Maglia bianca e l’erede di Pogacar? Gasparotto ha le idee chiare

08.12.2023
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Una certezza del prossimo Tour de France è che Tadej Pogacar non sarà la maglia bianca di Parigi. Dopo averne vinte quattro di fila, il corridore della UAE Emirates infatti diventerà grande e questo lascerà spazio, spazio pregiato, ad altri corridori.

Con Enrico Gasparotto, direttore sportivo della Bora-Hansgrohe, abbiamo cercato di capire chi potranno essere gli eredi dello sloveno, visto che con Cian Uijtdebroeks è chiamato in causa per quel che riguarda le maglie bianche. Il giovanissimo belga infatti ha detto che vorrà fare classifica al Giro e anche in Italia tra l’altro c’è un habitué della maglia bianca, Joao Almeida.

Enrico Gasparotto (classe 1982) è sull’ammiraglia della Bora-Hansgrohe dal 2022
Gasparotto (classe 1982) è sull’ammiraglia della Bora-Hansgrohe dal 2022
Enrico, a prescindere dai programmi, i nomi possibili per le prossime maglie bianche, sono parecchi: Ayuso, Evenepoel, Pidcock, Carlos Rodriguez, Arensman, Uijterbroecks, Buitrago, Zana, Martinez…

Se parliamo di Tour ne dico due e basta: Remco Evenepoel e Carlos Rodriguez. Loro sono senza dubbio i più papabili, anche perché non so se Ayuso andrà al Tour e anche se ci andasse cosa farebbe?

La UAE sarebbe concentrata su Tadej?

Esatto, ma penso anche alla Jumbo-Visma.

Cioè?

Per loro ripetere il 2023 sarà difficile e… lo sanno. Hanno una pianificazione decisa e precisa. Quest’anno punteranno sul Tour chiaramente, ma punteranno tanto anche sulle classiche. Vogliono un monumento, un Fiandre, una Roubaix, che ancora gli manca. In più non avranno Van Aert, né Van Hooydonck, due pedine fondamentali. Tornando al discorso dei giovani quindi, sarà un’occasione ancora più ghiotta per Pogacar. Ayuso sarebbe più bloccato. Mentre Remco o Carlos Rodriguez avrebbero più libertà. Credo che Carlos Rodriguez, quinto assoluto nel 2023 (secondo nella maglia bianca, ndr), sarà capitano della Ineos-Grenadiers.

Rodriguez più di Pidcock?

Per me sì, Pidcock ha anche le classiche in testa. Bisognerà vedere bene che programma farà e cosa vorrà veramente dal Tour. Ma non per questo dico che in ottica futura non possa migliorare. Tuttavia resto dell’idea che Rodriguez e Remco sono i primi due pretendenti alla successione della maglia bianca di Pogacar. E credo che Rodriguez abbia qualche possibilità in più.

Alla Vuelta si è assistito in parte allo scontro per la maglia bianca fra Evenepoel e Rodriguez
Alla Vuelta si è assistito in parte allo scontro per la maglia bianca fra Evenepoel e Rodriguez
Perché?

Perché Evenepoel non ha paura di attaccare e questo magari ad un certo punto del Tour potrebbe pagarlo, sia da un punto di vista tattico che fisico. Mentre Rodriguez è più un regolarista, corre in modo più tradizionale se vogliamo ed è in una squadra leader per le corse a tappe.

Come detto non sappiamo i programmi di tutti i ragazzi, ma poniamo che Ayuso vada in Francia. Non lo vedi un pretendente alla maglia bianca?

Numeri sulla carta sì, non si può certo dire di no, ne ha già vinte due alla Vuelta. Ma poi bisogna contestualizzare le situazioni e quando hai Tadej in squadra sono pochi gli obiettivi personali. Quest’anno è stata una particolarità: quando hanno capito che non avrebbero vinto il Tour hanno cercato di portare, riuscendoci, Adam Yates sul podio. Un risultato importante per la squadra, per i punti.

Chiaro…

In generale un po’ tutti i nomi che abbiamo fatto all’inizio sono validi ma poi, come ripeto, vanno contestualizzati nell’ambito della corsa e della squadra. Anche Buitrago può fare molto bene per esempio, ma non lo vedo all’altezza di un Remco o di un Carlos Rodriguez.

Questa estate Pidcock è stato 4° nella classifica della maglia bianca del Tour a 40′ da Pogacar. Pensate che il quinto, Skjelmose, era ad oltre 2 ore
Questa estate Pidcock è stato 4° nella classifica della maglia bianca del Tour a 40′ da Pogacar. Pensate che il quinto, Skjelmose, era ad oltre 2 ore
Sinceramente credevamo che dopo la presentazione del Giro, Remco cambiasse idea. Due crono, nessuna salita estrema. E’ ancora possibile in questo ciclismo della programmazione cambiare i piani a questo punto?

Onestamente il giorno dopo la presentazione del Giro d’Italia anche io ho pensato: «Remco cambia idea e verrà al Giro». E’ una corsa particolare: due crono lunghe e da specialisti. Quella di Desenzano nella prima parte è molto tecnica. Poi ci sono molte salite lunghe, quasi tutte oltre i 10 chilometri, ma nessuna scalata estrema tipo Zoncolan, Tre Cime o Mortirolo, salite da 8 all’ora. E quindi questa sua decisione un po’ mi ha stupito. Però Remco ha provato la Vuelta, ha provato il Giro e ci sta che voglia provare anche il Tour. Riguardo al cambio dei piani che dire: sono questi i mesi in cui team progettano le loro strategie e magari da qui a fine febbraio, quando i programmi saranno definiti, ci sarà qualche sorpresa.

Torniamo alla maglia bianca e all’ormai duello Rodriguez-Evenepoel: il percorso del Tour chi avvantaggia?

Bella domanda. Alla fine la tappa gravel non favorisce nessuno dei due. Li vedo in difficoltà entrambi e lì nessuno dei due, nello scontro diretto, uscirà da vincente o perdente. Poi sta alle capacità di recupero di entrambi. E questo non sarà facile, perché dovranno essere in forma sin dall’inizio. La partenza in Italia non sarà semplice e stare tre settimane piene al “top-top” non è così scontato. La maglia bianca andrà a chi non avrà giornate no.

Oltre a Remco e Carlos prevedi qualche sorpresa?

No, il Tour è talmente duro, difficile e complesso nella sua interpretazione che non c’è spazio per le sorprese.

Joao Almeida ha vinto la maglia bianca del Giro 2023. In realtà è la prima, ma in quattro partecipazioni al Giro l’ha indossata per oltre 30 giorni
Joao Almeida ha vinto la maglia bianca del Giro 2023. In realtà è la prima, ma in quattro partecipazioni al Giro l’ha indossata per oltre 30 giorni
Prima di congedarci, Enrico, un paio di domande anche sull’erede di Joao Almeida, spesso maglia bianca del Giro d’Italia: chi sarà? Voi tra l’altro avete un serio pretendente, Cian Uijtdebroeks.

Eh, ma non svelo i nostri programmi!

Ma lo ha dichiarato lui che sarà in Italia…

Non so rispondere con precisione, dipenderà da chi farà il Giro. Di certo Cian è valido per le corse a tappe. Quest’anno in quelle WordTour che ha fatto è sempre stato nella top ten. Ha il talento dalla sua parte e anche molte cose da migliorare. Forse in Italia ci potranno essere più sorprese e non solo per la maglia bianca. Avendo i grandi nomi al Tour, ci sarà una top ten molto incerta. Ad ora vedo molto bene Geraint Thomas. Riguardo ai giovani non è facile rispondere perché anche se i numeri del dislivello non sono paragonabili a quelli del 2022 e del 2023 e le tappe sono più corte, le insidie non mancano e il Giro resta difficile. Per esempio dopo le due crono c’è sempre l’arrivo in salita e il rischio è che qualcuno si possa svuotare nella crono. L’esperienza potrebbe fare la differenza.

