SAINT QUENTIN EN YVELINES (Francia) – Le medaglie della pista sono tre e non è detto che la nostra avventura di Parigi 2024 sia finita qui. Aspettando Letizia Paternoster, il commissario tecnico Marco Villa si gode i successi nella madison, per certi versi inattesi, come magari ci si attendeva qualcosina di più dai quartetti, soprattutto quello maschile. Villa inizia con la madison.
«La vittoria di Consonni e Guazzini – dice Marco (in apertura con Viviani dopo la madison di ieri) – ha reso giustizia al settore femminile, che non ha preso la medaglia col quartetto per la sfortuna che ha avuto Elisa Balsamo».
L’oro nella madison femminile ha vendicato il quarto posto del quartetto e la sfortuna di Elisa BalsamoL’oro nella madison femminile ha vendicato il quarto posto del quartetto e la sfortuna di Elisa Balsamo
Quindi Elia Viviani e Simone Consonni hanno reso giustizia al settore maschile?
Credo proprio di sì. Elia sta benissimo, nell’omnium non lo avevo mai visto andare così forte. Ha cambiato modo di allenarsi. Ha visto che per correre queste gare vanno usati rapporti più lunghi. Non li avevamo nelle gambe, ma ci abbiamo lavorato, ci ha messo tanto impegno.
Dopo l’omnium c’era un po’ di delusione?
Siamo andati in albergo la sera con la netta percezione che ci mancasse qualcosa. Nel primo scratch è capitata una cosa che a noi non capita mai, cioè Thomas che prende il giro così facilmente. Oggi (ieri, ndr) ci abbiamo provato anche noi. Addirittura Elia era pronto a provare a prendere il giro già all’inizio, come ha fatto l’Austria. Era una follia, ma dovevamo inventarci qualcosa.
Oltre alla testa, ha avuto le gambe per farlo.
Lui sta bene, lo ripeto. Dopo l’omnium non mi tornavano i conti. Meritava un risultato, che lo ripaga degli sforzi che ha fatto. Ugualmente Simone, è sempre andato vicino al grande risultato. Abbiamo lavorato poco specificatamente, ma ci siamo arrivati bene. Non è una medaglia da outsider.
Fratelli Consonni, tre medaglie in due. Qui Chiara con il suo oroPer Simone alla fine due medaglie: il bronzo nel quartetto e l’argento nella madisonFratelli Consonni, tre medaglie in due. Qui Chiara con il suo oroPer Simone alla fine due medaglie: il bronzo nel quartetto e l’argento nella madison
La caduta ha tolto un oro?
Il Portogallo è rinvenuto forte negli ultimi 30 giri. Non li riconoscevo nei primi 160, hanno fatto un attacco che è durato poco e poi sono tornati indietro. Il ritmo era alto per tutti. Peccato per la caduta. Elia stava cambiando, Simone è caduto e lui è tornato su, facendo altri sei giri, con neozelandesi e portoghesi che attaccavano. Quello sforzo nel finale ci ha penalizzato. Peccato.
Il settore pista è in salute, ormai si può dire.
Il valore assoluto è sempre quello. Si è aggiunto il settore femminile, che ha imparato dal settore maschile. I talenti ci sono. Siamo arrivati qua con una grande esperienza, da campioni olimpici con i maschi e campionesse del mondo due anni fa con le ragazze su questa pista. Il livello è alto, queste medaglie non sono arrivate gratis.
La tattica che ha portato all’argento dell’omnium di Viviani e Consonni è nata da improvvisazione e forza fisicaLa tattica che ha portato all’argento dell’omnium di Viviani e Consonni è nata da improvvisazione e forza fisica
Gli inglesi si chiedono come sia possibile che a ogni edizione l’Italia si presenti con squadre forti.
Noi e gli inglesi abbiamo lo stesso modo di lavorare. Anzi, su alcune cose ci hanno copiato. Nel preparare Londra hanno costruito la Sky per vincere le Olimpiadi. Da lì sono usciti Wiggins, Cavendish, Thomas. Ora hanno Hayter. Il modello prestazionale è rimasto lo stesso. Il loro modo di lavorare è il nostro. Devi prendere quelli forti e quelli forti stanno su strada. Devi quindi trovare il modo di non far perdere loro l’attività su strada, che ti dà lo stipendio. Ma la pista ti dà le medaglie olimpiche.
E il futuro?
Mi piacerebbe avere una squadra di riferimento italiana che trattenga i giovani e gli faccia fare il percorso di Viviani, Ganna, Consonni e Milan. Speriamo che non rimanga nel cassetto. C’è stato un cambio di rotta da Londra. L’ho chiesto alla Federazione. Abbiamo perfezionato il sistema che vedete adesso e abbiamo trovato i campioni. Madre natura ci ha dato campioni. Mamma Consonni addirittura ce ne ha dati due. Da Londra abbiamo fatto sistema e questo è importante.
A Londra 2012, Viviani ha 23 anni. Corre su strada, ma anche su pista ed è 6° nell’omniumA Londra 2012, Viviani ha 23 anni. Corre su strada, ma anche su pista ed è 6° nell’omnium
Elia Viviani chiude un cerchio.
A Londra eravamo solo io e lui. E lì ha perso un oro. Lo ha perso nel primo scratch, per una caduta. Hansen non era nei 7 che stavano prendendo il giro. Quella caduta lo ha fatto riposare e risalire. Se non fosse caduto, non avrebbe preso quella occasione e poi preso tutti quei punti che gli hanno consentito di battersi fino alla fine.
Un aggettivo per Elia.
Immenso. Incredibile. Si è allenato come un diciottenne. E’ un esempio e per fortuna altri hanno preso esempio da lui. Peccato che non lo prendano ad esempio tanti direttori sportivi o tanti manager. Pensano ancora che mandare i ragazzi in pista sia un handicap.
«Per me è un bel percorso. Un percorso che accontenta un po’ tutte le atlete e la cui difficoltà va in costante crescendo, fino al gran finale sull’Alpe d’Huez». Giada Borgato ci presenta il tracciato del prossimo ed imminente Tour de France Femmes, che vedrà impegnate le atlete dal 12 al 18 agosto.
Anche se la Rai non trasmetterà la corsa francese, Giada si è preparata bene. Ha preso le carte e i suoi appunti della Grande Boucle. E infatti quando l’abbiamo sentita, era davvero sul pezzo.
Ex professionista su strada, oggi Giada Borgato è anche una commentatrice tecnica per la RaiEx professionista su strada, oggi Giada Borgato è anche una commentatrice tecnica per la Rai
Giada, sette giorni, otto tappe da Rotterdam all’Alpe d’Huez: su carta sembra più facile rispetto all’anno scorso. Cosa ne pensi?
Vero, a sensazione è meno duro dell’anno scorso. Ma attenzione, a me quel che colpisce parecchio è la lunghezza delle tappe. Le ultime quattro frazioni sono molto lunghe e lo abbiamo visto anche alle Olimpiadi cosa vuol dire per le ragazze affrontare certi chilometraggi. Non ci sono abituate. A Parigi man mano crollavano per la distanza e non perché il percorso fosse duro. Rispetto al Giro d’Italia Women ci sono anche 20-30 chilometri in più e questi si faranno sentire. Immagino che una Vollering che ha puntato tutto sul Tour abbia lavorato molto sul fondo e la distanza. Le altre magari hanno avuto meno occasione per farlo.
Si parte dall’Olanda: appena 200 metri di dislivello nelle prime tre tappe (e 9.000 nelle ultime tre)…
Le prime tappe in effetti sono dei veri piattoni. E’ l’Olanda! Immagino che le squadre delle velociste, su tutte la SD Worx con la Wiebes, controlleranno la corsa. La seconda frazione è una semitappa di 69 chilometri, ancora piatta, ancora per sprinter.
Ecco, cosa ti aspetti da questa tappa? Si riscalderanno? E le big si risparmieranno per la cronometro del pomeriggio?
Credo proprio che faranno i rulli prima di partire. Sarà una fiammata, una tappa strana in cui si andrà a blocco dall’inizio alla fine. Immagino che qualcuna proverà a scappare, ma credo anche che difficilmente ci riuscirà. Sarà un’ora o poco più di gara e non credo che le donne di classifica si risparmieranno, piuttosto penseranno a stare attente, a stare davanti.
