per vincere. Un conto è fare una volata ogni tanto, quando stai bene. Un conto è fare una volata o saltarla perché devi difendere la testa della classifica in caso di qualche attacco. Quando attacca uno che è indietro in classifica, chi è davanti deve andare a prenderlo.

Quindi come valuti il ragionamento di Elia e di Thomas?

Bisogna vedere Elia in che contesto l’ha detto, cosa intendesse. Magari teneva conto anche del fatto di dover chiedere l’autorizzazione alla squadra e, volendo fare anche le Coppe del mondo, magari deve moderare le richieste. Se anche Thomas ha fatto solo tre madison, vuol dire che ha avuto gli stessi problemi di Viviani. Il calendario della pista e l’impegno con la squadra sono notevoli per entrambi.

Hai parlato di Sei Giorni che si corrono a intensità diverse.

E’ vero. L’affinità tecnica della coppia resta, ma è cambiato il modo di correre. La prima cosa che vedo è che prima si usava un rapporto più agile che permettesse di arrivare fino alle due di notte. Adesso ci sono meno gare, si finisce prima e le medie sono più alte. Quindi se prima si parlava di gare intense nel periodo di off season, adesso l’impegno è notevole. Non vai lì a girar le gambe. Si corre con rapporti più lunghi, non è più una corsa a tappe, ma una serie di gare singole, se vogliamo fare l’esempio della strada.

Viviani è stato l’ultimo italiano a conquistare la Sei Giorni di Gand, nel 2018 con Keisse
Viviani è stato l’ultimo italiano a conquistare la Sei Giorni di Gand, nel 2018 con Keisse
Ti aspetti che qualche specialista andrà a farle?

Dipende dalle esigenze e dal tempo. Vedo ad esempio che Reinhardt sta facendo la Champions League e potrebbe andare a fare le Sei Giorni. Kluge, che è il suo compagno della madison (i due sono campioni europei in carica, ndr), è meno impegnato su strada e credo che adesso anche lui abbia più tempo per la pista. Credo che in genere quelli che non sono nelle squadre WorldTour potrebbero esserci, mentre altri, come ad esempio lo stesso Benjamin Thomas, faranno le Coppe del mondo cercando di farle coincidere con i momenti senza corse su strada.

L’Italia riparte da Noto o prima da Montichiari?

Ufficialmente da Noto, però Montichiari in teoria è disponibile. Ce l’hanno riconsegnata martedì e qualche giorno fa ho fatto girare Lamon e Galli. Lamon perché è rientrato dalle ferie e voleva girare, Galli perché lo porteremo proprio alla Sei Giorni di Gand con gli under 23, dato che ci è stato anche lo scorso anno. Li accompagnerà Masotti, io penso di andare qualche giorno verso la fine, perché prima sarò a Noto.

I francesi andranno in altura sul Teide intorno al 10 dicembre.

Potrebbero avere in testa gli europei (Apeldoorn, Olanda, 10-14 gennaio, ndr), più che la prima Coppa del mondo in Australia (Adelaide, 2 febbraio, ndr) che mi sembra lontana. Noi dobbiamo giostrare le presenze degli atleti che abbiamo a disposizione, cercando di dividere tra chi farà il Tour Down Under e quindi potrà correre la prima Coppa del mondo e chi invece farà gli europei. Dobbiamo unire i programmi della nazionale e quelli delle squadre. Ad esempio la Ineos dovrebbe portare Viviani e Ganna in Australia e lo stesso la Movistar con Manlio Moro. La partenza per il Down Under è negli stessi giorni dell’europeo, quindi loro non ci saranno. Però si fermeranno qualche giorno di più ad Adelaide e la settimana dopo la corsa ci sarà la Coppa del mondo. Non credo invece che ci andranno Milan, che ha corso fino alla Cina, e neppure Consonni, che voleva partire più tranquillo. Quindi loro due potrebbero fare l’europeo.

