Zoccarato: inverno tra forza e intensità col nuovo coach

04.02.2024
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Forza prima e intensità poi: è l’inverno di Samuele Zoccarato. Il potente passista della VF Group-Bardiani ci spiega la sua settimana in questa prima fase dell’anno. Che poi nel suo caso neanche si può parlare di settimana vera a propria, ma è una continua alternanza di triplette e doppiette. In più Zoccarato ha anche cambiato preparatore e il confronto, aiuta a capire il nuovo metodo di lavoro.

 «Parlerei di un monte ore di allenamento – dice Zoccarato – che va dalle 20 alle 28 ore a settimana, in base alle distanze e ai lavori previsti. Faccio triplette di carico, un giorno di scarico e di nuovo una tripletta o una doppietta, quindi mi è difficile stilare una settimana tipo.

«Però posso dire che cerco di far coincidere sempre un giorno di scarico o di riposo il sabato o la domenica così da avere un giorno libero nel fine settimana».

Rullo Elite Suito, notizia Radio Deejay
Zoccarato ha utilizzato i rulli per completare la doppia sessione di forza: faceva degli esercizi monopodalici
Rullo Elite Suito, notizia Radio Deejay
Zoccarato ha utilizzato i rulli per completare la doppia sessione di forza: faceva degli esercizi monopodalici
E come ti sei regolato questo inverno?

Siamo andati per periodi. A dicembre per esempio con il dottor Andrea Giorgi che mi segue da quest’anno, ci siamo concentrati molto sulla forza. E’ capitato di lavorarci anche tre giorni di seguito. Il primo giorno facevo palestra, poi aspettavo sei ore e salivo sui rulli, dove facevo un’ora e mezza ancora lavorando sulla forza, con esercizi monopodalici.

Interessante. Come li eseguivi?

Dopo una fase di riscaldamento, per tre o quattro volte facevo delle sessioni con una gamba a 300 watt fino ad esaurimento. Erano molto dure. Era come andare a 600 watt con due gambe. E infatti duravo al massimo due minuti per gamba.

Perché aspettavi sei ore?

Perché ci sono degli studi che dimostrano che per assimilare per bene il lavoro di forza fatto in palestra, bisogna attendere e non saltare subito in sella.

Per Zoccarato primi veri fuori giri della stagione in corsa…
Per Zoccarato primi veri fuori giri della stagione in corsa…
Il secondo giorno come procedevi?

Facevo 4 o 5 ore con dei lavori. Nella prima e nella quarta ora dovevo fare delle partenze da fermo con vari rapporti, più o meno lunghi, per attivare tutte le fibre muscolari: 3×30”, recupero 4′, poi un ritmo tranquillo. Nelle ore centrali facevo SFR, quindi forza a bassa cadenza con recupero ad alta cadenza.

Il terzo giorno: cosa facevi?

Mediamente 5 ore, con delle sessioni di volate da 30” e recupero di 2′. Questo aspetto dei 30” forte l’ho mantenuto anche nell’off-season, per esempio quando andavo a camminare in montagna. Di tanto in tanto inserivo 30” di corsa forte. Questo serve per limitare il decadimento del Vo2 Max. E infatti quando ho ripreso stavo meglio.

E siamo al giorno di scarico…

Due ore facili.

La seconda tripletta cosa prevedeva?

Sostanzialmente le stesse cose, ma invertivo il primo giorno con il secondo. Mentre nel terzo giorno anziché fare delle volate da 30”, facevo 3×15′ di “swift spot”, vale a dire lavorare a cavallo di due zone, la Z3 e la Z4. Si tratta di lavorare vicino alla soglia, ma senza essere troppo aggressivi, specie perché si è ad inizio stagione. Era indifferente farle in salita o in pianura. Spesso cercavo terreni misti e, credetemi, fare 15′ non è una passeggiata. Anche perché in questa uscita non c’è mai un vero e proprio recupero. Al massimo si scende in Z2 e infatti tornavo a casa con una bella media sia di velocità che di watt. Sono tornato a casa anche con più di 280 watt medi che, considerando anche le discese, gli stop, il traffico, non è poco. Ero bello cotto!

Anche in allenamento Zoccarato non trascura l’alimentazione
Anche in allenamento Zoccarato non trascura l’alimentazione
Hai cambiato preparatore, è cambiato anche il lavoro?

Ora sono seguito da Giorgi, prima da Luca Zenti, coach della UAE Adq. Sostanzialmente non ci sono state grandi differenze sui lavori, ma sulle intensità e sui recuperi. Prima al 95 per cento, sapevo come avrei finito un allenamento e che non avrei sputato l’anima, ora invece più di qualche volta mi è capitato di non riuscire a finire i lavori e questo credo sia dovuto anche dalla tanta Z2 che faccio e non ai picchi. Stando costantemente in quella fascia, la catena è sempre in tiro.

Ora però Samuele ci siamo appena lasciati alle spalle gennaio, come è cambiato il menù? Sei passato dalla forza a cosa?

Le ore sono leggermente diminuite, ma neanche troppo, mentre sono aumentate le intensità. Sono aumentati i lavori in Z3 e Z4 e sono stati inseriti dei richiami in Z5. Però non ho mai toccato i massimali in allenamento. Neanche prima delle gare di Majorca e della Valenciana.

Puoi farci un esempio di qualche lavoro più intenso?

Per esempio facevo degli swift spot in Z4-Z5: 1′ in Z5, 30” di recupero in Z2. Oppure quando facevo la distanza inserivo dei lavori piramidali alla prima, terza e quinta ora: 3′ di VO2Max e 2′ di recupero in Z2; 2′ e 1′; 1′ e 40”; 40” e 30”… Un lavoro simile ti aiuta a conoscere il proprio fisico, specie nelle ore finali quando sei stanco, quando calano gli zuccheri. Riesci anche a capire come gestire gli integratori e la nutrizione. Capisci come migliorare nell’ultima ora.

Il veneto cura molto anche la parte a secco e della mobilità articolare in particolare (immagine dal web)
Il veneto cura molto anche la parte a secco e della mobilità articolare in particolare (immagine dal web)
Hai toccato il tasto dell’alimentazione, quali accorgimenti hai adottato per tutti questi particolari allenamenti?

Io sono molto alla buona e non ho preso chissà quali precauzioni. In linea di massima faccio riferimento all’introito calorico settimanale e se ho speso tanto, non faccio problemi a mangiarmi una pizza. In generale la dose di carboidrati è sempre alta sia a tavola che in bici. In bici mi attengo sempre agli 80-90 grammi di carbo l’ora, tra gel, barrette, malto… questo per avere il glicogeno sempre pieno. Ma questo vale più o meno sempre, al massimo quando dovevo lavorare sulla forza cercavo di aumentare la dose proteica negli shake prima e dopo gli allenamenti.

E lo stretching?

Quello lo faccio sempre e anche nei ritiri lo facevamo tutti insieme in squadra. Io però, quando faccio palestra, lavoro molto anche sulla mobilità articolare, specie quella delle gambe e della schiena. Avere una buona mobilità significa avere una capacità maggiore delle articolazioni e quindi del movimento e sfruttare meglio la muscolatura.