La planimetria del Tour de France Femmes. Partenza da Rotterdam, arrivo all’Alpe d’Huez dopo 949,7 km e 12.926 metri di dislivelloLa planimetria del Tour de France Femmes. Partenza da Rotterdam, arrivo all’Alpe d’Huez dopo 949,7 km e 12.926 metri di dislivello
E quindi al pomeriggio c’è questa crono di 6,3 chilometri. Non ti sembra un po’ corta?
In effetti è praticamente un prologo. E’ totalmente piatta senza neanche difficoltà planimetriche: lunghi rettilinei, sette curve e una rotatoria. Piuttosto una sfumatura interessante potrebbe essere quella degli orari di partenza. La prima ragazza scatta alle 15,10, l’ultima un bel po’ dopo, è interessante per valutare i tempi di recupero. In ogni caso, salvo un meteo particolare, immagino distacchi brevi, al massimo di 10”-15”, ovviamente parlo di chi fa classifica. Forse una Niewiadoma, potrebbe pagare qualcosina di più.
Hai parlato di tempi di recupero, ti aspetti che qualche big per poter partire dopo faccia lo sprint nella semitappa del mattino?
Non credo. Penseranno più a stare attente a non cadere, anche perché saranno tutte fresche e con la voglia di fare bene, quindi meglio togliersi dai guai.
Visto il tracciato così filante di questa crono e povero di curve, secondo te qualche ragazza prenderà spunto da Van Aert e correrà con la doppia lenticolare?
A mia memoria non ricordo donne che abbiano usato la doppia lenticolare. Le ragazze sono mediamente più leggere e la bici non è facile da guidare, quindi direi di no: niente doppia lenticolare. Poi magari qualcuna della Visma-Lease a Bike avrà provato questa soluzione e ci stupirà. Ovviamente meteo permettendo.
Rotterdam – L’Aia: 1ª tappa di 123 km (da notare il Gpm di 4ª categoria sotto il livello del mare. E’ una risalita di un tunnel sotto ad un fiume)Dordrecht – Rotterdam: 2ª tappa di 69,7 kmRotterdam – Rotterdam: 3ª tappa di 6,3 km (crono individuale)Valkeburg – Liegi: 4ª tappa di 122,7 kmBastogne – Amnéville: 5ª tappa di 152,5 kmRemiremont – Morteau: 6ª tappa di 159,2 kmChampagnole – Le Grand Bornand: 7ª tappa di 166,4 kmLe Grand Bornand – Alpe d’Huez: 8ª tappa di 149,9 kmRotterdam – L’Aia: 1ª tappa di 123 km (da notare il Gpm di 4ª categoria sotto il livello del mare. E’ una risalita di un tunnel sotto un ad fiume)Dordrecht – Rotterdam: 2ª tappa di 69,7 kmRotterdam – Rotterdam: 3ª tappa di 6,3 km (crono individuale)Valkeburg – Liegi: 4ª tappa di 122,7 kmBastogne – Amnéville: 5ª tappa di 152,5 kmRemiremont – Morteau: 6ª tappa di 159,2 kmChampagnole – Le Grand Bornand: 7ª tappa di 166,4 kmLe Grand Bornand – Alpe d’Huez: 8ª tappa di 149,9 km
E arriviamo alla quarta tappa: Valkenburg-Leigi e qui le cose cambiano. In pratica si passa dall’Amstel Gold Race, alla Liegi appunto…
Questa è bella tosta e arriva dopo le due semitappe del giorno prima. Due semitappe che lasceranno il segno e che vedranno le ragazze impegnate dalla mattina alla sera. I tempi di recupero in questi casi si allungano. Questo sarà il primo vero banco di prova per le donne di classifica.
Chi fa le classiche è avvantaggiato?
Certo, poi però è anche vero che tra le donne è un po’ diverso rispetto agli uomini. Tutte, specie le più forti, fanno le classiche. Quindi conoscono le strade, il vento, le salite e quel che le aspetta. Tutte insomma hanno fatto una Liegi. E questo discorso vale anche per il possibile vento che potrebbero trovare nelle prime tappe olandesi. Tutte le ragazze hanno corso quelle classiche.
Quinta tappa: Bastogne-Anméville di 152 chilometri…
Qui le cose cambiano ancora. La distanza inizia ad essere importante. Il Tour Femmes la dà come tappa di pianura, ma è un continuo su e giù. Ci sono quasi 2.000 metri di dislivello. Anche in questo caso bisognerà tenere conto delle fatiche precedenti. Che dire? Una Wiebes su questi strappi non si stacca, però è anche vero che le squadre dovranno pensare anche alle donne di classifica, a non sprecare troppo. Dipenderà tutto da quanto terranno chiusa la corsa. Mentre è da fuga la tappa del giorno dopo
La sesta…
Quella di Morteau. In teoria potrebbero anche emergere le donne di classifica, però anche vero che grandi occasioni per fughe non ce ne sono e questa potrebbe essere la tappa ideale per le attaccanti. Certo che se in questa sesta tappa dovesse arrivare una fuga sarebbe una fuga di qualità. Comunque c’è anche qualche salita lunga, specie nella seconda metà della tappa. In più correranno sempre nelle ore più calde e se le cose saranno come al Giro Women anche questo sarà un fattore di cui tenere conto e che potrebbe fare la differenza.
La corsa percorrerà le strade delle classiche, tra cui la Liegi. Qui l’attacco di Longo Borghini a Liegi, ma Elisa non ci saràLa corsa percorrerà le strade delle classiche, tra cui la Liegi. Qui l’attacco di Longo Borghini a Liegi, ma Elisa non ci sarà
Le ultime due frazioni sono sulle Alpi. S’inizia con Le Grand Bornand, il cui finale è dolce…
Qui si deciderà il Tour Femmes. Con la settima tappa avremo una classifica ben delineata. Magari qualche atleta, che era ancora ancora davanti perché era riuscita ad infilarsi, perché aveva preso qualche fuga e si era mossa bene sugli strappi, qui non si potrà nascondere. La tappa di Le Grand Bornand è lunghissima, 167 chilometri, e le ultime due scalate anche se sono di seconda categoria vanno quasi intese come una sola salita, visto che sono separate da una discesa brevissima. Vero, le pendenze non sono esagerate, ma nel complesso ci sono 3.000 metri di dislivello.
Gran finale, ottava tappa, sull’Alpe d’Huez. Che distacchi ti aspetti su una salita simile? Grandi oppure saranno tutte livellate dalla fatica?
Una salita iconica. Sarà un finale bellissimo. E sarà bello vederci le donne. Ancora una volta mi spaventano i chilometri di questa tappa, sommati a quelli effettuati tre giorni precedenti. Riguardo ai distacchi non è facile parlarne. Bisognerà vedere come arriveranno ai piedi dell’Alpe. Se staranno bene non saranno troppo distanti le une dalle altre, ma se qualcuna dovesse andare in crisi farà presto a perdere tanti minuti su quelle pendenze.
Anche per le donne ci si aspetta tanto pubblico lungo la scalata all’Alpe d’HuezAnche per le donne ci si aspetta tanto pubblico lungo la scalata all’Alpe d’Huez
Che andamento tattico vedremo in questa frazione finale?
Chi non ha più nulla da perdere tenterà il tutto e per tutto… tanto il giorno dopo può restare a letto! Chi va bene in salita ci proverà. In fase di avvio ci sarà bagarre, mentre le big se ne resteranno tranquille fino al Glandon. Questa è una scalata di 20 chilometri, dura… Lì qualcosa succederà, fosse anche solo che qualcuna si stacca. Ma poi è interessante anche la discesa con quel muretto spaccagambe prima di arrivare in basso. Gambe fredde e sbam! Questo strappo… E poi sull’Alpe chi ne avrà andrà.
Si corre in sette, quanto è importante avere una squadra forte su questo percorso?
La squadra è sempre importante, ma in questo caso forse lo è quasi più per le velociste nella prima parte del Tour che non per le donne di classifica. Perché poi c’è tanta salita e tutta nel finale e lì contano le gambe soprattutto. La squadra conta soprattutto per chiudere. Potrebbe essere molto utile nella tappa di Liegi, se qualcuna dovesse andare un po’ in difficoltà o fosse un po’ distratta. Mentre in salita, tra le donne, non ci sono dei blocchi forti come tra gli uomini.
Cioè?
Se hai una compagna che tiene in certi momenti, vuol dire che è una capitana, più che una gregaria. Sì forse Fisher-Black e Vollering o Niewiadoma e Bradbury, ammesso che la giovane australiana ci sarà, ma sono solo in due compagne e solo in pochi casi.