Vista così e l’importanza delle crono, giochiamo la carta italiana e diciamo Antonio Tiberi.

Resto dell’idea che individuare un pretendente alla maglia bianca al Giro è davvero difficile.

Frattura del trochite omerale: scopriamo di cosa si tratta

08.12.2023
4 min
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L’esperienza di Montoli e della frattura all’area trochite omerale che ha compromesso il suo 2023 è stata lo spunto giusto per parlare di questa problematica. Per affrontare il tema abbiamo chiesto il supporto di Loris Perticarini, ortopedico con un master in chirurgia della spalla. 

«Intanto – spiega subito il dottor Perticarini – va individuata la zona di cui stiamo parlando. Il trochite si trova nella parte finale della spalla, vicino alla testa dell’omero, sotto il deltoide (foto apertura My-personaltrainer.it, ndr). E’ il punto dove ci sono le cuffie dei rotatori e da dove partono i tendini della spalla. Il trochite è un osso spugnoso».

Il dottor Loris Perticarini ha conseguito un master in chirurgia della spalla
Il dottor Loris Perticarini ha conseguito un master in chirurgia della spalla

La frattura

«Solitamente – prosegue Perticarini – si staccano i tendini e, di conseguenza, non si ha una frattura. Se, invece, si ha una frattura vuol dire che il trauma è stato così forte che i tendini non si sono rotti, ma hanno strappato via una parte dell’osso. Per fare un esempio concreto: è come i “panettoni” di cemento che ci sono in strada, collegati da catene. Se la catena viene via senza danneggiare il blocco di cemento è come se si rompessero i tendini. Al contrario, se la catena rimane intatta ma strappa via il blocco di cemento allora quella situazione è paragonabile alla frattura».

Montoli con l’evidente tutore alla spalla destra, in compagnia di Van Aert alla partenza della Coppa Bernocchi
Montoli con l’evidente tutore alla spalla destra, in compagnia di Van Aert alla partenza della Coppa Bernocchi
Noi parliamo di frattura, che è il caso di Montoli

Ci sono due opzioni. Se la frattura è minima, quindi meno di un centimetro, si lascia guarire da sola. Altrimenti se la frattura supera il centimetro, o vi è una rotazione o una rotazione della struttura, si opera. Nel caso di un atleta si può decidere di operare anche se la frattura è ridotta.

In cosa consiste l’operazione?

Si può ricorrere una stabilizzazione percutanea, ovvero con l’utilizzo di una vite, nel caso ci fosse un distaccamento importante. Oppure un’artroscopia: quando si ha un distaccamento ridotto, come un frammento osseo, si usano delle piccole ancore. 

Come mai questa distinzione?

Perché nel caso di una frattura minima, quindi sotto al centimetro di distaccamento, l’osso è in grado di attaccarsi da solo. Mentre nel caso di un distaccamento maggiore la parte danneggiata non si riattaccherebbe più. 

Tornare in bici dopo l’infortunio sarebbe stato rischioso nel caso di altre cadute (foto Instagram)
Tornare in bici dopo l’infortunio sarebbe stato rischioso nel caso di altre cadute (foto Instagram)
Per un ciclista cosa è meglio fare?

Ci sono casi e casi. Da un certo punto di vista è meglio operare, per ridurre i tempi di recupero. Questo permette al corridore di rimettersi in sella al più presto, ma vanno considerate anche altre variabili. 

Quali?

La prima è quella di eventuali cadute. E’ vero che un’operazione attacca l’osso, ma non riduce a zero i tempi di recupero. Operare serve per non lasciare troppo tempo l’articolazione immobile, con il rischio di farla irrigidire. Dopo l’operazione magari non si torna in strada, ma sicuramente si pedala sui rulli senza problemi

La glena è una parte molto delicata nell’articolazione della spalla (foto Dottor Vivanti Giovanni Battista)
La glena è una parte molto delicata nell’articolazione della spalla (foto Dottor Vivanti Giovanni Battista)
Montoli ci ha parlato anche di un problema alla glena.

La glena è la parte della spalla dove si articola l’omero. Una frattura in questa zona porterebbe ad un maggior pericolo o meglio al rischio che non guarisca bene. Ci sono colleghi che curano solo traumi alla spalla, talmente è delicata e complessa questa parte del corpo. 

I tempi di recupero quali sono?

Ci sono tante variabili da tenere in conto. La prima è il tipo di danno che si è subito e lo sport che si pratica. Un ciclista ha il problema che se rimane troppo tempo immobilizzato perde elasticità e capacità di mantenere la posizione in bici. Ma come detto prima un ritorno troppo affrettato potrebbe portare a danni superiori nel caso di altre cadute.

La storia Ullrich, qualche ipocrisia e una lezione da imparare

08.12.2023
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A volte si confessa per pulirsi la coscienza, altre per un tornaconto. Nel caso di Ullrich la convenienza ha la forma di un documentario su Amazon Video, dal titolo tedesco “Der Gejagte”, che significa “La Preda”. Raramente si confessa quando si ha qualcosa da perdere. Non per caso, libri e serie televisive, sono stati realizzati dopo scandali e a fine carriera. Mai durante, come dovrebbe fare chiunque avesse a cuore l’ambiente in cui vive. Nonostante ciò, vedere che finalmente Jan è uscito dal periodo più buio della sua vita riempie di gioia, perché di quel periodo sciagurato gli unici a pagare sono stati i corridori. Altri figuri, sia pure defilati, sono ancora in giro e non hanno pagato che spiccioli.

«Ullrich e io – chi parla è Lance Armstrong – eravamo icone nei nostri Paesi. Io perché avevo superato il cancro e ho ispirato molte persone. Jan perché è stato il primo tedesco a vincere il Tour. Sembra immodesto, ma eravamo i più grandi ciclisti al mondo e facevamo parte di quella generazione di merda. Mentre gli altri ciclisti dopati hanno potuto continuare a lavorare, Jan, io e Marco Pantani siamo stati trattati come se fossero stati infettati. Questo è il prezzo che paghi quando sei il migliore in uno sport, sei un simbolo. Mi ci sono voluti 10 anni di lotta per uscire da questo buco. E’ stato difficile. Ed è per questo che non ho lasciato Jan solo quando ho sentito che stava male».

Per 5 anni, Ullrich è stato battuto da Armstrong al Tour. Qui siamo nel 2001, tappa di Luz Ardiden
Per 5 anni, Ullrich è stato battuto da Armstrong al Tour. Qui siamo nel 2001, tappa di Luz Ardiden

Un calderone di comodo

Ullrich alla fine ha rilasciato l’intervista che ci si aspettava da anni e ha ammesso di essersi dopato anche per vincere il Tour del 1997, che ha ribadito di sentire ugualmente suo. Mentre in quel mischione di ammissioni e confessioni, l’americano che non fu mai gentile con il romagnolo e probabilmente ne apprezzò le esclusioni dal Tour, ha ritenuto ugualmente di tirarlo dentro, sebbene non sia mai stato trovato positivo e soprattutto essendo impossibilitato a rispondere.

Avendo condiviso con lui tanti giorni, ne ricordiamo bene lo stupore quando raccontava di come Ullrich, 73 chili, rispondesse alle sue accelerazioni (Pantani pesava 58 chili) sull’Alpe d’Huez. Riepilogando dunque, il tedesco è stato male, Armstrong ha impiegato 10 anni per uscire dal buco, Marco è stato fregato e poi ammazzato. E a febbraio saranno 20 anni dalla sua morte.

Confessare ha tolto un peso dal cuore di Ullrich: al netto di tutto, un bene per la sua vita
Confessare ha tolto un peso dal cuore di Ullrich: al netto di tutto, un bene per la sua vita

La preda arresa

«Ero molto depresso – racconta Ullrich nell’intervista al tedesco Hajo Seppelt – come atleta ho sofferto molto, ma dopo la carriera, la mia vita ha preso una svolta nella direzione sbagliata. Nel 2018 ho vissuto il momento peggiore, esponendomi a tutto ciò che una persona può sopportare fisicamente e mentalmente. Il passo successivo, dal punto di vista pratico, sarebbe stato la morte».

