Un viaggio a ostacoli nei silenzi di Maini

10.02.2024
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Maini e il ciclismo sono una cosa sola. Quando lo intercettiamo, Orlando ha appena assistito alla vittoria di Pedersen al Tour de la Provence, osservando e annotando come fanno i direttori sportivi. Quello è un ruolo che non passa e non impari studiando le tabelline. Ce l’hai dentro, anche se la squadra per cui ha lavorato negli ultimi due anni ha deciso di portarlo a fine contratto senza dire una parola.

Maini non mostra le ferite, perché sa che se le mostrasse, farebbero male a lui e non a chi gliele ha inflitte. Per cui parlando del più e del meno, saltando da un argomento all’altro per quasi mezz’ora, lo capisci subito quando arrivi a un tema caldo, perché chiede subito di non scriverne. E’ un vero slalom: chissà cosa si proverebbe per una volta a essere maleducati…

«Può succedere – dice – alla fine credo che si debba rispettare quello che ha deciso la dirigenza, anche se non lo condividi. Non so esattamente il perché. Quelle che faccio sono supposizioni, ma non voglio parlarne perché risulterei antipatico. Il contratto terminava a fine anno e non si è mai parlato di prolungarlo. A un certo punto l’ho capito che finiva così, ma non so bene perché».

Maini è stato porfessionista dal 1979 al 1988. Qui nel 1984 in maglia Alfa Lum
Maini è stato porfessionista dal 1979 al 1988. Qui nel 1984 in maglia Alfa Lum

Suo “fratello Martino”

Dopo quattro anni nelle continental (fra il 2018 e il 2021, il bolognese è stato con Petroli Firenze e Beltrami TSA, ndr), Maini approda all’Astana. Suo “fratello Martino”, come continua a chiamare Martinelli, riesce a tirarlo dentro approfittando della nascita del devo team della squadra kazaka. Maini con i giovani ci sa fare. E’ stato accanto a Pantani, poi a Scarponi, Pozzato e Ulissi. Ha inciso sulle loro vite e fatto salvo il Panta che lo volle alla Mercatone Uno, nessuno dei suoi corridori si è mai esposto più di tanto per averlo accanto. Sarebbe cambiato qualcosa? Forse no, ma chi può dirlo?

In ogni caso, Maini approda all’Astana e lentamente il baricentro della sua attività si sposta verso la squadra WorldTour, in una Astana che però si stava discostando sempre più dall’italianità che l’ha resa forte. La gestione Martinelli, simpatico o meno che possa risultare, ha portato due Giri d’Italia, un Tour e una Vuelta. Quella successiva fa ogni anno i conti con un ranking faticoso. In ogni caso, alla fine del 2023, Maini resta a casa. Il suo inglese sarà pure elementare, ma con i corridori riesce a parlarci lo stesso, forse perché di solito si rivolge alla loro anima.

Lo scorso anno al ritiro dell’Astana ad Altea, Maini con Martinelli e Zanini
Lo scorso anno al ritiro dell’Astana ad Altea, Maini con Martinelli e Zanini

Il Maini di sempre

A voler fare i conti della serva, la considerazione che facemmo non vedendolo al ritiro di dicembre, fu che per riassorbire Dimitri Sedun (restato a piedi dopo il caso Gazprom) e tirare dentro Mark Renshaw in supporto di Cavendish, l’Astana abbia pensato di tagliare lui, mantenendo Zanini, Cenghialta, Manzoni e ovviamente Martinelli, che al sacrificio di Maini ha reagito piuttosto male. Anche perché nel frattempo l’Astana ha aggiunto alla WorldTour e al devo team anche la squadra femminile: un direttore sportivo in più non sarebbe ugualmente stato utile?

«Dopo quattro anni nelle continental – racconta – per me tornare nel WorldTour è stato un entusiasmo grandissimo. Mi hanno messo sul palcoscenico che sognavo dalla mattina alla sera, quello delle corse. Sono riuscito a farne diverse, purtroppo neppure un grande Giro. Effettivamente dentro di me si è riaccesa quella sorta di fuoco. E poi la maggioranza delle corse le ho fatte con “Martino”, con cui ho un’intesa particolarissima. Per me è stata un’esperienza importante, ma sono sempre rimasto Maini, con i giovani o con la WorldTour. Ho il mio carattere e il mio modo di lavorare, che può piacere oppure no».

Con Cavendish al Giro di Sicilia del 2023, preparando il Giro
Con Cavendish al Giro di Sicilia del 2023, preparando il Giro

Una questione di rispetto

Gli era già successo a fine 2017, quando la UAE subentrò alla Lampre e il bolognese fu messo alla porta. Dissero per l’inglese e l’internazionalità del team. Ci sono persone nei cui confronti la mancanza di rispetto viene facile, un altro come lui è stato Giuseppe Petito. Nella carriera di quest’uomo così roccioso e troppo buono, che da professionista vinse una tappa al Giro e una alla Vuelta, ci fu anche chi valutandolo come direttore sportivo, gli chiesse se avesse la patente C per guidare eventualmente il camion. Forse essere educati è davvero un limite.

«Le dinamiche di queste due chiusure – dice – si assomigliano molto. Però diciamo che l’ultima, forse per sensibilità mia e perché è più fresca, mi rimane dentro. Sei anche consapevole di avere 65 anni e magari la cosa ti spaventa perché ti chiedi adesso cosa succederà. Nella mia testa sono sempre stato un attaccante e sempre lo sarò. E’ innegabile che ci sia un cambio generazionale importante anche fra i direttori sportivi, con tutta questa tecnologia e il fatto che il gruppo sia sempre più internazionale. Sono punti che fanno la differenza, però poi c’è la corsa e lì io so riconoscere i movimenti».

Con Pozzato nel 2009 alla Katusha, Maini riuscì a vincere il campionato italiano avendo al via solo il vicentino e Mazzanti
Con Pozzato nel 2009 alla Katusha, Maini riuscì a vincere il campionato italiano avendo al via solo il vicentino e Mazzanti

Il confronto fa crescere

Il direttore sportivo che non parla inglese ma ha trent’anni di esperienza fa ancora la differenza. Questo non significa sminuire i giovani, perché è innegabile che il metodo di lavoro sia cambiato e le competenze vadano riconosciute.

«Ogni anno smettono in 3-4 e diventano subito direttori – spiega Maini – e questo va bene.  Non è scritto che da nessuna parte che io ho fatto trent’anni e quindi debba sapere tutto. No, il confronto fa crescere. Per me è sempre stato così, anche con i corridori. Sono stato spesso additato perché ero particolarmente attaccato a loro, ma questo è il mio modo di lavorare: dentro e fuori la corsa. E ha sempre pagato perché ogni volta mi hanno dato il 110 per cento.

«Adesso è comodo spingere un bottone e mandare un whatsapp o una mail, ma guardarli in faccia secondo me fa ancora la differenza. Magari non la pensano tutti come me, non è neanche facile avere questo tipo di empatia con gli atleti. Per confrontarti direttamente con un uomo serve il carattere per dirgli le cose in faccia».