Kluge e Reinhardt sono i campioni europei in carica della madison
Kluge e Reinhardt sono i campioni europei in carica della madison
Con i team è già tutto definito? Ad esempio con la Lidl-Trek visto che Milan e Consonni dal 2024 saranno con loro?

Abbiamo già parlato, Amadio da team manager ha avuto i suoi colloqui con Luca Guercilena, io da tecnico ho già dato il programma a Josu (Josu Larrazabal, responsabile area performance della Lidl-Trek, ndr). Nei giorni scorsi in America stavano sistemando il calendario dei ragazzi, quindi abbiamo anticipato la nostra pianificazione per condividere con loro un programma affidabile, sia per gli uomini, sia per le donne. Lo abbiamo mandato a tutti. Ho messo in evidenza le date in cui ci saranno le convocazioni e dove vorrei tutte le ragazze e i ragazzi. Sono momenti in cui non ci sono impegni su strada, per cui non dovremmo avere problemi.

Manca poco alle Olimpiadi, hai trovato collaborazione?

Molta. Anche le squadre sanno che gli atleti fanno la pista volentieri e le Olimpiadi sono un obiettivo dell’anno più che rispettabile per la loro carriera, senza trascurare gli impegni delle squadre. Si stanno dimostrando tutti collaborativi, ma non avevo dubbi.

Posizioni avanzate: lavoro a secco sulla catena posteriore, ma non solo

04.11.2023
5 min
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Posizioni moderne, posizioni raccolte. Non è la prima volta che trattiamo questo argomento. Lo abbiamo fatto dal punto di vista biomeccanico, da quello relativo ai “nuovi” dolori, stavolta lo facciamo da quello muscolare e della preparazione a secco. E lo facciamo con l’aiuto (fondamentale) di Marco Compri, preparatore delle nazionali della FCI.

Compri è l’esperto dei pesi, per dirla in soldoni. Palestra, esercizi a secco, equilibrio, coordinazione… sono il suo mondo.

Marco Compri fa parte dello staff performance della Federciclismo
Marco Compri fa parte dello staff performance della Federciclismo
Marco, a posizioni nuove, più raccolte, corrispondono esercizi nuovi? Cambiano le preparazioni a secco?

Credo che prima vada fatta una premessa. Quando parliamo di allenamento a secco parliamo di un allenamento a-specifico con il quale non si può avvicinare la specificità del gesto. Devi allenare al meglio quel muscolo, quel distretto muscolare e poi si fa la trasformazione in bici. Con l’allenamento a secco vai a tirare fuori il meglio della forza che può darti quel muscolo, a prescindere da quel che sarà poi il movimento finale. Ricordiamoci infatti che il cervello riconosce il movimento e non il muscolo: questa è una regola molto importante.

Quindi non c’è questa relazione fra posizioni in bici diverse e allenamento a secco? Si dice che stando più avanti sulla pedaliera lavori molto di più la muscolatura posteriore.

Sicuramente è più importante lavorare con carichi liberi, il classico bilanciere sulle spalle e non quello che scorre nel macchinario. In questo modo si attivano più assi e poi questa produzione di forza si traduce in bici. La palestra è la componente analitica dell’allenamento.

L’obiettivo primario è sviluppare la forza, insomma?

Esatto. Sappiamo che un certo tipo di tensioni in bici non le sviluppi, non hai una certa durata e una certa forza da contrastare, così come ci sono degli stimoli che la palestra non può dare. Nel mezzo c’è una gamma di lavori che si possono fare in bici. Faccio un esempio: devo allenare la forza massima. Meglio farla in palestra, soprattutto per soggetti con caratteristiche neuromuscolari importanti, come i velocisti.

Lo squat libero col bilanciere resta uno degli esercizi più efficienti, sia per la catena posteriore che per quella anteriore
Lo squat libero col bilanciere resta uno degli esercizi più efficienti, sia per la catena posteriore che per quella anteriore
C’è quindi un limite che dice che alcuni esercizi è meglio farli in palestra e altri in bici?