Hajo Seppelt è un noto cacciatore di doping in Germania. Seppelt affrontò Ullrich durante la sua carriera, ma Jan evitò tutte le domande che potessero costringerlo a rivelare il segreto. Invece, dopo aver parlato per la prima volta del suo passato di doping in un’intervista con il magazine tedesco Stern, Ullrich è tornato a sedersi proprio davanti a chi lo ha inseguito lungo tutta la carriera. E ha vuotato il sacco.

Party di fine Tour 2005, Armstrong annuncia il ritiro, Ullrich festeggia con lui (foto Liz Kreutz)
Party di fine Tour 2005, Armstrong annuncia il ritiro, Ullrich festeggia con lui (foto Liz Kreutz)

Una serie Amazon

«Sono sopravvissuto a malapena a quella crisi estrema della vita – racconta – e ad un incidente. Dopo due anni in cui mi sono rafforzato fisicamente e mentalmente, sono giunto alla decisione che avevo davvero bisogno di rimettere in carreggiata la mia vita. In realtà ho perso molti anni a causa di errori e debolezze personali. Come è possibile che si sia arrivati a questo? E’ stato un processo durato diversi anni. Tutto è iniziato quando non mi è stato permesso di partire al Tour de France nel 2006 (a causa del presunto coinvolgimento nell’Operacion Puerto, ndr)».

Armstrong si era ritirato dopo sette maglie gialle consecutive, il titolo era vacante e se lo sarebbero conteso Ullrich e Basso, gli uomini degli ultimi podi, ma entrambi si fermarono sullo stesso ostacolo. La maledizione di quel Tour si abbatté anche sul suo vincitore: quel Floyd Landis che venne trovato positivo e venne cancellato dall’ordine di arrivo, con vittoria finale di Oscar Pereiro Sio.

E’ il Tour 2005, l’ultimo di Armstrong: il pubblico tifa (invano) perché Ullrich ne interrompa il dominio
E’ il Tour 2005, l’ultimo di Armstrong: il pubblico tifa (invano) perché Ullrich ne interrompa il dominio

Solo contro tutti

«Da candidato vincitore al Tour – racconta Ullrich nell’intervista – sono caduto e all’improvviso mi sono ritrovato solo, mentre tutta la Germania mi sparava addosso. Dall’essere il miglior cavallo della scuderia sono diventato un “cavallo da fattoria”, il che è stato molto difficile. Ho perso molti anni e adesso ne sono triste. I miei problemi sono sorti a causa di errori personali, a causa della mia debolezza. Ero in alto, sono caduto in basso in basso, ora per me l’obiettivo è il centro. Anche le piccole cose possono renderti felice».

Ullrich si ritirò nel 2007. A causa dell’Operacion Puero, il Tas di Losanna gli impose una sospensione, annullando i suoi risultati del 2005. Solo nel 2013, il tedesco ammise l’uso di sostanze dopanti.

In un post su Instagram, Ullrich ha ringraziato Tonina, arrivata per lui dall’Italia (foto Amazon Video)
In un post su Instagram, Ullrich ha ringraziato Tonina, arrivata per lui dall’Italia (foto Amazon Video)

Perché parlarne

E’ difficile scegliere di parlarne, lo facciamo per l’amore verso i corridori che assaporarono la gloria e si presero la croce sulle spalle. La presenza di Tonina Pantani alla presentazione del documentario è quella di una mamma che ha sentito di voler abbracciare come un figlio il rivale di Marco.

Si diceva che è difficile parlarne ancora. Da una parte si vorrebbe dimenticare tutto, dall’altra si fa fatica a non essere d’accordo con chi dice che, pur in un ambiente viziato dalla chimica, fossero i più forti al mondo

La vera utilità nel ricordare certe storie sta nella voglia di non cadere ancora negli stessi errori. Nella consapevolezza che non bisogna mai abbassare la guardia e che è bene dedicare a ogni impresa enorme il rispetto e il giusto stupore, vigilando sommessamente che tutto si sia svolto nelle regole. Nessun antidoping in quegli anni fu in grado di fermarli: ci riuscirono soltanto le inchieste di Polizia.

Ulissi e il suo record: sempre vincente da 14 anni

07.12.2023
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La notizia lo ha colto abbastanza di sorpresa. Diego Ulissi è il ciclista in attività con la maggior costanza di successi nel corso degli anni: il toscano vince almeno una gara da ben 14 stagioni. Alle sue spalle in questa speciale classifica, due mammasantissima dello sprint come il norvegese Kristoff (13) e il francese Démare (12). Un titolo di merito non da poco per il corridore del UAE Team Emirates, che ha da poco ripreso la preparazione per presentarsi già tirato a lucido per il primo ritiro prestagionale.

Proprio sul ruolo dei suoi “contendenti” al record, Ulissi mette l’accento: «Sapevo lo scorso anno che io e Sagan condividevamo questo piccolo privilegio, ma poi sinceramente non ci ho più pensato. Fa piacere, soprattutto precedendo due campioni dello sprint che indubbiamente hanno più occasioni di me per vincere. Io, per le mie caratteristiche, devo sempre costruirmi i successi e non è mai facile».

Ulissi davanti a Kristoff. Compagni alla Uae dal 2018 al 2021, ora rivali per un primato statistico
Ulissi davanti a Kristoff. Compagni alla Uae dal 2018 al 2021, ora rivali per un primato statistico
Che cosa rappresenta questo record?

Credo che sia la miglior dimostrazione della mia costanza di rendimento, cosa non semplice se spalmata su 14 anni nei quali il ciclismo è molto cambiato. Vale ancor di più considerando che io sono un passista-scalatore, che riesce a vincere quando la corsa si mette in un certo modo. Se si fa selezione, si rimane in pochi a lottare per la vittoria. Inoltre non sono un capitano unico, spesso devo anche lavorare per gli altri e questo significa che bisogna sfruttare le occasioni che la stagione ti pone davanti.

Proviamo a ripercorrere alcune tappe di questo record, iniziando naturalmente dalla prima vittoria: il Gran Premio Industria e Commercio a Prato del 2010.

La prima vittoria non si può certamente scordare, nella mia mente è come se la gara si fosse corsa ieri. Anche perché alla fine rimanemmo in tre a giocarci il successo e battei un uomo che ha segnato la prima parte della mia carriera: Michele Scarponi. A fine stagione diventammo compagni di team e fra noi si instaurò subito un profondo feeling, che dalla vita quotidiana si trasferì ben presto anche nelle corse. Infatti mi volle con lui al Giro nonostante la mia giovane età e lo ripagai vincendo per la prima volta alla corsa rosa.

Il primo successo dei 46 di Ulissi, a Prato battendo Scarponi e Proni
Il primo successo dei 46 di Ulissi, a Prato battendo Scarponi e Proni
Quella vittoria, nella tappa di Tirano, arrivò per il declassamento di Giovanni Visconti. Quel successo ha un sapore diverso per questo motivo?

No, perché dovrebbe? Intanto fui bravo ad essere lì a giocarmi la vittoria, in una frazione dove era praticamente scritto che la fuga sarebbe arrivata al traguardo. Era la tappa più lunga di quel Giro e i big pensavano alla classifica, volevano rifiatare un giorno in vista di quelli che sarebbero stati decisivi. La selezione fu continua, rimanemmo io, Visconti e Lastras, ossia ero con due corridori sulla carta più veloci. Giovanni sbagliò a impostare lo sprint, tutto qui…

E’ stata la prima ma non l’unica…

In totale ne ho portate a casa ben 8, un bel bottino. Ricordo in particolare quelle del 2014, quando vinsi a Viggiano battendo un gruppo abbastanza folto con Evans che mi arrivò a 1” e ripetendomi tre giorni più tardi a Montecopiolo superando in uno sprint a due il croato Kiserlovski. Erano vere battaglie quelle, diciamo che nell’ideale classifica delle mie vittorie, quelle sono entrambe piuttosto in alto.