Nel 1992 Maini guidò Pantani alla conquista del Giro dilettanti, poi è stato suo diesse anche nei pro’
Nel 1992 Maini guidò Pantani alla conquista del Giro dilettanti, poi è stato suo diesse anche nei pro’

La giovane Italia

I saluti, con la promessa di risentirci presto, li dedichiamo proprio ai giovani. L’Astana ha un bel pacchetto di ragazzi italiani, che però finora hanno faticato per venire fuori.

«Ci vuole pazienza – dice Maini – molta pazienza. Faccio fatica a sbilanciarmi sui ragazzi che c’erano l’anno scorso. Potrebbero far bene, ma non è scontato. Allargando lo sguardo, io credo che quest’ultima infornata ci darà un po’ di soddisfazioni. De Pretto o Busatto ci hanno già fatto intravedere qualcosa. Come loro Pellizzari e magari anche Garofoli, però è arrivato il momento che vengano fuori. Le squadre straniere prima di noi hanno cominciato a mandare degli osservatori in giro per il mondo. E adesso si ritrovano una generazione di ventenni che vincono le grandi corse, a tappe e classiche. Lasciamo stare i 5 fenomeni, quelli stanno in un olimpo tutto loro, ma gli altri che sono sotto sono comunque dei buoni corridori.

«Non credo che andando nelle squadre straniere i nostri siano penalizzati, guardate Zana come sta trovando spazio alla Jayco-AlUla. Pellizzari andrà alla Bora dopo tre anni con Reverberi? Penso che avrà la solidità per starci. In questo momento siamo in difficoltà, però l’anima italiana che c’è nelle squadre straniere ha la forma di ottimi corridori e direttori sportivi che hanno una marcia in più. Io ci spero che si torni a com’era prima, quando c’erano Marchino e Scarponi. Quello che mi fa ancora male pensando a loro, è che non ci siano più da così tanto tempo».

Buitrago: è il momento giusto per il primo Tour de France?

10.02.2024
5 min
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La lunga rincorsa di Santiago Buitrago alla stagione 2024 ha trovato il suo trampolino di lancio: la Volta a la Comunitat Valenciana. In Spagna il giovane colombiano si è messo subito in mostra con delle ottime prestazioni. Al termine delle cinque tappe previste si è aggiudicato la maglia bianca di miglior giovane e il secondo posto in classifica generale, alle spalle di McNulty

Al seguito dei ragazzi della Bahrain Victorious, in ammiraglia, c’era Roman Kreuziger. Il diesse ha visto da vicino l’evoluzione di Buitrago e ha potuto toccare con mano il suo stato di forma. Ne è rimasto piacevolmente sorpreso, vero, ma il cammino è lungo e la stagione non finisce certo a febbraio.

Il giovane colombiano ha lottato gomito a gomito con Vlasov (alle sue spalle) e McNulty (maglia UAE)
Il giovane colombiano ha lottato gomito a gomito con Vlasov (alle sue spalle) e McNulty (maglia UAE)

Crescita stabile

Mentre si parla di Buitrago e iniziamo a fare le prime domande Kreuziger ci dice di essere in partenza per Gran Canaria. Un viaggio per rilassarsi e godersi un attimo la famiglia, prima di entrare nel vortice delle gare. Anche se, come ci dice lui stesso, la vita del diesse è 365 giorni all’anno e 24 ore al giorno

«Vero che vado con la famiglia – racconta mentre sbriga le ultime faccende prima di partire – ma a Gran Canaria ci sono anche dei corridori. Quindi mi toccherà fare dei dietro scooter, ve l’ho detto, non si stacca mai.

«E’ il terzo anno che lavoro con “Santi” (Buitrago, ndr) – ci incalza subito – e lo vedo crescere stagione dopo stagione. Sono convinto che di questa generazione di colombiani lui sia il migliore al momento. Buitrago cresce stabilmente, questo inverno l’ho visto più maturo e consapevole, è una persona diversa. Penso sia il giusto anno per raccogliere dei risultati».

Buitrago ha vinto la classifica di miglior giovane alla Valenciana
Buitrago ha vinto la classifica di miglior giovane alla Valenciana
Come lo hai visto ai vari ritiri?

A dicembre non lo abbiamo visto, è rimasto ad allenarsi a casa, in accordo con la squadra. Però quando è arrivato al ritiro di gennaio si vedeva che stava bene. In bici aveva una pedalata fluida, piena. La Valenciana (corsa che ha aperto la stagione, ndr) era il piano B. Solo che Bilbao non stava bene e allora abbiamo preferito preservarlo. 

Buitrago però ha fatto vedere ottime cose…

Conosciamo le sue caratteristiche, avevamo ipotizzato potesse rimanere con i migliori. A mio avviso McNulty e Vlasov (rispettivamente primo e terzo nella generale, ndr) sono i corridori più competitivi al momento. Il fatto che Buitrago sia rimasto con loro vuol dire che ha fatto un inverno sereno e che ha lavorato bene. C’è da dire che la UAE e la Bora non erano nel loro migliore assetto, ci sarà da aspettare corse più dure come Tirreno e Parigi-Nizza. 

Quelle potrebbero essere un bel banco di prova.

Buitrago ha in programma di andare a fare la Parigi-Nizza. Prima passerà da Andalucia, poi dalla Parigi-Nizza e infine da Ardenne e Baschi. Le classiche delle Ardenne sono un suo primo obiettivo, nel 2023 è andato alla Liegi e si è piazzato terzo. Così quest’anno ha voluto provare a fare Freccia e Liegi curandole fin da subito.

A detta di Kreuziger, Buitrago è il miglior ciclista colombiano della sua generazione
A detta di Kreuziger, Buitrago è il miglior ciclista colombiano della sua generazione
Il grande focus della stagione quale sarà?

Ha sempre avuto il sogno di mettersi alla prova al Tour de France, così quest’anno potrebbe provare a puntarci. Sarebbe anche la nostra ultima occasione per conquistare la maglia bianca con lui. Il 2024 può essere l’anno giusto, ha fatto dei grandi passi in avanti e può arrivare al Tour competitivo. Dopo si avranno le idee più chiare. Sarà tutto diverso rispetto al Giro e alla Vuelta, dove ha già corso. La Grande Boucle è stressante, tanto. Ci sono molte più cadute e bisogna farsi trovare sempre pronti. 

Lui può essere pronto?

Deve fare dei passi in avanti sulle corse a tappe, deve imparare a rimanere più concentrato e stare più vicino ai compagni. In un momento difficile avere qualcuno accanto può essere fondamentale per non perdere troppo tempo. E’ un ragazzo che tende a rilassarsi facilmente, ma se non si mette alla prova mai saprà dove deve migliorare ancora. 

La Bahrain festeggia la vittoria di Mohoric, ottenuta alla seconda tappa
La Bahrain festeggia la vittoria di Mohoric, ottenuta alla seconda tappa
A livello di prestazioni, invece?

Pochi vanno forte come lui in salita, i suoi valori sono molto alti. E’ sicuramente uno degli scalatori più forti che c’è in gruppo. Se impara anche a posizionarsi bene quando è in gara risparmia quella giusta dose di energia che può fargli fare la differenza. 

La maglia bianca sarà quindi un obiettivo?

Con l’uscita di Pogacar da questa classifica si aprono delle chance. Vero che al Tour ci sarà anche Evenepoel, quindi la lotta è comunque serrata. Non è il nostro obiettivo principale, noi andremmo, nel caso, lì con “Santi” per capire come si trova e se è una corsa adatta a lui. Noi abbiamo una squadra forte, però non siamo un team con un leader unico, ma contiamo su tanti corridori competitivi: Bilbao, Caruso, Tiberi e anche Buitrago. 