Fidanza, un’altra Gaia da lanciare: dopo Realini c’è Tormena

03.02.2024
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L’ultima volta che ha avuto tra le mani una Gaia proveniente dal fuoristrada, Giovanni Fidanza ha plasmato una certa Realini, che ora è una delle atlete più promettenti a livello mondiale. L’abruzzese veniva dal ciclocross e nella Isolmant-Premac-Vittoria del tecnico bergamasco prese le misure alle corse su strada e spiccò il volo. Per questo oggi, scherzando ma neanche troppo, è venuto spontaneo chiedere a Giovanni che cosa tirerà fuori dalla nuova Gaia, che di cognome fa Tormena, ugualmente proveniente dal fuoristrada. Nel suo caso però, la specialità è l’eliminator di mountain bike, nella quale è una superstar internazionale, avendo vinto quattro mondiali e cinque europei. Nel mezzo la valdostana ha provato anche la pista e la BMX con quel vecchio sogno di andare alle Olimpiadi che probabilmente dovrà essere rimandato.

Giovanni lo intercettiamo in magazzino, mentre prepara i mezzi e le ultime cose in vista del primo ritiro e del debutto. La squadra ha ancora bici Guerciotti, il modello Veloce S, mentre è cambiato il fornitore dell’abbigliamento. Da Nalini, che ha il suo bel da fare per seguire le tre squadre del Team DSM Firmenich, sono passati con Rosti e il 24 febbraio presenteranno il team nel Bike Park Vittoria (in apertura, un’immagine del 2023 di Foto Ossola).

Giovanni Fidanza con Rossato e Realini: un’immagine del 2022, l’anno della consacrazione di Gaia
Giovanni Fidanza con Rossato e Realini: un’immagine del 2022, l’anno della consacrazione di Gaia
Direttore, un’altra Gaia in squadra: ci sono similitudini?

Sono diverse. Tormena sicuramente ha motore. Il suo problema però è che non viene dalla strada e dal poco che l’ho vista nel 2023, le manca l’esperienza per capire i momenti di corsa. Penso che l’anno scorso abbia fatto il passo troppo lungo andando nel UAE Devo Team. Magari avrebbe fatto meglio a passare prima da noi, iniziando con un’attività più tranquilla. Comunque è andata così, ha ancor 21 anni e se ha voglia, potremo lavorare bene.

Ti sembra che questa voglia ci sia?

Deve capirlo. Se vuoi arrivare a certi contratti, la sola via possibile è la strada. In mountain bike hai i tuoi sponsor, ma la possibilità di guadagnare e farne un mestiere ce l’hanno di qua. Secondo me, lei è ancora combattuta. Potrebbe avere il timore di non sapere fin dove potrà arrivare su strada, è legittimo che abbia qualche dubbio.

E come si superano?

Vanno via quando cominci a prendere fiducia e vedi i primi risultati. Lei ha fondo, sta facendo le sue distanze anche su strada. Ha le caratteristiche dei pistard che fanno endurance, cioè ha tenuta ed è anche abbastanza veloce. Deve lavorarci passo per passo. Crescendo avrà sempre più resistenza, sarebbe sbagliato adesso mettere l’asticella troppo in alto. Cominceremo con le nostre corse open, poi ne faremo di più importanti e piano piano prenderà le misure.

L’arrivo di Gaia Tormena è una scommessa che potrebbe dare grandi risultati (foto Isolmant Premac Vittoria)
L’arrivo di Gaia Tormena è una scommessa che potrebbe dare grandi risultati (foto Isolmant Premac Vittoria)
Un’altra Gaia che può spiccare il volo?

Non bisogna neanche caricarla troppo. Deve cominciare. Provare ad arrivare a fare la volata. Fare il primo piazzamento. E da lì capisci come lavorare per migliorare. Io dico sempre che prima di arrivare ai grandi risultati, bisogna fare un certo tipo di percorso naturale. Come fra gli uomini, non dobbiamo guardare quello che fanno i fenomeni, ma seguire il nostro percorso e poi a fine anno si tireranno le somme.

Quando si comincia?

Il 24 facciamo la presentazione, poi andiamo in ritiro Montecatini e ai primi di marzo si comincia come negli anni scorsi. La vita con tante WorldTour si è fatta più complicata per noi. Da una parte è bello, il movimento è cresciuto tantissimo e le ragazze finalmente non corrono solo per passione. Ormai l’attività è quasi parallela con quella maschile, le grandi corse hanno entrambe le prove, il problema è che fuori dal WorldTour si fa fatica a correre. Le continental devono sperare nell’invito, ma capitano anche grandi corse con pochi partecipanti che con noi potrebbero guadagnare partenti e impatto, invece preferiscono schierare solo 100 ragazze.

E’ un peccato…

Senza dubbio, perché anche noi dobbiamo avere un minimo di calendario per far fare esperienza. Alla fine il nostro ruolo è questo, ma abbiamo bisogno della platea per dare visibilità agli sponsor: anche loro si impegnano e meritano un riscontro. Non so nemmeno se avrebbe senso diventare il devo team di qualcun altro, perché significherebbe perdere la propria identità e disperdersi, come sta succedendo con la Valcar.

Emanuela Zanetti, qui prima al Memorial Silvia Piccini nel 2021, è tornata con Fidanza dopo i 4 mesi con la Zaaf (foto Ossola)
Emanuela Zanetti, qui prima al Memorial Silvia Piccini nel 2021, è tornata con Fidanza dopo i 4 mesi con la Zaaf (foto Ossola)
Che cosa puoi dirci delle tue ragazze? Ci sono tante giovani e un paio di veterane…

Abbiamo Beatrice Rossato, con cui abbiamo ritrovato l’accordo e ha il suo lavoro di insegnante. Io non le metto pressione, si gestisce e sa quando è pronta. Le altre, a parte Sara Mazzorana cui diamo questa possibilità, sono giovani che devono crescere. Arrivano dopo gli juniores, hanno tre anni di tempo per arrivare a un certo livello e poi spiccano il volo. Questo è il nostro ruolo ed è importante. Perché se salta il passaggio e vanno subito negli squadroni, sarà sempre più difficile che abbiano una crescita adeguata e tante smetteranno.

Saresti in grado di indicare quale fra le tue è pronta per qualche risultato interessante?

Emanuela Zanetti ha avuto alti e bassi. Il 2023 è stato un anno particolare. Prima la vicissitudine della squadra dov’era andata (quattro mesi alla Zaaf Cycling Team prima che si scoprisse il brutto bluff, ndr), poi è tornata con noi, ma è stata male. Secondo me su certi percorsi è competitiva e lo ha dimostrato. Poi c’è Asia Zontone…

La quale?

La quale due anni fa ha vinto una tappa al Giro delle Marche, mentre nel 2023 ho avuto una stagione difficile fra alti e bassi, senza trovare una costanza di rendimento. Penso che possa fare il piccolo salto che manca per diventare grande.

Asia Zontone è passata su strada dal cross nel 2022, vincendo la seconda tappa del Giro delle Marche (foto Ossola)
Asia Zontone è passata su strada dal cross nel 2022, vincendo la seconda tappa del Giro delle Marche (foto Ossola)
Cosa dici di Sara Pepoli, figlia d’arte?

Una bella atleta, solo che nel 2023 era al primo anno, quindi aveva la scuola e poi le è venuta una forte mononucleosi a inizio stagione. Praticamente i primi mesi li ha persi tutti, ha cominciato a correre bene a giugno e non è andata male. Ha fatto il suo. Sperando che quest’anno non incappi in problemi di salute, ha iniziato la preparazione con le altre e sono sicuro che abbia buoni margini di crescita.