La vittoria di Viggiano al Giro, particolarmente amata dal corridore di Donoratico
La vittoria di Viggiano al Giro, particolarmente amata dal corridore di Donoratico
Non sei stato parimenti fortunato negli altri grandi Giri.

Non ho avuto molte occasioni, considerando che la Vuelta l’ho disputata solo nel 2013 e il Tour nel 2017. Curiosamente però entrambe le volte sono arrivato a un passo dal successo di tappa. In Spagna fui secondo alla frazione di Alto de Naranco, ma quel giorno c’era un Joaquim Rodriguez davvero indomabile, che vinse per 11”. In Francia avevo indovinato la fuga vincente, ma fu bravo Bauke Mollema ad anticipare tutti. Fu un’occasione persa. Se mi riguardo indietro non ho grandi rammarichi nella mia carriera, ma quella volta mi dispiacque un po’…

Pochi ci badano, eppure le gare che fungono da test generale per le Olimpiadi hanno sempre un valore particolare e tu ti aggiudicasti quella di Tokyo nel 2019. Eppure ai Giochi non ci sei andato…

Lo so, ma non posso dire nulla di negativo sulle scelte che fece Cassani. Partiamo dal 2019, da quella bellissima trasferta, dove corremmo davvero bene tanto è vero che vinsi battendo Formolo. L’anno dopo doveva essere l’anno olimpico, è chiaro che nella convocazione ci speravo tanto e anche con ambizioni, ma fu l’anno del Covid, con tutta l’attività rivoluzionata. Per me fu un anno davvero eccezionale, con 5 vittorie tra cui la classifica del Giro del Lussemburgo e altre due tappe al Giro. A fine stagione ero numero 8 del ranking Uci.

Con Cassani il toscano ha sempre avuto un rapporto franco e sincero. Con il cittì vinse la preolimpica 2019
Con Cassani il toscano ha sempre avuto un rapporto franco e sincero. Con il cittì vinse la preolimpica 2019
E poi?

Poi d’inverno mi scoprirono la miocardite, fui costretto a fermarmi a lungo e quando ripresi, ritrovai la forma molto tardi. Cassani fu onesto con me, non poteva aspettarmi. D’altronde abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto, non per niente ho potuto correre ben 5 mondiali.

In totale le vittorie sono 46, spalmate su 14 anni di attività. Quanto è cambiato il ciclismo nel frattempo?

Moltissimo e per certi versi aggiungere nuove “perle” è sempre più difficile. Intanto perché se da una parte il calendario si è gonfiato, dall’altro anche le squadre sono più numerose e più ricche internamente. I giorni di gara non sono poi tantissimi e fra questi emergono poche occasioni per puntare al risultato pieno. Bisogna essere bravi a farsi trovare pronti per sfruttare l’opportunità. Se devo guardarmi indietro, diciamo che ho saputo ragionare bene.

La tappa della Vuelta 2013: Ulissi vince lo sprint per il secondo posto, Rodriguez ormai è già arrivato… (foto Wikipedia)
La tappa della Vuelta 2013: Ulissi vince lo sprint per il secondo posto, Rodriguez ormai è già arrivato… (foto Wikipedia)
Ora ti aspetta un’altra stagione, proverai ad allungare la serie?

Se l’occasione capita, spero di esserci, si lavora per quello ma certamente non è un’idea fissa. A me interessa onorare l’impegno che ho con il mio team, ormai sono alla soglia dei 35 anni e voglio dimostrare che sono ancora competitivo, utile alla squadra sia come supporto che come leader quando toccherà a me. Ci proverò, questo è certo…

Freddo estremo e Val di Sole in vista: cosa succede al fisico?

07.12.2023
5 min
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Andreas Leknessund che si allena a -24°, David Gaudu che corre sotto la neve, Simon Pellaud che va in mtb in un freddo e innevato mattino svizzero: cosa succede al fisico quando si fanno sforzi con temperature magari non estreme come quelle del norvegese, ma comunque piuttosto basse? A cosa vanno incontro i ciclocrossisti che domenica saranno impegnati a Vermiglio?

Negli scorsi anni siamo stati nel catino della Val di Sole che ospita la Coppa del Mondo di cross e in effetti i tratti ad ombra in particolare erano davvero freddi. Lì, la temperatura restava ben al di sotto dello zero. E quando atleti e ad atlete ci sfrecciavano vicino fumavano dalla bocca e persino dalla schiena.

Quando Nibali trionfò sulle Tre Cime sotto la neve, a seguirlo c’era il dottor Magni
Quando Nibali trionfò sulle Tre Cime sotto la neve, a seguirlo c’era il dottor Magni

Circolazione inibita

Una situazione non facile che il dottor Emilio Magni ci aiuta ad inquadrare. Il medico in forza all’Astana-Qazaqstan di esperienza, anche in caso di temperature molto fredde, ne ha da vendere. Cosa si devono dunque attendere i crossisti in Val di Sole?

«In questa situazione – dice Magni – si verificano le condizioni estreme e il primo effetto del freddo è la vasocostrizione. Si riduce il calibro delle arterie e come conseguenza c’è meno apporto sanguigno, specie nelle zone periferiche. Per questo, molto più di altre volte, è molto importante effettuare un buon riscaldamento».

In pratica mani e piedi, ma in misura minore anche naso, orecchie, guance… tendono a non avere una completa irrorazione. E senza irrorazione si raffreddano anche più velocemente e, nei casi estremi, si rischia il congelamento. Chiaramente, qui parliamo per teoria, non siamo dispersi ai Poli o in cima ad una vetta himalayana, ma il concetto è quello.

Riscaldamento, abbigliamento e bevande calde aiutano a mantenere sui 37°C la temperatura corporea. Che poi è lo stesso identico concetto, ma a parti inverse, dei gilet di ghiaccio, delle bevande fresche e delle calze di ghiaccio in estate.

I polmoni bruciano

In questo quadro la prima parte dell’organismo che paga dazio sono le vie respiratorie. Basti pensare che sotto a -20 gradi la Fis, la federazione internazionale dello sci, blocca le gare di sci di fondo: un rischio per la salute. Una volta si diceva: «Fa talmente freddo che l’aria brucia i polmoni», una frase che, come tutti i detti, si basa sull’esperienza, ma rende bene l’idea.

«Questa – prosegue Magni – è un’espressione popolare, ma il senso c’è. Nel caso degli atleti, quando si è sotto sforzo e si respira con la bocca aperta si inala una colonna d’aria fredda, molto, molto più bassa della temperatura del corpo. Un’aria che va direttamente nella trachea e nei bronchi sottoponendo le vie respiratorie ad un forte stress termico. Questo ne altera l’equilibrio dei batteri, riduce le difese. E i microrganismi che entrano o che abbiamo in bocca possono avere la meglio su questo equilibrio e possono insorgere infezioni o stati infiammatori».

Da qui bronchiti, polmoniti e altri problemi alle vie alte, come le definisce il dotto Magni. E’ questo comparto del corpo quindi il primo a pagare dazio in caso di freddo estremo.

Lo scorso anno a Vermiglio, Gioele Bertolini in ricognizione utilizzava guanti e copriscarpe riscaldati con un dispositivo elettronico
Lo scorso anno a Vermiglio, Gioele Bertolini in ricognizione utilizzava guanti e copriscarpe riscaldati con un dispositivo elettronico

Muscoli che stress

Ma non sono solo le vie alte, anche i muscoli non se la passano meglio. Essere abituati a certe temperature di certo aiuta, ma non basta ai fini della prestazione. Tempo fa Paolo Salvoldelli ci disse che al di sotto dei cinque gradi i muscoli non rendevano al meglio.

