Settembre e Francia, combinazione vincente. Zanardi è tornata

16.09.2024
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Da un 8 settembre all’altro, dall’Ardèche a Fourmies, da una vittoria all’altra. Un “back-to-back” lungo trecentosessantasei giorni, tutti vissuti sulle montagne russe. Che poi settembre e Francia per Silvia Zanardi coincidono sempre con il tratto di discesa, quello in cui osa e raccoglie il risultato più bello.

Già nel 2021 settembre era diventato un mese magico col sigillo all’europeo U23 di Trento. Stessa gioia esattamente dodici mesi dopo sulle strade dell’Ardèche fino ad arrivare ai successi delle ultime due stagioni. Ci si potrebbe sbizzarrire nel trovare altri corsi e ricorsi dei suoi successi, ma Zanardi vuole dare un’inversione a questa tendenza e trovare più continuità, anche se in passato ha dimostrato di saper vincere anche in altri periodi dell’anno. Ne abbiamo parlato con lei, reduce da ieri dal Grand Prix di Stoccarda ed ora già in ritiro in Belgio con la sua Human Powered Health fino alle prossime corse.

Zanardi ritrova la vittoria a Fourmies dopo un anno esatto di digiuno. Battute la giovanissima britannica Ferguson e Alzini
Zanardi ritrova la vittoria a Fourmies dopo un anno esatto di digiuno. Battute la giovanissima britannica Ferguson e Alzini
Silvia in questo mese raggiungi sempre la forma migliore. C’è un particolare motivo?

Sono un’atleta che ha bisogno di tempo per carburare (sorride, ndr). Ogni annata è differente, però quando arrivo a settembre mi sento bene in tutto rispetto ai mesi precedenti. Poi stavolta è ancora meglio perché qualche giorno prima della vittoria di Fourmies è giunto il rinnovo con la Human. Qua sto benissimo e tutti crediamo nel progetto. In squadra sanno che sono a disposizione delle compagne e sono più contenta quando vengo ripagata dalle loro vittorie.

Ci racconti che giornata è stata quella di Fourmies?

Era ora che tornassi a vincere. Sono contenta chiaramente del successo, ma molto di più per come è arrivato e per quello che rappresenta. Quel giorno doveva essere Daria Pikulik (argento olimpico nell’omnium e fresca bronzo europeo su strada, ndr) la deputata alla volata, però a metà gara è venuta a dirmi di non sprecare energie e restare concentrata perché lei non si sentiva al top. Ho apprezzato subito la sua onestà e si è messa al mio servizio. Nel finale mi ha tirato una volata perfetta, non potevo fallire. Dopo il traguardo l’ho ringraziata tanto per il lavoro che ha fatto. Mi ha fatto commuovere.

Dopo una primavera difficile, anche senza bici, Zanardi è sempre stata al servizio della squadra e delle compagne
Dopo una primavera difficile, anche senza bici, Zanardi è sempre stata al servizio della squadra e delle compagne
In che modo?

Quando sono andata da lei per abbracciarla, le ho detto che per come era andata e per come l’avevo vista poteva fare lei lo sprint senza alcun problema. Lei mi ha risposto che io ne avevo più bisogno e che aveva capito che dovevo sbloccarmi. Sono state parole bellissime, che non mi aspettavo e che mi rendono felice. Questo per farvi capire maggiormente come sia bella l’atmosfera del nostro gruppo.

Cosa ti ha lasciato questa vittoria?

Ho compreso una volta di più che quando vinci passa veramente tutto. Non ricordavo più quelle emozioni. Mi sembra addirittura che sia passato più di un anno, ecco perché ci voleva questo successo. Certo, so che non era una gara WorldTour o che non c’erano le rivali più forti, però non è mai facile vincere. Nel ciclismo femminile adesso c’è sempre un livello alto ad ogni corsa e tutte vogliono giocarsi le proprie carte.

Nonostante una condizione non ottimale, Zanardi è riuscita a vincere la classifica dei traguardi volanti al Giro Women
Nonostante una condizione non ottimale, Zanardi è riuscita a vincere la classifica dei traguardi volanti al Giro Women
Cosa ti hanno detto i tuoi diesse?

A Fourmies c’era Kenny Latomme ed era contento per quello che c’è dietro. Mi ha fatto subito riflettere a come ero a marzo. Lui ha sempre creduto in me e sapeva che sarei tornata. Invece Giorgia (Bronzini, ndr) mi ha scritto subito per complimentarsi ed anche lei era certa che sarei riuscita a vincere presto. Mi ha spinto a cambiare la preparazione e grazie alle sue idee sono migliorata. Secondo lei possiamo divertirci ancora nel prossimo mese. Abbiamo Binche, Emilia, Tre Valli e gare in Cina, speriamo abbia ragione.

Lo hai accennato prima, com’eri a marzo?

Ho passato un periodo difficile, nel quale ho dovuto mollare la bici. Avevo bisogno di fare un reset. Avevo preso casa, dovevo seguirla e voleva sistemarla da sola. Ero sempre a blocco, per usare una metafora ciclistica. Necessitavo di tranquillità, che è un aspetto molto importante. C’è chi mi ha compreso, aspettato e aiutato. Ora mi sento bene e con la mia indipendenza mi organizzo a dovere.

Zanardi ha rinnovato con la Human. I suoi diesse Bronzini e Latomme hanno sempre creduto in lei e nel suo rilancio
Zanardi ha rinnovato con la Human. I suoi diesse Bronzini e Latomme hanno sempre creduto in lei e nel suo rilancio
In generale che 2024 è stato per Silvia Zanardi?

Ho avuto più bassi che alti. La testa fa la differenza. Ho avuto un periodo di adattamento, durante il quale ci vuole grande equilibrio psicofisico. Al Giro Women ho fatto il massimo per quello che potevo dare in quel momento. Ho fatto un settimo posto e due giorni con lunghe fughe. Alla fine sono riuscita a lasciare un piccolo segno, non solo lasciando la pelle sull’asfalto (sorride riferendosi alla caduta nel finale della quinta tappa, ndr), ma vincendo la classifica dei traguardi volanti.

Hai già in mente un obiettivo per l’anno prossimo?

Innanzitutto voglio sentirmi parte del gruppo nella Human come quest’anno e anche di più. Poi mi piacerebbe arrivare ad un grande giro con una bella condizione, quella che solitamente mi sorregge a settembre per giocarmi qualche tappa. Vedremo come impostare la preparazione.

Paralimpiadi, parla Di Somma col dente avvelenato

16.09.2024
6 min
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E’ stata una Paralimpiade atipica per Fabrizio Di Somma. Dopo i trascorsi da protagonista con due medaglie (1 argento e 2 bronzi) a Sydney 2000 come guida di Silvana Valente, due titoli iridati e svariati podi di Coppa del mondo, seguiti da dodici anni da tecnico (dal 2010 al 2021) del paraciclismo azzurro, questa volta ha seguito la rassegna di Parigi 2024 da spettatore.

Non gli manca però la voglia di dire la sua su quello che ha visto da osservatore esterno dopo che ha dovuto lasciare l’incarico al termine dell’avventura di Tokyo. Pare che alla base ci sia stata anche una lettera scritta dagli atleti alla Federazione, che ha poi contribuito al cambio al timone della nazionale paralimpica italiana, affidata a Pierpaolo Addesi e Silvano Perusini.

Di Somma ha vissuto per 12 anni la nazionale paralimpica accanti a Valentini. Qui con Alex Zanardi (foto FCI)
Di Somma ha vissuto per 12 anni la nazionale paralimpica accanti a Valentini. Qui con Alex Zanardi (foto FCI)
Fabrizio, come hai seguito ai Giochi?

In parte alla tv. Non sono riuscito a seguire proprio tutte le gare, ma ho studiato a fondo i risultati finali, conoscendo tutti gli interpreti. Però diverse cose non mi sono piaciute, come ad esempio la scelta di far arrivare le gare olimpiche nel cuore di Parigi e quelle paralimpiche nei sobborghi, con pochissimo pubblico.

Altre cose che hanno colpito il tecnico Di Somma?

