Isola 2000, con Matxin nei giorni di Pogacar in altura

19.06.2024
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Le foto su Instagram mostrano un Tadej Pogacar giocherellone e di ottimo umore (in apertura, foto di Alen Milavec). Il ritiro in quota di Isola 2000, il primo della stagione, si concluderà domenica e poi ci sarà giusto il tempo per andare a casa e preparare la valigia del Tour. Il UAE Team Emirates si ritroverà a Firenze da mercoledì e poi, esaurita la trafila delle operazioni preliminari, sapremo quali saranno gli avversari e si aprirà la caccia all’accoppiata Giro-Tour.

Matxin ha raggiunto i suoi ragazzi dopo il Giro Next Gen, dove il devo team ha centrato il secondo posto con Torres alle spalle di Widar. Ci siamo rivolti a lui per farci raccontare che aria tiri in quello spicchio di Alpi Marittime, che per anni furono italiane e solo nel 1947 con Trattato di Parigi passarono alla Francia. Partiamo da Roma e dalla maglia rosa: che cosa ha fatto Pogacar dopo la festa di quella domenica sera?

«Il primo giorno dopo la fine del Giro – ricorda lo spagnolo – Tadej è restato a Roma per diversi impegni con alcuni sponsor. Accordi che ai corridori non piacciono, ma che si devono fare. Martedì invece è tornato a Monaco con Urska e ci è rimasto per una settimana, finché il 4 giugno è andato a Isola 2000. Non so dire esattamente quanto abbia pedalato quella settimana, era libero. Però conosciamo le abitudini del corridore, per cui qualche giretto lo ha fatto di sicuro, ma parliamo di passeggiate, al massimo di un paio d’ore con sosta al bar per un cappuccio. Quello che posso dire è che non è uscito stanco dal Giro, di gambe e tantomeno di testa».

La squadra in posa con la scultura del capricorno di Isola 2000 (foto Alen Milavec)
La squadra in posa con la scultura del capricorno di Isola 2000 (foto Alen Milavec)
A Isola 2000 ha trovato i compagni?

Sì, quelli del gruppo Tour. Quelli che stavano correndo lo hanno raggiunto mano a mano che finivano le corse. Oggi per esempio (ieri per chi legge, ndr), è arrivato Adam Yates. Nils Politt non c’è perché va a fare i campionati nazionali, però ci sono anche Ayuso, Soler, Pavel Sivakov, Tim Wellens e Almeida. E quando siamo stati al completo, abbiamo fatto la riunione pre Tour.

Gli allenamenti a Isola 2000 sono stati subito a buon ritmo?

No, noi facciamo sempre attenzione con tutti i corridori a fare i primi tre, quattro giorni in modo tranquillo, perché possano adattarsi all’altura. Poi certo anche Tadej ha il suo programma e ha iniziato a seguirlo.

Siete riusciti a vedere anche qualche tappa del Tour?

Abbiamo visto le ultime quattro, partendo quasi sempre in bici dall’hotel. A volte abbiamo fatto tutta la tappa, altre volte solo i finali, ma abbiamo preferito evitare di andare avanti e indietro con le macchine. Abbiamo visto quella di Barcelonette e anche Isola 2000 dove finisce la 19ª tappa.

Ayuso si è ritirato dal Delfinato e appena è stato bene ha raggiunto Pogacar in altura (foto Alen Milavec)
Ayuso si è ritirato dal Delfinato e appena è stato bene ha raggiunto Pogacar in altura (foto Alen Milavec)
Che sensazioni ti dà Pogacar in questa fase?

Lo vedo motivato, lo vedo tranquillo, lo vedo contento. Non posso dire niente di negativo, perché non c’è niente di negativo. Ride, scherza, con i compagni formano un bel gruppo. Capiscono che lui è il numero uno al mondo. Anche se abbiamo una squadra di rockstar, ovviamente credono in Tadej come leader di questa squadra per il Tour.

Siete riusciti anche a fare prove sui materiali?

Abbiamo testato qualche novità sulle biciclette, soprattutto nel segno della leggerezza. Abbiamo fatto prove per la crono. Piccole cose, che però fanno la differenza. Le bici sono le stesse del Giro, ma abbiamo provato ad alleggerirle un po’. 

Tadej rimarrà in quota fino a domenica?

Sì, poi scenderà a Monaco e ci resterà per un paio di giorni. Da mercoledì saremo tutti a Firenze.

Matxin e Maguire sono due tra le figure di rilievo per Pogacar al UAE Team Emirates (foto Fizza)
Matxin e Maguire sono due tra le figure di rilievo per Pogacar al UAE Team Emirates (foto Fizza)
Avete incontrato qualche squadra in ritiro a Isola 2000?

Sì, abbiamo visto Remco e la sua squadra. Martedì ho seguito l’allenamento di cinque ore, facendo la Bonette, e abbiamo incontrato Egan Bernal, De Plus e gli altri ragazzi della Ineos arrivati dallo Svizzera.

E’ capitato spesso di fare allenamenti così sostanziosi?

Direi di sì, ma questa è più l’area degli allenatori, in cui abbiamo piena fiducia. Non riesco a seguirli, però abbiamo condiviso il programma di allenamento e a volte lavorano in modo differenziato, non sempre tutti insieme. Per cui ci sono stati giorni in cui qualcuno ha fatto i lavori specifici e altri intanto riposavano. Lavorano a doppiette o triplette, però nell’80 per cento delle uscite erano in gruppo.

In questa routine, sai se Tadej ha seguito in televisione le varie corse?

Sì, sì certo, ha seguito tutto. Ogni volta che finivano un allenamento, si ritrovavano a pranzo tutti insieme e dopo aver mangiato guardavano le tappe. Ha fatto il tifo per i compagni, erano tutti felicissimi. Come dico sempre, Tadej non è solo un campione: è un leader che si preoccupa per i compagni. E se qualche giorno un compagno può vincere o fare un risultato, lui è il primo che spinge perché ci riesca. E’ stato contento di vedere i compagni sempre davanti, è una cosa che ha dato morale a tutti.

Wellens sarà il super gregario del Tour assieme a Politt (foto Alen Milavec)
Wellens sarà il super gregario del Tour assieme a Politt (foto Alen Milavec)
E loro che vincevano e adesso devono fare i gregari?