«A livello muscolare – spiega Magni – con temperature molto basse si ha quella che è chiamata rigidità muscolare. Questa si lega al discorso di prima relativo alla microcircolazione. Piedi, gambe, braccia… hanno meno apporto sanguigno, non lavorano in condizioni buone. Con il freddo estremo s’innescano dei processi di sopravvivenza. In pratica l’organismo pensa a mantenersi in vita e a salvaguardare gli organi vitali: cuore, cervello, fegato… quindi concentra la maggior parte del sangue in quelle zone. Prima siamo essere umani e poi atleti».

«Quindi il muscolo si ritrova con meno sangue, è meno reattivo e, cosa affatto non secondaria, è che avendo anche meno sangue fa anche più fatica a smaltire le tossine».

In tutto ciò aumenta anche il consumo calorico. L’integrazione va gestita con attenzione ma, almeno nel contesto del ciclocross in Val di Sole, questo non è un problema enorme, visto che parliamo di uno sforzo la cui durata è di un’ora.

Lo scorso anno, tecnici e atleti, ci dissero che mediamente s’ingerivano un centinaio di calorie in più rispetto allo standard, proprio in virtù di una termoregolazione più dispendiosa. E in tal senso anche l’abbigliamento può aiutare.

La squadra, il Giro, l’economia, la Valtellina: parla il signor Kometa

07.12.2023
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Fra Roma e il lago Balaton, nella cui zona sorge lo stabilimento Kometa in Ungheria, ci sono mille chilometri abbondanti, ma la voce di Giacomo Pedranzini arriva squillante come dalla stanza accanto. L’Amministratore Delegato della società di famiglia sta facendo rientro in Italia, in uno dei tanti viaggi che gli permettono di riconnettersi con la Valtellina e la sua famiglia.

«L’azienda ha sede in Ungheria – spiega – ma è di proprietà della mia famiglia, la famiglia Pedranzini Ernesto, che era nostro padre e ha trascorso la sua vita a Bormio. Siamo agricoltori e allevatori di montagna, così siamo nati e cresciuti e continuiamo ancora oggi questa attività, grazie ai miei fratelli più giovani, a cui sono sempre grato. Continuiamo a fare agricoltura di montagna nell’alpeggio sulla Malga dei Forni, sopra Santa Caterina Valfurva. Il mio collegamento con la Valtellina nasce da lì. Le nostre origini e le nostre attività sono ancora in Valtellina».

Kometa è sin dall’inizio uno dei nomi più fedeli di Basso e Contador. Negli anni il rapporto si è evoluto e dalla continental dei primi tempi, si è arrivati alla collaborazione con Eolo e a breve con Polti. Giacomo Pedranzini è il responsabile dell’azienda, che si dedica all’allevamento e alla trasformazione di carni suine. E data l’attenzione per l’alimentazione sana, l’abbinamento con lo sport e in particolare il ciclismo è stato quasi una conseguenza naturale. Ora che il Giro torna a Livigno e vi rimarrà per tre giorni (arrivo sul Mottolino, giorno di riposo e la ripartenza), farsi raccontare il suo ciclismo e la sua Valtellina ci è parso molto interessante.

Giacomo Pedranzini ha 58 anni ed è l’Amministratore Delegato di Kometa, che dal 1994 opera in Ungheria
Giacomo Pedranzini ha 58 anni ed è l’Amministratore Delegato di Kometa, che dal 1994 opera in Ungheria
Perché il ciclismo?

Perché ha delle sintonie con i valori dell’azienda. E’ una scuola di vita che riteniamo possa essere utile anche per le nuove generazioni. Il contatto con Ivan Basso risale ormai a otto anni fa. Aveva smesso di correre da uno o due anni ed era consapevole che non sarebbe stato facile mettere in piedi una squadra di vertice. Così mi presentò un progetto in cui parlava anche di sport rivolto anche al sociale, soprattutto ai giovani. E a me piacque l’idea di formare giovani uomini oltre che giovani atleti.

La squadra nel frattempo è cresciuta…

Migliora ogni anno. Partecipiamo stabilmente al Giro d’Italia e ad altre competizioni di RCS, quindi gli obiettivi rimangono sempre gli stessi. Però chiaramente ci aspettiamo che oltre alla squadra cresca anche la nostra capacità di comunicare col pubblico. Abbiamo esitato prima di unirci a questo progetto. Quello che ha fatto scoccare la scintilla è stata l’idea di poter trasmettere i valori di Kometa, che sono anche alla base dell’ideale di Honest Food di cui siamo promotori e che oggi è rappresentato da un’Associazione senza scopo di lucro, nata lo scorso settembre a Milano.

Di cosa si occupa?

Riteniamo che il comparto alimentare necessiti di un ripensamento in tutte le sue componenti. E’ necessario ritrovare prima di tutto equilibrio e buon senso all’interno della filiera, per produrre cibo buono e salubre ad un prezzo ragionevole. Sono i tre cardini che si possono raggiungere attraverso la giusta distribuzione del valore lungo la filiera agroalimentare. Oggi soffriamo dell’abbandono delle aree svantaggiate, per esempio nell’agricoltura. E tutto questo ha portato ad alcune distorsioni nei prezzi. Per troppi anni ci siamo focalizzati sulla crescita dei volumi a prezzi sempre più bassi, invece di concentrarci sulla qualità. Questa certamente ha un costo, però il cibo non può essere un lusso.

La partenza del Giro d’Italia da Budapest nel 2022 è stato per Kometa un’operazione molto importante (foto Rcs Sport)
La partenza del Giro d’Italia da Budapest nel 2022 è stato per Kometa un’operazione molto importante (foto Rcs Sport)
La presenza di Basso e Contador è funzionale al messaggio?

La possibilità di comunicare attraverso l’immagine di due grandi campioni come loro è stata il fattore che ci ha fatto prendere la decisione. La grande partenza del Giro dall’Ungheria, con il nostro nome e un atleta ungherese in squadra, è stata una delle azioni che ha dato più risonanza. Siamo presenti alle corse. Facciamo promozione nei nostri punti vendita, in cui il consumatore trova l’oggettistica della squadra. In più per il 2024 ci siamo legati a una nuova agenzia, Luca Vitale e Associati, con cui inizieremo varie azioni di comunicazione.

Che rapporto c’è tra Giacomo Pedranzini e il ciclismo?

Per estrema onestà, devo dire che in famiglia non siamo mai stati dei grandissimi sportivi. Il nostro sport era aiutare il papà e la mamma nell’azienda agricola, il nostro trekking era camminare dietro alle mucche. Però gli sport di fatica ci sono sempre piaciuti, perché richiedono grande persistenza e grande resistenza, anche mentale. 

Crede che il ciclismo sia un valido veicolo promozionale per la sua azienda?

Questa domanda è importante, ma prima di rispondere ne faccio io un’altra. Come mai Lidl, una delle più grandi catene della distribuzione a livello mondiale, è subentrata a Segafredo? Non vogliamo paragonarci a loro né avere la presunzione di tenere in piedi le sorti del ciclismo, però continuiamo perché ci dispiacerebbe che uno sport che ha fatto parte della storia e della cultura del nostro Paese, diventasse l’ultima ruota del carro. Quando mio padre voleva richiamarci all’ordine, diceva sempre un proverbio: «Le parole volano, l’esempio trascina». E allora noi proviamo, in questo caso con Polti, a dare un piccolo esempio di perseveranza e determinazione. Sperando poi che aziende più importanti e più grandi di noi vengano a darci man forte per riportare il ciclismo italiano sul gradino che gli compete nel palcoscenico internazionale.

Anche Polti (nella foto Franco e sua figlia Francesca) è un’azienda di famiglia, con grande esperienza nel ciclismo
Anche Polti (nella foto Franco e sua figlia Francesca) è un’azienda di famiglia, con grande esperienza nel ciclismo
Francesca Polti ci ha raccontato di aver trovato subito delle sintonie aziendali con voi, lo conferma?

Certamente, perché anche Polti è un’azienda di famiglia. Hanno una bella storia. L’affinità è prima di tutto umana e di storia imprenditoriale. Loro sapranno apportare la loro grande esperienza nel mondo del ciclismo. Hanno vinto il Giro d’Italia, sono certo che papà Polti ci darà dei consigli molto preziosi.