Un’ultima battuta su Arianna e Martina, le sue figlie nel WorldTour con la maglia Ceratizit, impegnate fra strada e pista, poi Fidanza riprende il suo lavoro di sistemazione in magazzino. La stagione delle grandi squadre è iniziata dall’Australia, qui in Italia serivrà ancora qualche settimana.

L’ascesa e la caduta di Dombrowski. In tempi troppo brevi

03.02.2024
6 min
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Tra coloro che hanno chiuso la propria carriera quest’anno, Joe Dombrowski rappresenta un caso a parte. Il perché è presto detto: non più tardi di un paio di stagioni fa l’americano aveva vinto una tappa al Giro e sfiorato il successo alla Vuelta, sembrava davvero un corridore quantomeno da classifica per corse a tappe medio-brevi, insomma un riferimento sicuro per ogni team che cercasse risultati e quindi punti. Un atleta ormai maturo per risultati importanti. La sua parabola è declinata rapidamente, fino a portarlo a 32 anni alla dolorosa decisione.

Dopo il suo annuncio, molti sono rimasti con la curiosità di sapere che cosa è successo e l’unica risposta poteva venire dalla sua stessa voce, per capire che cosa l’ha portato al ritiro: «In realtà il mio piano era quello di continuare, ma non ho trovato una squadra per la nuova stagione. È semplice ma è proprio così che è andata a finire».

L’americano ha cercato fino all’ultimo un ingaggio. All’Astana non c’era più posto
L’americano ha cercato fino all’ultimo un ingaggio. All’Astana non c’era più posto
Nel 2021 hai vinto una tappa al Giro e ci sei andato vicino alla Vuelta. Pensi che il passaggio all’Astana ti abbia penalizzato?

Non voglio dare la colpa alla squadra dicendo che non ho reso per questa o quella ragione, ma penso che per me l’ambiente era un po’ complicato. Qualcosa mi è mancato, in particolare nel mio secondo anno. Io sono approdato all’Astana con due grandi corridori per corse a tappe come Nibali e Lopez. E in realtà, mi è piaciuto molto correre il Giro nel 2022, stavo andando davvero forte. Forse dai risultati non sembra così tanto, ma in tutti i momenti chiave della gara ero lì con i migliori. Poi Vincenzo si è ritirato, Lopez ha avuto i suoi problemi come tutti sanno. Risultato, l’anno scorso non c’era più un vero leader per i grandi giri e la squadra era un po’ più concentrata sugli sprint con Cavendish. Io non sono un corridore che poteva aiutarlo, ero un pesce fuor d’acqua.

Nel senso che non avevi un ruolo?

Sì, ma c’è anche altro. Non controllavamo la gara all’inizio, dove molte volte vedi le squadre dei velocisti mettere un ragazzo davanti per tirare. All’Astana non lo facevamo. Sembrava una caccia al palcoscenico, dovevo cercare la fuga ma essa deve arrivare fino al traguardo. Io poi ero abituato a lavorare per qualcuno, ma chi? Non avevo più un ruolo.

Alla Sky due anni d’esordio difficili per Dombrowski, a causa di incidenti e problemi fisici
Alla Sky due anni d’esordio difficili per Dombrowski, a causa di incidenti e problemi fisici
Dopo la vittoria al Giro Under 23 con quali speranze eri passato professionista?

Potevo andare in quasi tutte le squadre perché ero giovane. E quando vinci qualcosa come il Girobio o il Tour de l’Avenir, hai un bel biglietto da visita. Il ciclismo è sempre alla ricerca di giovani talenti. Quindi avevo molte opzioni diverse e alla fine ho scelto Sky perché all’epoca era la squadra migliore e sembrava essere la più all’avanguardia o la più organizzata. Penso che all’epoca fossero un gradino sopra tutti gli altri.

Mentre oggi?

Ancora oggi la reputo come la squadra più grande nella quale ho corso. La combinazione tra l’essere neopro’ e la giovane età rendeva tutto magico. Sono stati un paio d’anni difficili. Ho lottato con un infortunio. Avevo un’endofibrosi dell’arteria iliaca e non ho fatto l’operazione fino al secondo anno, perché c’è voluto molto tempo per trovare il problema. Sono stato fermo tre mesi e anche questo ha reso le cose un po’ complicate.

In casa Cannondale (oggi EF Education EasyPost) il corridore di Marshall ha vissuto una grande maturazione
In casa Cannondale (oggi EF Education EasyPost) il corridore di Marshall ha vissuto una grande maturazione
Alla Cannondale sei stato 5 anni, che ambiente era e come ti sei trovato?

Credo che sia stata la squadra più divertente che ho avuto tra tutte le squadre del WorldTour in cui ho corso, forse perché a quel tempo era in fase di transizione. Quando era Garmin, forse era una delle squadre più americane del gruppo. Quindi con molti corridori americani, un po’ come la Movistar così spagnola o l’Astana kazaka per licenza, ma molto italiana. Avere tanti connazionali rende tutto più facile. Sentivo che molti corridori della squadra erano miei amici. Ho anche amici di tutte le squadre in cui ho corso, ma lì di più…

Alla Uae hai vissuto l’esplosione di Pogacar: quanto spazio avevi per le tue personali ambizioni?

Era già prima una super squadra. Un team con molti campioni dove c’era meno spazio per le ambizioni personali. Se vai a ogni gara e i tuoi compagni di squadra sono tra i migliori al mondo, è normale che in molti casi sia necessario lavorare per gli altri. Penso di avere avuto il mio spazio e penso che abbiano cercato di gestirlo bene come avviene per ogni corridore. Ad esempio, nei grandi Giri, hai una possibilità quando è il tuo giorno di andare in fuga, puoi puntare alle tappe. Se non ti concentri sulla classifica generale, è davvero un bel modo di correre se hai un leader e puoi essere lì intorno a lui, ma poi hai anche la libertà per scegliere i giorni in cui vuoi giocarti le tue chance. Sai che gran parte del tuo lavoro è supportare qualcun altro e i diesse vedono quando sei qualcuno che può essere un buon compagno di squadra.

La vittoria di Sestola al Giro 2021, un’azione imperiosa che l’ha portato alle soglie della maglia rosa
La vittoria di Sestola al Giro 2021, un’azione imperiosa che l’ha portato alle soglie della maglia rosa
Qual è stata per te la vittoria più importante?

Direi che la vittoria di tappa nel Giro è stata bella. Forse è stato un po’ agrodolce perché il giorno dopo sono caduto, quindi non l’ho potuta davvero assaporare, anche perché puntavo a vestire la maglia rosa. In testa c’era De Marchi e nella successiva tappa di montagna, dato che avevamo un buon distacco dai favoriti della classifica generale, avrei avuto un davvero un’ottima occasione per conquistare la maglia rosa. Credo comunque che sia stata davvero una bella vittoria.

Tu sei stato fra i più grandi talenti americani di questo secolo: il ciclismo americano di oggi è più o meno forte di quando sei passato professionista?

Direi che è più forte adesso. Ci sono così tanti bravi corridori americani. Guarda cos’ha fatto Kuss, ma anche Matteo Jorgenson ora suo compagno di squadra oppure Powless o McNulty. Ma ne dimentico sicuramente qualcuno, perché in realtà ce ne sono molti e anche molto giovani.