Buitrago nel 2023 alla sua seconda Liegi è arrivato terzo alle spalle di Evenepoel e Pidcock
Buitrago nel 2023 alla sua seconda Liegi è arrivato terzo alle spalle di Evenepoel e Pidcock
Affianchereste a Buitrago un corridore di esperienza?

A me piacerebbe che Caruso uscisse bene dal Giro, così magari lo convinciamo a fare il Tour. Primo perché ha vinto almeno una tappa al Giro e alla Vuelta, gli manca solo il Tour de France. E in seconda battuta, la sua presenza potrebbe essere molto utile a Buitrago. 

Come procederà la sua rincorsa al Tour?

Dopo Parigi-Nizza, Baschi e Ardenne torna a casa in Colombia e riposerà. Si allenerà un po’ a casa, tornerà in Europa per fare un ritiro con la squadra e infine passerà dal Delfinato. 

I piani e la caduta: con Kurt Bergin-Taylor parlando di Dainese

10.02.2024
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La caduta di ieri in allenamento davvero non ci volva. Alberto Dainese aspettava le gare di Murcia e Almeria per riallacciare il filo col suo treno e la volata, invece sarà costretto a rinunciare. Il colpo al volto e alla mandibola, pur in assenza di fratture, lo costringono a uno stop che rallenterà certamente la sua primavera e speriamo non complichi troppo il suo avvicinamento al Giro d’Italia. Abbiamo fatto il punto con il tecnico britannico che lo ha voluto alla Tudor Pro Cycling, anche cercando di ricostruire il perché della scelta. Lui si chiama Kurt Bergin-Taylor, è britannico e sta per compiere 34 anni. Nell’organigramma della squadra non è messo fra gli allenatori, bensì fra i manager, con la qualifica di Head of Innovation (la foto Tudor Pro Cyling in apertura lo ritrae sullo scooter accanto a Dainese e il suo gruppo).

Perché a un certo punto hai cercato Dainese?

Ho avuto modo di lavorare con lui per un anno alla DSM, quando ha vinto la prima tappa al Giro. Ho visto il suo potenziale come velocista, ma anche come uomo. E’ un ragazzo onesto. Quando lavori con Alberto, vedi che è una persona molto positiva con cui stare ed è davvero un bel personaggio e un grande lavoratore. Quando abbiamo iniziato a valutare chi inserire, è stato chiaro che ci servisse un secondo sprinter. Essendo un team appena nato, sapevamo che avremmo dovuto sfruttare le conoscenze personali. Non volevamo cambiare la nostra filosofia di considerare cioè l’aspetto umano accanto a quello sportivo. Qualcosa in cui sapevo che Alberto si sarebbe trovato bene. Sono certo che avesse anche altre possibilità, ma alla fine si è fidato di me, di quello che ha visto nella squadra e di Fabian. E so che adesso è super orgoglioso di vestire la maglia Tudor e di trovarsi in una squadra in cui può crescere ancora tanto.

Kurt Bergin-Taylor è britannico ed ha quasi 34 anni. Come Dainese, proviene dalla DSM (foto Tudor Pro Cycling)
Kurt Bergin-Taylor è britannico ed ha quasi 34 anni. Come Dainese, proviene dalla DSM (foto Tudor Pro Cycling)
Di certo è contento di poter arrivare al Giro con la giusta programmazione…

Abbiamo una lunga lista di corridori per il Giro e ovviamente Alberto ne fa parte, poi bisognerà valutare tutta una serie di fattori, dalla condizione alla salute. Rispetto alla squadra in cui si trovava prima, è chiaro che stiamo facendo una programmazione diversa. Sin dall’inizio abbiamo guardato alla costruzione della sua periodizzazione, dei ritiri in quota e di tutto quello che serve. Per la squadra l’obiettivo numero uno dell’anno è quello di fare bene nel primo grande Giro.

Pensi che sia al livello dei velocisti più forti?

Non lo avremmo preso se non pensassimo che potrebbe essere uno dei migliori. Alberto è molto veloce. Ha una potenza elevata. Ed è molto aerodinamico. Penso che finora non sia stato in grado di mostrare il suo potenziale, perché non ha avuto l’opportunità di sprintare. La possibilità di ritrovarsi con la linea di fronte senza essere intrappolato e restare chiuso. Questo è esattamente quello che vogliamo fare in Tudor, consentire ad Alberto di fare le sue volate. Non si può giudicare un velocista se non ha l’opportunità di fare la volata con la strada libera davanti a sé. La prima necessità è avere un treno per lui – conclude Kurt – che lo protegga e gli dia l’opportunità di sprintare. Da lì costruisci fiducia e la sintonia con i compagni e le capacità migliorano.

Una delle sfide più grandi per i velocisti è trovare il giusto equilibrio tra la salita e la volata.  Qual è la ricetta di Kurt?

Penso che questo sia il vero obiettivo dei velocisti e una delle sfide che entusiasma di più. Negli ultimi anni mi sono dedicato tanto al lavoro con gli sprinter e al tentativo di comprendere veramente questa esigenza. E’ davvero complicato. La prima cosa che faccio di solito è parlare con loro, perché gli atleti sanno valutare se stessi. Quando mi è capitato di chiedergli se siano in forma, qualcuno ha risposto: «Sto bene, quando vado in salita mi sembra di non fare fatica». E allora la risposta classica che gli do è chiedergli se abbiano per questo vinto qualche corsa.

Nel ritiro di dicembre a Calpe, Dainese stava ancora conoscendo il mondo Tudor
Nel ritiro di dicembre a Calpe, Dainese stava ancora conoscendo il mondo Tudor
A cosa serve a un velocista andare forte in salita?

Appunto. Quello su cui viene valutato un velocista è quanto sia veloce alla fine di un Giro. Per cui credo che per i velocisti sia necessario un livello aerobico minimo. Sono elite, atleti di resistenza, devono fare 21 tappe e superare le montagne: sicuramente la fatica fa parte del corredo. Però in realtà la cosa su cui dovremmo giudicarli è quale wattaggio sappiano ancora esprimere in relazione alla loro resistenza, perché anche questo è molto importante. Non ha senso erogare 2.000 watt se comprometti la tua resistenza. E non ha senso avere tanta resistenza se non esprimi la potenza. E’ sicuramente un equilibrio costante, che cambia nel corso della carriera.

Ad esempio?

Ricordo che Alberto da giovane era molto esplosivo, ma non aveva il livello aerobico per andare alle gare più grandi. Perciò nei suoi primi anni di professionismo ha dovuto dare priorità all’aspetto della resistenza, sacrificando un po’ il suo sprint. Ora ha un aspetto aerobico molto migliore rispetto a qualche anno fa, avendo fatto 4 grandi Giri e avendo fatto le 1.000 ore all’anno per quattro o cinque anni. Ora il suo livello aerobico è sufficiente e abbastanza buono da non dovergli dare la priorità. Così possiamo concentrarci maggiormente sulla vera essenza di renderlo il velocista più veloce possibile.

Per cui è cambiato qualcosa nel suo allenamento durante l’inverno?

