Vittoria Bussi l’ha fatto di nuovo e, poco più di un anno dal sensazionale 56,792 km di Filippo Ganna, ecco il 50,267 della trentaseienne romana, prima donna della storia ad abbattere la fatidica barriera dei 50 chilometri per rendere questo primato tutto tricolore.
Non si è fermata di fronte a nulla Vittoria e, tenendo fede al suo nome, è volata ancora una volta in altura ad Aguascalientes (1.887 metri di quota), come aveva fatto in occasione del primo record datato 13 settembre 2018 (48,007). Stavolta, ha spodestato dal trono l’olandese Ellen Van Dijk (49,254 il 23 maggio 2022 a Grenchen). Oltre 200 giri di passione per prendersi quel primato che avrebbe dovuto tentare già lo scorso 11 ottobre, prima che il maltempo spostasse l’appuntamento con la storia di qualche giorno. Dopodiché, via qualche sassolino dagli scarpini per il primo record ottenuto col crownfunding e senza il sostegno sperato.
Che cosa vuol dire riuscirci di nuovo?
L’aspetto principale era il confronto con me stessa ed è stato importante tornare qui e avere il confronto diretto con la Vittoria Bussi del 2018. Mettere altri due chilometri nelle gambe è stato un lavoro minuzioso non solo mio, ma di un team personale che mi sono scelta: il mio allenatore personale Luca Riceputi, le sessioni in palestra col professor Giuseppe Coratella, il mio nutrizionista Marco Perugini e poi grazie al posizionamento in bicicletta di Niklas Quetri.
Ci racconti qualche retroscena?
Le difficoltà sono state tantissime perché mi è successo di tutto: dal muoversi da soli, fino ad arrivare al meteo inverso degli ultimi giorni. Non far parte di alcun team WorldTour è complicato e fare una roba del genere a certi livelli nel ciclismo di oggi non è una passeggiata. Ho dovuto fronteggiare tanti ostacoli.
Dove hai trovato le forze di riprovarci a dispetto delle insidie?
Quando, a maggio 2022, il record della Lowden è stato battuto dalla Van Dijk, l’asticella si è alzata oltre i 49. Così ho pensato: «Perché non facciamo qualcosa di storico?». Alla fine, i record vengono battuti, però sicuramente la prima donna a battere i 50 chilometri rimarrà per sempre. Da lì, ho iniziato a coinvolgere altri “pazzi” che credessero nel progetto, a partire dagli inglesi della Hope, che ha realizzato la mia bicicletta.
Hai chiesto qualche consiglio a Ganna?
No, non ci siamo parlati.
Che effetto fa però vedere il suo nome accanto al tuo e pensare che l’Ora è tutta italiana?
L’Ora è italiana ed è molto bello, però se ci fosse stato un po’ più di supporto sarebbe stato meglio. Ad esempio, non ho avuto nessuna spinta dalla Federazione.
Come ti sei mossa per costruire il tentativo?
Economicamente avevamo pochi mezzi, ma dal punto di vista delle risorse, le persone che avevo attorno erano eccellenti. Poi sono arrivati anche i fondi e penso che sia stato il primo tentativo al mondo finora realizzato con un crowdfunding.
Quanto hai raccolto?
Dodici mila euro.
In tanti ti vogliono bene…
Le persone normali si sono identificate nell’impresa di una persona comune, che non ha un entourage intorno e non è servita e riverita. Si sono immedesimati e anche donazioni di 10 euro hanno fatto la differenza.
Il numero finale era quello atteso?
Volevamo solo battere i 50, poi non guardavo sicuramente i 51, ma aver sorpassato la barriera di più di un giro significa aver girato in 17”8 per un’ora.
Quali sono state le sensazioni durante il tentativo?
E’ stata una buona giornata. Sono partita tranquilla e sapevo sin dall’inizio che ce l’avrei fatta. Tutto si è incastrato alla perfezione ed è stato anche un lavoro di famiglia.
Come mai?
I tempi me li dettava mio marito Rocco. In realtà, futuro marito: stiamo insieme da 15 anni e a breve ci sposeremo. Adesso che ho fatto il record, cercherò di organizzare il matrimonio.
Altri sogni in sella?
Avrei tanto da dare, ma purtroppo occasioni non ne ho, per cui penso che chiuderò questi 10 anni di carriera. Sono partita con un record e chiuderò con un record, sono contenta così. Non mi sento finita perché l’età è relativa: sono sempre stata una fan di Annemiek Van Vleuten e sono convinta che a 36 anni un’atleta non sia finita. Però, non gareggiando su strada, è giusto che guardi a qualcos’altro nella vita.