Vuelta 2021: lo statunitense insieme a Taaramae, che lo staccherà togliendogli il successo a Picòn Blanco
Vuelta 2021: lo statunitense insieme a Taaramae, che lo staccherà togliendogli il successo a Picòn Blanco
Tu hai vissuto per anni a Nizza: intendi tornare a casa o rimarrai in Francia?

Sto bene adesso, per ora abbiamo intenzione di restare qui. Non ho davvero intenzione di tornare negli Stati Uniti. Non ho un piano immediato per quello che farò. Amo il ciclismo e amo lo sport nel profondo. Ma ho interessi anche in altre cose. E penso che nei prossimi mesi vorrò prendermi del tempo per esplorare tutte le diverse cose che sono interessanti per me e poi sapere dove mi portano. Quello che ho imparato dal ciclismo è che amo il ciclismo. Vedremo cosa sto facendo e anche dove vivremo. Per ora continuo ad andare in bici, ma mi prendo del tempo anche per sciare…

Conoscete Madouas? Proviamo a scoprirlo insieme

03.02.2024
5 min
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Valentin Madouas si rifugia spesso nella mente. Il campione di Francia, 27 anni, che ha sempre corso con la Groupama-Fdj e ha il contratto fino al 2026, è un tipo interessante da ascoltare, forse perché esce dagli schemi più convenzionali. E anche se nel 2023 ha vinto “solo” due corse, non sfuggono negli anni scorsi il terzo posto al Fiandre del 2022 e il quinto nell’ultima Liegi.

«Un anno fa – ha raccontato di recente – ho iniziato l’ipnosi. Non ho bisogno di qualcuno con cui parlare, di uno psicologo. Voglio lavorare sull’inconscio, cercare nella mente cose che mi aiutino ad essere ancora più forte. Sappiamo davvero poco del cervello. Ho anche iniziato a fare l’agopuntura per recuperare. E’ un momento in cui mi prendo una pausa, in cui mi riposo per un’ora. Sto esplorando tante piccole cose che potrebbero portarmi a nuovi traguardi».

Valentin Madouas è nato a Brest il 12 luglio 1996. Pro’ dal 2018, è alto 1,79 per 71 chili
Valentin Madouas è nato a Brest il 12 luglio 1996. Pro’ dal 2018, è alto 1,79 per 71 chili

Approccio scientifico

Madouas è un ingegnere e come un ingegnere ragiona. L’istinto appartiene alla corsa, ma anche durante la gara traspare dal ragionamento la voglia di controllare il mondo intorno a sé. Questo potrebbe essere un limite, ma è anche il solo modo che per ora conosce di essere pronto a tutto, in un ciclismo di attaccanti feroci e imprevedibili. Quante variabili puoi controllare?

«Visualizzo le situazioni – spiega – lavoro molto sulla preparazione mentale. Quando vado a una corsa, immagino 10-15 scenari: come andrà, i corridori che affronterò. Cerco di farlo per quante più gare possibile, ma è molto difficile e soprattutto ci sono cose che non possiamo controllare. Questo è il modo in cui lavoro. Nel 2023 ha dato i suoi frutti, ma sono venuti anche perché nel frattempo è arrivata la maturità fisica e mentale. Ora che sono riuscito a dimostrare a me stesso certe cose, posso lavorare per farle di nuovo e più spesso ».

Podio al Fiandre: nel 2022 Madouas si piazza terzo dietro Van der Poel e Van Baarle
Podio al Fiandre: nel 2022 Madouas si piazza terzo dietro Van der POel e Van Baarle

Tricolore e Plouay

I risultati cui si riferisce sono la vittoria di Plouay, prima gara WorldTour (in apertura commosso dopo l’arrivo), e il campionato nazionale. Aveva conquistato il tricolore anche da U23 e continuava a dire che lo avrebbe colto anche da professionista, pur non sapendo quando e come.

«Sono stato costante per tutta la stagione – racconta – dalle Strade Bianche a Montreal (rispettivamente 2° e 4°, ndr). Inoltre, con il campionato francese e la Bretagne Classic, ho raggiunto due importanti obiettivi professionali. Avrei potuto vincere di più, ma le circostanze lo hanno impedito. Sapere di essere competitivo nelle classiche WorldTour mi permetterà di lottare a un livello più alto. Non vengo dal nulla, sono sempre stato presente. Sfidare certe corazzate nelle gare Monumento non sarà facile, ma il quinto posto di Kung alla Roubaix fa pensare che sia possibile. La squadra è forte, sta a me e Stefan darle la spinta, perché diventi più omogenea e abbia il coraggio di provare azioni per vincere».

E’ il 25 giugno, quando a Cassel Madouas conquista il campionato francese (foto Florent Debruyne)
E’ il 25 giugno, quando a Cassel Madouas conquista il campionato francese (foto Florent Debruyne)

La ricerca del limite

La solidità arriva con il lavoro e da quest’anno la sensazione è che tutti gli atleti della squadra francese abbiano aumentato qualità e quantità. Lo diceva Germani nel ritiro di dicembre e lo ribadisce Madouas.

«Penso di avere ancora molto da esplorare – dice – e su cui lavorare. Per me il ciclismo è uno sport in cui ti reinventi costantemente. Si fa il punto su cosa ha funzionato e poi si prova a sviluppare cose nuove per fare un passo avanti e uscire dalla routine. Non c’è niente di peggio che rinchiudersi in schemi sempre identici. Non conosco i miei limiti e ho raggiunto un’età in cui voglio conoscerli, siano essi mentali o fisici. Ho bisogno di lavorare molto, ma non avevo mai fatto un volume del genere in questo periodo dell’anno. Abbiamo aumentato tutto in modo omogeneo. Invece di tre sessioni di intensità, adesso ne faccio quattro di due minuti anziché di un minuto e mezzo. Sto lavorando di più dietro scooter e alla fine dell’anno avrò complessivamente 32-34.000 chilometri, anziché i 28 -29.000 dello scorso anno».

La vittoria di Plouay ha confermato a Madouas di avere il livello per vincere nel WorldTour
La vittoria di Plouay ha confermato a Madouas di avere il livello per vincere nel WorldTour

Vincere il Fiandre

Resta da inquadrare il suo ruolo di leader, nella squadra che ha perso Pinot e Demare ed è agitata dall’esuberanza di ragazzini come Gregoire e Martinez. E intanto, sapendo che si diventa capitani anche per i risultati, ribadisce che i sogni della sua primavera sono due: la Strade Bianche e il Fiandre, per il quale ha già pronta la tattica.

«Devo vincere – dice – ma anche unire i compagni e lo staff intorno a me e questa è la sfida più grande. Ringraziare, essere rispettosi, onesti e spontanei sono le qualità basilari. Thibaut era in grado di dire quando il lavoro era stato fatto bene oppure no e spiegava il perché. Ora che stanno arrivando i risultati penso di avere la credibilità per farlo anche io. Se poi vincessi il Fiandre…

«Ho immaginato due scenari. Il primo – ha detto a L’Equipe – è un attacco prima del Vecchio Qwaremont all’ultimo giro: lo prendo davanti, gli altri fanno il forcing, si avvicinano e poi si spengono. Io davanti gestisco il mio ritmo e mantengo 20-30 secondi al traguardo. Il secondo è che non riescono a staccarmi in salita e attacco negli ultimi 2 chilometri, quando sento che cominciano a guardarsi per lo sprint. Nessuno mi segue e vinco così. In entrambi i casi immagino Kung lì con me e ci daremo reciproca copertura. Saremo insieme nel finale e vinceremo insieme. Lui per aiutare me, io per aiutare lui».