Direi che se si deve riprodurre un esercizio di forza che in bici è fino a 50 rpm, anche 60 rpm, allora è meglio farli in palestra. Mentre al di sopra, meglio la bici. Per un velocista che tocca anche le 140 rpm non si può riprodurre in palestra un gesto tanto veloce.

Ci sorge una domanda. Ma se è così, allora non ha senso fare le famose SFR?

Dipende. Le classiche SFR a 50 rpm al medio potrebbero ancora andare bene per alcuni soggetti, vedi gli scalatori puri. Bisogna sapere che si parla di allenamento della forza quando si attiva almeno il 30 per cento del proprio massimale. A quelle pedalate e a quell’intensità lo scalatore, forse, ancora ci riesce perché di base ha poca forza.

Chiaro…

Se il suo massimale è 650 watt, il 30 per cento della sua forza è poco più di 200 watt e a 50 rpm al medio forse ci sta. Ma se lo deve fare un velocista che ha più forza e magari il suo medio è 350 watt diventa piuttosto impegnativo, magari è alla soglia, e non sono più le classiche SFR. Il tutto dipende dalle qualità metaboliche del soggetto.

Adam Yates e la sua posizione particolarmente avanzata
Adam Yates e la sua posizione particolarmente avanzata
Tempo fa pubblicammo una foto di Adam Yates tutto spostato in avanti. Questi soggetti così avanzati non stressano di più il bicipite femorale? Non devono fare qualcosa in allenamento?

Ci sono tre concetti: il primo, ripeto, è lo stimolo della forza pura, quindi un lavoro a-specifico, poi c’è il concetto dell’allenamento dei muscoli e il terzo che il corpo umano è in equilibrio antero-posteriore e per me non è mai ideale sovraccaricare una catena muscolare rispetto all’altra. Anche perché c’è il noto concetto dei muscoli protagonisti e antagonisti. E per un muscolo che favorisco, ce n’è un altro che fa da freno. Con queste posizioni si spinge di più con la catena posteriore è vero, ma in realtà più del bicipite femorale è interessante il grande gluteo, che è un muscolo potentissimo. Un muscolo che tanti allenano ma che pochi sono in grado di attivare.

Cioè?

Come detto, il cervello riconosce il movimento e non il muscolo, quindi è importante allenare tutta la catena della coscia tramite la coordinazione intramuscolare… allora sì che è efficace e si sfruttano i muscoli.

Il trust, esercizio ottimo per il trofismo dei glutei, ma non ideale per il ciclista in quanto “isolato” dalla catena posteriore
Il trust, esercizio ottimo per il trofismo dei glutei, ma non ideale per il ciclista in quanto “isolato” dalla catena posteriore
Quindi come si allena il gluteo?

Non c’è un modo selettivo, bisogna capire questo: il corpo umano lavora in equilibrio con più distretti. Lo squat – nei suoi vari tipi – può essere un ottimo esercizio. Lo squat libero intendo e sapete perché? Perché può sembrare banale ma per farlo si coinvolgono 276 muscoli. E’ un movimento complesso e come si fa a dire: attivo solo il gluteo? Poi chiaramente ci sono esercizi che stimolano più o meno specifici muscoli. Lo stesso gluteo per esempio si può fare con il trust: spalle sulla panca e piedi a terra, pesi sull’inguine, si spezza la catena del tronco e si fa su e giù col bacino. Di certo si avrà un gluteo più trofico, ma non è detto che si riesca poi ad attivarlo in bici.

Insomma se abbiamo ben capito, lo sviluppo della forza anche per quei muscoli più stressati dalle nuove posizioni non si fa in modo specifico. Non si va a lavorare solo sul gluteo o sul bicipite femorale, ma sull’intera catena e sempre in un’ottica di equilibrio generale…

Esatto, bisogna saper attivare in maniera armonica i muscoli. Per questo a mio avviso è molto importante fare esercizi a carico libero, perché ci sono le componenti di equilibrio e di coordinazione. Perché poi dobbiamo esprimerci al meglio in una realtà complessa, che è la pedalata.