Quante volte all’anno torna in Valtellina?

Almeno una al mese, diciamo così. Poi durante l’estate la mia famiglia, che per tutto l’anno è con me in Ungheria, si trasferisce molto volentieri in Italia.

Si ha la sensazione, ascoltandola, di avere davanti un ambasciatore del territorio.

Il collegamento con la Valtellina c’è sempre. Stiamo sperimentando con successo la collaborazione tra pubblico e privato. Il coinvolgimento del territorio, la presenza del Giro d’Italia e tutte le azioni in materia di cicloturismo sono legate al contributo della Provincia di Sondrio. Bisogna riconoscere a Pierluigi Negri la grande abilità di coordinare il privato con i consorzi turistici che rappresenta in Valtellina. L’amministrazione provinciale si muove sempre guardando a tutti gli aspetti. Quindi va bene sostenere lo sport, ma va guardato anche l’interesse economico del territorio. E oggi i dati dicono che le presenze estive hanno pareggiato l’indotto di quelle invernali e questo è un dato veramente importante. Penso che sia sufficiente per capire che grande importanza rivesta la promozione del ciclismo per la Valtellina.

Quanto sarebbe importante essere al via del prossimo Giro, viste le tappe in Valtellina?

Essendo una professional, ci dovremo sudare l’invito. Però siamo molto fiduciosi che quello che abbiamo fatto sui campi di gara, vincendo una tappa anche nell’ultima edizione con Davide Bais a Campo Imperatore, parli per noi. E come è successo in Ungheria, avere al via del Giro un valtellinese come Davide Piganzoli sarebbe motivo di orgoglio.

Piganzoli, valtellinese doc, sarebbe una presenza importante al prossimo Giro d’Italia (foto Instagram)
Piganzoli, valtellinese doc, sarebbe una presenza importante al prossimo Giro d’Italia (foto Instagram)

Parola al Presidente

Al riguardo chiudiamo con poche parole, ma molto chiare di Davide Menegola, Presidente della Provincia di Sondrio con delega al Turismo e Sindaco di Talamona, cui abbiamo chiesto di parlarci della collaborazione fra pubblico e privato.

«Il progetto legato al ciclismo – dice – sta portando grandi frutti a tutti gli operatori della provincia di Sondrio. Proprio il mese scorso abbiamo fatto un incontro che ha coinvolto la Provincia, il Consorzio BIM Adda, le Comunità Montane e il Parco Nazionale dello Stelvio, dove tutti hanno dato via libera al tavolo di lavoro sul cicloturismo. Tuttavia, mentre in precedenza si era ritenuto di approvarlo di anno in anno, questa volta abbiamo ritenuto di allungare il periodo e di sostenerlo per i prossimi tre anni, in modo che tutti possano lavorare con la prospettiva migliore per gli obiettivi che ci siamo prefissati».

Come dire che quando si fa sistema, il ciclismo diventa un potentissimo mezzo di comunicazione. In Valtellina l’hanno capito bene, basta andare a farsi un giro su quelle strade quando la neve si sarà sciolta. Il 10 gennaio il Team Polti-Kometa verrà presentato a Milano, per il ciclismo italiano si tratta di un’ottima notizia.

Da Noto il cittì Villa lancia il 2024 della pista

07.12.2023
5 min
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La giornata di martedì di Marco Villa si è svolta a Roma. Il cittì della pista ha preso parte al convegno “La Donna Atleta” organizzato dal CONI. Un confronto tra tecnici di vari sport, al quale hanno partecipato anche Elisabetta Borgia, Diego Bragato e Paolo Sangalli.

«Si è trattato – racconta Marco Villa – di un confronto costruttivo per sentire anche come lavorano gli altri sport. Sangalli, che ha una lunga e importante esperienza in questo campo, ha fatto anche da relatore».

Il gruppo delle donne, nel quale c’era anche Fidanza, aveva un primo appuntamento a Noto (foto Instagram)
Il gruppo delle donne, nel quale c’era anche Fidanza, aveva un primo appuntamento a Noto (foto Instagram)

I giorni di Noto

Ma facciamo un salto indietro nel tempo e verso sud. Nei giorni di metà novembre si è tenuto un primo ritiro della nazionale pista, a Noto, in Sicilia. Un primo incontro per preparare la stagione che verrà e gettare così le basi di un futuro che non è poi così lontano. 

«Si è trattato – racconta Villa –  di un primo ritiro di partenza. Per le donne il blocco era di atlete elite e under 23. Con loro si cerca di lavorare già in ottica Parigi 2024. Mentre gli uomini aveva una presenza massiccia di giovani, ai quali si è aggiunto Lamon. Scartezzini era assente perché impegnato alla Sei Giorni di Gand. Gli atleti del WorldTour, invece, erano ancora in ferie o in attività (come ci aveva anticipato lo stesso Viviani qualche giorno fa, ndr)».

Tanta strada nei giorni siciliani, importante curare il fondo anche in funzione della pista
Tanta strada nei giorni siciliani, importante curare il fondo anche in funzione della pista
Per il gruppo delle donne è stato importante lavorare insieme fin da subito, alla luce anche di quanto detto qualche mese fa?

Il gruppo delle donne aveva l’obbligo di partecipare (a differenza di quello degli uomini elite, ndr). Era importante fare un primo blocco di lavoro tutte insieme. Sono stato contento che poi Fidanza, Guazzini e Consonni abbiano deciso di rimanere e lavorare. Con le donne è il secondo anno che ci lavoro.

Bisogna trovare il metodo?

No, il metodo lo abbiamo già. La nazionale funziona benissimo da questo punto di vista. Voglio cercare di portare il gruppo delle donne ad avere la stessa amalgama degli uomini. Trovare un modo di fare sistema. E’ da pochi anni che si trovano a fare la stessa attività WorldTour degli uomini. 

Villa guarda ai prossimi impegni: a gennaio ci saranno gli europei
Villa guarda ai prossimi impegni: a gennaio ci saranno gli europei
Vi siete confrontati?

Ci siamo parlati e in base ai calendari e agli impegni di ognuna abbiamo cercato di trovare dei giorni in cui si può lavorare insieme. E’ importante al fine di costruire il sistema di cui parlavo prima.

Anche perché il primo impegno è l’europeo di gennaio…

Ci arriveremo con poche gare. Gli uomini si divideranno, chi non corre all’europeo andrà a correre a Brisbane in Coppa del mondo. Le donne, invece quella tappa non la faranno. Questo perché nessuna atleta del mio gruppo andrà al Tour Down Under. Correranno a Hong Kong e poi a Milton, che sarà l’ultima tappa prima di Parigi. Visto anche il fatto che non andranno in Australia per il campionato europeo avrò il gruppo delle donne al completo.

Gli uomini, tra cui Viviani, si divideranno in due gruppi: chi andrà agli europei e chi alla Coppa del mondo in Australia
Gli uomini, tra cui Viviani, si divideranno in due gruppi: chi andrà agli europei e chi alla Coppa del mondo in Australia
A Noto che tipo di allenamenti avete fatto?

Solo strada e palestra. Abbiamo allenato la forza sia in bici che ai pesi e poi tanto ma tanto fondo. Il meteo poi ci ha dato una mano, per tutti e 13 i giorni ci sono stati 25 gradi di media. 

Per gli uomini c’erano tanti giovani, un modo anche per farli entrare in questo mondo?

Intanto si allenano e questo non può che fargli bene. E poi iniziano a capire come lavoriamo. Davanti a loro hanno degli esempi lampanti (Viviani, Consonni o Milan, ndr), che hanno dimostrato quanto sia importante lavorare bene su strada in funzione della pista. Anche se…

Cosa?

Ormai faccio fatica a portare i giovani in ritiro o alle prove di Coppa del mondo. 