Catena KMC, dietro c’è un mondo di dettagli e studio

03.02.2024
4 min
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Le biciclette hanno una cosa che le accomuna, a prescindere dalla categoria del prodotto: la catena. Si parla e scrive spesso di una base tecnologica che ha cambiato completamente lo sviluppo della bicicletta e in questo rientra anche la catena.

Ne abbiamo parlato con Sylvie Bakker, Marketing Manager di KMC, azienda taiwanese leader del settore, fondata nel 1977 e che oggi si fa forza anche di una sede europea con base in Olanda.

Sylvie Bakker responsabile marketing KMC
Sylvie Bakker responsabile marketing KMC
Come possiamo definire KMC oggi?

E’ un’azienda che ha concentrato tutte le sue ricerche, lo sviluppo e le risorse, sulla produzione della catena. Si parla davvero della tecnologia di questo componente.

Dove si trova la sede?

Il quartier generale è a Taiwan, dove c’è anche la produzione, ma la sede europea, aperta nel 1995, ricopre un ruolo molto importante per tutto l’occidente. Di recente abbiamo rinnovato la struttura con un building di 3.000 metri quadrati.

La sede europea di KMC in Olanda (foto Wiep-KMC)
La sede europea di KMC in Olanda (foto Wiep-KMC)
Quanti dipendenti ha KMC nella sede europea?

Per ora siamo 18. Pochi, se consideriamo la mole di lavoro, ma un grande supporto arriva dai 250 distributori che abbiamo nella sola Europa.

Un incremento delle forze in campo dovuto ad una richiesta in crescita?

Una richiesta che è aumentata in modo esponenziale anche grazie al settore e-bike. Per quest’ultima categoria di prodotti abbiamo dedicato una fetta della produzione sviluppando anche i pignoni dedicati.

Quella olandese una sede logistica fondamentale per il mercato occidentale (foto KMC)
Quella olandese una sede logistica fondamentale per il mercato occidentale (foto KMC)
Quante catene vengono prodotte?

Il numero varia in base alla categoria. Posso dire che nel 2023 abbiamo prodotto oltre 10.000 chilometri di catena.

Si potrebbe pensare ad un numero anche maggiore di questo!

In realtà è una cifra molto alta, se consideriamo che la nostra catena si adatta alle trasmissioni di aziende diverse, ad eccezione fatta di Sram con le 12 velocità. Ma stiamo lavorando anche su questo.

La monocorona, sempre più diffusa in tutte le discipline
La monocorona, sempre più diffusa in tutte le discipline
E invece per quanto riguarda le trasmissioni con la monocorona?

Esistono già da tempo, ma solo in un periodo recente sono sbarcate e sdoganate nel mondo strada. Cambiano alcune fasi di studio del prodotto, per necessità tecniche diverse. Un esempio è l’aumento degli stress laterali che una catena subisce con la corona singola.

Quale è la parte più complicata da sviluppare?

Uno dei punti critici di qualsiasi catena e oggetto di studio da parte degli ingegneri è il pin di unione tra una maglia e la successiva. E’ una zona che sta cambiando anche per via dell’aumento delle trasmissioni con corona singola, ma anche per l’aumento dei diametri delle corone.

Gli studi della catena, diventano una vera e propria anatomia del prodotto
Gli studi della catena, diventano una vera e propria anatomia del prodotto
Quali caratteristiche deve avere allora la catena?

La catene di queste trasmissioni non solo devono essere flessibili, ma devono essere in grado di sostenere una curvatura maggiore senza rompersi. Quando si parla di catena si generalizza, eppure il dietro le quinte è molto complicato e laborioso. E poi c’è anche il processo di trattamento alla corrosione che adottiamo in KMC, che solo nelle fasi di test ha richiesto oltre 650 ore.

Risparmiare watt con la sola catena è possibile?

Sì è possibile, ma in questo caso entrano in gioco anche altri fattori tecnici, ovvero la manutenzione, la lubrificazione ed i trattamenti del prodotto originale. Alla base c’è sempre la qualità costruttiva della catena.

Ciclomercato, chi sale e chi scende: il borsino dei team

03.02.2024
5 min
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Se ci dovessimo attenere solo ai punti UCI, al termine del ciclomercato invernale ci sarebbero due verdetti piuttosto chiari. Uno: la Ineos Grenadiers è il team che si è più indebolito. Due, la Bora-Hansgrohe, è quello che si è più rafforzato. In questo secondo caso incide chiaramente Primoz Roglic. Lo sloveno ha spostato moltissimo l’ago della bilancia.

Ma al netto di Roglic, delle partenze di corridori come Geoghegan Hart o Pavel Sivakov, e gli acquisti di questi atleti nelle rispettive squadre di destinazione, davvero questa graduatoria corrisponde alla realtà? Davvero la Ineos è così meno forte e la Bora è cresciuta in proporzione?

Stando a questa classifica, anche l’Astana-Qazaqstan si è rinforzata molto, ma è innegabile che il divario dalla UAE Emirates, per esempio, resti altissimo.

Geoghegan Hart e Roglic (soprattutto) sono stati coloro che più hanno spostato l’ago della bilancia del borsino
Geoghegan Hart e Roglic (soprattutto) sono stati coloro che più hanno spostato l’ago della bilancia del borsino

I rendimenti contano

Questi dubbi li abbiamo posti all’attenzione di Roberto Amadio, team manager dell’ultima grande squadra italiana, la Liquigas poi divenuta Cannondale. Certi equilibri pertanto il manager delle squadre Nazionali della FCI li conosce bene. Lui si ritrovò a gestire Nibali e Basso. Sagan e Viviani. E tanti, tanti altri corridori di ottima caratura.

«Il discorso – spiega Amadio – è sempre quello. I campioni, quelli proprio grandi, fanno la differenza. La Ineos avrà anche perso più di altre squadre in termini di valore di corridori, ma resta sempre una squadra solida. Al tempo stesso la Bora si è rinforzata molto, ma già aveva un’ottima rosa. Però non bisogna dimenticare che ogni stagione è una cosa a parte e non è detto che certi equilibri vengano rispettati».

Per Amadio i campioni, possono fare la differenza ancora di più nelle classiche, al netto della squadra che hanno attorno. La squadra resta importante chiaramente, ma un filo meno rispetto ai grandi Giri.

«In queste grandi corse c’è tutt’altra strategia e quei tre, Vingegaard, Pogacar e Roglic hanno più bisogno della squadra.

«Per le classiche la squadra leader era la Soudal-Quick Step di Lefevere e forse ha perso qualcosa, specie per le prove delle pietre. Ma molto dipenderà dal recupero di un atleta che già avevano in casa, Alaphilippe. Poi immagino che Evenepoel farà la Liegi, ma mi sembra che con lui si siano spostati parecchio anche sui grandi Giri».