SAINT QUENTIN EN YVELINES (Francia) – Quando si accascia a terra, è quello di Londra. Solo. «E’ arrabbiato», rivela la moglie Elena Cecchini. Voleva vincere. Quando si rialza, è quello di Tokyo. Fiero come un portabandiera, commosso perché i grandi non devono nascondere la loro sensibilità. Si mostrano per quelli che sono. E lui è ancora quello di Rio, un campione assoluto. L’Elia Viviani di Parigi scrive l’ultima pagina di una carriera olimpica speciale.
Oliveira e Leitao: i campioni olimpici della madison vengono dal PortogalloCommozione, felicità, gratitudine nell’argento di Viviani e ConsonniMorkov e Lars, medaglia di bronzo. Per Michael si avvicina il momento del ritiroOliveira e Leitao: i campioni olimpici della madison vengono dal PortogalloCommozione, felicità, gratitudine nell’argento di Viviani e ConsonniMorkov e Lars, medaglia di bronzo. Per Michael si avvicina il momento del ritiro
Tre metalli, lo stesso Elia
C’è tutto Elia, in tutti e tre i metalli che da oggi ha a casa. Ragazzo d’oro, lo conferma chiunque lo frequenti. Capelli che prima o poi saranno d’argento, il maledetto tempo passa anche per lui. Faccia di bronzo in pista, quando serve. Quando, ad esempio, c’è da cogliere il momento per prendere un giro al gruppo nella madison. Ha sempre avuto un’intelligenza superiore alla media, l’ha dimostrato anche ieri, nel momento chiave. Quando ha capito che si poteva prendere quel vantaggio che ha consentito di raggiungere il podio a lui e a Consonni.
Chissà come sarebbe andata senza quel cambio sbagliato prima dell’ultimo sprint che ha portato alla caduta di Simone.
«Il Portogallo ha vinto di 7 punti – analizza lui – con la volata saltata potevamo prenderne 5, non s’è perso l’oro per quello».
«Ci ha scombussolato i piani nel finale, ma con i se e con i ma non si va da nessuna parte», ribatte Consonni. Che si prende la seconda medaglia, la terza in una ideale cameretta con la sorella Chiarain cui magari già da piccoli sognavano le Olimpiadi.
Cambio sbagliato, Consonni è caduto, ma riparte con la rabbia in voltoSimone è scivolato dalla curva ed è… atterrato all’interno della pistaIl tempo di capire cosa sia successo e poi il bergamasco riparte a tuttaCambio sbagliato, Consonni è caduto, ma riparte con la rabbia in voltoSimone è scivolato dalla curva ed è… atterrato all’interno della pistaIl tempo di capire cosa sia successo e poi il bergamasco riparte a tutta
Tanti lavori di qualità
Quello di Londra è il Viviani che è arrivato qui. Quello che «si è allenato come un diciottenne», come racconta il Ct Marco Villa. E lui conferma. «Abbiamo fatto tantissimi lavori di qualità». Come se dovesse affrontare la prima Olimpiade. «Dovevamo alzare i watt, trovare rapporti più duri. Non ho lavorato più neanche col quartetto».
Poi però nell’omnium qualcosa non è andato nel verso giusto. Come a Londra, appunto. «Ci sono rimasto male, perché avevo lavorato tanto. Ho trovato avversari fortissimi, ma qualcosa non ha funzionato. La madison è una gara che non abbiamo preparato, ma che sappiamo correre. Ce lo hanno dimostrato anche le ragazze. Vederle da fuori ci ha aiutato. Serviva coraggio, l’abbiamo trovato, a costo di saltar per aria nel finale. Invece è andata bene, è stato bello, con un pizzico di follia». Come quando si è giovani, appunto.
Decisive le due volate vinte da Viviani e il giro conquistato prima di metà corsaDecisive le due volate vinte da Viviani e il giro conquistato prima di metà corsa
L’ultima gara di un campione
Elia però è anche quello di Rio. Un esempio, come deve essere un portabandiera. «Ho corso con la testa, con il cuore e con le gambe di Elia», racconta Simone Consonni, che in testa aveva proprio il casco del suo compagno di squadra. «Perché ne avevo provati altri, ma era andata male». Il suo è un argento che «vale tanto, perché è la seconda medaglia». Per la sorella Chiara, che «mi ha detto che mi vuole bene e non ce lo diciamo spesso. E’ la cosa più bella».
Vale «per tutta la nostra squadra. Se anche i quartetti non sono andati come si sperava, siamo lo stesso una squadra forte». Con un leader vero. «Quando parti e sai che partecipi all’ultima gara di un campione che ha fatto la storia, sai che devi essere perfetto. E sono molto contento di essere stato sul podio con lui. E di aver messo in pista tutto quello che mi ha trasmesso lui in questi anni».
Viviani e Consonni si sono ritrovati a meraviglia, correndo con grande luciditàViviani e Consonni si sono ritrovati a meraviglia, correndo con grande lucidità
Il valore dell’argento
Elia è quello di Tokyo. Quello che sa cogliere il valore di una medaglia anche se non è del metallo più prezioso.
«In Giappone esultai di più – dice – perché me l’ero guadagnato con le unghie e con i denti. Qui l’oro era vicinissimo e anche per questo ho pianto. Per la rabbia. Ma poi analizzo tutto e so bene che è un argento guadagnato e importantissimo. Volevo chiudere la mia esperienza olimpica con una medaglia e ce l’ho».
Viviani con Amadio, team manager della nazionale, che fece passare Elia nella Liquigas. Dietro il fratello AttilioViviani con Amadio, ora team manager della nazionale, che fece passare Elia nella Liquigas
Con gli occhi di Elena
Quello di Parigi è l’Elia ormai sposato, che si fa guardare anche con gli occhi della moglie. «La medaglia era il suo obiettivo e l’ha raggiunto. E’ un campione. Siamo stati molto lontani in questi mesi, ora non vedo l’ora di passare del tempo con lui».
Il tempo dice che questa è l’ultima Olimpiade. Elia sarà alla cerimonia di chiusura, come è stato in quella di apertura. «Abbiamo chiuso un cerchio. Olimpico. Avrei firmato per una medaglia. Analizzando le cose, però, noi abbiamo preso un giro di astuzia, i portoghesi lo hanno fatto nel momento in cui è esplosa la corsa. E’ un segnale di gambe. Erano i più forti, probabilmente non potevamo farci niente. Mancava l’argento, lo mettiamo in collezione. E chiudiamo questa storia con il lieto fine».
Se ne va sorridendo. E lascia un dubbio. Forse Elia non è né quello di Londra, né quello di Rio, né quello di Tokyo, né quello di Parigi. E’ semplicemente quello di sempre. Una stella. E nella notte di San Lorenzo, a Parigi le stelle non cadono. Salgono sul podio.
In attesa di definire i suoi impegni con FCI e Ineos Grenadiers, Elia Viviani è coinvolto nel nuovo progetto Ducati. Un impegno con varie sfaccettature
«Come sto? Alla Vuelta Burgos ho trovato le risposte che cercavo». Lorenzo Fortunato ha da poco chiuso la sua corsa di antipasto alla Vuelta e da Madrid stava per tornare in Italia. Spesso gli aeroporti sono il luogo migliore per raccontare. L’attesa fa scorrere bene le parole. «Almeno – riprende Lorenzo – io torno a casa quattro giorni, c’è gente che da Burgos va a San Sebastian e poi diretta alla Vuelta».
Il corridore dell’Astana-Qazaqstan è soddisfatto: un secondo posto nell’unica tappa di salita, tra l’altro alle spalle del redivivo Sepp Kuss, e una gamba che risponde presente dopo un immenso lavoro fatto in estate.
Incontri all’aeroporto di Madrid! Fortunato è rientrato in compagnia di Davide Piganzoli. Entrambi erano a BurgosIncontri all’aeroporto di Madrid! Fortunato è rientrato in compagnia di Davide Piganzoli. Entrambi erano a Burgos
Lorenzo, dicevi di buone risposte…
Sì, sono stato un mese in altura a Livigno: dal primo luglio al primo agosto. I primi 15 giorni proprio a Livigno con altri undici ragazzi della squadra. Poi ho fatto tre giorni in basso a casa e successivamente sono risalito ancora più su, a Trepalle, con i soli compagni della Vuelta.