Sanno perfettamente che Tadej Pogacar è il numero uno al mondo, basterebbe leggere le interviste di Almeida e Yates dopo le varie vittorie in Svizzera. Credo che sia una squadra molto unita. E soprattutto, nel momento in cui parlo con i corridori per farli venire qua, parlo subito chiaro. Ragazzi come Adam Yates, come Sivakov, come Wellens e Politt, sanno che avranno il loro spazio, ma quando c’è Tadej, si corre per lui. Sono le condizioni che poniamo prima ancora di firmare il contratto. Non sono io quello che li fa firmare, ma ho una sola parola e quella va sempre rispettata. Quando Almeida e Ayuso mi hanno chiesto di venire al Tour, gli ho detto che andava bene, ma che avremmo corso con l’idea di un leader unico e non sarà fatto niente di diverso rispetto a quello che avevamo deciso.

Proprio a proposito di programmi decisi da dicembre: si è valutato di inserire Majka nel gruppo Tour, dopo il bel Giro che ha fatto?

No, mai. Il programma è fatto, definito e chiaro. Si cambia solo se un corridore sta male, come è successo per Jay Vine che è caduto. Per il resto, credo che la forza della nostra squadra sia proprio questa. Vedremo alla fine se anche questa volta il nostro metodo darà buoni frutti.

Il ciclismo alla Camera e noi facciamo due domande a Tiberi

18.06.2024
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ROMA – La Galleria dei Presidenti è piena di facce del ciclismo. In un angolo brillano i sorrisi leggermente imbarazzati di Tiberi e Pellizzari e c’è anche Pozzato, che si è ripreso alla grande dai suoi acciacchi. Quando arriva il Presidente della Camera, gli uscieri spingono chiunque si trovi nel corridoio per liberargli il passaggio. Fontana è un veronese di 44 anni e ha accettato l’invito di Roberto Pella, a sua volta deputato, che ha voluto così celebrare il suo incarico di Presidente della Lega ciclismo.

E Fontana racconta di quando nel 1994 si ritrovò in ospedale per grossi problemi di salute e, non potendosi muovere, seguì ogni passaggio di quel Giro. Fu dimesso il giorno in cui Marco Pantani vinse la sua prima tappa, quella di Merano, alla vigilia del capolavoro di Aprica.

Il Presidente della Lega, onorevole Roberto Pella, regala a Fontana la maglia rosa autografata di Pogacar
Il Presidente della Lega, onorevole Roberto Pella, regala a Fontana la maglia rosa autografata di Pogacar

«Non l’ho mai conosciuto – dice – ma mi legò a lui un sentimento che era qualcosa di superiore. Perché le sue sfide e la sua vittoria per me furono la rinascita dopo un periodo molto duro. Il ciclismo fa vedere come gli atleti si impegnino, il loro sforzo nel superare tutte le difficoltà. Sei solo contro te stesso prima che contro il tuo avversario. La bellezza sta nel vedere questo sforzo e anche questo combattimento. Superare le montagne, avere il coraggio di affrontarle. Essere soli, spesso e volentieri, anche quando ci sono momenti di crisi e cercare sempre di riprendersi giorno dopo giorno. Il ciclismo è anche una palestra di vita».

I perché del Delfinato

Tiberi lo ascolta e pensa (e poi dirà) di essere venuto per la prima volta a Montecitorio in visita con la scuola. Esserci tornato ora da invitato per il quinto posto al Giro d’Italia è un onore cui non avrebbe mai pensato. Il corridore della Bahrain Victorious ha riconosciuto la sua maglia bianca, messa in fila assieme alle altre che arredano la mattinata in Parlamento. Dopo il ritiro dal Delfinato, la sua estate parla soprattutto di recupero, prima di tornare in altura a preparare la Vuelta. Chissà perché l’hanno voluto portare alla corsa francese, dopo un Giro per lui così impegnativo.

Più testa che gambe

«E a dire la verità – sorride nell’impeccabile abito nero – mentalmente è stato quasi come se non ci sia mai andato. Non è stato tanto un problema fisico, quanto piuttosto di testa. Non è che tutto quanto inizi e finisca con la prima e l’ultima tappa del Giro. Ci sono stati due mesi di preparazione. Prima l’altura e poi dall’altura diretto al Tour of the Alps. Da lì alla Liegi e poi focus al 100 per cento sul Giro. Quindi quei 21 giorni e quando poi stacchi per una settimana e spegni completamente testa e fisico, dover ripartire è dura.

«Pensavo di andare al Delfinato con una condizione buona, che mi avrebbe permesso di ottenere qualche risultato, fare qualche punto per la squadra e magari anche qualcosa per me stesso. Quando però abbiamo visto che ero lì più che altro a soffrire mentalmente e stare in gara mi pesava tanto, la squadra ha optato per la scelta migliore. Quella di mandarmi a casa a riposare. Caricare energie per iniziare di nuovo la preparazione per la Vuelta, come quella per il Giro».

All’uscita da Montecitorio, per Tiberi anche qualche rapida intervista
All’uscita da Montecitorio, per Tiberi anche qualche rapida intervista
Il Giro è stato più faticoso per le gambe o per la testa?

Dato che era la prima grande corsa a tappe da capitano, è stato una nuova esperienza anche mentalmente. E’ stato il giusto compromesso, nel senso che non l’ho trovato troppo duro. D’altra parte non è stato neppure troppo semplice, più che altro per la parte mentale. Mi è stato tanto di aiuto il fatto di essere in Italia. Di avere tante tappe con conoscenti o amici lungo la strada, che mi hanno dato energia. Per cui percepivo meno lo sforzo o comunque, correndo su strade che conoscevo, sono riuscito a metterci più grinta. Fisicamente invece, avendo fatto un’ottima preparazione e avendo già due Vuelta nelle gambe, non ne sono uscito sfinito come alla fine della prima volta in Spagna.

E dopo il quinto posto del Giro, con quale spirito si va alla Vuelta?

Sicuramente con l’ambizione di far bene. Cercherò di fare la preparazione il meglio possibile, sperando che non ci sia nessun imprevisto. Vedremo come saranno le sensazioni all’inizio. La mia ambizione è andare lì per cercare di fare classifica. Per cui a luglio andrò in altura ad Andorra con qualche compagno, quindi farò la Vuelta Burgos e dopo una settimana daremo l’assalto alla Vuelta.

Lo zampino di Artuso nel nuovo Aleotti: le origini del cambiamento

18.06.2024
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Sentire Giovanni Aleotti che all’indomani della vittoria allo Slovenia ha riconosciuto una parte del merito a Paolo Artuso, suo nuovo preparatore, ci ha fatto venire voglia di chiamarlo. La stagione galoppa verso i campionati nazionali e verso il Tour, in cui la Bora-Hansgrohe per giunta cambierà veste e nome. Artuso è atteso dalla call del martedì in cui il team tedesco farà la programmazione per la seconda parte di stagione. Ed è così che veniamo a sapere che Aleotti fa già parte della lunga lista per la Vuelta: la scelta definitiva dipende da come andranno le cose al Tour de France.