I Devo Team del WT fanno fatica a cedere i ragazzi alla nazionale. Qui Delle Vedove che corre alla Circus-ReUz
I Devo Team del WT fanno fatica a cedere i ragazzi alla nazionale. Qui Delle Vedove che corre alla Circus-ReUz
Immaginiamo si riferisca a quelli dei Devo Team…

Sì. Le squadre preferiscono averli sempre con loro. Non lasciano venire i ragazzi alle gare o ai ritiri, oppure ad allenarsi in pista. La Coppa del mondo ha una prova ogni mese e porta via una settimana in tre mesi. Parlo tanto con i team ma non riesco a convincerli. Pensano che se porto un corridore ad allenarsi in pista per una settimana lo rovino per un intero quarto di stagione. Quello che non capiscono è che un ragazzo con noi lavora in pista due giorni su cinque. Per il resto curiamo tanto la strada e i risultati li abbiamo sempre avuti. 

Coppa del mondo, meno 4: ritorno a Vermiglio con Fruet

07.12.2023
6 min
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Fu lui, Martino Fruet, a tenere a battesimo la prima edizione del cross sulla neve in Val di Sole. Gli organizzatori ne fecero il protagonista del video di lancio e anche noi lo riempimmo di domande. Oggi il trentino di anni ne ha 46, nel 2023 ha già vinto e pochi giorni fa è arrivato quinto a Motta di Livenza. Il cross scorre ancora nelle sue vene, con il fare scanzonato di sempre. E così, a quattro giorni dal ritorno sulla neve di Vermiglio (in apertura foto Podetti), ripartiamo da lui e dall’idea che si è fatto di questa gara così particolare, voluta da Flanders Classics quando si cominciò a dire che il cross potesse entrare nel giro delle Olimpiadi invernali.

Anche quest’anno Martino Fruet sarà a Vermiglio come opinionista, dopo essere stato uomo immagine del lancio della prova
Anche quest’anno Martino Fruet sarà a Vermiglio come opinionista
Dici che diventerà una classica?

Voi dite che loro ci credono? Diciamo che la possibilità di organizzare sulla neve potrebbero averla anche altre località, bisogna vedere che importanza vuole darle l’UCI. Il momento della stagione non è il più felice, purtroppo. A parte quest’anno che i grossi nomi partono tardi, dicembre è il mese in cui quelli che fanno anche strada vanno in ritiro al caldo. E’ come nelle gare negli USA, dove vanno più che altro quelli che vogliono seguire la Coppa in generale e gli atleti di casa. Però l’idea c’è ed è particolare, è come la Roubaix, ma bisogna starci dietro e lavorare per renderla interessante.

In che senso?

L’anno scorso si sono lamentati che il sabato c’era troppa neve fresca. In realtà, io che sono solo Martino Fruet e ormai vado per i 47, ho girato il sabato e anche la domenica. Sabato giravi da crossista e uno bravo, più o meno, faceva tutto in bici e se cadevi non ti facevi niente. Però sabato sera hanno tirato via tanta neve. La notte ha gelato ed è stato peggio, perché continuavano a cadere. E quando cadi sul ghiaccio, ti fai anche male. Per cui bisogna sempre trovare la giusta misura. Insomma, sono le prime edizioni, non sai mai come va a finire. Il primo anno secondo me è venuta fuori benissimo, perché le condizioni erano stabili e sabato e domenica c’era la neve giusta.

Molto dipende dal meteo, in effetti…

Quest’anno la neve c’è già e altra dovrebbe venire proprio oggi. Ora ce ne sono 20 centimetri, è già tutto bianco. Martedì hanno iniziato a piantare i pali, poi sono passati col gatto per dargli la tirata finale così si assesta bene. In compenso hanno modificato il percorso in extremis, si rimane più sulla sponda dell’arrivo, eliminando la salita più lunga che porta nel tratto in alto (la planimetria fornita alla presentazione la riporta ancora, ndr). Per il pubblico era impegnativo e alla fine si faceva la differenza in discesa e nel traversone in alto. Credo vogliano aggiungere un paio di dossi in zona arrivo per tenere la gara più concentrata e vederla quasi tutta senza doversi allontanare troppo.

La valle dei laghetti di Vermiglio è perennemente all’ombra: la neve tiene. Ma per Fruet dicembre non è il mese migliore (foto Podetti)
La valle dei laghetti di Vermiglio è perennemente all’ombra. Per Fruet dicembre non è il mese migliore (foto Podetti)
Sulle bici non sono state messe a punto soluzioni particolari, di fatto si interviene solo su sezioni e pressioni degli pneumatici…

Hai il limite che da regolamento non si possono usare i chiodi, che probabilmente farebbero una grossa differenza. Magari li usa qualche corridore che abita in Finlandia, che si allena sul ghiaccio e per quello sono imperativi. Ma dato che il regolamento non lo permette, puoi farci poco, quindi devi tirare fuori il meglio da quello che hai. Se non c’è ghiaccio, tra fango e neve non cambia tanto. Il problema grosso è la visibilità, per cui devi usare le lenti più chiare e guidare a sensazioni. E poi c’è il freddo, per cui il vestiario diventa importante. A stare nella neve, congeli molto prima.

L’anno scorso era meno rigido, no?

Dipende dai punti di vista. Nel 2021 c’erano 7 gradi sotto zero, l’anno scorso erano 5, dite che c’è tanta differenza? Era freddo ugualmente soprattutto perché dalla partenza in poi il percorso è sempre all’ombra. L’unico pezzo che vede mezz’ora di sole è il rettilineo di arrivo ed eventualmente se fanno qualche tratto sopra. Se il percorso prende il sole, il terreno molla e viene fuori il fango. Quindi alla fine per tenerla tutta bianca, resteranno nella parte bassa. Non credo che avere 10 metri di fango cambierebbe granché, ma si preferisce che sia tutto nella neve.

Senza il tratto a piedi in salita, le occasioni di mettere le scarpe nella neve spariscono?

Dipende da come fettucciano. Se fai una discesa con una curva a gomito e non riesci a stare in sella, ti tocca scendere e andare a piedi. Ma questo dipenderà molto da come tracceranno, si potrà capire solo alla vigilia. Martedì sera c’erano i pali, ora entreranno con il gatto calcare un po’ la neve. Poi inizieranno a mettere gli striscioni degli sponsor e piano piano tracceranno tutto. Oggi dovrebbe nevicare ancora, per venerdì il percorso sarà pronto ma chiuso. Sabato iniziano a girare e non credo che 50 corridori che ci passano per un’ora e mezza possano fare chissà quali danni.

Il tratto più in alto e la relativa salita sono stati tolti dal percorso, sostituiti da due dossi (foto Podetti)
Il tratto più in alto e la relativa salita sono stati tolti dal percorso, sostituiti da due dossi (foto Podetti)
Sperando che non sia necessario portare via della neve come l’anno scorso.

Penso che non faranno lo stesso errore. Penso che la tireranno appena e basta, devono lasciare lo strato di neve. Se la fanno troppo bassa, poi diventa ghiaccio e non va bene. Meglio lasciarne 10 centimetri, che portarla a 3 e rischiare che con il freddo notturno diventi una lasta di ghiaccio. Perché se poi con i passaggi il ghiaccio si sfonda, diventa anche peggio, perché sotto il terreno è davvero tanto duro. 

Anche quest’anno sentiremo Martino Fruet speaker a Vermiglio?

Non voglio rubare il lavoro a nessuno, faccio il commentatore tecnico al fianco dello speaker. Domani corro il cross del Ponte a Faè di Oderzo, poi vado su, proverò il sabato mattina assieme agli altri e poi mi metto molto volentieri in cabina con Paolo Mei.

Perché all’inizio ti chiedevi se l’UCI crede davvero a questa gara?

Del calendario abbiamo detto. Servirebbe una gara in zona il giorno prima, in Italia o magari in Svizzera. So che Van Kessel correrà a Faè di Oderzo, ma perché immagino che lo abbiano contattato loro, il 9 andrà in Val di Sole e il 10 parteciperà alla Coppa del mondo. Se vuoi dargli importanza, devi metterla a gennaio, ma a gennaio su quel tracciato c’è lo sci di fondo e si farebbe fatica a trovare posto negli alberghi, che anche adesso è una bella impresa. Si potrebbe pensare a Livigno, ma rischi di correre a meno 20 e non si potrebbe. Se il discorso resta legato alla Val di Sole, il posto è Vermiglio. Resta comunque una gara fuori dal normale.