Caspita un mese: però i risultati si sono visti…
Alla fine a Burgos c’era un solo arrivo in salita e stavo bene. Poi a crono ho sofferto un po’, mi sono difeso. Ma già al secondo giorno avevo perso del tempo in seguito ad un caduta e addio classifica. Ma l’importante comunque era correre. Non mettevo il numero dal Delfinato e bisognava tornare in gruppo.
Fortunato (classe 1996) si è difeso a cronometro, anche se ha pagato un bel po’Fortunato (classe 1996) si è difeso a cronometro, anche se ha pagato un bel po’
Come hai lavorato in quel mese a Livigno?
Dopo il Delfinato sono stato otto gironi senza toccare la bici. Quindi riposo assoluto. Ho fatto comunque il campionato italiano, ma in appoggio ai compagni e quindi sono salito in quota. Nei primi 15 giorni ho fatto soprattutto ore e bassa intensità. Cercavo di andare verso Saint Moritz, per fare meno salita possibile, cosa non facile da quelle parti, ma restando in quota, sempre sopra i 1.500 metri. Nelle altre due settimane invece è aumentata la parte d’intensità. Facevo due giorni di carico e uno di scarico. E quando facevo scarico non uscivo.
E cosa facevi in quei giorni di recupero?
Per la precisione era un riposo attivo: un giorno alternavo la palestra e nell’altro una piccola passeggiata in quota, ma roba di 40′-45′ giusto per far passare il tempo. In palestra facevo la pressa per la forza resistente e lo squat per quella esplosiva. Maurizio Mazzoleni, il mio preparatore, ci tiene molto a portare avanti la palestra anche durante la stagione.
Lorenzo, ti appresti a fare per la prima volta il secondo grande Giro nella stessa stagione. Cosa ti aspetti?
Avevo voglia finalmente di provare fare il secondo grande Giro in un anno e testarmi. E poi sarà anche la mia prima Vuelta. E’ da tanto ormai che corro in Spagna, mi piace e mi piacciono le salite. Magari sono un po’ più corte rispetto al Giro, all’Italia, ma sono belle dure.
Verso Lagunas de Neila il bolognese ha attaccato e solo Kuss (in giallo sullo sfondo) lo ha battuto (foto Instagram – @gettyimage)Verso Lagunas de Neila il bolognese ha attaccato e solo Kuss (in giallo sullo sfondo) lo ha battuto (foto Instagram – @gettyimage)
Con che obiettivi parti?
Non starò a stressarmi per la classifica, ma punterò alle tappe. O meglio, la vivrò giorno per giorno. La priorità comunque sono le tappe. Anche al Giro d’Italia ero partito così, solo che poi dopo la seconda frazione mi sono ritrovato quarto e da quel momento ho curato la classifica. Però credo che alla Vuelta senza Pogacar, Remco o Vingegaard ci saranno più possibilità. Più spazio.
Cosa intendi di preciso?
Senza un faro, un dominatore, ci sarà più spazio in generale: per le fughe, per la classifica, per attaccare. Tutto potrebbe essere un po’ più alla portata, senza uno o due dominatori che controllano la corsa costantemente. E un po’ si è visto al Delfinato come sono andate le cose senza di loro.
E’ la tua prima Vuelta, cosa ti hanno detto in merito a questa corsa compagni e colleghi?
C’è chi mi dice che sia più bella del Giro e del Tour. Che si vive con meno stress. Sicuramente si andrà forte e il percorso è più duro sia del Giro che del Tour. Già nella prima settimana c’è un arrivo in salita e altre due tappe toste. E dalla seconda in poi sono praticamente tutte frazioni dure.
Però ci arrivi bene dai. Come dicevamo a Burgos ci è voluto Kuss per toglierti il successo…
E questo mi dice che ho lavorato bene e che sono pronto per la Vuelta. In salita sto bene. A Burgos ho sofferto un po’ i cambi di ritmi, ma era normale dopo tanta altura. Anche se ho lavorato sull’intensità non puoi replicare certi ritmi. E poi erano mesi che non correvo. Quindi risposte buone. Ora ho quattro giorni di vero recupero. Oggi il viaggio, domani ancora niente, poi un paio di uscite tranquille e quindi si va diretti a Lisbona. Ne approfitterò per stare un po’ in famiglia e con Veronica, che a fine Vuelta diventerà mia moglie!
Incontro in Spagna con Samuele Battistella. La luce giusta negli occhi: l'obiettivo nel 2023 è vincere. Senza Covid o incidenti, sarà il riscatto azzurro
Ultime battute della corsa in linea maschile alle Olimpiadi di Parigi 2024. Sulla salita di Montmartre Remco Evenepoel ha piazzato la sua stoccata decisiva. E’ in fuga solitaria, il vantaggio è subito lievitato nei confronti di Madouas. Ma lui non lo sa: la moto con la lavagna è dietro, le radio non si possono usare. Il belga parla concitatamente con la moto del cameraman televisivo indicando nervosamente il polso: «Quanto ho di vantaggio?» chiede senza risposta. Prima c’era stata la foratura. La grande paura. Che non avrebbe provato, sapendo il baratro che aveva scavato…
Evenepoel chiede notizie alla moto, indicando il polso. Ma Madouas era lontano (immagine tv)Evenepoel chiede notizie alla moto, indicando il polso. Ma Madouas era lontano (immagine tv)
Radio, sì o no?
La gara olimpica ha riproposto la vecchia questione del correre con o senza le radio di collegamento con l’ammiraglia. Diciamoci la verità: la polemica legata a questo aspetto, venata di nostalgia per il bel tempo che fu, risulta un po’ stantia. E’ vero però che una gara vissuta senza questo ausilio tecnologico è molto diversa da quelle a cui siamo abituati.
Davide Bramati, che di Remco è il diesse e condivide con lui gran parte della stagione, ha vissuto con grande interesse, anche se da spettatore, la gara a cinque cerchi e anche lui è rimasto colpito da questo aspetto passato da molte parti in second’ordine.
Lo stop di Remco per la foratura, attimi concitati non conoscendo il vantaggio (immagine tv)Lo stop di Remco per la foratura, attimi concitati non conoscendo il vantaggio (immagine tv)
«Si vedeva – dice – che i corridori erano un po’ spaesati. Noi siamo abituati a correre in una certa maniera, quando poi ti trovi nelle gare titolate con una situazione diversa, è tutto più difficile. Sicuramente, avesse saputo il vantaggio, Remco avrebbe vissuto la foratura con meno stress, ma bisogna comprenderlo, rischiava di vedere vanificato il sogno di una vita».
Quel che è avvenuto ha riaperto il dibattito e tu che hai esperienza anche del “ciclismo precedente”, che cosa ne pensi?
Ogni corridore disputa 70-80 corse l’anno, quasi nella totalità con le radio, trovo un controsenso che poi ci siano questi eventi che si effettuino senza. O sempre, o mai. Il ciclismo è uno, le regole devono essere sempre le stesse. Non averle cambia molto soprattutto a livello tattico. Un aspetto che pochi hanno considerato: a Parigi le squadre che avevano il contingente di 3 o 4 corridori, avevano bisogno di riferimenti, uno dei corridori si rivolgeva all’ammiraglia chiamata davanti. Moltiplicate ciò per più squadre e più casi. Io dico che a livello di sicurezza è stato un pericolo non di poco conto…
Bramati con Evenepoel in una foto di inizio 2023, con la maglia iridata di Wollongong 2022Bramati con Evenepoel in una foto di inizio 2023, con la maglia iridata di Wollongong 2022
Molti rimpiangono il passato…
E’ pleonastico, è come dire che si stava meglio quando non c’erano i telefonini. Ma ci sono, fanno parte della nostra vita di adesso. E’ chiaro che tutto cambia, fa parte del gioco. Le radio hanno una grande utilità in termini di sicurezza, hai subito la percezione di quel che avviene con una caduta, una foratura. La loro funzione primaria è questa. Mettiamola così: un diesse senza radio è come avere un allenatore di calcio a bordo campo che non può dare alcuna indicazione ai suoi. Ha senso?