Un giovane Sagan con Roberto Amadio. Al suo arrivo nessuno immaginava che Peter avrebbe inciso tanto sul valore del team stesso
Un giovane Sagan con Roberto Amadio. Al suo arrivo nessuno immaginava che Peter avrebbe inciso tanto sul valore del team stesso

L’esempio di Sagan

Il borsino dei valori numeri alla mano, non per forza corrispondono ai valori reali. E l’esempio perfetto fu proprio un certo Peter Sagan alla corte di Amadio. Quando approdò alla Liquigas non aveva chissà quanti punti venendo dalle categorie giovanili. Né poteva dare certezze.

«Quando lo ingaggiammo – racconta Amadio – era impossibile immaginare ciò che avrebbe fatto. Sapevamo che era un talento, ma non così. Ma capimmo presto, già dalle prime corse in Australia, che era un fenomeno. Ebbi la conferma alla Parigi-Nizza perché lì il parterre è importante, i corridori cominciano a mettere gli obiettivi nel mirino e il livello si alza. Lui vinse subito e si rivelò protagonista».

Quindi Sagan, su carta era un ragazzino, nella realtà un conquistatore seriale di punti UCI. E sempre come ha detto Amadio ogni stagione ha la sua storia. 

«Non c’è un corridore che mi abbia colpito negativamente – prosegue Amadio – quando li ho presi tutti hanno dato il loro massimo. Se proprio dovessi dirne uno, direi Pippo Pozzato. Ma attenzione, non perché abbia fatto male, anzi con noi ha ottenuto il suo record di vittorie in una stagione, ma perché ci si aspettava che potesse conquistare un Fiandre, una Roubaix».

Tra le sorprese, invece l’ex manager ricorda Moreno Moser. Un vero talento secondo lui. Preso per farlo crescere fece subito bene.

«Noi lo avevamo preso per lavorarci su, lui invece è esploso subito: “pam , pam” e fece sue Laigueglia e Strade Bianche».

Nei passaggi da devo team a prima squadra, la Alpecin-Deceuninck ha avuto il “pesce più prezioso” con Timo Kielich: un valore creato in casa
Nei passaggi da devo team a prima squadra, la Alpecin-Deceuninck ha avuto il “pesce più prezioso” con Timo Kielich: un valore creato in casa

Il bacino delle development

«L’avevamo preso per lavorarci su, lui invece è esploso subito», questa frase di Amadio ci riporta al  discorso che il valore di un team possa essere legato anche alla sua development. Ci si costruiscono i campioni in casa. E proprio la Ineos Grenadiers è tra le squadre che negli ultimi anni si sono più attivate in tal senso.

«I progetti dei devo team – dice Amadio – c’erano già ai tempi in cui io ero un manager, ma ora c’è uno sviluppo enorme. E c’è perché si va alla ricerca dei giovanissimi a tutti i costi. Fu Lefevere con Matxin a segnare la svolta con il loro scouting approfondito. Cercavano i corridori in tutto il mondo e questo vale anche per i nostri che finiscono in quelle squadre straniere.

«Trovo logico e giusto che il regolamento consenta di portare dei giovani in prima squadra e anche viceversa. Magari un ragazzo si può portare alla Valenciana o un corridore esperto che magari non è pronto, perché deve rientrare da un infortunio, può andare alla corsa più piccola per fare la gamba. Questo è il vero cambiamento».

Dunque il valore di un team passa anche dalla sua devo e dallo scambio che può esserci fra le due squadre. Bisogna intenderla nel suo insieme. Esempi positivi ci sono, pensiamo alla Groupama-Fdj che su carta è la seconda più indebolita dell’anno, ma ha una super devo. 

Dainese: prime volate con la Tudor e un’iniezione di fiducia

02.02.2024
5 min
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Le parole di Raphael Meyer, CEO della Tudor Pro Cycling, ci hanno aperto gli occhi su un modo diverso di intendere il ciclismo. L’impostazione della squadra, l’approccio alle corse, la mentalità di crescere. Tutto questo fa parte di un processo di sviluppo chiaro e prestabilito. Ma che impatto ha il mondo Tudor sui corridori? Lo abbiamo voluto chiedere a Alberto Dainese, appena arrivato e già lanciato in quest’avventura. 

Il velocista veneto ha messo alle spalle le prime corse, così è venuto facile farci raccontare da dentro la squadra e le sue dinamiche. Forti anche della partecipazione alla prima grande corsa a tappe della Tudor: il prossimo Giro d’Italia.

La stagione di Dainese è iniziata con un secondo posto al Trofeo Ses Salines
La stagione di Dainese è iniziata con un secondo posto al Trofeo Ses Salines

Calendario serrato

«Oggi (giovedì, ndr) è il mio giorno di riposo – spiega Dainese – ho iniziato a correre a Mallorca. Poi sarò ad Almeria, Volta Algarve, Kuurne e Tirreno. Da lì farò uno stacco per arrivare pronto al Giro. Il programma era già questo nelle nostre idee, la voce che avremmo partecipato al Giro già c’era, mancava solo la cosa più importante: l’ufficialità.

«Ho messo insieme le prime gare – continua – mi sono misurato nelle volate e abbiamo preso le misure con il treno. Domenica, a Palma, abbiamo sbagliato negli ultimi 100 metri, dove ci siamo fatti chiudere alle transenne. Lì c’è stato del rammarico perché non sono riuscito a sprintare al massimo del mio potenziale. E’ arrivato un sesto posto, che non è da buttare, ma la cosa più importante era prendere le misure con i compagni».

Qualche giorno dopo è arrivato il sesto posto al Trofeo Palma
Qualche giorno dopo è arrivato il sesto posto al Trofeo Palma
Alla prima gara era arrivata una seconda posizione, non male come inizio.

Sì, alla prima corsa mi è mancata un po’ di cattiveria. Mi sono fatto superare da due corridori della Soudal e sono partito dietro. Tutto sommato è stata una buona volata, poteva andare peggio. 

Come sta andando il treno?

E’ da rodare, posso dire che stiamo costruendo le basi. Avere un treno a disposizione fa molto, le volate sono andate bene, abbiamo sbagliato gli ultimi metri. E’ un segnale positivo. 

In che senso?

Arrivare all’ultimo chilometro coperti e pronti per lanciarsi vuol dire avere un buon feeling e una buona tecnica. Ci manca il dettaglio, ma arriverà con le gare e con l’inserimento di tutti i “vagoni”. In Spagna mancavano Trentin e Krieger che saranno presenti in Algarve. Krieger è una pedina davvero importante, è stato nel treno di Philipsen alla Alpecin. Ha tanta esperienza, così come Trentin. 

Il confronto con gli uomini del treno, le prime gare servono per prendere le misure
Il confronto con gli uomini del treno, le prime gare servono per prendere le misure
E a livello di squadra che cosa hai visto nella Tudor che ti è piaciuto, al di fuori dell’aspetto tecnico.

C’è stato un salto di qualità nell’aspetto umano, sto molto bene e questa cosa è importante perché aiuta a vincere. Ci sono tante figure con la mentalità giusta, l’ambiente è sereno. Mi sono reso conto, fin dalle prime gare, che le cose vengono prese di petto: si tira, ci si mette in mostra e si prova a vincere. L’ho visto anche al Saudi, seguendo i miei compagni in televisione. Magari non arriva il risultato pieno, ma questo atteggiamento ti sprona a provarci. 

Cosa trovi di diverso rispetto a prima?

