La vittoria è il balsamo migliore, soprattutto a capo di una stagione in cui Silvia Zanardi ha avuto più frenate che rilanci. Partita forte, poi rallentata dalla mononucleosi, è ripartita in cerca di una direzione precisa, nell’ultima stagione con la BePink, prima di passare in una WorldTour di cui la piacentina non vuole ancora fare il nome.
Al Tour de l’Ardeche, che ha visto il ritorno prepotente di Marta Cavalli, Zanardi ha vinto una tappa andando in fuga e ha lottato fino all’ultimo giorno per un posto sul podio, salvo pagare la prepotenza delle scalatrici nell’ultima frazione: corta, dura e veloce come un dispetto.
Soddisfatta?
Ho vinto una tappa e ho portato a casa le due maglie che avevo già vinto nel 2022, anche se quest’anno puntavo a fare un po’ meglio in classifica. Mi sono mancate le gambe in salita. L’ultima tappa era lunga appena 69 chilometri e le francesi della FDJ e anche la Human Powered Health volevano attaccare e alla fine ci hanno fatto fuori, con un ritmo potente e faticoso, per me che non sono una scalatrice.
Una tappa davvero corta…
Personalmente preferisco le gare più lunghe, perché mi piace stare tante ore in bici e non ho problemi a recuperare. Però era il settimo giorno, una tappa corta ci può stare…
In questo mondo in cui si viene giudicati per i risultati, che cosa vuol dire vincere?
Sicuramente è sempre bellissimo. In più diciamo che mi mancava vincere in fuga. Walter (Zini, ndr) mi dice sempre che bisogna attaccare e, se non ci provi, non saprai mai come andrà a finire. Quel giorno me lo sentivo anche io. Sono partita dopo un traguardo volante, eravamo in tre e mancavano 80 chilometri all’arrivo. Pensavo che la fuga non andasse a buon fine, invece dopo il secondo gpm ci ha raggiunto un gruppetto di altre cinque. Abbiamo iniziato a girare e abbiamo preso un po’ di vantaggio. A quel punto ho pensato che tenere duro mi sarebbe servito per superare le salite, invece quando sono finite avevamo ancora un buon margine. Così su uno strappettino, Walter mi ha suggerito di provare ad andare via. Si è formato un gruppettino più piccolo e siamo arrivate al traguardo.
Pensi che Silvia sia questa o più quella che aspetta la volata?
Sinceramente sono una di quelle che aspetta per far la volata, pur sapendo di non essere una vera velocista. Sono più per i percorsi mossi, da gruppetti e volate ristrette. In una volata di gruppo diciamo che al 99 per cento io perdo. Diciamo che al Liberazione è andata bene perché magari non c’erano tante avversarie, ma era un obiettivo e sono stata contenta di averlo vinto.
La foto dell’arrivo ricorda quella dell’europeo di Trento…
Vero. Anche se non ho vinto lo stesso giorno (la vittoria porta la data dell’8 settembre, ndr), diciamo che è il mese giusto. Pochi giorni prima di due anni fa, quando vinsi a Trento (era il 10 settembre del 2021, ndr).
Serve Zini che ti punzecchia oppure prima o poi certi ragionamenti ti entreranno in testa?
Penso che non sia lui il problema, penso sia una cosa più personale, di convinzione. Se mi avesse detto di andare, io per assurdo non ci sarei andata. Perché il mio cervello è fatto così e spesso ragiona al contrario. E’ da inizio anno che combatto contro questa contraddizione. Lo so che andare in fuga aiuta anche a trovare la condizione, ma non sempre ce la faccio.
Sei stata per anni 5 anni con Walter, ora si va nel WorldTour. Come mai hai atteso tanto?
Alla BePink ho fatto un bel percorso, ma è giusto che sia arrivato anche il mio momento. Sinceramente non avevo tanta fretta di cambiare o di andare in una squadra WorldTour. Non mi sentivo ancora pronta l’anno scorso: un salto così voglio farlo con la consapevolezza di non dover tornare indietro. Voglio farlo e rimanerci per anni, quindi sicuramente bisognava trovare il momento giusto. L’anno scorso era presto, questa volta è giusto.
E’ un fatto soggettivo oppure hai la sensazione che alcune colleghe abbiano fatto il passo troppo presto?
Qualcuna ha fatto questo errore, perché ovviamente andare in una WorldTour attira, anche se sei giovane. C’è un tempo per tutto, quindi io non consiglierei alle giovani di fare questo passo dal primo anno, perché comunque è un passo importante. Personalmente preferisco un percorso come quello che ho fatto io, passare magari da una squadra continental, dove ti lasciano crescere, ti lasciano i tuoi spazi e impari quello che serve per salire di livello, fermo restando che non si finisce mai di imparare.
Continuerai a lavorare con Zini?
L’idea è quella di continuare ad averlo come preparatore. Sicuramente il prossimo anno ci saranno tanti cambiamenti e avere lui al mio fianco, che può supportarmi, per me è una sicurezza. Per ora sono contenta di farmi seguire ancora da Walter, in futuro vedremo.
Nel futuro ci sono ancora strada e pista?
Sì, l’ho detto subito alla squadra che a me piace fare pista e sicuramente continuerò. Tutte noi italiane abbiamo in testa che il prossimo anno ci sono le Olimpiadi. E’ vero che a 24 anni sono giovane e potrei pensare anche a quelle dopo, però comunque la voglia di andare a Parigi c’è. Ai mondiali di Glasgow ho visto che il livello si sta alzando ogni anno, vedendo le velocità medie e le avversarie. Non bisogna mai abbassare la guardia e bisogna sempre migliorarsi. Ogni anno bisogna fare uno step in più.
L’Ardeche è stato un momento di rinascita per altre italiane, vedi Marta Cavalli…
Mi sono allenata con lei prima dell’Ardeche e sapevo che era in ottima condizione e che puntava comunque a questo Tour. Sicuramente veder vincere un’italiana è più bello che una straniera.
Che cosa sarà la BePink senza Silvia Zanardi?
Sono entrate due nuove ragazze da stagiste e hanno fatto qualche gara in Francia e in Belgio. Sono giovani e volenterose, hanno sicuramente voglia di crescere e di imparare. Quindi sono sicura che resterà comunque una squadra italiana dove si può fare un bellissimo percorso di crescita. Non so chi prenderà il mio posto, ma sono sicura che ci sarà una “Zanna” al posto mio.