Tu però conosci e hai vissuto il “prima”…
Se parliamo dal punto di vista tattico, non è che poi abbiano avuto questa grande innovazione. Semplicemente studiavi il percorso con grande attenzione e davi prima le indicazioni, poi si comunicava in corsa tramite i compagni che venivano all’ammiraglia o ai rifornimenti. E’ indubbiamente meglio adesso, c’è meno confusione in corsa e i corridori sono messi in condizione di dare il 100 per cento. Ma io porrei l’accento sull’aspetto sicurezza, anche perché rispetto a prima le strade sono cambiate. Pensate solo che nel Bergamasco quando correvo io le rotonde si contavano sulle dita di una mano, ora ce ne saranno 300… E poi dossi, spartitraffico… I corridori vanno messi in condizione di pedalare in sicurezza. All’ultimo Tour è vero che c’è stata la caduta costata la corsa a Roglic, ma il numero di incidenti si è molto ridotto rispetto al passato.
La volata valsa il bronzo a Laporte. Ma il francese non conosceva la situazione di classificaLa volata valsa il bronzo a Laporte. Ma il francese non conosceva la situazione di classifica
C’è anche un’altra differenza rispetto al passato: oggi le tv trasmettono le corse nella loro integralità e chi è in ammiraglia ha un occhio in più a disposizione…
E’ vero fino a un certo punto. Sicuramente in passato, quando si era fortunati si aveva la diretta dell’ultima ora/ora e mezza, oggi le corse vengono proposte nella loro integralità. Ma se per chi è a casa è un vantaggio, per noi in ammiraglia cambia poco anche perché pochi si accorgono che non c’è una percezione immediata, ogni accadimento lo cogli sempre con un po’ di secondi di ritardo. Avere la voce diretta dal gruppo, per ogni singolo evento, è per noi responsabili del team molto importante. Anche il web aiuta sì, ma non dà l’istantaneità di quanto avviene e a noi serve sapere tutto subito, per il bene dei ragazzi.
Pogacar concede il bis iridato facendo esplodere la corsa ai 104 dall'arrivo e poi restando da solo ai meno 67. Podio con Evenepoel e Healy. Sesto Ciccone
Il caldo della Vuelta a Burgos arroventa l’asfalto e l’attesa verso l’ultima grande corsa a tappe della stagione: la Vuelta Espana. La corsa spagnola è diventata, vista la sua posizione nel calendario, il classico esame di riparazione. Quello nel quale, a scuola, gli studenti si aggrappavano per strappare una sufficienza a fine anno. Come in classe anche nel ciclismo settembre diventa un mese di recupero. Chi, per un motivo o per l’altro, ha mancato l’appuntamento cardine della stagione, si trova alla Vuelta con il coltello tra i denti.
Uno degli habitué della corsa a tappe spagnola è Roglic che l’ha vinta tre volte: tra il 2019 e il 2021. In tutti e tre i casi arrivava all’appuntamento con le ossa rotte, metaforicamente e fisicamente. Anche quest’anno la Vuelta potrebbe essere per lo sloveno della Red Bull-Boraun ultimo tentativo per raccogliere dei risultati all’altezza del suo nome.
Giovanni Aleotti ha ripreso a correre alla Vuelta a Burgos, tanta fatica per lui che cercava il ritmo garaGiovanni Aleotti ha ripreso a correre alla Vuelta a Burgos, tanta fatica per lui che cercava il ritmo gara
Da Burgos alla Vuelta (forse)
Tra gli atleti, impegnati a Burgos nei giorni scorsi, e che hanno lavorato con lo sguardo sulla Vuelta Espana c’è Giovanni Aleotti. Il 25enne di Mirandola ha ripreso a correre dopo una lunga pausa, nella quale ha recuperato le energie dopo una prima parte di stagione impegnativa. Dopo il Giro d’Italia, nel quale ha aiutato Martinez a conquistare il secondo posto finale, è andato in Slovenia. Nella breve corsa a tappe ha ritrovato la vittoria in una classifica generale, due anni dopo quella ottenuta al Sibiu Tour.
Un successo che sembrava avergli dato una bella dose di fiducia in vista del finale di stagione. Tanto da chiederci se fosse arrivato il momento di prendere in mano la situazione e mettersi, finalmente, alla prova in una corsa a tappe di tre settimane. Ma è lo stesso Aleotti a gettare acqua sul fuoco.
«Mi sono preparato molto bene – dice – in questo periodo. Dopo il campionato italiano (chiuso al sesto posto, ndr) mi sono fermato per una settimana, nella quale ho riposato. Al termine mi sono rimesso in bici, ma giusto per riabituare il fisico a pedalare. Da lì sono andato ad Andorra per tre settimane, dove ho fatto un bel periodo di preparazione con in testa la partecipazione alla Vuelta. Se dovessi andare, saprò anche con quale ruolo (la formazione ufficiale infatti sarà comunicata lunedì dopo la Classica San Sebastian, ndr)».
Alla Vuelta si vedrà Roglic alla ricerca del riscatto dopo il ritiro dal Tour? (foto Instagram)Anche Vlasov è uscito malconcio dalla Grande Boucle: passerà anche lui dalla Vuelta? (foto Instagram)Alla Vuelta si vedrà Roglic alla ricerca del riscatto dopo il ritiro dal Tour? (foto Instagram)Anche Vlasov è uscito malconcio dalla Grande Boucle: passerà anche lui dalla Vuelta? (foto Instagram)
Difficile inserirsi in una squadra così ricca di capitani?
E’ logico, un team con Roglic, Vlasov e Martinez è molto competitivo. Io non mi reputo al loro livello, ho ancora tanto da imparare. Penso che la cosa più importante sia riconoscere il proprio livello e ruolo. Sono il primo a volersi migliorare e ogni anno punto a fare sempre qualcosa in più. Essere stato parte della squadra che ha aiutato Martinez a raggiungere il podio al Giro è stato comunque stimolante.
Però la prestazione dello Slovenia ci aveva dato la sensazione di una crescita…
Anche a me. Per questo ho chiesto alla squadra di andare al Tour of Guangxi, è una delle poche occasioni che ho per provare a fare un risultato. Mi piacerebbe essere lì e cercare il risultato finale.
Dopo la vittoria del Giro di Slovenia Aleotti vorrebbe giocarsi le sue occasioni al Tour of GuangxiDopo la vittoria del Giro di Slovenia Aleotti vorrebbe giocarsi le sue occasioni al Tour of Guangxi
Cosa ti manca per essere a livello di quei tre?
Sinceramente da parte mia non c’è un paragone con gli altri. Ogni anno penso di essere migliorato un pochino, di aver fatto degli step. io voglio solo lavorare al meglio, se si riesce a fare ciò la crescita arriva di conseguenza.
Con Roglic e Vlasov che devono recuperare dopo la debacle del Tour non c’è spazio per altre ambizioni?
Non sappiamo ancora chi saranno i capitani alla Vuelta, la cosa certa è che io lavorerò per i capitani. La squadra ha una grande occasione per vincere con uno di loro, specialmente Roglic. Lui e Vlasov arrivano da due infortuni, bisognerà vedere come staranno. Allo stesso tempo, però, ci sarà Martinez che ha lavorato bene in questo periodo.
Alla Vuelta dovrebbe esserci anche “Dani” Martinez, il quale guidato da Aleotti, ha conquistato il secondo posto al GiroAlla Vuelta dovrebbe esserci anche “Dani” Martinez, il quale guidato da Aleotti, ha conquistato il secondo posto al Giro
Come hai lavorato in altura?
Bene, ho costruito una buona base e mi sento pronto. Chiaramente a Burgos sono arrivato senza ritmo gara, ma l’idea era di costruirlo in questi appuntamenti. Burgos e San Sebastian erano utili in quest’ottica: costruire il ritmo gara. La Vuelta sarà durissima nell’ultima settimana, come ogni anno. Sarà importante essere pronti, il piano messo insieme ad Artuso è l’ideale per arrivare in condizione alla terza settimana.
Per poi arrivare pronto per l’ultima parte di stagione…
Dopo la Vuelta dovrei fare le corse in Italia e poi il Guangxi, si spera.