Ho visto che sono usciti molti commenti riguardo alle classificazioni. Fermo restando che nel paraciclismo non verrà raggiunta mai la perfezione, bisogna rendersi conto che non si può più aumentare il numero delle gare perché diminuirebbe l’interesse del pubblico. Ma non è solo questo…

A cosa ti riferisci?

Con l’aumento del numero degli atleti rispetto alle edizioni passate, c’è stata una rivoluzione soprattutto dal basso. Rispetto a Coppe del mondo e mondiali però si è scelto di privilegiare le Nazioni piccole, dando slot a Paesi in via di sviluppo. Così sono state eliminate le possibilità di inserimento per tutti i cosiddetti outsider delle grandi Nazioni, ovvero gli atleti che durante la stagione oscillavano tra il 5° e l’8° posto nelle gare internazionali. In questo modo, le Nazioni forti hanno portato soltanto atleti da podio, lasciando a casa coloro che potevano almeno insidiare le posizioni da medaglie. Mancando gli atleti di mezzo, molte gare avevano un andamento prevedibile e risultavano meno appetibili di quelle di Coppa del mondo. Secondo me, c’è stato meno spettacolo rispetto a Rio 2016 e Tokyo 2020 e l’Ipc dovrebbe fare qualcosa per invertire la rotta. 

Mirko Testa è stato campione del mondo 2023 nella categoria H3, a Parigi ha conquistato il bronzo (foto FCI)
Mirko Testa è stato campione del mondo 2023 nella categoria H3, a Parigi ha conquistato il bronzo (foto FCI)
Sulla nazionale azzurra, che ha eguagliato il bottino su strada di Tokyo e aggiunto un bronzo in pista, cosa ti senti di aggiungere?

Quello che mi è saltato agli occhi della spedizione italiana è che le medaglie sono state prese tutte da atleti che facevano già parte della nazionale con lo staff precedente o comunque erano nell’orbita. Già dal primo raduno post Covid, ad esempio, avevamo messo gli occhi su Mirko Testa, che si era messo in luce nelle gare del Giro d’Italia in handbike, ma non aveva fatto in tempo ad entrare per Tokyo. Come Martini Pini, che addirittura fece il mondiale pre-paralimpico del 2021.

Però la coppia Bernard-Plebani è stata un’intuizione del nuovo staff…

Lorenzo l’abbiamo contattato noi per primi, il 21 settembre 2021, chiedete anche a lui per conferma. Aveva fatto una prova sui rulli e poi un’uscita con Riccardo Panizza, al quale aveva assistito anche Fabio Triboli. In pratica, avevamo scovato pure lui, mentre ovviamente non potevamo pensare a Plebani perché fino al 2021 faceva ancora attività tra i normodotati. Quindi fino al 2022 non avrebbe potuto avvicinarsi al settore paralimpico.

Insomma, contesti la paternità delle medaglie?

Rispetto alle dichiarazioni rilasciate al vostro sito e ad altri media, voglio sottolineare che non si tratta di nessuna medaglia proveniente da nuovi interpreti. Tutti gli atleti erano già monitorati, appunto con l’unica eccezione di Bernard, che però appena due settimane dopo i Giochi di Tokyo, stavamo già cominciando a seguire. Mi sarei aspettato dalla nuova gestione un ringraziamento a chi aveva gettato le basi negli anni precedenti.

Bernard (a sinistra) guidato da Plebani ha colto il bronzo nell’inseguimento: Di Somma ricorda di averlo testato per primo nel ciclismo (foto FCI)
Bernard (a sinistra) guidato da Plebani ha colto il bronzo nell’inseguimento: Di Somma ricorda di averlo testato per primo nel ciclismo (foto FCI)
Di che cosa ti occupi ora?

Sto traghettando una piccola squadra under 23 abruzzese, la Asd Avezzano. Abbiamo un accordo fino a fine stagione, faccio un po’ di attività con loro come direttore sportivo e sono felice di essere tornato in ammiraglia

Ti manca il settore paralimpico?

Molto, ho fatto 5 Paralimpiadi e vorrei farne ancora in futuro. Ma tante cose dette negli ultimi mesi mi hanno dato fastidio, soprattutto certe dichiarazioni. Non mi aspettavo che si tirasse in ballo persino la vittoria del team relay a Tokyo.

Che cosa ti ha infastidito?

Sentir dire che in Giappone è stato un oro fortuito, riferendosi penso alla caduta del francese. Forse bisognerebbe ricordare che dall’argento di Londra 2012 a Brands Hatch, l’Italia ha perso pochissime gare di team relay tra tutte le competizioni mondiali e di Coppa del mondo. Al contrario abbiamo vinto i Giochi sia a Rio 2016 sia a Tokyo 2020. Invece, di fatto, dopo il Giappone, il trend è decisamente cambiato e a Parigi l’Italia ha vinto l’argento in una gara con appena 5 squadre, di cui due erano Brasile e Thailandia, che hanno sempre viaggiato a diversi minuti da noi. Mi aggancio a questo per segnalare che per portare Mestroni, impiegato in questa prova, hanno lasciato a casa Andrea Tarlao. Quest’ultimo avrebbe potuto gareggiare nell’inseguimento su pista e nella cronometro, dove la concorrenza era sì molto forte, ma poi andare a caccia di una medaglia nella prova in linea su strada, in cui è già stato campione del mondo. In virtù di questa situazione, sarebbe stato giusto prediligere un’altra nostra icona del movimento che stava per dare l’addio. 

Porcellato 2022
Porcellato, classe 1970, fra sci e ciclismo ha conquistato 2 ori, 3 argenti e 6 bronzi paralimpici. Per Di Somma, meritava Parigi (foto Coni)
Porcellato 2022
Porcellato, classe 1970, fra sci e ciclismo ha conquistato 2 ori, 3 argenti e 6 bronzi paralimpici. Per Di Somma, meritava Parigi (foto Coni)
Ti riferisci a Francesca Porcellato?

Proprio lei. In una gara dove il secondo posto, o comunque il podio erano quasi assicurati, lasciarla fuori dal team relay e negarle l’ultima medaglia di una carriera stellare dopo quella sfumata a livello individuale in una situazione molto svantaggiosa (classi accorpate tra H1 e H4; ndr) non è stato un bel gesto. Francesca meritava quella possibilità. Aggiungo ancora una cosa: non è giusto che una Federazione scelga dei tecnici che devono ancora accumulare esperienza paralimpica e lo debbano fare sulle spalle dei corridori della nazionale. Ho sentito parlare di problemi coi criteri di selezione che menzionava Perusini, ma quelli sono sempre stabiliti dall’Ipc all’inizio del quadriennio e mai cambiati. Nel nostro gruppo di lavoro con a capo Valentini, io e agli altri collaboratori ci occupavamo di questo nello specifico. E sapevamo già all’inizio del quadriennio, purtroppo, chi non avrebbe potuto fare i Giochi, pure vincendo medaglie ai mondiali. 

EDITORIALE / Tre giorni a Italian Bike Festival, tra festa e spunti

16.09.2024
7 min
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MISANO ADRIATICO – E’ stato un weekend di lavoro intenso ed eccitante, reso ancora più frenetico dalla pioggia che ha dimezzato le attività del venerdì, costringendo tutti a comprimere le proprie attività nel tempo rimasto. La settima edizione di Italian Bike Festival, la terza nell’area dell’autodromo dedicato a Marco Simoncelli, ha battuto ancora una volta i suoi record. E se è vero che in apparenza l’affluenza di ieri è parsa leggermente inferiore rispetto a quella del sabato, resta il fatto che gli stand delle aziende sono stati presi d’assalto da un fiume di appassionati. I numeri diffusi dall’organizzazione parlano di 57.000 visitatori, il 7,5% in più rispetto allo scorso anno

Il nostro team alla fine di IBF. Da sinistra: Alberto, Emiliano, Luciano, Teresina, Federica, Filippo, Enzo e Stefano
Il nostro team alla fine di IBF. Da sinistra: Alberto, Emiliano, Luciano, Teresina, Federica, Filippo, Enzo e Stefano

Dai social al nostro salotto

Ci siamo accorti del fermento attraverso gli occhi dei social, che ci hanno invitato e spinto a realizzare un’attività più intensa del solito, per raccontare il tanto che avveniva intorno. Esibizioni. Incontri. Esperienze. Scoperte tecniche. E’ stata una fiera viva, non una semplice esposizione. Una… creatura gigantesca capace di accogliere la curiosità degli appassionati che sin dalle prime ore del mattino si ritrovavano assiepati fuori dai cancelli.