Sì, ci siamo concentrati maggiormente sul ripristinare la potenza massima. Come abbiamo già detto, Alberto è sempre stato naturalmente piuttosto esplosivo. Tuttavia negli ultimi anni, concentrandoci sul costruire quel lato aerobico, ci sono stati alcuni cambiamenti. Quest’anno invece abbiamo cercato di migliorare l’esplosività massima e le capacità di sprint, sia sulla bici sia in palestra. Abbiamo davvero spinto molto per migliorare la relazione tra forza e velocità, in modo da arrivare a produrre forze più elevate alle alte velocità necessarie per lo sprint.

Il giovane Dainese, secondo Kurt Bergin-Taylor era velocissimo, ma poco resistente. Qui intanto vince l’europeo 2019
Il giovane Dainese, secondo Kurt Bergin-Taylor era velocissimo, ma poco resistente. Qui intanto vince l’europeo 2019
Cosa gli serve per essere vincente tutto l’anno?

Penso che questo sia davvero un buon punto e sia legato alla coerenza con la squadra che lo circonda. Penso che in passato questa per lui sia stata una delle difficoltà maggiori, non avendo mai avuto un treno dedicato. Con noi il programma e tutto ciò che riguarda Alberto è davvero chiaro. Abbiamo individuato un gruppo di cinque corridori, in modo che in quasi tutte le gare almeno tre di loro siano con lui. Deve essere chiaro che lo supportiamo con una squadra costruita in base al programma di gara. Quindi avrà più opportunità di fare sprint nelle gare a lui più adatte.

Ha già ottenuto un podio, ma ora questa caduta cosa provocherà?

Lo sprint è davvero un fatto di fiducia e siamo davvero entusiasti di aver iniziato a costruirla. Finora avevamo avuto due opportunità e non siamo ancora stati in grado di realizzarlo. Nella prima gara abbiamo fatto un buon lavoro, ma non perfetto. Nella seconda, ovviamente, abbiamo lottato per la posizione e non abbiamo avuto la possibilità di fare uno sprint. Ora si dovranno valutare i tempi di recupero e poi potremo dire qualcosa. Ovviamente un incidente non è mai l’ideale, ma è sempre uno dei pericoli/realtà nel ciclismo. Siamo fiduciosi che con il supporto della squadra Alberto tornerà più forte per le prossime gare.

Prima di finire, chi è Kurt Bergin Taylor?

Ho un background accademico. Ho conseguito un Master e un dottorato di ricerca in Fisiologia dell’Esercizio Fisico presso l’Università di Loughborough. Mentre studiavo, lavoravo nel velodromo, osservando l’interazione tra il corridore, la sua attrezzatura e la parte scientifica del lavoro. Poi mi sono trasferito in Canada e ho lavorato per la federazione canadese della pista in vista di Tokyo 2020. Ci sono stato per tre anni ed è stata un’esperienza davvero positiva. Hanno partecipato alle Olimpiadi di Tokyo e hanno vinto una medaglia d’oro e una di bronzo e fatto un quarto posto, risultato enorme per una piccola Nazione su pista. E’ stata davvero una bella esperienza, poi però è successo il COVID e il mondo è cambiato.

Una caduta e adesso c’è da fermarsi e ricominciare: speriamo in tempi brevi (foto mr.pinko)
Una caduta e adesso c’è da fermarsi e ricominciare: speriamo in tempi brevi (foto mr.pinko)
E tu?

Io sono tornato in Europa e visto che volevo rimanere nel ciclismo, ho colto l’opportunità di lavorare per la DSM come allenatore. Ci sono stato per due anni e mi piaceva, ma non avevo alcuna interazione nello sviluppo dei materiali in relazione agli atleti. Questa possibilità mi è venuta grazie a Fabian. Conoscevo Sebastian Deckert come capo allenatore della DSM e lui mi ha parlato di questa opportunità. Così abbiamo parlato e mi hanno accolto a braccia aperte. Sento di avere un bel ruolo, posso incidere su molti aspetti come pure il reclutamento dei corridori. Non vedo l’ora che la squadra cresca fino a diventare, nel prossimo futuro, una delle più grandi del mondo.

Per Villa buoni riscontri da Adelaide. L’Italia c’è sempre

09.02.2024
5 min
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C’è voluto poco, a Marco Villa, per recuperare dal jet lag dopo l’interminabile viaggio di ritorno dall’Australia. Ad Adelaide si è tenuta la prima delle tre prove della Nations Cup e il cittì azzurro della pista, pur costretto a portare una squadra ridotta (oltretutto senza il quartetto delle ragazze) e piuttosto diversa da quella degli europei è tornato con un argento (Viviani nell’omnium) e un bronzo (nel quartetto), ma soprattutto con il taccuino pieno di annotazioni, fondamentali per quello che “è” l’obiettivo, unico e inderogabile: Parigi 2024.

Due podi che hanno molto valore proprio per come sono arrivati: «Direi che è stata una trasferta molto soddisfacente, ma io la valuto insieme agli europei. Due team diversi, ad Apeldoorn non c’erano Ganna e Moro, ad Adelaide Milan e Consonni. Alla fine abbiamo portato a casa molte soddisfazioni, anche se mi aspettavo qualcosa di più da Moro, al quale erano rimaste nelle gambe le fatiche del Tour Down Under. Certamente lavorare con gruppi separati non è il massimo, ma le indicazioni mi saranno utili proprio per quando potremo allenarci tutti insieme».

Villa con i ragazzi del quartetto. A Adelaide c’erano Lamon, Moro, Boscaro, Ganna e Viviani (foto Fci)
Villa con i ragazzi del quartetto. A Adelaide c’erano Lamon, Moro, Boscaro, Ganna e Viviani (foto Fci)
Guardando le gare di Adelaide, soprattutto la finalina con la Nuova Zelanda e la sua rimonta rintuzzata dal finale fantasmagorico di Ganna per oltre 3 giri, la sensazione è che lavorando con quartetti sempre diversi anche la strategia sia da cambiare in base agli uomini…

Non potrebbe essere altrimenti, anche se ad esempio ad Apeldoorn Milan ha svolto il compito di ultimo uomo in maniera egregia. E’ chiaro che in base a ogni componente devo decidere ordine e intensità delle tirate, cambiano gli uomini e cambiano anche quei fattori. Ci adeguiamo in base a chi siamo e ai ruoli. Vorrei sottolineare il contributo di Viviani, inseritosi molto bene in un quartetto da 3’49”, è un altro elemento di valutazione che mi conforta.

Guardando agli altri, la Gran Bretagna ha presentato Tarling per la prima volta in quartetto con altre novità. Che impressione ne hai tratto?

Mi sono piaciuti (e questo, guardando al nostro orticello, non va bene…) visto che hanno vinto. Poi capire Tarling che cosa potrà dare in più è difficile dirlo. Tutte le nazioni hanno problemi di abbondanza: Tarling dove lo metti, come terzo o quarto uomo? Ma lì ci sono Bigham e Hayter, due mostri sacri. Lo piazzi al posto di Vernon o Wood come primo o secondo? Non è una scelta facile. Io guarderò con molta attenzione le scelte che i britannici faranno, ma questo vale anche per la Danimarca.