Buongiorno Paolo, come mai hai cominciato a lavorare con Aleotti?

In Bora si fa sempre un mini camp ad ottobre a Solden, in cui si va a mixare un po’ di team building con qualche attività extra ciclistica. In mezzo a tutto questo si inserisce qualche riunione di performance e lì avevo iniziato a parlare con lui. E così abbiamo fatto il passaggio da Sylwester Szmyd che lo allenava prima. All’interno di un gruppo come il nostro, ogni tanto facciamo degli spostamenti… tattici. Magari quando uno è con lo stesso allenatore da tre-quattro anni, andiamo alla ricerca di nuovi stimoli. Più a livello mentale che metodologico. In Bora c’è una condivisione di tutto, compreso quel che riguarda gli allenamenti.

Lavorate tutti allo stesso modo?

Non nei dettagli, però lo scheletro dell’allenamento è lo stesso per tutti. Poi si fanno delle modifiche individuali all’interno dello stesso schema. C’è una condivisione totale, di conseguenza tutti sono al corrente di tutto e penso che a livello di performance sia un punto di forza della squadra.

Artuso è approdato alla Bora-Hansgrohe dal 2023. In precedenza lavorava alla Bahrain
Artuso è approdato alla Bora-Hansgrohe dal 2023. In precedenza lavorava alla Bahrain
Quali sono state le modifiche necessarie per Giovanni?

Più che modifiche, abbiamo riflettuto sul fatto che l’anno scorso avesse avuto problemi. Durante l’inverno non era stato costante per vari problemi di salute, per cui abbiamo deciso di dare una progressione del carico molto lieve. Se premi un po’ più forte sull’acceleratore, le difese immunitarie si abbassano ed è più probabile che l’atleta si ammali. Se entri dentro a questo vortice, poi diventa anche difficile essere costanti nella prestazione. Perciò abbiamo iniziato con più calma, con dei carichi di lavoro più bassi a novembre e dicembre, per poi aprire un po’ il gas a gennaio. In più, abbiamo cercato di evitare il freddo al 100 per cento.

Giovanni è più cagionevole di altri atleti?

Secondo me no. Ma quando hai un atleta in scadenza di contratto, che l’anno precedente è andato bene ma non come ci si aspettava, si cerca di essere iper prudenti. Si cerca di fare un bel calendario di gare e un buon piano di altura, come quello che abbiamo fatto. Finora Aleotti ha fatto due blocchi di altura, uno a febbraio e uno ad aprile, quindi un avvicinamento assolutamente tradizionale al Giro d’Italia. Poi siamo stati attenti a un po’ di cose, più nei dettagli.

Ad esempio?

Quest’anno ha fatto la Valenciana, da cui doveva andare diretto in altura. Solo che lo abbiamo fatto dormire per due notti in basso e poi siamo saliti: dopo la corsa, non abbiamo voluto stressare il sistema immunitario. Questi piccoli accorgimenti, abbinati al fatto che a livello di professionalità Giovanni è una macchina da guerra, ha fatto sì che le cose abbiano funzionato.

Aleotti ha preparato il Giro con due ritiri in altura: a febbraio e aprile (foto Matthis Paul)
Aleotti ha preparato il Giro con due ritiri in altura: a febbraio e aprile (foto Matthis Paul)
Ti sei fatto un’idea di cosa possa valere Aleotti in prospettiva di carriera?

E’ ancora giovane, non è ancora arrivato al suo massimo. Ha un consumo d’ossigeno molto alto, quindi vuol dire che il motore c’è. A livello di durabilità, anche dopo 8 ore di allenamento, è ancora performante. Ha dimostrato un bel recupero nell’arco delle corse a tappe. Quello un po’ fa parte del suo DNA, ma anche a livello di preparazione abbiamo cercato di fare una base più ampia.

In che modo?

Abbiamo lavorato in maniera più polarizzata per 7-8 settimane, per poi iniziare successivamente a introdurre la soglia. Abbiamo iniziato a dicembre. Prima fai una base puramente aerobica, con qualche stimolo del consumo d’ossigeno. Fai la base lavorando tanto alla famosa Z2, per aumentare un po’ la densità mitocondriale, ma al contempo vai a dare qualche stimolo del VO2 anche in inverno, però su durate molto brevi. Così aumenti un po’ l’efficienza mitocondriale, cioè praticamente la respirazione. Fatta questa grande base, grazie alla quale devi durare nei 20-30 minuti alla soglia, vai anche a cambiare l’allenamento. Passi ai lavori di soglia e media soglia, ma per farlo c’è bisogno appunto di quella grande base.

Era la prima volta che Giovanni lavorava così?

No, con Szmyd l’ha sempre fatto, perché “Silvestro” è bravo: sa cosa fa. L’unica cosa è che l’anno scorso sono stati entrambi sfortunati per la mancanza di costanza dovuta ai problemi di salute. Sono stati sempre a rincorrere. A volte ti va bene e riesci a riagguantare il gruppo davanti, a volte invece ti ammali ancora. Bisognerebbe la possibilità di fermarsi e ripartire come se si fosse a dicembre, ma non sempre è possibile. E poi ha preso anche il Covid, c’era poco da fare.

Aleotti ha un alto consumo di ossigeno che lo rende potenzialmente adatto ai Giri
Aleotti ha un alto consumo di ossigeno che lo rende potenzialmente adatto ai Giri
Fra i grossi passi avanti, Aleotti ha parlato anche di fiducia nel lavoro.

La testa va dietro al fisico. Noi ci sentiamo praticamente tutti i giorni, con un messaggio o una chiamata. Cerco di dargli dei feedback giornalieri su quello che ha fatto e in base a questo aggiustiamo i giorni successivi. Quindi penso che anche a livello mentale si senta seguito e questo porta fiducia. 

In che modo lo hai fatto allenare fra il Giro e lo Slovenia?

C’erano 14 giorni. E’ arrivato a casa dal Giro gli ho fatto fare 4 giorni di riposo, in cui se voleva era libero di fare una sgambatina di un’oretta. Poi abbiamo lavorato su doppiette e non su triplette, perché dopo il Giro d’Italia di certo hai fatto abbastanza ore. Gli ho dato uno stimolo di fat-max (esercizio utile per l’ottimizzazione del consumo dei grassi, ndr), uno stimolo piccolissimo di VO2. Quindi ha recuperato e poi gli ho fatto fare uno stimolo di soglia alta e una mezza distanza di quattro ore. Poi siamo andati in scarico. Ha fatto quattro allenamenti in due settimane, il resto è stato tutto scarico.