Ci siamo presentati a Misano con lo splendido pullman nero dai divanetti bianchi che sulla fiancata ha visto aggiungersi al logo di bici.PRO anche quello di bici.STYLE. Uno stand bellissimo e originale, costruito in collaborazione con Tresca Trasformer, con Marina Romoli Onlus e con il Caffè Gabelò. Una piccola oasi, in cui sedersi per scambiare opinioni, rivedere amici e campioni e alzare i calici a fine giornata. E proprio con gli occhi degli agonisti e al contempo quelli degli appassionati di uno stile di vita silenzioso e salutare, i nostri giornalisti hanno macinato chilometri e parole per raccogliere il bello di IBF 2024.

Un mercato eterogeneo

«L’Italian Bike Festival – ragiona Alberto Fossati – si conferma un’esposizione di riferimento non solo della bicicletta, ma anche del turismo. E’ un aspetto che riscontro ormai da tre anni. Prima era un evento molto più rivolto al mezzo meccanico e a tutto quello che vi ruota intorno. Ora c’è di più e non mi riferisco solo al cicloturismo, ma anche a quanto i comprensori delle varie regioni e dei vari territori investono proprio verso la bicicletta riconoscendola come un veicolo di promozione. Questo sicuramente è un primo discorso. A IBF si riconosce anche l’interpretazione europea dello sport outdoor per eccellenza.

«Per molte aziende infatti il ciclismo è un banco di prova importantissimo, perché ha tanti utenti di fasce diverse. A partire dall’agonista fino a chi è semplicemente appassionato e pedalicchia per diletto. Si nota una grande crescita di tutto quello che è legato alle cargo bike e le e-bike. Se queste hanno delle radici ormai profonde, le cargo bike invece stanno per arrivare in diverse formulazioni, che permettono diverse scelte e di riflesso diversi utilizzi.

«Quello che invece, a mio parere, forse manca all’Italian Bike Festival è un pizzico di internazionalità che forse meriterebbe, per allargare ulteriormente il parco dei visitatori. Credo che gli investimenti futuri che l’organizzazione dovrebbe prevedere, a mio parere ovviamente, dovrebbero vertere soprattutto sul dare internazionalità all’evento».

Di gravel e pubblico

«Avendo smesso ormai definitivamente di fare gare – spiega Filippo Lorenzon – la mia mente si è aperta e ha recepito tante differenze. Per me prima la bici era quella da strada per correre o la bici da mountain bike da cross country. Invece ho visto tante altre cose, su tutte la grande varietà di gravel e la voglia di provare qualcosa di diverso. Ad esempio, dopo tanti anni, una bici in acciaio con geometrie diverse e con disegni diversi.

«Mi è piaciuta la gente, tanta, che ho visto nei due giorni. Tante donne e tanti bambini e, soprattutto il sabato, un pubblico non solo tecnico. C’erano anche tanti curiosi, però forse dipende anche dal fatto che fossimo in Romagna, dove c’è grande movimento. Una cosa che mi è dispiaciuta? Non aver fatto i test in pista, che sono uno degli aspetti più interessanti di Italian Bike Festival».

All’Italian Bike Festival con papà: scene come questa erano molto frequenti: sempre più la bici è un affare di famiglia
All’Italian Bike Festival con papà: scene come questa erano molto frequenti: sempre più la bici è un affare di famiglia

La bici tutti i giorni

«Mi è piaciuto il clima di collaborazione – racconta Stefano Masi – che si respirava tra i vari stand. I sorrisi, lo scambio di opinioni, l’intrattenimento. Tutto quello che c’è stato è stato fatto sempre col sorriso, sia con gli utenti, ma anche tra gli stessi addetti ai lavori. Mi ha impressionato in positivo la presenza di tantissime declinazioni della bici, dalla strada al gravel, tantissimo fuoristrada, ma anche molte bici urban, elettriche e cargo.

«Questa diversità mi fa capire e anche sperare che ci sia atto una rivoluzione nel senso di usare sempre più la bici per ogni momento della giornata. Il popolo di Misano mi ha dato proprio l’impressione di voler far diventare la bici il centro dei suoi spostamenti e della sua mobilità».

La bici gialla e la maglia di Pogacar, che proprio ieri ha vinto a Montreal
La bici gialla e la maglia di Pogacar, che proprio ieri ha vinto a Montreal

I bastoni fra le ruote

Italian Bike Festival da una parte è il bello della bicicletta, coniugata e declinata in ogni splendore possibile. Dall’altra però è dover fare i conti con un momento di mercato che nell’estate, al netto di poche eccezioni, ha conosciuto un rallentamento. Tanti vorrebbero spingere sulla bici come mezzo di locomozione ecologico e silenzioso e si ri trovano invece davanti la proposta del Governo di cancellare anche le corsie ciclabili delimitate da una semplice riga di vernice.

La bicicletta, soprattutto quella a pedalata assistita, ha tutti i requisiti di legge per poter essere… affrontata con gli stessi parametri di un’auto o una moto. Può essere finanziata e anche noleggiata a lungo termine, con la possibilità di scaricare le spese del noleggio. Eppure gli incentivi statali continuano a concentrarsi sulle auto e le politiche del traffico tendono a privilegiare le quattro ruote, che uccidono le città e non risparmiano i ciclisti.

In casa Abus usano una moletta per tagliare un lucchetto, che però non cede. E quando cede, non si apre…
In casa Abus usano una moletta per tagliare un lucchetto, che però non cede. E quando cede, non si apre…

Vietato tradire IBF

Servirebbe un cambio di civiltà, che negli stand di Italian Bike Festival è già scattato da un tempo, mentre giusto ieri al Salone dell’Auto di Torino, un pilota ha perso il controllo della sua auto da rally ed è finito tra la folla, provocando 12 feriti. Se non vi è chiara la differenza, forse non siamo abbastanza bravi nello spiegarla, oppure abbiamo di fronte persone che non vogliono ascoltare.

Un’ultima annotazione sulla formula di IBF. La pioggia ha rischiato di renderlo meno felice, ma mai e poi mai scambieremmo la festa di Misano con l’ipotesi che la stessa venga trasferita nei padiglioni coperti e ovattati di una fiera al coperto.

Italian Bike Festival è uno spettacolo di strada, perché il ciclismo è uno sport di strada. Portarlo via dal suo habitat significa perderlo. Lo sanno bene Francesco Ferrario e tutto il suo team: speriamo che resistano alla tentazione di mettere un tetto fra noi e lo splendido cielo del ciclismo.

Pellizzari: il “bimbo” è pronto a diventare uomo

16.09.2024
6 min
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MISANO ADRIATICO – Il sorriso di Giulio Pellizzari nel mezzo della confusione dell’Italian Bike Festival ti fa capire quanto siano vivi i suoi ventuno anni. Parla con tutti, nella musica e nel divertimento trova la sua dimensione. Tanti corridori quando passano da queste fiere, per incontrare sponsor e gente, hanno la faccia di chi non vorrebbe mai essere lì. Pellizzari invece ha l’entusiasmo della novità e della gioia di stare insieme a chi sta imparando a conoscerlo: il pubblico del ciclismo.

Lo stand di Wepere diventa, per una decina di minuti, il teatro di incontro con il giovane della Vf Group-Bardiani CSF-Faizanè. L’anno prossimo lascerà il nido di chi lo ha preso e fatto diventare grande, la famiglia Reverberi. Lui si gode le ultime gare di una stagione che fino ad ora è stata lunga e intensa. 