Il podio dell’inseguimento a squadre. Per Tarling subito una vittoria (foto Cor Chronis)
Il podio dell’inseguimento a squadre. Per Tarling subito una vittoria (foto Cor Chronis)
I danesi sembrano però più stabili nella composizione del team…

Non è così, hanno ben 8 elementi nel gruppo tra cui dovranno scegliere i 5 per Parigi. La lotta è aspra, le scelte difficili e io ne so qualcosa… Non è il numero di nazionabili che fa la differenza. Io comunque non posso che essere contento vedendo che un po’ tutti hanno problemi nel trovare la quadra…

A Hong Kong chi potrai portare?

Lamon e Boscaro (con Villa nella foto di apertura, ndr) restano come asse portante, poi inserirò tutti giovani perché i vari Ganna, Milan, Consonni saranno impegnati per la primavera su strada. Conto di portare Galli e qualche U23 come Giaimi che è già pronto e magari anche Fiorin e Sierra. Io però devo guardare anche alle altre specialità considerando che i costi della trasferta c’imporranno di scegliere solo 5-6 nomi che facciano anche omnium e madison. Ad esempio Sierra non ha i punti Uci per gareggiare, per questo ho chiesto al suo team di lasciarlo libero per una gara in modo che possa andare a prendere i punti in una riunione su pista. Trovando disponibilità da parte dei suoi diesse.

Per Viviani una trasferta molto positiva. Nell’omnium ha perso da Bibic (CAN) pur finendo a pari punti
Per Viviani una trasferta molto positiva. Nell’omnium ha perso da Bibic (CAN) pur finendo a pari punti
Come ti regolerai d’ora in poi?

Partiamo dagli uomini, di Hong Kong abbiamo detto. A Milton in Canada vedremo un po’ come saremo messi nel ranking per la caccia alle primissime posizioni, ma so già che non potremo avere i titolari. Per le donne dopo aver saltato Adelaide porterò ad Hong Kong un gruppo di giovani, con Venturelli, Pellegrini, Vitillo e Fiorin da aggiungere alla Zanardi che sarà il perno del gruppo con la sua esperienza. A Milton invece conto di avere tutte o gran parte delle titolari e quello sarà davvero un bel test anche in ottica olimpica.

Tornando alle gare australiane, che cosa dici di Viviani e della sua prestazione nell’omnium?

Ha un grande valore, perché io conosco Elia ormai da un po’ di anni e so che a inizio stagione fa sempre fatica a trovare brillantezza, invece ad Adelaide ha mostrato qualità altissima per tutto il torneo. E’ entrato determinato e ha mostrato una grande gamba. Confido molto in lui, lo vedo concentrato e con un chiaro obiettivo in mente.

Alzini e Fidanza erano le uniche azzurre nell’endurance e hanno chiuso seste nella madison (foto Cor Chronis)
Alzini e Fidanza erano le uniche azzurre nell’endurance e hanno chiuso seste nella madison (foto Cor Chronis)
Il problema resta la madison…

Il settimo posto finale non mi ha sorpreso, ad Elia erano rimaste nelle gambe le fatiche del giorno prima e Scartezzini non era nella forma migliore. Guardando la gara però noto un particolare emerso anche in prove prevedenti, ossia un maggior rodaggio delle coppie schierate, considerando sempre il gap di esperienza specifica che scontiamo rispetto agli altri.

Dopo gli europei hai detto che l’Italia punterà al podio in tutte le 6 prove endurance di Parigi. Ne sei sempre convinto, proprio considerando l’anello debole della madison?

Ancor di più. Fra le donne con Consonni e Fidanza lo scorso anno senza la caduta potevamo anche vincere l’oro mondiale. Con Balsamo e Guazzini siamo saliti sul podio europeo nelle ultime due edizioni. In campo maschile Consonni e Scartezzini hanno preso medaglia, lo stesso Consonni con Viviani forma una coppia affidabile. Da qui ad agosto abbiamo tutto il tempo per essere più che competitivi…

Vlasov-Roglic, alla Parigi-Nizza prime prove di convivenza

09.02.2024
4 min
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Ci sentiamo alle 10 e mezza, un’ora in meno sul Teide. Vlasov è già in altura dopo l’inizio scoppiettante, preparandosi per la Parigi-Nizza in cui per la prima volta correrà accanto a Roglic. Tre podi a Mallorca e il terzo finale alla Valenciana riportano la memoria al 2022, quando proprio in avvio vinse la corsa a tappe spagnola battendo Evenepoel. La traiettoria del russo della Bora-Hansgrohe continua nel segno della crescita, con un gradino all’anno e grande costanza. Quel che c’è da capire è se l’arrivo di Roglic sarà in qualche modo di ostacolo o disegnerà per lui un uovo ruolo. I due finora non si sono mai incrociati se non in ritiro, ma li hanno tenuti in due gruppi separati, quindi in bici non c’è ancora stato grande contatto.

«Ho fatto un bell’inverno – spiega – non mi sono mai ammalato, non ho mai saltato un allenamento e questo me lo ritrovo come un vantaggio. Ho lavorato bene e mi avvicino agli obiettivi. Fra un mese c’è la Parigi-Nizza, poi il Catalunya, che da soli sono molto interessanti. E poi arriverò fino alla Freccia e la Liegi. E a quel punto si guarderà verso il Tour, con un’altra altura. Nel programma in teoria avrei anche il Romandia, ma non credo sia funzionale alla preparazione del Tour. Lo vedremo più avanti».

Vlasov, russo classe 1996, è alto 1,86 per 68 chili. E’ pro’ dal 2018
Vlasov, russo classe 1996, è alto 1,86 per 68 chili. E’ pro’ dal 2018
Tutto sul Tour e niente Giro, dunque?

Così è stato deciso. A me sta bene, proseguo nel mio cammino di crescita guardando ai miei obiettivi, che non mancano. Cresco per gradi e credo che vada bene così, meglio che sfoderare un anno sensazionale e poi sparire. In realtà non conosco ancora i miei limiti e correre accanto a Roglic sarà un vantaggio. Vedere come si allena e come corre un atleta del genere sarà un’ispirazione, il Tour sarà un’ottima scuola. Nel frattempo potrò seguire i miei obiettivi. Il prossimo è la Parigi-Nizza. Il morale è cresciuto e gli obiettivi sono più alti, si ragiona da squadra top.

Volendo continuare a crescere, hai cambiato qualcosa nella preparazione?

No, più o meno ho fatto lo stesso. Mi sono concentrato sul migliorare in salita, perché alla Vuelta alla fine mi staccavo dai migliori e quando sei lì, rassegnarsi è difficile. Nella mia testa non ci sto a cedere. Dico: «Dove cavolo volete andare?». Non ti va di lasciarli andare, però succede e devo crescere. Invece a crono credo di essere migliorato tanto.

Parigi-Nizza 2022, Vlasov e Roglic rivali: quest’anno divideranno i gradi
Parigi-Nizza 2022, Vlasov e Roglic rivali: quest’anno divideranno i gradi
Negli ultimi tre anni hai fatto quarto al Giro, quinto al Tour e settimo alla Vuelta: che differenze vedi?