Stefano Garzelli sarà il commentatore tecnico della RAI accanto a Pancani. Una rarità il commento di chi il Giro l'ha vinto. Allora iniziamo a parlarne
Visconti glielo ha dritto chiaramente: per vincere, spetti di pensare come un velocista. così Filippo Fiorelli è al Sibiu Tour per provare a sbloccarsi
Con una volata di Sam Bennett, scatta la Parigi-Nizza e torna in gara anche Roglic. Non correva dalla Vuelta. Punta su Ardenne, Tour e Olimpiadi di Tokyo
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PARIGI (Francia) – «E’ stata una Chiara Vittoria». Inizia con un gioco di parole del presidente federale Cordiano Dagnoni l’analisi della bellissima, inattesa e per questo meravigliosa vittoria nella madison da parte di Chiara Consonni e Vittoria Guazzini. La serata a Casa Italia è rumorosa e bellissima. L’arrivo delle due ragazze è scenografico e travolgente. E quando sul maxischermo scorrono le immagini della vittoria, la commozione si unisce a un moto collettivo di orgoglio. Le due atlete azzurre dopo una buona partenza sono finite nelle retrovie, poi Vittoria Guazzini è riuscita a prendersi un giro di vantaggio su tutte le altre. Chiara Consonni ha gestito bene il vantaggio e così la pista di Versailles ha celebrato l’Italia.
Erano rimaste indietro, poi Guazzini ha preso il giro e l’hanno difeso con le unghie e i denti fino alla medaglia d’oroErano rimaste indietro, poi Guazzini ha preso il giro e l’hanno difeso con le unghie e i denti fino alla medaglia d’oro
La madison di famiglia
E pensare che due giorni prima, dopo il quarto posto del quartetto, quando a Chiara Consonni veniva detto: «La famiglia tornerà con una sola medaglia», aveva risposto: «Ma manca ancora la madison. La madison di Simone». Non la sua. Alla quale non avrebbe neanche dovuto partecipare, perché insieme a Vittoria Guazzini sarebbe dovuta esserci Elisa Balsamo.
E invece, fa notare adesso Chiara: «mancava la mia madison. Non ce l’aspettavamo, eravamo una coppia inedita. Avevamo fatto giusto qualche prova nei mesi scorsi. E’ un successo inatteso, forse però proprio per questo ancora più bello. La gara è stata difficile. Abbiamo iniziato bene, ci siamo persi in mezzo, poi l’attacco di Vittoria al momento giusto ha condizionato i tempi».
Fratelli Consonni: Chiara fresca olimpionica, Simone l’oro l’ha vinto a Tokyo e adesso tocca a lui, in coppia con VivianiFratelli Consonni: Chiara fresca olimpionica, Simone l’oro l’ha vinto a Tokyo e adesso tocca a lui, in coppia con Viviani
Fratello e sorella
Euforica, Chiara Consonni avrà bisogno di tempo per metabolizzare l’impresa: «Non mi ricordo quasi niente. Vittoria ha fatto l’attacco al momento giusto e ora siamo qui con la medaglia d’oro al collo. Spero di non star male come Simone dopo l’oro di tre anni fa. Ma è indescrivibile condividere ciò che è successo con lui, con i miei genitori, con il mio ragazzo e con chi mi vuole bene. E’ incredibile. Il primo pensiero dopo aver tagliato il traguardo è stato chiamare Simone.
«Non diamo tanto a vedere di volerci bene, ma siamo fratello e sorella che condividono i momenti importanti insieme. Non dimenticherò mai questa emozione. Il mio obiettivo di stagione era essere qui. Vedere che ora è una medaglia d’oro è diverso. Con Vittoria poi è ulteriormente speciale. Ci conosciamo da quando siamo piccole e ora eccoci qua».
A bordo pista, con la bandiera sulle spalle e davanti lo staff azzurroL’abbraccio del box sommerge Vittoria e Chiara: la sorpresa è stata esplosivaA bordo pista, con la bandiera sulle spalle e davanti lo staff azzurroL’abbraccio del box sommerge Vittoria e Chiara: la sorpresa è stata esplosiva
Vittoria s’è desta
Ed eccola Vittoria Guazzini. Aveva grande gamba, ha avuto la capacità di capire quale fosse il momento in cui attaccare.
«Dopo aver rivisto le immagini inizio a realizzare, ma ci vorrà un po’ per rendermene conto. E’ incredibile. Questo oro pesa tanto e sono contenta di condividerlo con Chiara. Ci siamo aiutate tanto in questo periodo. Non sapevamo bene cosa fare. Ci siamo dette di non restare indietro e ci siamo ritrovate ultime. Invece alla fine è andata bene. La madison è una specialità un po’ pazza e imprevedibile. In un attimo ho spento il cervello, mi sono detta che bisognava andare a tutta. Mi hanno anche preso in giro per questo, ma è andata bene. Ho capito che era il momento giusto e bisognava cogliere l’attimo».
Famiglia Guazzini: «I miei genitori – ride Vittoria – hanno indovinato il nome giusto!»Famiglia Consonni: l’abbraccio bergamasco per ChiaraFamiglia Guazzini: «I miei genitori – ride Vittoria – hanno indovinato il nome giusto!»Famiglia Consonni: l’abbraccio bergamasco per Chiara
Il tricolore sulle spalle
Hanno continuato a girare in pista per un po’, prima di convincersi che fosse vero. Poi Vittoria si è avvicinata alla tribuna in cui, vestita di arancione, la sua famiglia l’ha abbracciata e le ha passato la bandiera tricolore. Una serie di gesti increduli e sorrisi radiosi. Campionesse olimpiche.
«Quando ho sentito l’inno di Mameli – prosegue Guazzini – non stavo realizzando bene che cosa stava accadendo. Questa medaglia d’oro pesa tanto. Ho avuto tanti momenti no, infortuni. Ma in quei momenti ho avuto grandi persone attorno a me che mi hanno aiutata a non perdere il focus. Dalla famiglia allo staff e le compagne di nazionale. Le ho fatto ammattire, ma ne è valsa la pena. Parte della medaglia è di tutte le altre ragazze del nostro gruppo».
Una madison provata poche volte e improvvisata senza troppi schemi, tattiche o tabelleUna madison provata poche volte e improvvisata senza troppi schemi, tattiche o tabelle
Coppia nata in Belgio
Parola anche al cittì Marco Villa. «Questa medaglia è nata tre anni fa – dice – quando è partito il progetto e ho iniziato a lavorare con le ragazze. Avevo pensato a Elisa Balsamo, ma è stata sfortunata. Non ci abbiamo lavorato bene come volevamo. Nel frattempo l’hanno fatto Chiara Consonni e Vittoria. Siamo andati a una gara in Belgio, l’abbiamo vinta».
Già, cosa è successo in Belgio? «Lì abbiamo capito che Chiara potesse essere una ottima sostituta. Ho aspettato Elisa fino a due giorni fa. Evidentemente però non aveva recuperato e ho schierato Chiara. Mi spiace per Elisa, che è molto preparata e professionale. Complimenti a Chiara Consonni, che si è fatta trovare pronta. Sono state brave, si sono gestite bene, hanno fatto la differenza nel modo che hanno visto tutti».
Si canta l’Inno di Mameli: finalmente dopo l’argento di Ganna e il bronzo del quartetto maschile, ecco l’oroE l’Inno lo canta anche il box azzurro, con Amadio, Miriam Vece, Martina Alzini ed Elisa BalsamoSi canta l’Inno di Mameli: finalmente dopo l’argento di Ganna e il bronzo del quartetto maschile, ecco l’oroE l’Inno lo canta anche il box azzurro, con Amadio, Miriam Vece, Martina Alzini ed Elisa Balsamo
Tutti i migliori
Come si prepara una madison? «Non dico niente prima. A volte me lo chiedono, ma non sono un mago, non posso sapere come andrà. Posso dire come interpretarla, quali gesti tecnici fanno risparmiare. Non c’è il prima, c’è il dopo. Io posso correggerli, ma in pista vanno loro». E ai Giochi Olimpici è diverso: «L’Olimpiade è una cosa diversa. L’oro ti lascia il titolo di campione olimpico, è una soddisfazione. Affrontare i Giochi è una cosa difficilissima, perché nel corso di un quadriennio può capitare di incontrare avversari non al meglio, ma all’Olimpiade no. Ognuno porta i migliori».
E i migliori stavolta – in questa madison cui forse nessuno pensava – siamo stati noi.
Quando ha tagliato la linea del traguardo della prova in linea olimpica, Anastasia Carbonari ha tirato un sospiro di sollievo. Un senso di liberazione, che probabilmente non avrebbe pensato di vivere con la maglia della sua Lettonia nell’evento più importante della vita.
Nelle puntate precedenti vi avevamo raccontato come la ventiquatrenne originaria delle Marche avesse ricevuto la convocazione e si fosse avvicinata a Parigi tra un intoppo fisico e l’altro. Stavolta abbiamo intercettato Carbonari appena rientrata dalla Francia, per chiederle che esperienza è stata tra un aneddoto e l’altro.