«Il 2024 – dice ridendo – è partito presto e ancora deve finire, però è stato gestito a blocchi. Ho corso in maniera intensa fino al Giro d’Italia, poi ho fatto Slovenia, campionato italiano e Giro d’Austria. Al Limousin, ad agosto ho ripreso a correre ma alla terza tappa mi sono ritirato perché sono stato male. Il Giro del Friuli, corso a inizio mese serviva per mettere ritmo nelle gambe in vista del finale di stagione. Ora mi aspettano il mondiale under 23, Agostoni, Emilia e Lombardia».

All’IBF Pellizzari ha parlato e scambiato sorrisi con tutti coloro che lo fermavano
All’IBF Pellizzari ha parlato e scambiato sorrisi con tutti coloro che lo fermavano
Hai corso spesso tra gli under 23 e poi tra i professionisti, com’è stato “salire e scendere”?

E’ stato bello. Sono uno che non si fa problemi a “tornare indietro”, non mi demoralizzavo perché andavo a correre con gli under. Anzi, per me era uno stimolo per provare a vincere, poi non ci sono ancora riuscito, ma è stato utile in vista della mia crescita. 

Ti sei piazzato spesso nei primi 10, in corse diverse passando dall’ottavo posto del Recioto al secondo al Giro.

Al Giro d’Italia ho trovato davvero quello più forte di me. Nella altre corse mi è mancata la cattiveria nell’ultimo chilometro. Anche al Friuli ero il favorito, avevo staccato tutti in salita, ma poi negli ultimi mille metri manca l’istinto. Il problema è che quando arrivo a capire che mi gioco la vittoria vado nel “panico”. Al Giro non ci ho mai pensato, era quasi troppo grande come cosa. 

La gare tra gli U23 (qui al Recioto) servivano per imparare a giocarsi la vittoria
La gare tra gli U23 (qui al Recioto) servivano per imparare a giocarsi la vittoria
E’ un fattore mentale che negli anni ti è mancato?

Esattamente. Non sono mai stato abituato a vincere quindi da piccolo fino allo scorso anno avevo un solo obiettivo: dimostrare di essere il più forte, non di vincere. 

Cosa cambia?

Per me la cosa più importante è stata dimostrare di essere il più forte, poi magari non vinco. Da piccolo ero scarso, per me l’obiettivo era far vedere di essere forte. Anche ieri (il riferimento è al Memorial Pantani, ndr) per me la gara finiva in cima alla salita. Andavo a tutta e quando mi sono girato e avevo tolto tutti i forti di ruota io ero a posto. Al Friuli uguale, volevo staccare in salita Torres che due settimane prima aveva vinto l’Avenir con grandi numeri. 

Al Giro la dimostrazione che le qualità ci sono, ora serve lo step mentale
Con il senno di poi non fare l’Avenir ti è dispiaciuto?

Ora sì. Prima no. La stagione sarebbe cambiata un poco, ma il fatto che Torres e Widar siano andati forte mi avrebbe stimolato molto. Correre tra gli under serve per imparare a vincere. Al Friuli mentre ero con Nordhagen la motostaffetta mi diceva: «Hai vinto, dai che è tua». Alla fine non ho vinto, sale la pressione e bisogna convivere con quella. Al Giro non c’era, ero esordiente. 

Dall’anno prossimo crescerà la pressione, non sarai più il giovane da scoprire, gli altri ti guarderanno. 

Sono contento di questo, è una sfida che mi stimola e mi piace. 

Pellizzari vuole diventare l’idolo dei bambini, chissà se un giorno sarà lui a regalare la maglia rosa a un giovane promettente
Pellizzari vuole diventare l’idolo dei bambini, chissà se un giorno sarà lui a regalare la maglia rosa a un giovane promettente
Come ti senti nel lasciare la squadra che ti ha fatto diventare grande?

Alla Bardiani mi sono trovato bene, quindi non sarà facile lasciarla. Però credo sia un passo fondamentale, sarà tutto nuovo e vedremo come. In questi tre anni ho fatto tutto quello che dovevo fare, è il momento di aprire le ali.

Cosa ti mancherà di più?

La spensieratezza che c’è in squadra. 

Con il senno di poi il marchigiano si è detto dispiaciuto di aver rinunciato all’Avenir dopo il 2° posto del 2023
Con il senno di poi il marchigiano si è detto dispiaciuto di aver rinunciato all’Avenir dopo il 2° posto del 2023
Dall’altra parte qual è lo stimolo maggiore?

Provare a diventare il corridore che è l’idolo dei bambini. Dal 2025 mi sento di poter dire che da grande farò il ciclista, prima ci pensavo e non ci pensavo, ora ci credo. 

Avevi l’occasione di fare il mondiale anche con i pro’?

Ero nella lista di Bennati, aspettavamo queste gare in Toscana per decidere cosa fare. Non sono andate come speravo, dalla Vuelta sono usciti tanti nomi forti. Ieri (sabato, ndr) mi ha chiamato Amadori, il cittì della nazionale under 23, e mi ha chiesto cosa volessi fare. Lui mi ha detto che se avessi scelto il mondiale under mi avrebbe messo sicuramente in squadra e avrei corso. E’ il primo mondiale, c’è emozione. 

Un giro tra i pensieri

Alla fine della chiacchierata chiediamo a Pellizzari di fare un giro di pista in sella alla sua De Rosa. I ragazzini lo riconoscono, lo fermano e gli chiedono se sia davvero lui. Giulio sorride e pedala con loro con la naturalezza che speriamo rimanga invariata. Il resto sono parole che scorrono, il mondiale, la stagione che finisce e cosa si aspetta dal confronto con la nuova realtà della RedBull-Bora-Hansgrohe. Pensieri che meritano forse un approfondimento, ma avremo tempo nei prossimi giorni, o mesi.

Raggi X sulla Vuelta di Del Toro, prima del mondiale U23

16.09.2024
4 min
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Tra i debuttanti della Vuelta ce n’è stato uno di lusso, se così possiamo dire: Isaac Del Toro. Più di qualcuno lo dava sul podio o come possibile sorpresa della corsa spagnola, un po’ come i suoi illustri compagni predecessori, vale a dire Tadej Pogacar e Juan Ayuso, entrambi terzi al primo grande Giro.

Invece il messicano non è andato altrettanto forte. Tuttavia la sua Vuelta non è stata negativa, anzi. Il tecnico del UAE Team Emirates, Joxean Fernandez Matxin, ci spiega come sono andate le cose e come è arrivato il 36° posto finale, con due top ten in altrettante tappe.

Matxin con Del Toro. Grande sensibilità da parte del tecnico spagnolo con i giovani (foto Instagram)
Matxin con Del Toro. Grande sensibilità da parte del tecnico spagnolo con i giovani (foto Instagram)
Maxtin, era in programma la Vuelta per del Toro? Sappiamo della tua “politica” molto graduale circa la crescita dei ragazzi e la programmazione che fate sin dall’autunno precedente.

E infatti no: non era in programma la Vuelta per Del Toro, ma essendo lui uno dei corridori stratosferici che abbiamo, vedi Ayuso e Pogacar, con questi profili si possono accelerare leggermente i tempi. Quindi abbiamo scelto la Vuelta perché non ti cambia i programmi dell’anno. Quello che dovevi fare lo hai fatto. 

E anche se non dovesse andare benissimo, il ragazzo avrebbe tempo per recuperare con l’inverno di fronte…

Sì, abbiamo un po’ rivisto il calendario estivo, ma poi da agosto parti per la Vuelta e poi hai “finito”. Tutto è nato alla partenza del Giro d’Italia. Uno di quei giorni ne abbiamo parlato insieme. Gli ho detto che pensavo che sarebbe stata una buona occasione per imparare e alla fine abbiamo deciso per il sì. Però è anche vero che i posti per la Vuelta erano assegnati. Ma Hirschi, che punta forte al mondiale di casa sua, ci aveva detto che avrebbe preferito arrivare alla corsa iridata senza fare la Vuelta e così Isaac ha preso il suo posto.

Come giudichi la sua corsa?