Quando ho fatto quarto al Giro del 2021, era la seconda volta in una gara di tre settimane e forse mi è mancata un po di esperienza. Ho fatto un paio di grossi errori e ho perso tanto. Al Tour 2022 invece sono caduto e non so neanche io come abbia fatto a tenere duro e arrivare quinto. Infine all’ultima Vuelta, c’erano corritori fortissimi. Ho provato a stare con loro, ma l’ultima non è stata la mia stagione migliore. Non stavo benissimo e anche se le salite lunghe mi piacciono, ho pagato qualcosa. 

Alla Parigi-Nizza non sarai leader unico, ci sarà anche Roglic che l’ha già vinta: come vi gestirete?

Vedremo chi sarà messo meglio e ci regoleremo di conseguenza.

L’arrivo di un leader così forte potrebbe causare scontento in qualcuno?

In qualche caso potrebbe succedere. Lui stesso è andato via da dove era prima, perché non trovava spazio per il Tour e voleva essere capitano unico. Anche noi quest’anno andremo al Tour con tutti i migliori, come la Jumbo e la UAE che addirittura porterà cinque capitani. Ma non è detto che inizierò a tirare per Roglic dal primo chilometro e che lasci subito la classifica. Prima dobbiamo vedere come si mette la corsa.

Al Lombardia è stato uno degli ultimi a cedere a Pogacar, piazzandosi quarto
Al Lombardia è stato uno degli ultimi a cedere a Pogacar, piazzandosi quarto
Alla Bora ci sono tre italiani, è vero che sei spesso in camera con loro?

Sì è vero, forse perché parlo la lingua. Ci sono Benedetti, Sobrero, che è appena arrivato e Aleotti. Giovanni è un ragazzo motivato. Un consiglio? Gli direi di credere un po’ di più in se stesso, nella sua capacità di vincere e non limitarsi solo a tirare.

Dietro le quinte di Swiss Side, per la prima volta nel World Tour

09.02.2024
4 min
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Cosa è Swiss Side e cosa rappresenta? Perché entrare nel WorldTour come partner tecnico del Team Decathlon-AG2R La Mondiale e al fianco delle bici Van Rysel? Quali sono le ruote e le tecnologie fornite all’equipe transalpina?

Abbiamo chiesto direttamente a Jean-Paul Ballard, CEO e fondatore dell’azienda svizzera che prima di tutto sviluppa e crea soluzioni aerodinamiche. Swiss Side lavora a stretto contatto con DT Swiss (compare sui cerchi del marchio di Biel, quasi a sancire una fratellanza) e per la prima volta entra nel WorldTour in modo diretto ed ufficiale.

Jean-Paul Ballard è CEO e fondatore dell’azienda svizzera (foto Swiss Side)
Jean-Paul Ballard è CEO e fondatore dell’azienda svizzera (foto Swiss Side)
E’ la prima volta che SwissSide si spinge verso una presenza diretta al fianco di un team?

Sì. Ci sono state precedenti collaborazioni dietro le quinte con altre squadre World Tour, ma questa è la prima volta come partner tecnico e sponsor di un team.

I motivi principali di questa scelta?

Abbiamo ottenuto un grande successo nel triathlon, vincendo campionati mondiali, medaglie olimpiche e stabilendo record mondiali. Tuttavia, quello della triplice disciplina è un mercato relativamente piccolo. Per noi è giunto il tempo di crescere e dobbiamo espanderci in un segmento di mercato più grande, che è quello del ciclismo su strada. Essere partner di una squadra World Tour è il modo migliore per mostrare l’eccellenza dei nostri prodotti, così come la nostra competenza tecnica, contribuendo a migliorare le prestazioni e i risultati della squadra. E’ la soluzione migliore per aumentare la nostra visibilità e presenza nel mercato del ciclismo su strada.

Quali prodotti sono stati forniti al team?

Forniamo a tutte le compagini del team – WorldTour, Continental Development e Under 19 – la nostra gamma completa di ruote, per le gare e per gli allenamenti, da quelle da strada, fino alle ruote specifiche per le cronometro. Anche ruote al team di ciclocross. Non ci fermiamo ai set di ruote, perché offriamo supporto tecnico, in particolare per quanto riguarda la selezione e la configurazione dell’attrezzatura e ottimizzazione aerodinamica. Abbiamo messo a completa disposizione i test in galleria del vento e la nostra esperienza nei test in velodromo.

La collaborazione tra DT Swiss e Swiss Side è nota. DT Swiss rappresenta un’eccellenza e un riferimento. Quanto c’è di DT Swiss nelle ruote Swiss Side?

C’è molto di DT Swiss nelle nostre ruote, ma anche molto di Swiss Side nelle ruote di DT Swiss. Abbiamo una partnership tecnica molto stretta. Siamo aziende indipendenti con interessi comuni molto chiari, ovvero realizzare le ruote con la più alta performance e qualità al mondo. Swiss Side è una società che ha la ricerca e sviluppo nel proprio DNA. In particolare l’esperienza portata dalla Formula 1 garantisce un’innovazione costante nello sviluppo dei prodotti.

Mentre DT Swiss?

DT Swiss è una società di produzione industriale su larga scala. In questo modo ci completiamo alla perfezione. DT Swiss è il produttore delle ruote di Swiss Side e fornisce anche servizi post-vendita e di garanzia a livello mondiale. Sviluppiamo prodotti insieme. A volte i prodotti sono poi condivisi, a volte un marchio utilizza un prodotto in modo esclusivo.

DT Swiss e SwissSide rimangono comunque due aziende distinte?

Si, come detto sopra sono due aziende distinte ed indipendenti.

Continuerete a fornire a loro la vostra tecnologia aerodinamica?

Assolutamente. La partnership tecnica è stretta ed esclusiva, ha ottenuto e continua ad ottenere molto successo. Non c’è motivo di cambiarla. Inoltre, c’è un enorme valore per Swiss Side e per i nostri clienti nell’avere DT Swiss come produttore delle ruote. Quindi la produzione e la collaborazione tecnica sono strettamente legate nella nostra partnership. E’ un vero esempio di un’alleanza aziendale vincente e approvata dal mercato.

Muscolatura profonda: cos’è? Ne parliamo con Del Gallo

09.02.2024
4 min
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Muscolatura profonda. No, non è l’ennesima nuova tendenza di allenamento, ma un’attenzione  maggiore verso un aspetto importante e spesso trascurato del fisico di un atleta. Michele Del Gallo, osteopata, massaggiatore e fisioterapista di lungo corso ci spiega meglio cosa sia questa muscolatura profonda.

Abbiamo visto diversi atleti lavorarci. E non solo quelli della UAE Emirates, il team di Del Gallo, anche Zoccarato per esempio vi presta attenzione. E tanti altri che lavorano sul core e si affidano alle sue mani

Del Gallo nel suo studio con Cimolai, anche se non è un atleta UAE. Qui, il sistema Redcord utilizzato anche a fini fisioterapici
Del Gallo nel suo studio con Cimolai. Qui, il sistema Redcord utilizzato anche a fini fisioterapici
Michele cos’è dunque questa muscolatura profonda?

I muscoli sono un sistema globale. Quelli più superficiali, servono per il movimento. Lavorano in allungamento. Quelli più interni, profondi, lavorano in isometria e sono addetti alla stabilizzazione del corpo. Braccia e gambe sono leve e il corpo è il fulcro. L’anca è il fulcro di movimento della gamba. E la muscolatura profonda, in questo ciclismo sempre più avanzato, è molto importante.