Lo scorso anno fu tolta la neve fresca e rimase il ghiaccio, che rese il percorso scivoloso (foto Podetti)
Lo scorso anno fu tolta la neve fresca e rimase il ghiaccio, che rese il percorso scivoloso (foto Podetti)
Si parlava delle Olimpiadi invernali…

L’ho sentito, ma non ne sono troppo convinto. Sarebbe veramente la svolta, ma il cross c’è da cent’anni e non hanno mai fatto niente di ufficiale. Gare sulla neve se ne sono sempre fatte, una volta quando nevicava di più, non era raro correre sulla neve. Io ho delle foto di Longo e Di Tano che corrono su percorsi imbiancati. Ma siamo sicuri che le federazioni degli sport invernali vogliano far entrare l’UCI nelle loro Olimpiadi? E’ tutto da capire, per ora godiamocela così, sarà sicuro uno spettacolo.

Preparazione: per Pozzovivo l’unico vero dogma è adattarsi

06.12.2023
5 min
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Qualche giorno fa coach Leonardo Piepoli è intervenuto su Davide Formolo. Si parlava di cambiamenti nella preparazione, di approcci differenti da avere… ma siamo sicuri che un corridore riesca a cambiare tanto facilmente, specie se over 30? Spesso insistere sui determinati concetti, se non addirittura gli stessi allenamenti veri e propri, era un dogma imprescindibile.

In tanti facevano fatica a cambiare. Il concetto era ed è: “Quell’allenamento è andato bene, lo faccio di nuovo”. In realtà non è proprio così. E non lo è per una lunga serie di motivi: età, stimoli fisici in senso stretto, cambio di ruolo in squadra…

Domenico Pozzovivo, per esempio, il pro’ in attività più esperto con i suoi 41 anni, ha vissuto ormai diverse epoche del ciclismo e si è sempre adattato. Magari, visto da fuori, il corridore ancora in forza alla Israel-Premier Tech può sembrare uno dei più abitudinari: i ritiri sullo Stelvio o sull’Etna, gli allenamenti costanti anche quando il meteo non è buono… «Quando hai poca grinta, vai con Pozzo», parola di Alberto Bettiol, suo vicino di casa a Lugano, tanto per dirne una. Per Domenico ieri mattina un’ora di nuoto e poco dopo un’uscita in mtb nelle zone del suo Pollino.

Pozzovivo, che sta prendendo la seconda laurea proprio in Scienze Motorie, ci ha spiegato che cambiare è quasi un imperativo, specie nel ciclismo di oggi. L’approccio alle uscite in bici, ma anche all’alimentazione, al riposo, all’integrazione… è totalmente diverso che in passato.

Domenico Pozzovivo (classe 1982) in compagnia di alcuni amici in mtb
Domenico Pozzovivo (classe 1982) in compagnia di alcuni amici in mtb
Domenico, partiamo dal concetto che emerge dalle parole di Piepoli: si riesce a cambiare i propri allenamenti dopo tanti anni da professionista?

Questo concetto del non cambiare è proprio contrario ai principi basilari dell’allenamento. Una seduta, una preparazione, per essere stimolante deve essere differente. Deve variare, altrimenti non produce più stimoli. Bisogna cambiare, altrimenti si ha una sorta di assuefazione.

Assuefazione, il corpo riconosce certi stimoli e certi limiti. E lì resta, insomma…

Esatto, si ha un’assuefazione che non è solo fisica, ma anche mentale. Non arrivi più al limite. Non ci riesci perché vivi l’allenamento come una routine e non come una sfida. E a mio avviso questo aspetto di sfida non dovrebbe mai mancare neanche nell’allenamento.

Nella tua tua nuova avventura universitaria si parla espressamente anche di questi concetti?

Più che altro sono concetti a cui arrivi dopo che li hai messi in pratica, ma a livello accademico non si parla di questi aspetti mentali, specialmente legati al ciclismo di altissimo livello. Si parla di quelli fisici chiaramente, dei principi base sugli stimoli.

Pozzovivo è passato nel 2005: anni, soprattutto in questo periodo, dai ritmi più blandi. Eccolo nel 2012 con Modolo provando i materiali per la crono
Pozzovivo è passato nel 2005. Eccolo durante un ritiro del 2012 con Modolo provare i materiali per la crono
Quindi è facile o no modificare le proprie abitudini?

La verità è che alla fine tutti fanno fatica a modificare loro abitudini, ma bisogna imporselo. Devi. Io per esempio faccio più difficoltà ad affrontare i lavori brevi e intensi come i 30” o un minuto a tutta. E faccio fatica sia fisicamente che mentalmente. Ogni anno quando devo iniziarli, devo quasi fare una sorta di training autogeno: «Dai, da oggi li devi fare!», mi dico. E devi avere la capacità di toccare i tuoi limiti in quei lavori. Tanto più che sono uno scalatore e una volta, non era così. Non ci ero abituato.

Cosa è cambiato di più in tanti anni dunque? In cosa ti sei dovuto adattare?

Una volta, e non parlo di 15 anni fa ma molti meno, non facevi quei lavori così brevi, almeno se eri uno scalatore. Però io credo che devi stare al passo coi tempi. Essere chiusi mentalmente non va bene, ogni certezza la devi rimettere in discussione e non parlo solo di allenamenti, ma anche di integrazione, alimentazione.. Insomma per me i dogmi non esistono. Oggi ancora di più. Una volta i cambiamenti importanti avvenivano ogni cinque anni, adesso ogni 2-3 anni tutto è rivoluzionato.

Facciamo un esempio pratico: le SFR per esempio. Come le fai adesso e come le facevi prima?

Forse questo è l’aspetto che meno è cambiato, specie per me. Io non faccio delle SFR vere e proprie, ma faccio una parte a potenza costante e una parte con cadenze alte. Un alternarsi di forza e trasformazione, di “in e out”… Quindi questo non è variato, quello che semmai è cambiato è l’approccio alla forza. Una volta uno scalatore non faceva la forza massima, adesso sì. E lo stesso l’approccio alla soglia, quello sì che è cambiato parecchio.

L’approccio alla forza (e non solo) è cambiato anche per gli scalatori. Magari se ne fa meno in bici, ma più a secco, almeno in certi periodi dell’anno
L’approccio alla forza (e non solo) è cambiato anche per gli scalatori. Magari se ne fa meno in bici, ma più a secco, almeno in certi periodi dell’anno
E come ti sei adattato?

Prima si faceva poca soglia, proprio in termini di volumi, e sempre molto “flat”, lineare. Adesso, numeri alla mano, se ne fa almeno il triplo e con delle variazioni d’intensità del fuorisoglia stesso.

Però i chilometri sono scesi?

Un po’ sì: aumenta la qualità e un po’ si riduce la quantità. Ma sono calati anche perché ad esclusione delle grandi classiche, le tappe sono più corte e anche nei grandi Giri non ci sono più i tapponi di un tempo. Io ormai le sei ore, sei ore e mezzo, le faccio giusto prima di un Lombardia o di una Liegi.

Quindi nessun dogma, “obbligo” di cambiare anche contro le proprie voglie: così si adatta il pro’, giusto?

Continuo parlando della soglia. Una volta non ti sognavi di fare i lavori a soglia o fuorisoglia a dicembre. Oggi invece sono due aspetti caratterizzanti nell’inizio della preparazione: la base, che che forse è l’unico dogma esistente, e la soglia appunto. E questi due aspetti vanno di pari passo. Se ci si pensa sono i due estremi della preparazione: s’inizia facendoli insieme e poi si riempie quello che c’è nel mezzo. E’ quasi una manipolazione matematica della curva della preparazione.