NOGAREDO – Un vialetto con vista sulla sponda destra della Valle dell’Adige porta a casa dei fratelli Bais. Il sole di questo anomalo autunno è ancora tiepido e infatti qualche pedalata i due ancora se la fanno. Ma tra poco scatterà il riposo totale.
Dopo la bella stagione agonistica siamo tornati a parlarci. Davide ha vinto la tappa del Gran Sasso al Giro d’Italia e Mattia è sempre stato protagonista.
I due atleti della Eolo-Kometa vivono in un appartamento tutto loro al piano terra di questa villetta trentina. Sky è il loro cane, anzi di Davide, ci tengono a sottolineare. Il suo entusiasmo è lo stesso dei ragazzi in bici. E non appena può ci salta addosso per giocare. Il video di presentazione lo abbiamo dovuto rifare più volte!
Si apre la porta
I Bais ci fanno da Ciceroni per casa e inizia la chiacchierata. Si parte dalla palestra, al piano inferiore. E’ ben fornita. Ci sono la pressa, il Trx, il bilanciere fisso per gli squat…
«Ogni anno – dicono in coro – abbiamo comprato un pezzo nuovo. Ma poi con il Covid l’abbiamo ingrandita ancora di più. Non si poteva uscire e questo spazio è diventato il luogo dei nostri allenamenti. La pressa è il macchinario che usiamo di più. Il Trx è il più tosto».
Durante l’ultimo Giro d’Italia, proprio da queste strade era passata la tappa del Bondone e sull’asfalto c’erano centinaia di scritte d’incoraggiamento per i Bais.
«Quel giorno è stata una vera emozione – dice Mattia – io ero andato all’attacco, però era una tappa durissima, ma passare in fuga qua è stato bello».
«Anch’io – gli fa eco Davide – ho provato ad andare in fuga, ma non ce l’ho fatta. Comunque quel giorno indossavo la maglia blu e ho dato il massimo per i miei amici, per le persone che erano sulla strada a tifarci».
Si parla di salite, la Vallarsa e la Serrada scalate anche quel giorno sono due salite vere. Sono queste due scalate l’altra palestra dei Bais, quella vera, quelle delle uscite per costruire la forma.
«In più abbiamo una casina a 1.200 metri in montagna e tante volte d’estate finiamo l’allenamento lassù. E’ più fresco, ci sono i genitori, troviamo da mangiare… E poi la sera scendiamo qui».
Prime pedalate
Sulla destra dell’ingresso c’è una foto di Davide e Mattia scattata lo stesso giorno di tanti anni fa. Sono due bambini sdentati che forse neanche sognano di diventare campioni. Sono due bambini che vogliono semplicemente divertirsi.
«Abbiamo iniziato insieme – racconta Mattia – io avevo 9 anni, lui 7. Stavamo cercando uno sport. E’ stato un caso, io volevo fare motocross. Avevo paura del rumore che facevano quelle moto quando passavano nel bosco, ma proprio per quello volevo provare. Poi un giorno nostro cugino, che era dilettante, ci ha dato un volantino dell’Sc Mori. Si faceva una prova nel velodromo. La gimkana, i birilli…».
«Mi ricordo che ci siamo divertiti tanto, nonostante qualche caduta – interviene Davide – e da lì è iniziato tutto. Ci siamo iscritti subito».
Oggi quei due ragazzi sono dei corridori forti e affidabili. Davide è più scalatore e anche più riflessivo. Mattia è più passista, più estroverso. Queste caratteristiche, per quel che poco che possiamo dire, le riconosciamo anche fuori dalla bici. Mattia infatti risponde subito, Davide riflette sempre quel secondo in più.
Tra maglie alle pareti, trofei… è l’ora del caffè. Ci pensa Davide.
«Litigavate da bambini?», gli chiediamo. «Tanto. E anche adesso! Magari adesso non facciamo più a botte, ma volano parole, anche grosse. Però sono sempre litigate costruttive. Se uno sbaglia è giusto che lo faccia capire all’altro».
Litigate fraterne
Il rapporto dei Bais forse è più forte adesso che prima, quando erano bambini. Anche perché avendo due anni di differenza non correvano nella stessa categoria. La prima volta è stato tra i dilettanti, quando entrambi erano nella fila CTF. Ora che invece girano il mondo, sono insieme.
«Il vantaggio di essere professionisti e fratelli? Il confronto», dicono in coro. «Negli anni scorsi eravamo in due squadre differente ed era interessante perché vedevamo come lavoravano i rispettivi team. Ma questo vale anche adesso. Solo che è un confronto interno. Siamo seguiti da due preparatori diversi, sempre all’interno della Eolo-Kometa».