A livello tecnico nulla, tutte le squadre lavorano più o meno allo stesso modo: meeting, riunioni sul bus, cose così… Quello che mi piace è il rapporto all’interno della squadra. Posso dire la mia, anzi devo dire che sapere di essere considerato è stimolante. E’ la mentalità giusta.

Un inizio di stagione intenso per Dainese che tirerà dritto fino alla Tirreno (foto mr.pinko)
Un inizio di stagione intenso per Dainese che tirerà dritto fino alla Tirreno (foto mr.pinko)
Hai notato altre differenze?

Affronterò il Giro con una diversa preparazione più dettagliata, dettata dal fatto che sono consapevole di essere nella rosa. In DSM sono stato convocato due volte al Giro ed entrambe all’ultimo. Sapere di andare al Giro fin da subito mi ha permesso di pensare bene alla preparazione, e cambiare anche qualcosa.

Cosa?

Andrò in altura, che è un po’ una novità. Gli anni scorsi non ero sicuro di essere convocato, quindi non potevo prepararmi al 100 per cento. Penso che arriveranno dei benefici da questa nuova preparazione, cose che mi porterò dietro anche in futuro. Sarà un Giro competitivo, molto più degli ultimi due che ho corso, ma allenarmi bene mi farà sentire pronto. 

La consapevolezza di essere nella squadra del Giro dà la giusta fiducia per lavorare con serenità
La consapevolezza di essere nella squadra del Giro dà la giusta fiducia per lavorare con serenità
Quindi c’è ambizione?

Sempre, la voglia di vincere non manca. Poi ci sono anche gli altri in corsa ma per il momento mi sento molto fiducioso

Allora in bocca al lupo…

Crepi! E ci vedremo alle corse.

Lidl-Trek, con Markel Irizar nella nascita del Devo Team

02.02.2024
6 min
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E’ stato l’arrivo di Lidl accanto a Trek a cambiare le possibilità, consentendo al team di Luca Guercilena di aprire il Devo Team. Da quel giorno, racconta Markel Irizar che ne è il responsabile, anche la squadra americana è diventata appetibile per i giovani in rampa di lancio. E forse proprio l’arrivo di Albert Withen Philipsen, il talento più limpido e polivalente del momento, ha segnato la svolta rispetto allo strapotere di altri gruppi.

Irizar ha 43 anni, è stato professionista dal 2004 al 2019 e gli ultimi sei anni li ha fatti proprio nel gruppo Trek. Quando ha smesso è diventato subito uno degli osservatori del settore giovanile. Ci sono le sue foto in ogni grande evento, accanto a tutti i talenti migliori poi approdati nel team americano. Così, al momento di lanciare il Devo Team, la scelta è stata naturale.

E’ davvero così necessario avere un team di sviluppo?

E’ il solo modo per prendere gli juniores migliori, che altrimenti preferivano altre realtà. Prima avevamo delle squadre in vari Paesi europei in cui potevamo farli correre, ma non era la stessa cosa. Il mondo è cambiato. Gli juniores vanno dritti nel WorldTour, per questo abbiamo iniziato il nuovo corso.

In che modo avete strutturato l’attività? 

Abbiamo 85 giorni di corsa: 40 li faranno con noi, gli altri con le rispettive nazionali e con la squadra WorldTour. Essendo una Devo, il Tour de l’Avenir, il mondiale e gli europei sono passaggi molto importanti, per cui i programmi dei singoli sono stati stilati in accordo con le federazioni. Ma anche quando sono in trasferta con loro, il nostro appoggio non manca.

In che forma?

Seguirò il Tour de l’Avenir, portando anche un meccanico e il materiale che serve. L’idea è di dare supporto ai nostri atleti. Non tutte le nazionali hanno alle spalle strutture top e non è giusto che il rendimento del singolo sia penalizzato da differenze tecniche.

Jacob Soderqvist, danese di 20 anni, nel 2023 ha vinto il Flanders Tomorrow Tour (@steelcitymedia)
Jacob Soderqvist, danese di 20 anni, nel 2023 ha vinto il Flanders Tomorrow Tour (@steelcitymedia)
Avete già cominciato, giusto?

Sì, con Valencia Castellon e Mallorca. Poi faremo Haut Var, il Giro d’Austria e quello della Repubblica Ceka. Non siamo una squadra di dilettanti, ma una via di mezzo rispetto a una WorldTour. Per ora siamo focalizzati sul gruppo dei velocisti, puntando a classiche e gare pianeggianti. Il programma di primavera ha il piatto forte nella Roubaix. In ogni caso, l’80 per cento del calendario è composto da corse a tappe. Facciamo un controllo attento delle ore di allenamento, soprattutto con i più giovani. E il lavoro nelle corse a tappe fa crescere il motore più di tutto il resto. E soprattutto sono un vantaggio anche a livello logistico.

In che senso?

Abbiamo il magazzino a Gand e per fare una corsa di un giorno in Italia, ad esempio, si tratta di fare 1.000 chilometri e per lo staff diventa molto impegnativo. Se invece ci muoviamo per più giorni, le cose hanno più senso e si ottimizzano anche i costi.

Philipsen, prossimo arrivo, lo scorso anno ha vinto mondiale ed europeo juniores di MTB, mondiale su strada ed europeo della crono
Philipsen, prossimo arrivo, lo scorso anno ha vinto mondiale ed europeo juniores di MTB, mondiale su strada ed europeo della crono
E’ cambiata la disposizione di manager e corridori verso di voi da quando c’è il Devo Team?

E’ cambiata per due aspetti. Il primo è che adesso possiamo garantire un programma specifico. Il secondo è che di colpo sono loro a cercarci. Lo stile e il modo di lavorare di Luca Guercilena apre tante porte. Il contatto con i manager è diventato più facile grazie all’ottima reputazione di questa squadra.

L’arrivo di Philipsen si può leggere alla luce di questo cambiamento?

Philipsen anche per il prossimo anno avrà la licenza da specialista. Il punto di snodo è stato il suo buon rapporto con Mads Pedersen (anche lui danese e alla Lidl-Trek, ndr). In più mettiamoci che Philipsen fa cross e mountain bike e avere uno sponsor tecnico che fa bici per entrambe le specialità ha inciso parecchio. Sarà ai mondiali di Tabor e sa che ci saremo anche noi. Questo diventa attrattivo per chi fa più discipline.

Come cambia il tuo ruolo: continuerai a fare lo scout o rallenterai un po’?

Continuo a seguire tutto. Farò qualche gara in ammiraglia con la WorldTour, coordino il Devo Team, ma per la maggior parte del tempo farò lo scout, soprattutto nelle gare juniores, perché il processo di sviluppo si è accelerato tantissimo.

Mondiali crono U23 2021 di Bruges, Baroncini con Irizar e De Kort prima di passare nell’allora Trek-Segafredo
Mondiali crono U23 2021 di Bruges, Baroncini con Irizar e De Kort prima di passare nell’allora Trek-Segafredo
Avete fatto gli stessi ritiri della WorldTour?

Ci siamo visti a novembre per bike fit e per l’abbigliamento. A dicembre e gennaio, tutti insieme fra Calpe e Denia: tutte le squadre Lidl-Trek hanno lo stesso setup al 100 per cento. Per febbraio ci troveremo in un appartamento a Girona e faremo due piccoli ritiri. Stessa cosa prima dell’Avenir, quando li porteremo ad Andorra con i pro’ che preparano la Vuelta.