Invece tra lo Slovenia e il campionato italiano di domenica prossima?

Ci sono sei giorni da gestire. Quindi due giorni di scarico post Slovenia. Quindi lavoreremo mercoledì (domani, dnr), magari con tre orette tranquille. Giovedì un po’ di intensità e basta. Dopo il Giro d’Italia, il campionato italiano è sempre un terno al lotto, anche perché lo correrà da solo. Non c’è una tattica di squadra, devi essere al posto giusto nel momento giusto. E poi servono le gambe. Lui magari ci arriva già in calando, ma sta bene. Servirà avere anche un po’ di fortuna.

Il Giro d’Italia ha dato una bella prova di solidità dell’emiliano, uscito in buone condizioni
Il Giro d’Italia ha dato una bella prova di solidità dell’emiliano, uscito in buone condizioni
Poi farà una settimana di stacco prima del finale…

Gli ho raccomandato di fare una settimana di riposo e un’altra settimana tranquillo, quindi verranno fuori 10-12 giorni di scarico che è più che sufficiente. Poi andrà in altura. Per scelta, non facciamo una cosa di squadra, per lasciarli più tranquilli. Gli daremo un supporto, stiamo ragionando di mandarli ad Andorra in 3-4, ma senza allenatore e direttore, altrimenti si sentono intrappolati. Saranno liberi di gestirsi gli orari e questo a livello mentale secondo me funziona di più.

A lui piacerebbe fare la Vuelta.

E’ nella lista. Se dovesse farla, l’avvicinamento perfetto in testa mia sarebbe l’altura, poi scende e va a fare la Vuelta a Burgos e magari anche San Sebastian che c’è subito dopo. E da lì dritto alla Vuelta, con il finale con qualche classica italiana. Ma queste sono scelte che spettano ai direttori sportivi. Ha detto anche che gli piacerebbe tornare in Cina, ma in quel caso non faremmo l’Australia a gennaio. Fare troppi voli intercontinentali ravvicinati non è per lui e finirebbe la stagione troppo aventi per ricominciare a correre così presto. In Giovannino ci credo davvero. Avevo detto a dicembre che avremmo vinto lo Slovenia, ricordate che ne avevamo parlato anche al Giro? Non era matematica, ma lavorando bene sarebbe stato possibile. 

Nel mondo di Widar, il baby padrone del Giro Next Gen

18.06.2024
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FORLIMPOPOLI – Dopo le fatiche del Giro Next Gen è il momento di sciogliere la tensione, abbandonarsi all’emozione. Jarno Widar è la seconda maglia rosa del Giro U23 organizzato dalla macchina di RCS Sport. Un belga in rosa, leggero, scattante, veloce in salita e con la sicurezza di un veterano. Eppure è giovane, anzi giovanissimo visto che è un classe 2005. Per otto giorni, di cui cinque vissuti in rosa, Widar non ha fatto trapelare emozioni particolari

Dietro al palco l’abbraccio con il diesse Wesley Van Speybroeck
Dietro al palco l’abbraccio con il diesse Wesley Van Speybroeck

Tolta la maschera

Il folletto belga si è presentato alle conferenze stampa dietro il podio con il volto di chi non vuole lasciar trasparire nulla. Nessuna espressione di fatica, qualche frase di circostanza e giusto un paio di risposte ben assestate. Eppure, sotto il caldo sole di Forlimpopoli, Widar ha ceduto all’emozione. 

Gli uomini di RCS lo hanno portato in fretta e furia dietro il palco delle premiazioni. Lui, in pronta risposta, ne è scappato come un canarino dalla gabbia appena ha visto il compagno di squadra e di fatiche Milan Donie. Un lungo abbraccio, un pianto scrosciante a liberare ogni sigillo imposto da se stesso. La Lotto Dstny ha trovato in Widar il possibile uomo del futuro, l’anno prossimo sarà ancora nel devo team ma per lui si parla già di un contratto biennale nel WorldTour a partire dal 2026. Cresce in fretta Jarno, che ha ancora il volto di un ragazzino, ma le gambe forti di uno che questo mestiere lo sa fare. 

A Pian della Mussa l’azione che gli ha regalato una fetta importante della maglia rosa finale (foto Giro Next Gen)
A Pian della Mussa l’azione che gli ha regalato una fetta importante della maglia rosa finale (foto Giro Next Gen)

Successo inaspettato

Dietro al palco delle premiazioni c’è il diesse che lo ha guidato dall’ammiraglia, Wesley Van Speybroeck, professionista per sei stagioni e poi salito sull’ammiraglia. Anche lui frastornato dal caldo e dall’emozione, si gira e si rigira stringendo mani e abbracciando massaggiatori e staff. 

«Non ce lo aspettavamo – racconta dopo che lo abbiamo portato nell’area delle interviste – eravamo insieme anche all’Alpes Isère Tour quando ha vinto. Era andato forte, ma da lì a vincere il Giro Next Gen ce ne passa. Alla cronometro di Aosta gli abbiamo detto di fare il suo passo e basta, alla fine è arrivata una top 10. Ci siamo mossi giorno per giorno. La salita presente nel finale della terza tappa gli piaceva (Pian della Mussa, ndr). Gli abbiamo detto di provare a prendere la maglia e lo ha fatto, ma questa non è stata solamente la vittoria di Widar. Tutti sono stati fantastici, nessuno escluso. Milan Denie ha lavorato tanto nella tappa di Fosse, quando erano rimasti solamente loro due in gruppo. Ha dettato il passo e Jarno non ha perso la maglia».

Qualità nascoste

Jarno Widar è al suo primo anno da under 23 e già ha ottenuto grandi risultati. Le sue prestazioni sulle grandi montagne hanno stupito tutti, non solo noi.

«Per come era arrivato questo inverno – dice ancora Wesley Van Speybroeck – non credevo potesse fare così bene sulle salite lunghe. Sugli strappi brevi o salite di media percorrenza sì, lo aveva già dimostrato in passato (la doppia vittoria al Lunigiana ne era stata una prova, ndr). All’Alpes Isère ci siamo detti che avrebbe potuto fare bene anche sulle salite lunghe. Il segreto è che ha lavorato duro questo inverno e durante i ritiri. Lo switch mentale e fisico lo ha fatto alla Coppi e Bartali dove ha corso con i professionisti e imparato tanto, tantissimo».

Chi è Widar?