Direi che ha fatto una buona Vuelta. Ha corso molto bene nella prima settimana, che era davvero complicata, poi però si è ammalato. Ha avuto problemi di mal di testa, dissenteria e tante brutte sensazioni. Però ha deciso di soffrire. E’ stato male due giorni, ma poi non è riuscito a recuperare. Non era nelle normali condizioni. Però di buono c’è che proprio nel finale, nelle ultime 3-4 tappe, si è ripreso. Stava meglio.

Il messicano ha capovolto il suo numero 13 contro la scaramanzia, ma non è bastato del tutto!
Il messicano ha capovolto il suo numero 13 contro la scaramanzia, ma non è bastato del tutto!
In qualche modo l’aver tenuto duro è stata “una lezione nella lezione” all’interno della sua esperienza alla Vuelta. E’ così?

Certo. Ha imparato che ci sono momenti brutti. Profili da fenomeno come lui non sono abituati a certe situazioni. E gli resta difficile affrontarli e gestirli. Ma Isaac li ha superati e questo è il lato positivo di una storia negativa. Ovviamente non abbiamo ottenuto i risultati sperati proprio perché è stato male e non perché non fosse all’altezza. Ma ripeto, ha imparato che ci sono i momenti brutti ed è per questo che deve godersi al meglio quelli belli. Che deve approfittarne.

Lui come ha reagito?

Ha sofferto molto, sia fisicamente che mentalmente. Aveva dei dubbi se continuare o meno. “Ne vale la pena?”, si è chiesto. Però quando ha capito, grazie anche all’aiuto del medico che non avrebbe fatto del male al suo fisico, ha deciso (e abbiamo deciso) di andare avanti. E per questo a livello psicologico ne è uscito più forte di prima.

Se fosse stato bene, come sarebbe andato secondo te?

Non sono un oracolo! Di questi aspetti scherzavamo in ammiraglia con Marcato: “Chi vince oggi?”. Non so come sarebbe andato. Posso dire però che conosco perfettamente le sue qualità e ho piena fiducia in lui. Sarà certamente protagonista.

Negli ultimi giorni di Vuleta, Del Toro ha ritrovato una buona gamba e con essa la grinta
Negli ultimi giorni di Vuleta, Del Toro ha ritrovato una buona gamba e con essa la grinta
Come lo hai visto a Madrid? In fin dei conti concludere il primo grande dopo tante difficoltà è doppiamente difficile…

Era soddisfatto soprattutto perché negli ultimi giorni, come detto, si era ripreso. Questo gli ha dato fiducia. Si è visto di nuovo competitivo. E poi ha capito che tutto passa allo stesso tempo. Mi spiego: i momenti difficili scorrono lenti, quelli belli filano via veloci. In realtà il tempo scorre sempre uguale e questa è una buona lezione.

Isaac ti ha mai chiesto qualcosa su Ayuso, Pogacar.. alla loro prima Vuelta?

No, no… io poi con lui parlo molto, ma non ha chiesto nulla, né faccio paragoni. E’ chiaro che stando in questa squadra tutti i corridori più forti hanno come specchio Tadej.

Qualche aneddoto?

Nulla di che. Semplicemente quando stava male e lui stava vivendo un momento drammatico, l’ho abbracciato e gli ho detto che tutto passa.

E ora cosa fara?

Andrà al mondiale di Zurigo. Correrà sia la prova in linea che quella a cronometro con gli under 23.

Blackout azzurro ai 200 metri, europeo a Merlier

15.09.2024
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HASSELT (Belgio) – Duecento metri. E’ quanto è mancato alla nostra nazionale per aggiudicarsi il titolo europeo. Così, il belga Tim Merlier si è laureato campione d’Europa. Sul traguardo di Hasselt, il pubblico è esploso di gioia per la vittoria del connazionale, arrivata con il suo 14° successo stagionale. Medaglia d’argento all’olandese Olav Kooij e bronzo per l’estone Madis Mihkels.

Il Belgio festeggia, mentre l’Italia di Daniele Bennati mastica amaro. Solo un 13° posto per il nostro capitano Jonathan Milan. Immensa la delusione in casa azzurra.

Il cittì Daniele Bennati prima del via
Il cittì Daniele Bennati prima del via

Il pensiero di Bennati

La bellissima atmosfera della partenza si è comprensibilmente trasformata in pesante delusione. Pochi attimi prima del via, il commissario tecnico Daniele Bennati ci aveva confidato scherzosamente: «Sto bene, dai, la gamba è buona!”. Poi, più seriamente, aveva aggiunto: «I ragazzi sono tranquilli, carichi e motivati. Speriamo che tutto ciò di cui abbiamo parlato nelle varie riunioni si ricrei in gara. Però, si sa, spesso in corsa il 90 per cento delle cose preparate vanno diversamente. Siamo comunque pronti a qualsiasi scenario, anche se è chiaro che Van der Poel e Pedersen non vorranno arrivare in volata, quindi cercheranno di fare casino prima».

Tutto è stato eseguito alla perfezione, a parte la mancata reazione all’ultima accelerazione di Pedersen, che ci ha costretti a inseguire, bruciando energie e uomini preziosi per lanciare Milan sul rettilineo finale.

Logicamente, la sconfitta ha creato malumore e musi lunghi. Bennati, sempre gentilissimo e disponibile, non si è però tirato indietro nel post gara: «Diciamo che si è creato uno scenario che avremmo dovuto evitare. Purtroppo, la corsa si è sviluppata in un certo modo e i nostri si sono dovuti prendere la responsabilità di inseguire il gruppetto dei sei, dove c’erano Pedersen, Van der Poel e Laporte».

«Abbiamo dovuto sacrificare Affini e Cattaneo – riprende il cittì – che sarebbero stati utilissimi negli ultimi 3 chilometri. L’obiettivo numero uno era non far rimanere Jonathan chiuso e uscire al momento giusto. Purtroppo, siamo dovuti uscire troppo presto, e così, partendo ai 1.300 metri dall’arrivo, siamo rimasti troppo lunghi. Inevitabilmente, la velocità non era abbastanza alta per spianare la strada a Milan, e Merlier, partendo da dietro, ci ha sorpreso. Non dovevamo permettere che si creasse questa situazione, ma i ragazzi hanno fatto il massimo e dato l’anima. Complimenti al Belgio e a Merlier, che sono riusciti a sfiancarci e lasciarci con pochi uomini nel finale».

Parola agli azzurri

Oltre a Bennati, i più disponibili a parlare sono stati Davide Ballerini e, dopo il lungo debriefing sul pullman, Mirco Maestri ed Edoardo Affini. Jonathan Milan e Simone Consonni si sono chiusi nel silenzio.

«Abbiamo dato l’anima – ha detto Davide Ballerini – come sempre per difendere i colori della nazionale. Siamo stati presenti in tutte le occasioni, ma purtroppo ci siamo fatti trovare impreparati in un momento cruciale. L’inseguimento ci è costato due uomini. Poi, abbiamo provato a fare il miglior treno possibile, ma comprensibilmente i meccanismi non sono perfetti come nelle squadre di club, correndo insieme meno spesso».

Mirco Maestri, alla sua prima convocazione in nazionale, si lascia avvicinare mentre mangia una crostata, che malgrado lo zucchero rimane amara: «Abbiamo gestito bene la corsa per portare Milan nel miglior modo possibile nel finale, ma poi con Cattaneo e Affini ci siamo sacrificati per chiudere sul gruppo di Pedersen e Van der Poel. Se non fosse stato per noi, sarebbero arrivati loro. Purtroppo con degli uomini in meno la velocità è calata e siamo stati sorpresi da dietro. Jonathan non è riuscito a fare la volata, ed è un vero peccato per la forma che aveva».

Edoardo Affini conclude una settimana comunque positiva a titolo personale, dopo la vittoria nella cronometro individuale di mercoledì: «Purtroppo è mancato il risultato, ma penso che abbiamo fatto tutto bene almeno fino ai -3 km. Qualcosa non ha funzionato negli ultimi vagoni».