Perché?

Perché per supportare i watt che sprigiona quel muscolo bisogna che il fulcro sia sufficientemente forte. Se ho, dico numeri a caso sia ben chiaro, 1.000 watt e il fulcro ne sostiene 700, ai pedali ne arrivano 650-700. Non si tratta più come si faceva un tempo di aggiungere watt e basta. Anche perché così facendo si aumenta la massa e quindi aumentano il peso, il fabbisogno energetico e anche il rischio d’infortuni. Dunque il ciclista non è più funzionale. E questo modo di intervenire (e ragionare, ndr) non riguarda solo i ciclisti. Anche nell’atleta per esempio è così…

E infatti stavamo giusto pensando agli sprinter, che sono meno ipertrofici di un tempo…

Esatto, hanno una struttura più affusolata. Migliorando la stabilizzazione, quindi la muscolatura profonda, sfrutti meglio gli arti. E’ semplice: bisogna immaginarla come il telaio di una macchina. Più questo è rigido e più si è prestazionali.

Oggi il fisico dei corridori è più “muscolato”, ma anche più equilibrato di un tempo in cui regnava l’ipertrofia delle gambe. Qui Almeida
Oggi il fisico dei corridori è più “muscolato”, ma anche più equilibrato di un tempo. Qui Almeida
Sei stato chiarissimo… 

C’è poi un discorso più ampio che coinvolge il controllo motorio, cioè la capacità del cervello di reclutare tutti i muscoli. E se il cervello riesce a sfruttare il 100 per cento delle fibre a disposizione, anche quelle in profondità, aumenta la forza.

E come si fa? Come si lavora sulla muscolatura profonda?

Ci sono diversi esercizi, soprattutto quelli in instabilità: tavole propriocettive, palloni instabili… Io uso il redcord. Ma questo vale per tutti gli sport.

E nel ciclismo si lavora solo sulle gambe? O ci si concentra anche sul resto?

No, no… non solo sulle gambe. La mentalità sta cambiando anche nel ciclismo. Nel ciclismo si lavora molto sulla cintura pelvica, quindi il core vero e proprio, la zona del bacino. Le gambe poi non hanno muscolatura profonda, ma ce l’ha il tronco. E quella parte di ossa più vicino al tronco. E’ appunto la muscolatura che stabilizza. Spesso quando i ciclisti si muovono troppo sulla sella con il bacino è perché mancano della muscolatura profonda e sono instabili. A parità di allenamento in quei 200 chilometri faranno più fatica e disperderanno più energie.

Il plank è uno degli esercizi più semplici ma efficaci per curare la muscolatura profonda (foto @foodspring)
Il plank è uno degli esercizi più semplici ma efficaci per curare la muscolatura profonda (foto @foodspring)
Quali sono gli esercizi specifici più importanti?

Come detto, io uso il Redcord, che è un sistema a sospensione il quale permette di fare anche esercizi a corpo libero. Un altro metodo è il plank, molto usato da i corridori. E con questo non lavora solo la cintura pelvica, ma anche il resto. E va bene. Poi ci sono gli esercizi del core quelli più classici.

Quante volte ci si lavora?

Se i ragazzi riuscissero fare un’ora tre volte a settimana sarebbe ottimale. Determinante, direi. Aiuta davvero molto. Bisogna pensare che è una parte integrante dell’allenamento. Ma tante volte, specie alle corse, sembra impossibile incastrare questi momenti. Io so che quei 15′ di esercizi prima della gara sono importanti, ma inserirli nella logistica sembra impossibile. Una volta c’era la teoria che bastava solo pedalare e che il massaggiatore curava le gambe e preparava i rifornimenti. Adesso non è più così, specie nella nostra squadra, dove Mauro Gianetti (team manager della UAE, ndr) dà molta importanza a questi aspetti.

E’ cambiato tutto e non sono più aspetti marginali. E’ vero…

Oggi siamo ad un livello incredibile. Analizziamo ogni aspetto. Ci sono atleti che se hanno la bocca aperta rendono in un modo e con la bocca chiusa in un altro, perché magari gli si blocca un muscolo. Una volta se una gamba era meno potente dell’altra, si faceva lavorare di più per compensare. In realtà era sbagliato, perché non si andava alla causa, ma si curava l’effetto. Non ci si chiedeva perché quella gamba spingesse di meno.

Formolo: l’esordio con la Movistar e un tampone da fare

09.02.2024
4 min
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Dopo quattro stagioni colorate di bianco, nero e rosso con il UAE Team Emirates, vedere Davide Formolo con un’altra divisa fa uno strano effetto. Il veneto da gennaio è un nuovo corridore della Movistar. Squadra storicamente spagnola, che ha spesso aperto le porte anche a corridori italiani. Una nuova avventura per “Roccia”, che a 31 anni ha scelto di provare a giocarsi ancora le sue carte. Il finale di 2023, con due vittorie ravvicinate, deve avergli dato la sensazione che in cima ci sia ancora posto per sporgere la testa. 

Nell’ultima tappa dell’AlUla Tour a Formolo sono mancati 100 metri per restare con i primi
Nell’ultima tappa dell’AlUla Tour a Formolo sono mancati 100 metri per restare con i primi

Esordio nel deserto

L’esordio con la Movistar è arrivato all’AlUla Tour, Formolo si è fatto vedere, ma non è arrivato lo squillo. Poco male, le gambe girano e le corse che contano sono più avanti, la fretta è sempre cattiva consigliera. 

«Sono a casa – ci dice Formolo appena lo intercettiamo – ho appena fatto un tampone per il Covid. Mi sa che me lo sono preso, ma non so bene quando. Mi sono insospettito perché in questi giorni sentivo male ai polmoni mentre pedalavo. Sono tornato dall’Arabia tre giorni fa, la trasferta è andata tutto sommato bene, siamo sempre stati lì davanti. Dispiace non essere riuscito a giocarmi la vittoria fino alla fine (il riferimento è in particolare all’ultima tappa, ndr). Mi sono mancati proprio gli ultimi 100 metri».

Il focus della stagione per “Roccia” saranno i mesi di marzo e aprile
Il focus della stagione per “Roccia” saranno i mesi di marzo e aprile
Facciamo un passo indietro, com’è andato l’ambientamento in Movistar?

Bene, sono rimasto impressionato dall’organizzazione. Ho subito trovato un buon feeling con i compagni e ne sono contento. Ho desiderato molto questo passaggio, mi sono accorto che era l’anno giusto per cercare nuovi stimoli. Anche l’età avanza, quindi volevo cambiare quando potevo ancora essere competitivo. Qui avrò più spazio nelle corse di un giorno. 

In che modo è cambiato il tuo inverno con la squadra nuova?

A livello di preparazione abbiamo deciso di lasciarci dei margini per crescere in vista dell’estate. Tra luglio e agosto correrò Tour e Vuelta, dovrò farmi trovare pronto, sarà il periodo clou. Se guardo ai mesi che arrivano, quindi marzo e aprile, questi sono il mio focus per la stagione. Ci sono tante gare nelle quali voglio fare bene, come Strade Bianche e Ardenne. 