Carbonari assieme a Skujins (quinto nella prova maschile) hanno rappresentato la Lettonia alle OlimpiadiCarbonari assieme a Skujins (quinto nella prova maschile) hanno rappresentato la Lettonia alle Olimpiadi
Anastasia, qual è il primo pensiero post Olimpiade?
Finalmente l’ho fatta, anzi ci sono arrivata sana e salva e poi l’ho fatta. Sì, perché prima di Parigi ho corso il Baloise che è solitamente una gara pericolosa perché tutte vogliono stare davanti e dove ci sono team più piccoli che si buttano dentro ovunque. E infatti alla prima tappa ho tremato ancora. Mancavano cinquanta chilometri all’arrivo, ero a ruota del blocco della DSM-Firmenich, quando due di loro si sono toccate e hanno innescato una caduta. Sono finita a terra anch’io per fortuna senza conseguenze. Ho cambiato la bici, ma non è stato semplice ripartire.
Perché?
Non lo nascondo, ma ho pianto per mezz’ora perché sembrava una maledizione. Non era tanto per l’escoriazione al ginocchio, quanto più per l’ennesimo pericolo scampato che mi poteva far saltare i Giochi. Anche Wiebes nella volata della seconda tappa si è spaventata per le troppe spallate ed è finita sull’erba. Anche lei non voleva compromettere la sua partecipazione. Alla fine la mia compagna Kumiega è stata carinissima, standomi vicina, rincuorandomi e riportandomi nel centro del gruppo. A quel punto Parigi si avvicinava sempre di più.
Selfie time. Il diesse lettone Toms Flaksis (in primo piano) ha aiutato Carbonari ad ambientarsi appena atterrata a ParigiSelfie time. Il diesse lettone Toms Flaksis (in primo piano) ha aiutato Carbonari ad ambientarsi appena atterrata a Parigi
Quando sei arrivata nella capitale francese?
Il 30 luglio ho corso il Kreiz Breizh in Bretagna e sono partita in auto. Sono arrivata a Parigi all’una di notte, ma ho un avuto un piccolo comitato d’accoglienza lettone. Ad aspettarmi c’erano il diesse Toms Flaksis, il meccanico Raivis Jansons ed un altro dirigente che curava tutta la parte di logistica ed organizzazione. Sono stati tutti splendidi a spiegarmi ogni cosa e farmi inserire subito nel team con gli altri atleti.
Come hai trascorso i giorni prima della gara?
Il 31 luglio ho fatto un giro del villaggio per conto mio, sentivo di averne bisogno. Poi mi sono allenata nella zona di un vecchio ippodromo poco distante dal villaggio che aveva un anello di tre chilometri. Quasi tutti i ciclisti parigini si allenano lì e c’erano molti altri colleghi. Il primo di agosto avevamo la prova collettiva del circuito cittadino, ma al mattino mi ero fatta quarantacinque minuti di auto ed avevo pedalato circa 70 chilometri del percorso in linea. In pratica, tra strade che si facevano sia all’andata che al ritorno, sono riuscita a fare tutto il tracciato. Infine il giorno successivo l’ho trascorso allenandomi con le mie compagne della UAE ed altre ragazze. Sono passati veloci quei giorni.
Carbonari ha compiuto la ricognizione del percorso olimpico in due momenti. Prima il tratto in linea, poi il circuito cittadinoCarbonari ha compiuto la ricognizione del percorso olimpico in due momenti. Prima il tratto in linea, poi il circuito cittadino
Avete alloggiato nel villaggio olimpico o in un hotel fuori?
Eravamo all’interno del villaggio dove il comitato olimpico della Lettonia aveva preso una palazzina per i suoi atleti. Al primo piano avevamo un salotto dove guardare le varie prove, con un servizio ristoro fornito da Rimi Baltic, una catena di supermercati lettoni e sponsor del nostro comitato. Io ero in camera con Veronika Sturiska, una ragazza di diciotto anni, già campionessa del mondo della BMX sia da juniores l’anno scorso che da U23 quest’anno. E’ stato bello conoscerci meglio e scambiare le proprie impressioni, anche se a dire il vero ho passato poco tempo con il resto dei miei connazionali perché ognuno era impegnato con le proprie discipline. E poi spesso parlavano fra loro in lettone ed io ancora non lo capisco così bene (sorride, ndr).
Alla sera come era organizzata la cena?
Abbiamo sempre cercato di andare a mangiare nel ristorante grande del villaggio dove c’erano anche le altre nazionali per respirare meglio l’atmosfera olimpica. La cena era tutta a buffet e personalmente ero molto curiosa di vedere come mangiavano i super campioni di certi sport. Anche quello è stato un bel modo per avere un confronto.
Tris UAE a Cinque Cerchi. Carbonari ha pedalato anche con le compagne di club Bujak e PersicoTris UAE a Cinque Cerchi. Carbonari ha pedalato anche con le compagne di club Bujak e Persico
Hai avuto modo di parlare con qualcuno di altri sport o nazioni?
Sì, ma non l’ho fatto perché mi vergognavo un po’ (dice sorridendo con un pizzico di rammarico, ndr). Una sera davanti a me, nella zona del dessert, c’era addirittura Simone Biles, la pluricampionessa della ginnastica (sette ori olimpici e 23 mondiali, ndr) che stava prendendo la frutta. La ammiro tantissimo, non solo per i risultati, ma anche per le battaglie che fa per lo sport femminile. Ero impietrita, avrei voluto salutarla e dirle che è un mito, ma non l’ho fatto perché non volevo disturbarla. Quando è tornata al suo tavolo, ci siamo salutate… e mi sono pentita di non aver chiacchierato con lei.
Con i colleghi ciclisti sei stata più sciolta?
Così così. Un giorno ho incrociato Matthews e Van Aert che stavano chiacchierando, ci siamo scambiati il saluto, però mi sono limitata solo a qualche rapida battuta. Il mio fidanzato Riccardo quando lo ha saputo mi ha sgridata perché dovevo dire a Van Aert che lui è il suo idolo assoluto! Potevo osare di più in generale, considerando che i pass olimpici erano fatti in modo da scambiarsi delle “spillette” con altri atleti proprio per incentivare la conoscenza reciproca.
Ti sentivi in soggezione?
Non saprei, so che non mi sono goduta fino in fondo il clima olimpico, d’altronde come il resto della stagione. Pensavo di essere in difetto rispetto ad altri perché alle Olimpiadi ci sono atleti che sacrificano anni della propria vita per esserci al top, mentre io invece ci sono arrivata tesa e senza una condizione accettabile o quella che speravo. Poi ti accorgi che l’organizzazione e tutto il personale è lì per te, a tua disposizione. E’ complesso e paradossale da spiegare. Non è stato semplice vivere questo contesto non essendo al cento per cento mentalmente. E la gara sapevo che sarebbe stata dura, ma almeno avrei sofferto meno e divertita di più se fossi stata più serena.
Sorride Anastasia a fine gara, ma i giorni precedenti sono stati vissuti con qualche ansiaSorride Anastasia a fine gara, ma i giorni precedenti sono stati vissuti con qualche ansia
Ci saranno stati dei lati positivi. Quali sono stati per Anastasia Carbonari?
Certo che ci sono. Forse non li ho realizzati sul momento ed anche questo ha contribuito al mio stato d’animo così contratto. Tuttavia è stata una settimana di forti emozioni. Ho ripensato a quello che mi era successo, quando sono stata addirittura vicina a rinunciare. Nonostante tutto sono andata a Parigi e questo mi riempie d’orgoglio, l’ho anche detto in una intervista alla televisione lettone dopo il traguardo. Oppure penso su come si è chiuso un cerchio che si era aperto a Foligno.
Ovvero?
Me lo faceva notare mia madre durante il volo di ritorno. A Foligno ho corso una delle primissime gare da giovanissima e a distanza di tanti anni sempre lì ho preso il treno per il viaggio che mi ha portata alle Olimpiadi. Chi lo avrebbe detto all’epoca che avrei realizzato un sogno del genere? Ecco, questa deve essere la mia nuova forza per il futuro. Magari per Los Angeles, di sicuro per il finale di stagione dove voglio dare un segnale e fare bene.