Allora, il Belgio è stato furbo o ha giocato d’azzardo? «Il Belgio – confida Affini – ha dato un paio di cambi, ma sinceramente penso che abbia tenuto gli uomini per tirare la volata. Noi abbiamo preso le nostre responsabilità. In ogni caso, sono contento della squadra e, sì, a livello personale è stata una settimana fantastica».

A poco è servito aspettare a lungo per parlare con gli altri protagonisti. Quando finalmente sono scesi dal bus, sia Consonni che Milan non avevano voglia di rilasciare dichiarazioni. Certo, l’amarezza è comprensibile, ma si è campioni anche quando, a freddo, dopo doccia e debriefing, si lascia un commento. Adesso per il cittì e gli azzurri l’attenzione si sposta verso il Mondiale.

Bravissimo Mirko Maestri che al debutto in azzurro in una gara titolata ha svolto un egregio lavoro
Bravissimo Mirko Maestri che al debutto in azzurro in una gara titolata ha svolto un egregio lavoro

Il percorso

Sono stati percorsi 222,8 chilometri con partenza da Heusden-Zolder e arrivo ad Hasselt, nel Limburgo belga. Essendo nelle Fiandre, il percorso comprendeva qualche tratto di pavé. Nulla di paragonabile alle Classiche del Nord, ma questi settori sono stati decisivi per animare la corsa.

Partiti dal circuito di F1 di Zolder, i corridori si sono diretti verso Hasselt, dove hanno affrontato un circuito cittadino pianeggiante da ripetere tre volte. Le cose si sono fatte serie una volta raggiunto il “circuito del Limburgo”, lungo 32,5 chilometri e ripetuto tre volte. Il menu includeva i primi due tratti di pavé, quelli di Manshoven (1.300 metri) e Op de Kriezel (1.500 metri), e due piccoli muri: il Kolmontberg (600 metri al 4,5 per cento) e il Zammelenberg (700 metri al 4,2 per cento).

Dopo aver superato questi ostacoli, i corridori sono tornati ad Hasselt, dove l’arrivo era previsto dopo un giro e mezzo del circuito. In totale, il percorso comprendeva 8 settori di pavé e sei muri, anche se non particolarmente impegnativi.

La gara

Come previsto, la corsa è stata animata da corridori come Pedersen e Van der Poel, costretti a evitare una volata. A 55 chilometri dal traguardo, durante l’ultimo passaggio su Op de Kriezel, con l’ennesima accelerazione di Pedersen, si è formato un gruppo di 6 uomini… e che gruppo!

Mathieu Van der Poel, Danny Van Poppel (Olanda), Christophe Laporte (Francia), Mads Pedersen (Danimarca), Jonas Rutsch (Germania) e Arthur Kluckers (Lussemburgo). Nessun italiano è riuscito a inserirsi, così Affini e Cattaneo hanno dovuto lavorare duramente per limitare i danni in testa al gruppo. Il vantaggio massimo del drappello di testa è stato di 28″.

Il Belgio ha giocato d’azzardo, lasciando agli italiani il compito di inseguire. A -31 chilometri, 6 azzurri erano in testa al gruppo, riducendo il distacco a 7 secondi. Van der Poel si è voltato scuotendo la testa, mentre Pedersen ha continuato a spingere in testa sull’ultima difficoltà di pavé (500 metri) a 28 chilometri dall’arrivo. Tuttavia, con l’aiuto del Belgio, gli azzurri sono riusciti a riprendere i fuggitivi, compattando il gruppo ai -25 chilometri. Ma, nonostante le maglie azzurre in testa fino a 250 metri dall’arrivo, è stato il belga Tim Merlier a vincere.

«La Jayco-AlUla che volevo»: dopo la Vuelta, Piva sorride

15.09.2024
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A luglio non era stato tenero. Avevamo chiesto a Valerio Piva un commento sul modo di correre della Jayco-AlUla e il diesse mantovano aveva detto che la squadra non rendeva come si aspettavano. Che per l’organico che hanno, sarebbe stato lecito aspettarsi altre vittorie e un altro atteggiamento. E poi aveva concluso dicendo che alla Vuelta avrebbe voluto vedere un cambio di passo e di atteggiamento.

Ora che la corsa spagnola è finita negli archivi con le due tappe vinte da Eddie Dunbar, siamo tornati da Piva per capire se quanto ha visto e vissuto sia finalmente simile a ciò che si aspettava. Davanti alla curiosità, Valerio fa una mezza risata.

«E’ stata una bella Vuelta – comincia – perché abbiamo vinto due tappe, abbiamo fatto tre secondi e altri piazzamenti. La squadra è stata presente come mi sarei aspettato quando abbiamo fatto quell’intervista. Nella prima settimana abbiamo sofferto il caldo, ma era davvero tremendo. Qualcuno l’abbiamo perso per malattia, però diciamo che da quando Dunbar ha vinto la prima tappa, tutto il gruppo ha cambiato passo. La Jayco-AlUla è diventata quello che mi aspetto da una squadra, voglio dire corridori motivati che cercano il risultato ogni giorno».

La prima vittoria di Dunbar al Campus Tecnológico Cortizo Padron ha motivato la Jayco-AlUla
La prima vittoria di Dunbar al Campus Tecnológico Cortizo Padron ha motivato la Jayco-AlUla
Senza pensare alla classifica: una scelta?

Dunbar ha perso minuti all’inizio, così abbiamo deciso di lasciarla stare. E’ stato un vantaggio, perché la prima vittoria è venuta da una fuga e lo hanno lasciato andare. La seconda invece è stata una vittoria molto importante, perché si è reso finalmente conto che ha le qualità per rimanere con i migliori in salita e l’ha dimostrato. Quindi ha superato questo periodo di sfortuna, incluso il ritiro dal Giro, con le cadute e tutto quello che è successo quest’anno. E penso che da adesso in poi avrà confidenza, morale e motivazione per se stesso e per la squadra. Quando uno vince, i compagni di squadra sono più presenti.

La seconda vittoria staccando i primi di classifica avrà dato morale certamente a lui…

Continuava a dirmi che si sentiva forte, che voleva vincere qualcosa e che la situazione di classifica non era normale. Quindi ci ha creduto fino alla fine e c’è da dargli merito. Noi l’abbiamo supportato e l’abbiamo spinto nelle fughe, perché un piazzamento nei quindici non ci cambiava nulla, invece una vittoria sarebbe stata più importante. In occasione della seconda vittoria, se fosse stato lì a lottare per i posti alti di classifica, quando si è mosso ai 5 chilometri forse gli sarebbero andati dietro. Ma è anche vero che quando dietro hanno aumentato, lui ha controllato bene.

Zana è arrivato secondo ai Lagos de Covadonga, battuto solo da Marc Soler
Zana è arrivato secondo ai Lagos de Covadonga, battuto solo da Marc Soler
I secondo posto di Zana ai Lagos de Covadonga è un rimpianto o un bel risultato?

E’ andato forte tutto il giorno. Gli avevo detto di stare attento a Soler, perché sapevo che era il più pericoloso. Il problema è che Soler ha una maniera di correre non facile da controllare. Si stacca, poi rientra e attacca. Filippo ci ha raccontato che un paio di volte si è staccato e lui ha controllato. Poi è rientrato e ha attaccato. E quando è partito, lui non aveva più gambe. Poi per fortuna è riuscito a controllare Poole. Secondo me il secondo posto con quel finale è stato il massimo che ha potuto tirare fuori. La vittoria sarebbe stata meglio, ma ci accontentiamo. In più Zana è uscito bene dalla Vuelta e magari lo rivedremo nelle prossime corse.

Tanti dicono che è stata una Vuelta di basso profilo perché non c’erano i tre fenomeni, altri dicono che però si è andati forte davvero…

Per gli atleti la prima settimana è stata molto impegnativa, con un caldo incredibile che ha debilitato tutti. Secondo me la tappa in cui O’Connor ha vinto non è venuta perché lo hanno lasciato andare, ma perché non ce l’hanno fatta a prenderlo. Sicuramente è stato sottovalutato, ma quel giorno faceva davvero caldo e qualcuno avrà pensato che li avrebbero ripresi tutti con il cucchiaino. Invece lui nell’ultima salita è andato più forte del gruppo e se l’è meritata. Roglic ha dovuto attaccare ogni giorno, perché l’australiano teneva bene. E quando alla fine l’ha passato, gli altri sono comunque rimasti indietro.