Questa vittoria al Giro Next Gen ha acceso la curiosità intorno a Jarno Widar. Un successo che non ha spento le domande, al contrario ne ha fatte sorgere di nuove. Che corridore è?

«Quando ha iniziato a lavorare con noi – conclude il suo diesse – non era un corridore a tutto tondo. Adesso è diventato un ragazzo che fa bene in salita e adatto alle corse a tappe. Non aveva mai fatto più di cinque giorni di gara, ora ne ha vinta una da otto. E’ perfetto per il nostro team e il prossimo anno correrà ancora di più con i professionisti imparando molto. Per il futuro, per il Belgio, speriamo in un corridore da corse a tappe. E’ la prima volta che un corridore della nostra nazione vince il Giro U23».

In Slovenia si rivede Pozzovivo, che promette un gran finale

18.06.2024
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Tra le pieghe del Giro di Slovenia si annida anche la storia di un quarantunenne che a dispetto della sua età e di tanti piccoli/grandi problemi alla vigilia, come vedremo, è arrivato a sfiorare il podio finale. Ma d’altronde chi conosce Domenico Pozzovivo non si sorprende di certo, visto tutto quel che ha fatto in vent’anni di carriera.

Per lui ogni corsa, da quando ha annunciato a fine stagione il ritiro definitivo, è diventata una passerella, ma non è nel carattere del lucano affrontare le gare in maniera superficiale, anzi. E’ stato così anche in Slovenia, dove ci sono stati anche momenti che lo hanno profondamente toccato.

«Siamo passati anche per Skofja Loka, dove vinsi nel 2012 – racconta – e non nascondo che quando è successo mi sono venuti tanti pensieri. Non posso negare che queste settimane siano particolari, ogni corsa si vela di sensazioni malinconiche. Non è detto che sia una cosa negativa, è solo una carrellata di emozioni che mi investe».

Pozzovivo ha chiuso lo Slovenia al 4° posto, a pari tempo con Pellizzari, a 26″ dal vincitore Aleotti
Pozzovivo ha chiuso lo Slovenia al 4° posto, a pari tempo con Pellizzari, a 26″ dal vincitore Aleotti
Da che cosa dipende?

Quando hai alle spalle vent’anni di carriera, affrontando tante corse più volte nella tua vita, è normale che sia così. Ci tengo a sottolineare che non è nausea da bici, voglia di finire, saturazione. Niente di tutto questo. E’ la consapevolezza che il tempo scorre e che è arrivato il momento di girare pagina, di chiudere una parentesi grandiosa e sofferta, piena di bene e di male, che ha contraddistinto la mia vita sin da quand’ero adolescente. Per un ultraquarantenne non è cosa da poco.

Come sei arrivato al Giro di Slovenia?

Con tanti dubbi, soprattutto perché già il finale del Giro d’Italia non era stato semplice. La particolarità è che l’ho finito con addosso il Covid, che per la terza volta mi ha colpito e sempre nello stesso periodo. Diciamo anzi che ho fatto appena in tempo a finire la corsa. Poi sono stati dieci giorni a soffrire per la tosse con addirittura un principio di polmonite. Pensavo a un certo punto di non esserci, ma mi sarebbe spiaciuto proprio perché non avrò un’altra occasione. Poi all’immediata vigilia con il mio team della VF Group Bardiani abbiamo deciso di partire nonostante tutto.

Il lucano davanti alla maglia gialla Aleotti. In Slovenia il corridore della Bardiani è stato protagonista nelle tappe finali
Il lucano davanti alla maglia gialla Aleotti. In Slovenia il corridore della Bardiani è stato protagonista nelle tappe finali
Non era certo lo spirito migliore…

Le prime due tappe per fortuna non avevano grandi influenze sulla classifica e ho potuto viaggiare di conserva, rimanendo nel gruppo. Quelle due tappe mi hanno restituito un po’ di brillantezza e nelle tappe successive ho potuto lottare con i migliori. Già dalla frazione di Nova Gorica ho visto che potevo fare qualcosa d’interessante.

Lo Slovenia è arrivato due settimane dopo il Giro. Dopo una grande corsa a tappe ci si divide sempre tra chi dice che fare un’altra corsa a tappe è controindicato e chi invece lo ritiene utile. Tu a quale schieramento appartieni?

Io sono sempre stato uno di quelli che usciva dalla corsa rosa con un’ottima gamba da sfruttare, ad esempio al Giro di Svizzera dove ho vinto una tappa nel 2017 e dove, quando ho corso, non sono mai uscito dai primi 10. La differenza secondo me dipende dal tempo dopo: il Delfinato arriva troppo a ridosso del Giro, è chiaro che lì non sei ancora riuscito a recuperare, fisicamente ma anche mentalmente. Ma la settimana successiva è già utile, la forma a quel punto emerge. Poi molto fa anche l’esperienza: nei primi anni avevo sensazioni altalenanti, poi sono andato sempre meglio.

Sono concetti assoluti o dipende molto dall’individuo?

Le caratteristiche del singolo corridore pesano sempre, ma parlando nel tempo con i compagni delle varie squadre, ho riscontrato che il principio di base è quello, la prima settimana è difficile, ma dopo si emerge. Il discorso legato al Delfinato è subordinato alla sua lunghezza: non parliamo di una corsa a tappe breve, ma quando si tratta di prove di 7-8 giorni, è un impegno diverso dal punto di vista organico, quindi richiede qualche accortezza in più.

Che livello era la corsa slovena?

Molto buona, c’erano squadre WorldTour e altri corridori che venivano dal Giro. Si andava sempre molto forte, è una corsa che è molto cresciuta e che mette alla prova chi gareggia.

A Roma, il suo addio da corridore al Giro d’Italia chiuso nonostante tutto al 20° posto
A Roma, il suo addio da corridore al Giro d’Italia chiuso nonostante tutto al 20° posto
Ti vedremo ai tricolori?

Sarà la mia ultima apparizione da corridore, voglio onorarli al meglio e gestirli bene, anche perché poi tirerò i remi in barca. Non avrebbe senso continuare senza impegni imprescindibili e proprio considerando quel che ho avuto alla fine del Giro. Gli altri anni non avevo mai tempo per recuperare, ora voglio staccare, riprendermi bene e cominciare a preparare la seconda parte di stagione.

Che cosa ti attendi?