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SAINT QUENTIN EN YVELINES (Francia) – Fare sistema e non smettere di crederci. E’ quello che chiede il Ct della pista Marco Villa al ciclismo italiano, dopo il bronzo nell’inseguimento maschile e il quarto posto in quello femminile. Ieri sera Viviani ha chiuso l’Omnium al nono posto e dopo Parigi lascerà la pista. Villa di sicuro continua a credere che ci sia un futuro e lo dimostra con la sua analisi del percorso che ha portato fino a Parigi.
Balsamo si è fatta trovare pronta malgrado i tanti problemi: Villa la vede a Los Angeles nel quartettoAnche Guazzini è stata sfortunata, ma secondo Villa può dare di piùBalsamo si è fatta trovare pronta malgrado i tanti problemi: Villa la vede a Los Angeles nel quartettoAnche Guazzini è stata sfortunata, ma secondo Villa può dare di più
Prima le donne, non per galanteria, ma perché sono state le ultime a finire con il loro quartetto.
Ci sono mancati una decina di giorni di lavoro con tutte insieme. Non ne abbiamo avuto la possibilità. Basti pensare a tutti i problemi che ha avuto Elisa Balsamo: prima l’infortunio, poi il Giro d’Italia dove si è ammalata. E la settimana successiva al Giro era l’unica in cui potevamo lavorare con tutte insieme, ma non si è potuto. La sua forza è che si riprende presto, se la chiami a gennaio, ad esempio, si fa trovare pronta. Ha avuto due operazioni, che significa due anestesie. E’ arrivata a Montichiari due giorni dopo essere stata in Val di Fassa, ha fatto due belle prove e questa è stata la chiave che mi ha fatto decidere di schierarla. E’ venuta due giorni, è andata via con la strada e poi è tornata qua. Abbiamo lavorato tanto prima, ma al momento di perfezionare il quartetto non ci siamo riusciti. Però se con questa preparazione precaria sono arrivate quarte, le invito a crederci ancora e a puntare alla prossima Olimpiade.
Perché?
Vittoria Guazzini è una che può dare di più, ma ha avuto sfortuna anche lei in fase di preparazione. Elisa Balsamo deve far suo questo quartetto. E può farlo. Deve solo essere più fortunata. Non è matematica preparare un quartetto con ragazze diverse tra loro che ancora si conoscono poco. Magari più avanti potrebbero aiutare me, se ci sarò io, nella gestione degli allenamenti. Speravo fossero già con le grandi ora, ma sono ragazze con margine di crescita. Possono lavorare bene nei prossimi quattro anni e arrivare a Los Angeles nel pieno della maturità professionale e atletica. Se fossi in loro, ci crederei. Sarò sempre un loro sostenitore, anche se non dovessi essere io ad allenarle. Una migliore conoscenza reciproca può aiutare. A Tokyo siamo arrivati tutti al 100% con i maschi e abbiamo vinto.
Passaggio di testimone fra Ganna e Milan? Villa dice che sta a loro decidereConsonni, a detta di Villa, è stato forte però meno che a TokyoPassaggio di testimone fra Ganna e Milan? Villa dice che sta a loro decidereConsonni, a detta di Villa, è stato forte però meno che a Tokyo
A proposito di maschi, l’Australia è un esempio di come si arriva al 100%?
Sicuramente. Sono arrivati tutti a posto e hanno fatto il record del mondo. Noi ci siamo arrivati altalenanti. Ganna ha preparato tanto la cronometro, ci teneva dopo la delusione di Tokyo. Ne è uscito perfetto. A Montichiari l’ho visto fortissimo. Poi ha accusato un piccolo calo. D’altra parte i giorni non sono tutti uguali. Jonathan Milan invece è andato in crescendo. E’ arrivato al top nel giorno clou. Simone Consonni era più in difficoltà rispetto a Tokyo. Non andava certo piano, ma sono piccole differenze che fanno sì che il quartetto non sia al 100 per cento. Nonostante ciò, sono arrivati al bronzo. Sono dettagli da non sottovalutare. Se è arrivato il bronzo però è frutto anche di un buon percorso a Parigi.
Come si sono ripresi i ragazzi dopo la semifinale?
La mattina a colazione ho detto loro di non sottovalutare le medaglie di bronzo olimpiche, perché io ho vinto solo quelle. Sono stato accontentato, hanno vinto una bellissima medaglia. Ci siamo parlati, si sono parlati tra loro. Abbiamo capito che sarebbe stato un altro giorno ed è andata bene. E’ un gruppo sano, si vogliono bene, si aiutano, si stimano.
Il quartetto ha preso un bronzo bellissimo, reagendo alla sconfitta con l’AustraliaMilan e Lamon, il più giovane e il più anziano del quartetto azzurroGanna e Consonni sono cresciuti insieme negli U23, la pista li ha tenuti ancora uniti
Il ciclo di questo quartetto finisce qui?
Decideranno loro. Sono maturi a sufficienza, per loro ci sarà sempre posto in pista. Pippo ci viene spesso, anche solo per preparare le cronometro su strada, non solo per preparare le gare in pista. Io per loro ci sarò sempre, se sarò ancora io il Ct. Da qui a quattro anni si vedrà.
Manlio Moro è pronto a entrare?
E’ un ragazzo giovane e forte, aveva i tempi degli altri. Mi spiace che non abbia corso a Parigi, ma loro gli vogliono bene e lo rispettano. Ci sono i quartetti juniores che stanno facendo bene, sono ragazzi di talento. Spero che possano valutare questo tipo di percorso che ha fatto chi li ha preceduti.
E’ difficile convincerli?
Sto facendo fatica. A livello primo anno under 23 faccio fatica a portarli in pista e a far capire loro che qualche lavoro in pista è propedeutico per la strada. Da lì mi piacerebbe costruire un altro gruppo come questo. Ma credo che vada stabilito un modo nuovo di operare, parlare con squadre, manager, procuratori. A 19 anni hanno già i procuratori. Altrimenti diventa difficile fare questa doppia disciplina. Abbiamo dimostrato che si può far tutto.
Per Villa l’esempio di Hayther (qui con Viviani) fa capire che pista e strada sono complementariPer Villa l’esempio di Hayther (qui con Viviani) fa capire che pista e strada sono complementari
Ad esempio?
Welsford ha dimostrato che si può vincere su strada e tirare il quartetto. Hayter è campione nazionale in Inghilterra e qui ha portato in giro il quartetto della Gran Bretagna. Faulkner e Dygert erano nel quartetto americano. Noi abbiamo giovani che vincono da juniores in queste discipline e perché dobbiamo perderli per il loro futuro in strada, quando si possono fare le due cose fatte bene?
Qual è stata la difficoltà maggiore con i maschi?
Ognuno dei quattro ha fatto percorsi diversi. Lamon ha fatto più di Tokyo, ma un mese fa andava ancora più forte. Ero riuscito a lavorare con lui sulla resistenza. Anche nelle prove di Coppa del mondo aveva finito bene il quartetto. Aveva messo metri in più per la seconda tirata. Non ci siamo arrivati come a Tokyo, è vero. Non saprei neanche come si fa a preparare un quartetto insieme, perché non ce li ho mai avuti tutti insieme. Ma tanto di cappello a questi ragazzi per ciò che hanno fatto. L’Australia si è anche allenata con noi, non sembrava andare così forte. Se si è nascosta, si è nascosta bene. Se ha azzeccato la settimana giusta, complimenti.
Lamon incita i compagni dopo essersi rialzato: è arrivato a Parigi in gran formaLamon incita i compagni dopo essersi rialzato: è arrivato a Parigi in gran forma
Il miglioramento può passare anche attraverso i materiali?
Da quel punto di vista stiamo bene. Pinarello ci supporta ogni ciclo. Anche qui ci ha dato bici performanti. Castelli ha lavorato tanto in galleria del vento, parallelamente a Pinarello e con i caschi. Campagnolo ci ha fatto le lenticolari tubeless. Qualcuno le ha usate, qualcuno ha usato i tubolari. I tubolari sono stati quelli di Tokyo. Vittoria ha usato quattro versioni di tubeless. A livello tecnologico siamo sempre stati serviti bene e siamo al passo. La Federazione ci fa lavorare bene, ha ottimi partner.
In sintesi, cosa manca?
Gli atleti ci sono, i materiali ci sono. Dobbiamo fare sistema. Soprattutto con i giovani. Dobbiamo far imparare loro che pista e strada possono andare insieme e possono portare a grandi soddisfazioni.