Anche Schmid, arrivato quest’anno alla Jayco-AlUla, ha fatto una grande Vuelta, con due secondi, un quarto e il quinto nella crono finale
Anche Schmid, arrivato quest’anno alla Jayco-AlUla, ha fatto una grande Vuelta, con due secondi, un quarto e il quinto nella crono finale
Quindi l’australiano è andato forte: buona notizia, dato che il prossimo anno correrà con voi…

E’ stato fortissimo, ma tutti si spremuti su quei percorsi per meritarsi certi piazzamenti. Anche Roglic si è trovato un paio di volte in difficoltà, è stata una Vuelta spettacolare e non scontata come al Giro, dove Pogacar ha preso la maglia e ha chiuso tutto. Abbiamo preso O’Connor perché vogliamo un capitano nei Grandi Giri che corra davanti, aggressivo. Simon Yates ha vinto la Vuelta e portato vittorie di valore, O’Connor può essere protagonista in qualsiasi gara. Può correre in modo da stimolare anche la squadra a stare davanti, stare concentrati e poi magari anticipare e andare in fuga come ha fatto lui. Io penso che ci possa dare delle soddisfazioni.

De Marchi è stato il motivatore che ti aspettavi?

All’inizio Alessandro avuto un problema di salute. Ha preso mal di stomaco, ho avuto paura che andasse a casa perché ha perso chili, si era disidratato. Poi è stato bravo, si è ripreso ed è ritornato il leader in campo, un corridore molto importante. Il giorno che Dunbar ha vinto la prima tappa, è stato lui che gli ha detto di andare, che era il momento giusto. Eddie si è mosso, è entrato nella fuga ed è andato. “Dema” è un corridore che vede la fuga. Quando aveva le gambe, ci andava lui. Adesso in qualche situazione non riesce ad andarci più, però è uno che vede la corsa ed è utilissimo in questi momenti per dare l’input agli altri.

Dopo il calvario della prima settimana, De Marchi è stato decisivo per lo spirito della Jayco-AlUla
Dopo il calvario della prima settimana, De Marchi è stato decisivo per lo spirito della Jayco-AlUla
Pensi che questa Vuelta possa diventare un esempio da indicare ai ragazzi?

Sicuramente sì, è già successo. La sera quando abbiamo festeggiato, c’era anche il nostro grande capo Gerry Ryan e lo ha detto a chiare lettere (l’imprenditore australiano, sponsor principale della Jayco-AlUla, è in apertura con Dunbar, ndr). Ha detto che la squadra deve correre così, che solo così si hanno risultati. Non dico che si vince tutto, ma anche i piazzamenti possono essere positivi se sono la conseguenza della qualità della squadra. E secondo me noi, con questa maniera di correre, possiamo raccogliere tanto. Quindi alla fine, sintetizzando, adesso sono soddisfatto…

Cornegliani, un oro che vale anche come esempio

15.09.2024
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L’inno italiano, Fabrizio Cornegliani l’ha sentito suonare tante volte in suo onore. Ma quella aveva un sapore speciale. A Parigi, ai Giochi Paralimpici, primo (e alla fine unico) oro della spedizione olimpica del paraciclismo, che ha dato comunque un contributo importante al sesto posto nel medagliere tanto clamoroso quanto sottovalutato nel giudizio dei media.

Fabrizio Cornegliani è nato a Miradolo Terme (PV) il 12 marzo 1969. Ha iniziato a gareggiare nel 2017
Fabrizio Cornegliani è nato a Miradolo Terme (PV) il 12 marzo 1969. Ha iniziato a gareggiare nel 2017

I sacrifici dietro un oro olimpico

Per il pavese di Miradolo Terme è il culmine di una carriera nata per caso come per tanti costretti (ma come si vedrà questo verbo neanche si attaglia troppo bene al suo destino) allo sport paralimpico. Fabrizio lo sport l’ha sempre avuto nel sangue. Istruttore di arti marziali, un giorno è stato vittima di una caduta sfortunata, una gran botta alla schiena, un verdetto inappellabile: tetraplegia. Lo sport, il ciclismo in questo caso, lo ha riportato a galla, è diventato la sua vita, ben oltre un oro olimpico.

Argento tre anni prima a Tokyo, Cornegliani è partito per Parigi con un’idea sola in testa, un’idea dorata: «E’ difficile raccontare un oro olimpico perché dietro ci sono sacrificio e lavoro interminabili. La mia olimpiade posso dire che sia iniziata due mesi prima, nel senso che da allora ho fatto solo il ciclista e devo dire grazie alla mia famiglia perché quest’oro è soprattutto loro, dei sacrifici che hanno dovuto fare per sostenermi».

Fabrizio con la moglie. Il supporto della famiglia è stato decisivo nell’approccio olimpico
Fabrizio con la moglie. Il supporto della famiglia è stato decisivo nell’approccio olimpico

Il racconto di un giorno speciale

Cornegliani ha ben stampato nella mente ogni singolo momento di quel giorno d’oro: «Ci siamo svegliati alle 4 perché dovevamo fare un’ora di trasferimento in pullman e per me è stato un viaggio, con le macchine della polizia con i lampeggianti davanti e dietro. Nel buio faceva un certo effetto, anche un po’ inquietante. Siamo arrivati presto, sistemandoci nel parcheggio, poi io ho iniziato tutta la trafila di impegni che precedono una cronometro, legati al riscaldamento. Un rituale che è sempre lo stesso: i rulli di preparazione, la scelta delle ruote, la pressione giusta, il cambio delle batterie per i comandi… Un processo che nasconde sempre tante incognite e quando sei all’appuntamento principale del quadriennio, sai che ti giochi tutto anche per una sciocchezza».

La parte più difficile è il momento del via: «Oltretutto ci avevano anche anticipato il controllo dell’handbike e questo ha aggiunto stress a stress. Prima di partire ho guardato gli altri, lo staff azzurro: la tensione era palpabile. Io sapevo di giocarmi una medaglia, ma bisognava capire di quale colore. All’inizio il sudafricano Du Preee andava più forte ma era preventivato, è più leggero, poi la classifica si è assestata con la lotta fra me e il belga Hordies, come nell’ultima prova di Coppa del Mondo. Io però non mi sentivo a posto, non mi ero riscaldato bene e infatti i wattaggi erano inferiori a quel che pensavo.

Cornegliani ha preceduto il belga Hordies di 21″ e il sudafricano Du Preez, campione uscente, di 1’16”
Cornegliani ha preceduto il belga Hordies di 21″ e il sudafricano Du Preez, campione uscente, di 1’16”

L’impostazione delle curve

«Le difficoltà erano legate al percorso, ai sampietrini, all’impostazione delle curve. Con i nostri mezzi bisogna essere precisi, non puoi correggere. Oltretutto io ho i freni all’altezza dei gomiti, quando la bici è lanciata puoi fare ben poco, per questo conta molto conoscere il percorso. Io comunque iniziavo a preoccuparmi, non vedevo le cifre che volevo, oltretutto non avevo voluto la radio per non essere condizionato da quel che facevano gli altri. So che ho fatto brontolare qualcuno… Dopo la prima salita finalmente ho visto che il riscaldamento era completato e i numeri erano quelli giusti. A quel punto ho visto che le telecamere mi avevano raggiunto, era il segno che stavo andando bene. Mancava la parte finale, l’ultima salita: ero sotto di 5” ma non mi sono preoccupato, sapevo di avere più fondo e infatti nell’ascesa finale ho rifilato al belga più di 25”».