«Quest’anno – prosegue Mattia – abbiamo fatto alcune corse diverse, pertanto sono cambiati anche gli allenamenti e le fasi in cui uno era a casa e l’altro a correre. Però, se possiamo, usciamo insieme e tutti e due siamo piuttosto grintosi sotto questo punto di vista. Se piove o nevica non c’è uno che non voglia uscire e l’altro che lo sprona».
Giovani veterani
Già in passato avevamo chiesto ai Bais cosa significasse essere professionisti, ma all’epoca erano appena approdati al mondo dei grandi. A distanza di due anni cosa dicono?
«Significa che devi essere preciso in tutto – inizia Mattia – non solo in bici, ma anche quando sei a casa, con l’alimentazione, il riposo… tutto è sempre più estremo. Ci sono sempre più studi, più figure specializzate. E ti devi sempre far trovare al 100 per cento.
«Una volta, quando andava via la fuga, il gruppo rallentava, adesso no. Al Lombardia siamo partiti a tutta e abbiamo spinto fino alla fine. Per come si andava in avvio sembrava una corsa di 4 chilometri e non di 240».
«E anche per questo – prosegue Davide – i più forti sono sempre gli stessi secondo me. E’ più difficile competere e fare risultato. C’è anche il discorso dei punti in ballo, perché le squadre lottano per quella classifica. Qui si sprinta anche per il quarantesimo posto se c’è qualcosa in palio. E’ tutta una guerra».
Scuola CFT, molta sostanza e pochi fronzoli: i Bais per il prossimo anno saranno tra i leader della Eolo-Kometa. Tra chi va via, chi smette e l’esperienza che cresce, eccoli pronti a prendere in mano la squadra.
«Ne siamo consapevoli – spiega Davide – ma noi dobbiamo continuare a crescere, a migliorare… e poi magari riuscire noi stessi ad aiutare i nuovi arrivati e i giovani».
Tra questi giovani c’è De Cassan, anche lui dalla scuola di Roberto Bressan. E infatti anche se non ci hanno mai corso prima, Davide e soprattutto Mattia, che ha corso con lui le ultime gare dell’anno, dicono che è stato un po’ come riconoscere un compagno di squadra.
Leader
Quando i Bais dicono di voler crescere, la cosa potrebbe sembrare vaga. E forse lo è anche anche. Per corridori del loro taglio non è facile individuare un punto specifico da migliorare. Non si tratta di un Pogacar che deve limare un dettaglio. Davide per esempio vorrebbe partire forte e poi trovare la costanza che gli è sempre un po’ mancata. Mentre Mattia, al contrario vorrebbe trovare dei picchi di forma maggiori.
«Per fortuna – dicono insieme – la Eolo-Kometa è una squadra che ci dà programmi a lungo termine e questo, credeteci, non è poco per poter imbastire una buona preparazione e “scegliere” i periodi in cui si vorrebbe andare più forte».
Il primo ritiro (da oggi) è fissato a Malta. Sarà un ritrovo “senza bici”, fatto per conoscersi, prendere le misure del nuovo vestiario, stilare i primi programmi. Laggiù, i Bais saranno i riferimenti certo per De Cassan, ma anche per molti altri.
Quel giorno sul Gran Sasso
La targa della tappa di Campo Imperatore cattura la nostra attenzione. E allora ci ricordiamo di quel giorno. Ci torna in mente Davide che alza le braccia al cielo sul tetto dell’Appennino e Mattia che gioisce in quegli stanzoni da girone dantesco dove si cambiavano i corridori.
«La cosa che più mi è rimasta impressa – racconta Davide – è quando ero sul palco e tutti i compagni che passavano sotto al podio erano felici. Si fermavano, mi guardavano, urlavano. E’ stato bellissimo. Che poi sul momento non avevo neanche realizzato cosa avessi fatto».
«Io – continua Mattia – ero lì sotto in quelle stanze a cambiarmi con tutti gli altri. Sembrava una festa. Eravamo tutti contenti, si urlava, si faceva di tutto. Anche nella funivia per scendere a valle abbiamo fatto baccano. E’ stato come se avessimo vinto tutti quel giorno.
«E poi il finale in gara… Ai -3 chilometri, per radio, mi avevano detto che gli mancavano 500 metri. Tra me e me ci speravo. Poi ai -2, sempre alla radio, ho sentito le urla e ho capito che aveva vinto. Avevo i brividi. All’inizio non ci credevo, ma poco dopo le ammiraglie degli altri team che passavano mi dicevano che aveva vinto mio fratello».