Mi propongo di fare una bella chiusura, ritrovare la condizione che avevo due anni fa quando mi rammaricai molto di non aver potuto correre al Lombardia. Quest’anno non voglio mancare e prometto a tutti che sarà comunque una grande festa. Ci stiamo già pensando, soprattutto a qualcosa di gastronomico…

La nutrizione della Lidl-Trek, con i buoni consigli di Stephanie

18.06.2024
5 min
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«Durante i blocchi di gara – risponde Stephanie Scheirlynck – utilizziamo le stesse bevande sportive, barrette, gel e tutto il resto che usiamo anche in allenamento. E’ importante abituarsi a tutti questi prodotti. Invece altri come vitamine e altri integratori, utili sia per la salute che per la prestazione, sono diversi tra allenamento e gara. Ancora tanti pensano che il nutrizionista sia colui che stringe le maglie della rete, mentre io guardo davvero il mio ruolo in termini di prestazioni. Il cibo è una storia positiva, dovrebbe essere divertente e gustoso…».

Stephanie Scheirlynck lavora per la Lidl-Trek, laureata in Scienza della nutrizione con successivo master in Nutrizione sportiva. Ha trascorso gli ultimi 15 anni abbinando la scienza allo sport, dedicandosi alla ricerca scientifica e alla scrittura di libri di cucina sportiva incentrati sulle prestazioni. Negli anni ha collaborato con atleti di diverse discipline, dal calcio al ciclismo, passando per l’atletica leggera. Scopo dello scambio è capire in che modo il team americano gestisca l’integrazione e come collabori con Enervit che ne è sponsor (in apertura, foto The Trek Shop).

Stephanie Scheirlynck, belga, è nutrizonista alla Lidl-Trek (foto Het Nieuwsblad)
Stephanie Scheirlynck, belga, è nutrizonista alla Lidl-Trek (foto Het Nieuwsblad)

L’analisi del percorso

La strategia nutrizionale in gara viene impostata analizzando il profilo della corsa e adattando sin dal mattino il buffet della colazione alle esigenze degli atleti. Gli chef e i massaggiatori sanno cosa preparare e i corridori sono consapevoli di quando mangiare, quanto e perché.

«Nel nostro team – spiega – diamo sempre la possibilità ai corridori di avere una tripla opzione. Ad alcuni infatti piace avere tutto calcolato, altri preferiscono avere linee guida più ampie e altri ancora preferiscono scegliere da soli. Gli atleti di vertice non sono robot. La nostra missione è fornire loro informazioni su ciò di cui hanno bisogno e quando. Anche in allenamento ottieni prestazioni migliori, se mangi il cibo giusto al momento giusto. Recuperi più velocemente, eviti infortuni e così via. Ma l’attenzione non deve esaurirsi all’allenamento, anche l’alimentazione di base deve essere coerente. Il tempismo è essenziale. Con il nostro staff aiutiamo i corridori dove possiamo e ascoltiamo le loro preferenze».

Tutto sotto controllo

Pedalare per tre settimane attraverso la Francia comporta molta pressione, la nutrizione è uno dei pochi aspetti che si possano davvero controllare. Così con il Tour ormai in partenza, è interessante notare la differenza di trattamento fra corridore e corridore e il fatto che spesso siano proprio gli atleti a essere contenti di avere schemi alimentari predefiniti e rigidi.

«Alcuni pensano: se è stato calcolato per me – dice ancora Stephanie – allora non devo più pensarci. Alla Lidl-Trek diamo libera scelta, ma spesso sono loro a volere una routine ben definita. Conosco atleti molto razionali. Se faccio così, pensano, mi riprenderò molto meglio, quindi lo faccio. Ma una volta finita la competizione, si lasciano andare. Per fortuna ci sono sempre le date che fissano le scadenze e viene il momento in cui si torna a fare sul serio. Anche sul discorso del peso si sono fatti dei grandi passi avanti: adesso sappiamo che c’è un minimo sotto il quale non si deve scendere: tutto lo staff medico è sulla stessa linea in questo senso».

Fra scienza e tradizione

E’ il leit motiv di quasi tutti i team WorldTour: l’alimentazione rientra fra i… protocolli più soggettivi. Ciascuno ha le sue esigenze, la sua corporatura, il suo ruolo all’interno della corsa e ogni team ha il suo modo nell’approcciarle. Questo si traduce nel fatto che a parità di sponsorizzazione con Enervit, ad esempio, la UAE Emirates abbia necessità di gestire la perdita di sodio con la sudorazione, mentre questa alla Lidl-Trek è evidentemente una necessità meno urgente.

«Quando sono in gara – spiega – i nostri corridori preferiscono avere un mix di entrambe le bevande sportive (con un quantitativo di carboidrati fra 30 e 60 grammi per borraccia di carboidrati e sodio/sali), combinate con gelatine, gel o barrette. Invece non mettiamo in atto delle precise strategie per quanto riguarda la sudorazione. Con una buona pre-idratazione ed elettroliti extra prima e durante le gare o gli allenamenti possiamo soddisfare tutti i loro bisogni.

«Solo nelle corse veramente lunghe, pianeggianti e “più facili” i corridori prenderebbero anche del “cibo normale”, ma questo ormai è davvero raro. Nel menu di gara ci sono ancora le gallette di riso, ma torte e panini non si vedono più tanto spesso. Quindici anni fa ci si chiedeva se avessimo il miglior allenatore e i migliori materiali, adesso il mondo dello sport ha capito che le corrette abitudini alimentari non sono garanzia di vittoria, ma aiutano».

Pidcock torna alla mtb. Col Tour sempre nel mirino

17.06.2024
5 min
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Una cosa è certa: nessuno sta affrontando il percorso di avvicinamento al Tour de France come Tom Pidcock. Il suo è un continuo saltellare dalla bici da strada alla mtb e solamente il futuro dirà se è quello giusto. Il britannico è per certi versi tirato per la giacchetta tra chi guarda alla Grande Boucle sognando un possibile podio e chi invece punta a un clamoroso bis olimpico nelle ruote grasse, non dimenticando il fatto che, fra la conclusione della corsa a tappe e la prova di mtb a cinque cerchi ci saranno solamente 8 giorni.

Il primo a essere conteso è lo stesso britannico della Ineos Grenadiers (in apertura, foto Ramos) che vuole entrambe le cose e non ne fa mistero. Per questo si allena contemporaneamente per le due discipline, seguendo schemi che ha collaudato nel tempo. Il bello è che lo stesso Tom ne parla tranquillamente, molto meno tranquillo è il suo preparatore Kurt Bogaerts, che già di per sé è molto restio a comparire e che sul tema non proferisce parola, pensando a continuare a far lavorare il suo pupillo.