Il lombardo vanta 12 medaglie mondiali (5 d’oro), 4 europee (2 d’oro) e un oro e un argento olimpico
Il lombardo vanta 12 medaglie mondiali (5 d’oro), 4 europee (2 d’oro) e un oro e un argento olimpico

Il problema delle categorie

Arrivato al traguardo, non era finita: «C’era da attendere un minuto e mezzo per sapere se ero davanti al sudafricano e quei 90 secondi sono sembrati ore, poi è iniziata la festa, piangevano tutti. Io mi sono liberato di un peso enorme, mi sono passati davanti agli occhi tutti i sacrifici fatti per settimane e settimane, coinvolgendo tutti coloro che mi sono intorno. Mi sono ripreso quel che mi era sfuggito a Tokyo e qui, in mezzo alla gente, è stato ancora più bello. Anche perché avevo solo quest’occasione».

Qui è bene fare una specifica, perché Cornegliani era in gara anche nella prova in linea, «ma lì era solo per fare atto di presenza, io come tutti gli altri della mia categoria. Noi gareggiamo come H1 insieme agli H2, ma è un controsenso, è come mettere una Panda insieme a una Mercedes, non c’è competizione. Sono disabilità diverse, infatti nella categoria di Mazzone sono velocità molto maggiori e un diverso controllo del mezzo. Il Cio applica una regola assurda, noi facciamo la partenza e dopo poco ci fermiamo».

Il pavese e gli altri medagliati a Casa Italia con la Presidente del Consiglio Meloni
Il pavese e gli altri medagliati a Casa Italia con la Presidente del Consiglio Meloni

E ora? I mondiali…

Questo introduce il tema della disabilità: «Noi non sentiamo le pedivelle, anzi con tutta l’imbracatura e il blocco delle mani la sensibilità scende ancora. La categoria H1 comprende tutti i tetraplegici, abbiamo quindi gli stessi tutori e lo stesso tipo di frenata, almeno partiamo tutti ad armi pari, ma per questo è folle accomunarci ad altre categorie. Per noi è fondamentale l’impostazione delle curve perché non possiamo ritoccare velocità e direzione, bisogna prevedere tutto prima».

La stagione di Cornegliani non è finita: «Ora ci aspettano i mondiali, dove so che ci sarà una crono piatta, meno adatta alle mie caratteristiche. Ma non sono proprio tipo da rilassarmi, sarà un’altra battaglia da combattere».

Festa azzurra per le strade di Parigi, finalmente lo stress della gara è alle spalle
Festa azzurra per le strade di Parigi, finalmente lo stress della gara è alle spalle

Lo sport come protocollo riabilitativo

Fabrizio non ha intenzione di smettere, anche perché il rapporto con la bici è talmente radicato che fa parte integrante della sua vita: «Per me è stato fondamentale per la ripresa e anzi secondo me andrebbe inserito come protocollo riabilitativo di base. Attraverso lo sport raggiungi livelli mai visti: la fisioterapia va bene, ma ti tiene impegnato un’ora, per il resto del tempo? La bici mi ha dato uno scopo, ha risvegliato il mio corpo, mi ha fatto affrontare la scala del recupero raggiungendo vette che nelle mie condizioni erano impensabili. E’ il metodo riabilitativo per eccellenza»

Baroncini e la cronometro: quale futuro?

15.09.2024
5 min
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Arrivare quarti all’ultima tappa del tuo primo grande Giro non è cosa tanto scontata. Specie se questa è una cronometro. Avrete capito che stiamo parlando di Filippo Baroncini, che a Madrid, frazione finale della Vuelta ha sfiorato il podio.

Baroncini non è nuovo a belle imprese contro il tempo. Lo ricordiamo già al Giro under 23 quando dominò la crono di Guastalla e sempre in quel 2021 fu nono ai mondiali. Numeri, risultati ed età sono dalla sua per poterci investire.

Uscito in grande spolvero dalla Vuelta, il romagnolo ha chiesto ed ottenuto di partecipare al Memorial Pantani, che in teoria non doveva fare.

Filippo, insomma ti aspettavi di ottenere un risultato simile a Madrid?

Se penso a quella mattina sì. Se me lo aveste chiesto ad inizio Vuelta avrei detto di no. Quella mattina mi sono svegliato con sensazioni ottime e queste sono state subito confortanti in vista della tappa.

Spiegaci meglio: “sensazioni ottime”. Tu metti il piede fuori dal letto e capisci come stai?

Già quello è un ottimo indizio. Ripeto mi sono svegliato bene e insolitamente fresco rispetto agli altri giorni. Poi la conferma l’ho avuta durante la ricognizione. Stavo bene davvero.

Quanto è importante aver raccolto un risultato simile al termine di un grande Giro?

Credo sia molto importante. Fa capire che il mio recupero è buono, specie perché era il primo grande Giro: questo apre scenari importanti. Non posso dire che me lo aspettavo però posso anche dirvi che il giorno prima ho parlato con il responsabile della performance, Herrero, e gli ho detto: fammi mettere su il 62 che faccio nella top tre. La squadra puntava molto su McNulty e invece ho fatto bene io.

Filippo al Giro U23 del 2021. Qui vincitore nella crono di Guastalla ai tempi della Colpack-Ballan
Filippo al Giro U23 del 2021. Qui vincitore nella crono di Guastalla ai tempi della Colpack-Ballan
Qual è il tuo rapporto con questa disciplina?

Tra me la crono è sempre stato amore e odio. Da parte mia sono sempre stato molto focalizzato su questa disciplina, tuttavia non avevo mai raccolto grossi risultati, almeno in campo internazionale. In Italia era un po’ diverso. Tolto Ganna poi eravamo lì a giocarci un buon piazzamento. Insomma era un po’ come sbattere la testa contro un muro e non ero mai sicuro di arrivare davanti, anche se lo volevo. Questo risultato magari cambierà qualcosa, ma soprattutto mi ha detto che il lavoro ripaga.

Quindi l’idea è d’investirci di più in futuro?

Ma tutto sommato io ci ho sempre lavorato. Ora magari lo farò con maggior convinzione, con qualcosina in più, ma sempre senza assillo. Un conto è preparare una crono secca, come quella di un mondiale, allora ti ci focalizzi al 120 per cento. Altra cosa è preparare una crono che magari prevede anche dell’altro, come quella di una corsa a tappe, nel quale ci sono altri obiettivi, quindi lavori un po’ su tutto.

E quindi si ti dicessimo: Baroncini punta alla crono di Los Angeles 2028?

Perché no? Ci può stare. Mi piacerebbe. Penso a Ganna che è un cronoman perfetto e specifico, mentre io sono un corridore più a 360 gradi, ma sarebbe bello impegnarsi per questa causa se ci fosse la possibilità.

La squadra, la UAE Emirates, ti sostiene in questa direzione? 

Va di pari passo con me. Loro sanno che mi piace e mi hanno sempre messo nelle migliori condizioni per lavorarci. Ho fatto test, mi hanno portato in galleria del vento, ho provato materiali nuovi, hanno valutato i numeri. Insomma non si è mai mollato.

Filippo usa con regolarità questa bici anche durante la settimana (foto Instagram – Fizza)
Filippo usa con regolarità questa bici anche durante la settimana (foto Instagram – Fizza)
Hai richiesto anche tu dei materiali specifici?

No, di base non sono uno che chiede. Quello che mi danno provo. Ma se ci sono delle opportunità di testare dei materiali non mi tiro indietro. Utilizzo quel che mi mettono a disposizione.

Quanto tempo passi sulla bici da crono?

Cerco di farci almeno due uscite a settimana: una di scarico e una di lavori specifici. Però se c’è un appuntamento che mi interessa magari le uscite con la bici da crono diventano tre. Come è stato prima di Lisbona, per esempio. Nel ritiro di Andorra sono stato uno di coloro che l’hanno utilizzata di più. Anche perché era la prima crono, oltre alla tappa c’era la maglia rossa in palio e tutto era in gioco.

Prima hai detto che è un rapporto di amore e odio fra te e la crono. Quando è iniziato questo rapporto?

Da juniores. Da quando mi hanno dato questa bici, ne sono sempre stato interessato. Ma il vero salto di qualità l’ho fatto quando ero alla Colpack. Lì mi hanno messo in sella per bene e finalmente sono riuscito a sviluppare su questa bici gli stessi watt che facevo su quella da strada. A quel punto ho iniziato a lavorarci per bene e con maggior condizione.