La Canyon è una bici con delle geometrie più votate all’aerodinamica
La Canyon è una bici con delle geometrie più votate all’aerodinamica
Sei comunque andato in ritiro sul Teide a gennaio, eri solo o con la squadra?

Solo. In realtà in compagnia di Valerio Conti. Mi piace andare sul Teide a gennaio, mi posso allenare su salite lunghe e fare percorsi impegnativi. E’ il momento per fare i giusti passi nella preparazione, anche perché poi si inizia a viaggiare e non c’è più tempo. Preferisco andare da solo in ritiro perché riesco ad ascoltarmi di più e capire quando spingere o, al contrario, se devo riposare. 

Cosa ti ha sorpreso di più della Movistar?

L’organizzazione, hanno tutto programmato e anche lo staff ha un’esperienza e delle competenze invidiabili. La bici è molto diversa rispetto alla Colnago che avevo in UAE. E’ stato un bel cambiamento, la Canyon mi sembra più veloce in pianura. Si vede a occhio nudo: ha un telaio più allungato e delle geometrie molto più aerodinamiche. La Colnago, invece, era più leggera. Pensata per la salita. 

Oltre a Formolo (a destra) ci sono altri tre italiani nella Movistar: Cimolai (a sinistra), Milesi (al centro) e Moro che ha debuttato in Australia
Oltre a Formolo (a destra), altri tre italiani nella Movistar: Cimolai (a sinistra), Milesi (al centro) e Moro, che ha debuttato in Australia
Con il gruppo come ti sei trovato?

Bene, fin da subito. Non ho notato grandi differenze rispetto alla UAE. Questo perché entrambi i team hanno un animo latino. Sarà anche per questo che non mi sembra di aver subito il cambio. 

In squadra è arrivato anche Quintana, Mas potrebbe non essere più l’unico leader.

Da quanto ne so Quintana dovrebbe fare il Giro d’Italia e Mas il Tour de France. Poi entrambi saranno alla Vuelta, ma vedremo. Io tirerò per tutti e due, il mio lavoro è farmi trovare pronto.

Ora il programma cosa prevede?

Avrei dovuto fare qualche gara in Spagna, e poi martedì 13 sarei dovuto partire per il Teide. Visto che con il dubbio del Covid non andrò a correre, penso di anticipare il ritiro a sabato (domani, ndr). Poi vedremo, dopo il Tour de France spero di avere il tempo di stare a casa con la famiglia e fare un ritiro. Anche se, con la legge passata ieri (mercoledì, ndr) sulle camere ipobariche, magari mi farò qualche giorno a casa in più. Risparmiando soldi e tempo. Probabilmente è stata mia moglie a fare pressioni affinché passasse questa normativa, così rimango a casa più spesso (conclude con una risata, ndr).

De Cassan, come sta andando nel mondo dei pro’?

08.02.2024
4 min
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In un ciclismo sempre più veloce e selettivo, è difficile prendere le misure, adattarsi e di conseguenza avere delle certezze. Questo succede a tutti i corridori, dal più esperto al giovane che si affaccia per la prima volta al professionismo. Davide De Cassan fa parte della seconda categoria: il ragazzo trentino si è affacciato quest’anno nel mondo dei grandi, con la Polti-Kometa. A dirla tutta con il team di Basso aveva già fatto lo stagista, indossando la maglia della Eolo-Kometa (nome della squadra fino al 31 dicembre 2023). 

De Cassan, con i suoi 22 anni compiuti da poco più di un mese, ha messo i suoi pensieri in un post su Instagram, nel quale ha scritto di essersi lasciato alle spalle i dubbi dell’inverno. Le prime risposte sono arrivate alle corse della Challenge Mallorca. Non ha avuto nemmeno il tempo di riordinare le idee che si è trovato in Turchia pronto per il Tour of Antalya. 

De Cassan ha fatto un periodo da stagista con la Eolo (poi Polti-Kometa) nel 2023
De Cassan ha fatto un periodo da stagista con la Eolo (poi Polti-Kometa) nel 2023
Innanzitutto come stai?

Bene grazie! Siamo qui in Turchia e oggi è iniziato il Tour of Antalya, quattro giorni tosti ma siamo pronti. Le prime gare in Spagna sono andate molto bene, avevo tante domande sulla mia competitività perché il salto di categoria si sente. C’è tanto da fare, ma sono fiducioso, temevo di essere messo peggio. 

Ma quali erano questi dubbi?

Erano a tutto tondo in realtà, anche perché quando ci si allena per mesi senza avere un confronto non è facile. Vero che si guardano i valori, ma era il primo inverno da pro’ e non avevo riferimenti. Il confronto con i compagni mi ha aiutato tanto, ho sfruttato ogni occasione con loro per imparare qualcosa. 

Avevi qualche domanda specifica?

Non domandavo nulla di specifico, tutto quello che mi passava per la testa lo chiedevo. Tante domande le avevo sugli allenamenti a casa e su come stare in gruppo, anche se poi gli argomenti spaziavano davvero molto. 

De Cassan (a sinistra) insieme a Paul Double alle gare di Maiorca
De Cassan (a sinistra) insieme a Paul Double alle gare di Maiorca
Nel post hai parlato di inserimento, tu hai avuto anche l’esperienza da stagista con loro. Quanto è stata utile?

E’ stata davvero un’opportunità importante, in quelle settimane ho visto tante cose sulle quali avrei dovuto lavorare. Alla fine è un mondo completamente nuovo, anche se, grazie all’esperienza da stagista, ho avuto modo di ambientarmi bene. 

Su quali aspetti sentivi di dover lavorare durante l’inverno?

Sulla velocità in pianura. Ho avuto modo di vedere quanto vanno forte i professionisti e questo mi ha impressionato. La differenza tra le due categorie è davvero tanta. In inverno ci ho lavorato tanto, anche con allenamenti specifici come ripetute lunghe all’inizio e alla fine degli allenamenti. Oppure sprint e partenze da fermo. 

Il giovane trentino ha lavorato tanto per incrementare la velocità in pianura
Il giovane trentino ha lavorato tanto per incrementare la velocità in pianura
Quindi hai cambiato qualcosa negli allenamenti?

Sì. Ho messo meno dislivello, ma più pianura, proprio per migliorare. Tanta Z2 per abituarsi bene al colpo di pedale. Dal punto di vista dei rapporti utilizzati però non ho cambiato nulla.

Che morale hai tratto dopo le prime gare in Spagna?

Mi sono detto: «Bene, sono ad un buon punto di partenza». La strada è lunga, ma la base c’è.

De Cassan ha corso per i tre anni in cui è stato U23 con il Cycling Team Friuli (phtors.it)
De Cassan ha corso per i tre anni in cui è stato U23 con il Cycling Team Friuli (phtors.it)
Tu sei uscito dal CTF che è una squadra satellite della Bahrain. Tuttavia sei diventato pro’ in un mondo nuovo, senza una “continuità” di progetto…

Vero era praticamente tutto nuovo, ma in Polti-Kometa ci sono delle figure che già avevo conosciuto al CTF: Pietrobon, i fratelli Bais e ora è arrivato anche Fabbro. Avere loro al mio fianco mi ha aiutato tanto. Non nego che le prime volte quando avevo bisogno di una mano mi giravo verso di loro. Magari è una cosa piccola, però aiuta molto quando sei in un mondo completamente nuovo.