COMPIEGNE (Francia) – Manca più di un’ora alla partenza della Roubaix, i corridori sono chiusi nei pullman e sulla strada ci si dedica a varie chiacchiere, su argomenti seri e meno seri. Quando dall’auto del UAE Team Emirates vediamo scendere Mauro Gianetti, ricordiamo che fra le ricorrenze di quest’anno ci sono sì i 30 anni dalla prima Roubaix di Franco Ballerini, ma anche quelli dall’accoppiata Liegi-Amstel del manager svizzero. E siccome ci è giunta voce che proprio alla vigilia della corsa olandese di domenica prossima la squadra festeggerà il suo capo, approfittiamo dell’occasione per soffiare sulla brace della memoria.
Nel 1995 il calendario delle classiche era diverso dall’attuale e permetteva ai giornalisti di rimanere per due settimane al Nord. La serie delle corse vedeva il Fiandre di domenica, la Gand-Wevelgem di mercoledì e la Roubaix la domenica successiva. Quindi la Freccia Vallone di mercoledì, la Liegi domenica ( il 16 aprile, che era anche Pasqua), infine l’Amstel il sabato successivo, 22 aprile. Gianetti arrivò quinto nella Freccia Vallone vinta da Jalabert su Fondriest, Berzin e Casagrande. Vinse la Liegi battendo Bugno, Bartoli e Jalabert. Infine vinse l’Amstel su Cassani, Zberg e Ludwig.
«Erano due corse bellissime – ricorda – la Liegi fu la prima, in più davanti a un gruppo di campioni straordinari. Vinta come l’ho vinta, in una giornata di acqua, neve, freddo. Era la prima grande vittoria, per giunta in una Monumento, è quella che rimane di più. Anche l’Amstel però fu complicata. Dopo pochi chilometri, fui coinvolto in una caduta e dovetti inseguire per molti chilometri. Ma alla fine riuscii a vincere, con un Cassani a ruota per 20 chilometri che diceva in continuazione: speriamo che ci riprendano, speriamo che ci riprendano…».
Raccontasti di aver vinto puntando molto anche sull’aspetto mentale.
E’ un aspetto su cui ho sempre lavorato molto. Cercare di avere degli obiettivi, essere un visionario che lavora per i suoi traguardi e non un sognatore che rimane sul divano. Ho sempre lavorato duro sotto tutti gli aspetti e la parte mentale ha avuto un ruolo fondamentale. Avevo chiaro di essere un buon corridore, ma sapevo che per vincere avrei dovuto fare più degli altri. Essere più furbo degli altri: di alcuni in particolare. Parlo di campioni come Bugno, Jalabert, di Armstrong, quindi era importante riuscire a mettere assieme tutte le componenti.
Quelle vittorie arrivarono con la maglia Polti e un direttore sportivo che si chiama Giosuè Zenoni, approdato al professionismo dopo anni nella nazionale dei dilettanti.
Giosuè ha rappresentato moltissimo. E’ stato la persona che più di tutti mi ha aiutato a lavorare sulla parte mentale, ciò che forse fino a quel momento mi era mancato. Assieme a Stanga mi diede una consapevolezza che non sapevo di avere. Parlavano con me di preparare la corsa, di andare a provare il percorso e lo davano per scontato, come se io fossi davvero un possibile vincitore. Senza dire che dovessimo andare a vincere, era scontato che potessi correre per farlo. E questo mi ha dato una fiducia incredibile. Soprattutto con Zenoni parlavo moltissimo ed è stato una spinta veramente importante per la mia vita e per la mia carriera.
Quanto c’è di quel Mauro nel Gianetti manager di oggi?
Nel fare il manager è importante poter mettere tutti gli aspetti. Credo che essere stato atleta mi dia dei vantaggi nel mio essere imprenditore, nel pensare alle necessità dei corridori, alle esigenze degli sponsor e magari anche quelle degli organizzatori. Cerco di combinare tutte queste variabili per creare un team che sappia esattamente dove vuole andare e cosa vuole raggiungere, senza dimenticare il rispetto per nessuno: per l’atleta e per lo sponsor.
Che viaggio sono stati questi 30 anni?
Un viaggio incredibile, che mi ha portato dove sono oggi con grande soddisfazione e anche con orgoglio. La mia passione mi ha portato a costruire e dirigere la squadra oggi più forte al mondo, con un campione straordinario come Tadej (Pogacar, ndr). Soprattutto con un gruppo di 150 persone che ogni giorno arrivano alle gare col sorriso sul volto. Questa per me è la vittoria più grande, la soddisfazione più bella. Sono nel posto in cui ho sempre sognato e progettato di essere. Sono riuscito a creare tutto questo con tanto lavoro e impegno. E posso dire di andarne molto fiero.