Pidcock ha chiuso 5° nella cronoscalata finale in Svizzera, a 50″ da Almeida
Pidcock ha chiuso 5° nella cronoscalata finale in Svizzera, a 50″ da Almeida

5 utili giorni di montagna

Pidcock è reduce da un Giro della Svizzera che, al di là del sesto posto finale, gli ha lasciato ottime sensazioni, soprattutto la cronoscalata: «Ho fatto la mia miglior prova contro il tempo da quando sono professionista – ha affermato all’arrivo – Quando ho iniziato la corsa elvetica ero appena sceso dall’altura e all’inizio le gambe non giravano, ma col passare delle giornate sono andato sempre meglio. I dati sono molto incoraggianti, soprattutto ritengo utile aver affrontato cinque giorni consecutivi di montagna, mi hanno fatto sentire sempre meglio ed è stato il miglior viatico per il Tour».

Ora però Pidcock resta in Svizzera. Niente campionati nazionali, c’è un altro evento che l’interessa: «Il fine settimana sarò a Crans Montana per affrontare la tappa di Coppa del Mondo di mountain bike, è un test importante per misurarmi con i miei avversari a Parigi. La forma c’è, ora bisogna riabituarsi in pochi giorni a un tipo di sforzo molto diverso».

Sesto posto finale nella corsa a tappe elvetica, dopo un inizio difficile buone sensazioni in salita
Sesto posto finale nella corsa a tappe elvetica, dopo un inizio difficile buone sensazioni in salita

Due allenamenti complementari

Il principale cruccio del britannico è proprio il lavoro specifico per la mountain bike, che viene giocoforza un po’ penalizzato in questo periodo della stagione: «So che non mi alleno in mtb quanto dovrei – ha detto in un’intervista su Cycling Weekly – ma io penso che i due tipi di allenamento siano abbastanza intercambiabili. Ora sto sicuramente facendo più sforzi in superleggera, il che significa fare più volume, ma questo lavoro si rivelerà utile anche per il fuoristrada. Io sono convinto che le due discipline si completino a vicenda».

Il passaggio repentino da una disciplina all’altra è per Pidcock cosa usuale, è anzi diventato una sorta di tradizione. Molti sono rimasti stupiti dalla sua scelta, all’indomani della sua quarta vittoria a Nove Mesto, nella tappa di Coppa, di atterrare a Barcellona e da lì, al lunedì, effettuare più di 230 chilometri verso la sua casa ad Andorra, il che vuol dire oltre 4.000 metri di dislivello: «Ho impiegato più di 8 ore in bici” affermava tramite social per poi spiegare nel dettaglio.

Pidcock prepara il Tour de France dove punta a far classifica, per poi pensare al bis olimpico
Pidcock prepara il Tour de France dove punta a far classifica, per poi pensare al bis olimpico

I lunghi viaggi in mtb

«I lunghi viaggi mi danno la possibilità di decomprimere la mente, di rilassarmi. Oltretutto, in bici ho scoperto posti e visto località che in auto non avrei mai apprezzato. Già due anni fa feci il trasferimento da Albstadt in Germania a Nove Mesto in Repubblica Ceka in bicicletta, oltre 190 chilometri e i risultati non mi pare che ne risentirono… Per me quella è una tradizione di primavera, è come se avesse un valore al di là dell’aspetto prettamente tecnico, è un buon auspicio. E poi sono sempre chilometri messi in cascina…».

Chi pensava che l’amore di Pidcock per la mtb stesse venendo meno (visto che aveva preannunciato come dal 2025 si dedicherà quasi esclusivamente alla strada) è servito. D’altronde i risultati che il britannico ottiene in mountain bike sono strategici nell’evoluzione della sua carriera. Quindi risponde stizzito a chi lo critica: «Sarò io e nessun altro a decidere come voglio che sia il mio Tour de France. Altrimenti non si otterrà nulla da me. Devo credere nella mia idea di come affrontare la Grande Boucle, come avvicinarmi, che cosa fare.

In mtb il britannico ha già dominato a Nove Mesto, per la quarta volta in carriera
In mtb il britannico ha già dominato a Nove Mesto, per la quarta volta in carriera

«Nessuno sarà come Pidcock…»

«Chi mi è accanto sa come lavoro e quanto sono serio, so che cosa serve per ottenere il mio obiettivo. So che molti guardano la mia carriera, paragonandola a quella di Pogacar o Evenepoel che sono della mia generazione e mi criticano. Ci sta, ma credo che al termine della mia carriera, se avrò vinto una classica Monumento o un mondiale su strada, unendoli a quel che ho portato a casa fra ciclocross e mountain bike, si potrà dire che come Pidcock non c’è stato proprio nessuno…».

Scalco cresce, fa esperienza e prenota un’estate al top

17.06.2024
4 min
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Il Giro Next Gen di Matteo Scalco finisce all’indomani della tappa regina, con arrivo a Fosse. 172 chilometri, cinque GPM con più di 3.000 metri di dislivello dove il corridore della Vf Group-Bardiani CSF-Faizanè ha pagato 23 minuti al vincitore Jarno Widar. Scalco è scivolato fuori dalla top 15 ed è tornato a casa, la motivazione è una faringite acuta che non gli ha permesso di continuare la corsa rosa under 23. 

Al primo arrivo in salita a Pian della Mussa un buon 14° posto
Al primo arrivo in salita a Pian della Mussa un buon 14° posto

Crescita

Un ritiro che lascia un po’ di amaro in bocca, ma la crescita di Scalco c’è stata. Nei due anni con il team dei giovani, guidato da Mirko Rossato, ha fatto passi in avanti notevoli.

«Rispetto al 2023 – ci aveva raccontato alla partenza da Borgo Virgilio – sono cambiate tante cose. Per prima cosa la scuola, le ore impiegate erano tante, come giusto che fosse. Da quest’anno, invece, ho potuto dedicare più tempo al ciclismo e alla preparazione. Ho curato tutti i particolari, compreso quello della nutrizione, dove sento di aver fatto dei passi in avanti. Ho visto fin da subito dei buoni risultati già dalla prima corsa in Turchia, il Tour of Antalya. Poi il calendario è proseguito con una primavera a due facce».

Scalco è stato costretto ad abbandonare il Giro Next Gen per una faringite
Scalco è stato costretto ad abbandonare il Giro Next Gen per una faringite
In che senso?

Ho corso tanto tra i professionisti con la presenza alla Coppi e Bartali e poi al Tour of the Alps. Nel mezzo ho preso comunque parte alle gare per under 23 come Recioto e Belvedere. Da un lato sono contento di aver fatto tanta esperienza tra i grandi, chiaro che era difficile ottenere dei risultati.

Il Tour of the Alps è stata la gara più difficile fatta fino ad ora?