Nei giorni scorsi si parlava della crescita come conseguenza degli allenamenti con la WorldTour: accade anche da voi?

Crescono tantissimo nel confronto. Soprattutto quando ci alleniamo tipo gara e ne escono con tanta fiducia in più. Un giorno in ritiro, Mads Pedersen ha voluto radunarli e parlarci. Non so cosa abbia detto, ma alla fine del ritiro li abbiamo trovati cresciuti nelle performance e nella consapevolezza.

Lo scopo è crescere o andare forte subito?

E’ più importante che crescano per approdare nel WorldTour, ma per arrivarci devi andare forte. Abbiamo un approccio semplice, vogliamo aiutarli perché crescano globalmente. Lidl, Trek e Santini sono tre aziende familiari. E siccome siamo anche noi ambassador delle aziende che ci sostengono, vogliamo portare la loro filosofia anche nel Devo Team. In più avere un manager speciale come Luca Guercilena rende tutto più facile.

Matteo Milan, fratello di Jonathan, è arrivato alla Lidl-Trek quest’anno dopo aver corso al CTFriuli (foto LidlTrek)
Matteo Milan, fratello di Jonathan, è arrivato alla Lidl-Trek quest’anno dopo aver corso al CTFriuli (foto LidlTrek)
Ultima domanda: cosa ti pare finora di Matteo Milan?

E’ più forte di quello che la gente pensi. Dai test che abbiamo fatto, ha un motore impressionante, ma può e deve crescere ancora. Il passaggio a una squadra internazionale lo ha aiutato in questa direzione. Ovvio che la presenza di suo fratello lo abbia aiutato ad arrivare, però Matteo ha valori molto buoni. Nel 2023 non ha avuto un anno facile, ma si sta ritrovando. Ripeto: farà più di quello che la gente pensa di lui.

Pidcock salta i mondiali cross: scelta giusta o sbagliata?

02.02.2024
4 min
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Tom Pidcock si è chiamato fuori. Al via del mondiale di ciclocross di domenica a Tabor, il campione britannico non ci sarà. La sua motivazione?

«Il fatto di non correre il mondiale di cx – ci ha detto due settimane fa a Benidorm – fa una differenza enorme rispetto alla stagione su strada. Se si corre nel primo fine settimana di febbraio, allora porti via qualcosa dalla stagione su strada».

Un affermazione decisa, che fa riflettere su molti punti di vista. Davvero due settimane possono compromettere un avvio stagionale? Lo abbiamo abbiamo chiesto a Michele Bartoli che di classiche ne ha vinte e sa quanto sia importante questo periodo.

Preparare una stagione su strada, con il ciclocross che avanza fino a febbraio è delicato?

E’ chiaro che se gli atleti hanno in programma di partire forte, assolutamente sì. E’ anche vero che non è una cosa per tutti. Solo dei “motori” importanti come Van der Poel, Van Aert o Pidcock possono pensare di farlo. Però ci sono dinamiche fisiche da valutare in ogni momento e questo può cambiare i programmi.

Nel 2022, PIdcock ha vinto il mondiale cross a Fayetteville: poi due forfait nel 2023 e 2024
Nel 2022, PIdcock ha vinto il mondiale cross a Fayetteville: poi due forfait nel 2023 e 2024
Nello specifico a cosa bisogna stare attenti? Bisogna limitare i fuorigiri anche negli allenamenti?

Il ciclocross è una specialità anaerobica. Si racchiude in un’ora di fuori soglia. Quindi è chiaro che anche durante l’allenamento settimanale si deve bilanciare ogni cosa, concentrandosi maggiormente sui lavori di qualità. Sono anche convinto che la loro preparazione settimanale punti molto anche sulla strada perché è quello che devono fare tutto l’anno.

Portare avanti due settimane di troppo una preparazione specifica per il ciclocross può veramente compromettere l’avvio stagionale su strada?

Secondo me no. Però è chiaro che ognuno ha la propria visione e il proprio approccio alle gare su strada. Non c’è una cosa buona o una cosa cattiva, c’è semplicemente un modo di fare dettato da abitudini e sensazioni

Abbiamo visto Van der Poel correre molto e dominare nel ciclocross…

Il suo obiettivo finale è il mondiale. Allungare due settimane la preparazione, personalmente non la vedo come una cosa negativa. A meno che magari un profilo come Pidcock non abbia iniziato a sentire un po’ di fatica. In quelle situazioni appena avverti un po’ di affaticamento il pensiero va subito alla strada. E allora è bene stoppare subito. Si sacrifica il campionato del mondo, ma si recupera per la strada.

L’ultima prova di ciclocross a Benidorm chiusa da Pidcock al nono posto
L’ultima prova di ciclocross a Benidorm chiusa da Pidcock al nono posto
Pensi che i tecnici Ineos stiano cercando il pelo nell’uovo per portare Tom il più pronto possibile alle classiche?

Oggi si vive di questi dettagli.

Per quanto riguarda l’aspetto mentale, secondo te per un atleta del suo livello dare forfait a un appuntamento importante può danneggiarlo?

Atleti di questo livello se fanno una scelta così importante è perché hanno un obiettivo più grande nella loro testa. Quindi non lo accusa minimamente a livello mentale. Se lui ha preso questa decisione per fare le classiche al meglio, a mio parere non gli peserà affatto. Per esperienza mia personale, quando decidevo di non fare una corsa seppur importante per farne un’altra, non è che ci rimuginassi sopra. Anche per lui sarà così, non gli porterà uno strascico particolare.

Vedere Van der Poel così forte può avere inciso sulla sua decisione? Può essere una valutazione obiettiva della propria condizione? 

Si va sempre per vincere. Se avesse fatto il mondiale sarebbe comunque partito con l’idea di vincere, questo per forza. Però è chiaro che se ci vai, è bene che tu sia convinto al 100%, se no è meglio stare a casa. I campioni…le comparse ai grandi eventi non le fanno. 

Nel 2023 Pidcock è partito subito forte aggiudicandosi la Strade Bianche il 4 marzo
Nel 2023 Pidcock è partito subito forte aggiudicandosi la Strade Bianche il 4 marzo
Sulla base della tua esperienza, la preparazione delle classiche è qualcosa di delicato dove anche due settimane possono fare la differenza?

Queste corse si preparano a livello di importanza come si prepara un Grande Giro. C’è una periodizzazione di squadra che detta i tempi. E’ anche vero che ognuno si conosce e sa cosa è meglio per lui.

Se Pidcock avesse continuato e avesse fatto il mondiale arrivando giù dal podio, la sua preparazione sarebbe stata compromessa per tutta la stagione?

Assolutamente sì. In quel caso, allora sì che la psiche potrebbe avere una parte importante. Sai che se affronti obiettivi importanti e prendi delle batoste: questo può incidere sulle sue sicurezze interiori. Potrebbe quindi influenzare negativamente i mesi successivi.

Veniamo alla domanda centrale. Secondo te quello di Pidcock è un forfait furbo o un’affermazione sincera?

Dal momento che ha preso questa scelta dico che ha fatto bene. Se un campione come lui decide di non fare il mondiale, evidentemente è consapevole che se sbagliasse qualcosa, potrebbe avere ripercussioni. E allora, meglio evitare.