Il livello era davvero molto alto, considerando che c’erano i protagonisti del Giro. Sicuramente per me è stata una grande emozione, girarmi e vedere a pochi centimetri Geraint Thomas fa un certo effetto. Soprattutto a 19 anni, è bello e assolutamente non scontato.

Che corsa è stata per te?

Ho visto come si corre veramente tra i grandi. E’ un modo diverso, sia per come si approcciano le salite, sia per come si sta in gruppo. Ogni chilometro che passava cercavo guardarmi intorno e capire, imparare.

Le gare con i professionisti gli hanno permesso di vedere come si corre a certi livelli
Le gare con i professionisti gli hanno permesso di vedere come si corre a certi livelli
Prima di andare al Giro Next Gen hai corso con la nazionale in Polonia…

Quella era una delle tappe di preparazione al Giro Next Gen. In realtà sono rimasto soddisfatto di quanto fatto, le sensazioni erano buone. Ho avuto un po’ di sfortuna che mi ha condizionato nel risultato, ma ero fiducioso. 

Al Giro sei arrivato pronto quindi?

Ero consapevole di aver lavorato bene. Anche in questo caso sapevo che il livello sarebbe stato davvero competitivo. Di per sé nelle prime tappe ero contento di quanto fatto, la squadra contava su me e Pinarello

Il giovane Scalco con alle spalle una leggenda come Thomas
Il giovane Scalco con alle spalle una leggenda come Thomas
In salita hai pagato un po’…

Sapevo che sarebbe potuto accadere, comunque sono un corridore che va forte nei percorsi mossi. Su certe salite devo ancora migliorare, crescere. Tornare a casa anticipatamente dal Giro Next Gen mi è dispiaciuto, ma continuare era impossibile. 

Ora si resetta la testa e si riparte?

Vedremo come recupero, probabilmente salterò il campionato italiano. L’obiettivo di luglio è il Valle d’Aosta, ho ancora un mese per prepararlo e spero di farlo al meglio. La squadra mi sta dando fiducia e voglio ripagarli.

EDITORIALE / Fare finta di nulla significa dargli ragione

17.06.2024
4 min
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A forza di abbozzare e non dargli troppa importanza, si finisce col dargli ragione. Il riferimento è alle parole del consigliere comunale di Milano che si è permesso di dire che i ciclisti, ammazzati da automobilisti e camion sulle strade cittadine, se la sono cercata e che a lui non dispiace più di tanto. Dice che c’è bisogno di parcheggi e non di piste ciclabili, dimostrando di non aver capito che le città andrebbero svuotate dalle auto e non riempite (in apertura, una protesta contro il nuovo Codice della strada. Foto FIAB).

Un film già visto

Al di là della considerazione che si possa avere per l’individuo in questione, la cui consapevolezza di quanto avviene nel resto d’Europa è evidentemente nulla, sembra di essere tornati al periodo in cui ci si poteva permettere di dire che i ciclisti sono tutti dopati. E a forza di abbozzare e di non rispondere per non dargli importanza, si è finito col dargli ragione. Ancora oggi, nonostante i programmi antidoping di questo sport siano all’avanguardia e al limite della violazione dei diritti basilari degli atleti, bastano pochi minuti di conversazione con persone comuni per sentire la solita battuta: i ciclisti sono tutti dopati. Il danno è stato fatto, è irrimediabile e ha investito l’immagine e le risorse del ciclismo.

Per cui se una persona, sia pure di vedute limitate, si permette di affermare che dei ciclisti ammazzati non gli importa più di tanto, bisogna trovare il modo di farglielo rimangiare con una denuncia e una condanna così pesanti da disincentivare altri dal pensarlo. Anche se in Italia certe denunce purtroppo non portano a niente. E finisce come alla Granfondo Sportful, dove ieri una signora ha pensato bene di forzare un blocco, immettersi nel percorso di gara e travolgere tre ciclisti, considerando che tutto sommato si trattava solo di una corsa di bici.

Nel 2023 in Italia sono morti 197 ciclisti, ben più ampio il bilancio degli incidenti (depositphotos.com)
Nel 2023 in Italia sono morti 197 ciclisti, ben più ampio il bilancio degli incidenti (depositphotos.com)

Il codice della strage

Nell’Italia, che dall’incentivare l’uso delle bici potrebbe avere solo vantaggi, c’è chi spinge consapevolmente per spostare la bicicletta ai margini della società. Chi invece cerca di farne un mezzo di svolta ecologica o una fonte di guadagno viene liquidato con considerazioni da farti cadere le braccia.

Il Codice della strada, che è stato ormai ribattezzato “Codice della strage”, spinge per l’eliminazione dei controlli di velocità. Siamo tutti automobilisti, sappiamo bene cosa significhi prendere una multa. Ma anziché reclamare una migliore educazione stradale e capire che quel limite potrebbe salvare la vita a un bambino, sotto sotto siamo lieti di poterlo oltrepassare senza rischiare sanzioni. I Comuni ci faranno anche cassa, ma è un fatto che i limiti vengano violati. Il ministro Salvini si oppone alle zone con velocità limitata, allo stesso modo in cui altri capi di governo sostennero che in fondo è giusto non pagare le tasse. Ne consegue che gli utenti deboli della strada continuano a morire e l’evasione fiscale sia una delle piaghe che ci mette sulle ginocchia.

La bicicletta di Rebellin, ucciso il 30 novembre 2022: il simbolo della fragilità del ciclista sulla strada
La bicicletta di Rebellin, ucciso il 30 novembre 2022: il simbolo della fragilità del ciclista sulla strada

Solo De Marchi

Su quell’improvvisa uscita del consigliere ci sarebbe piaciuto leggere una dichiarazione di alti esponenti del Governo, ma non hanno aperto bocca. Ci sarebbe piaciuto leggere la dichiarazione della Federazione ciclistica, ma non hanno aperto bocca. Il ciclismo ha risposto con Alessandro De Marchi, l’unico a metterci la faccia per la sua sensibilità di uomo e poi di ciclista.

E’ sbagliato liquidare le esternazioni del consigliere Paolo Roccatagliata ricordando i suoi svarioni passati, come quando si è presentato nudo a una commissione online dicendo di non essersi accorto di avere la telecamera accesa. E’ sbagliato fare finta di niente. In questo Paese in cui giustamente ci si indigna per i femminicidi, si continua a non notare che muoiono più ciclisti che donne (120 donne nel 2023 e 197 ciclisti) e nessuno dice niente. Anzi, qualcuno ha parlato. E ha detto che non gliene importa più di tanto.