Giro d'Italia dilettanti 1992, Marco Pantani, Cavalese-Pian di Pezzè

Giro, un altro ricordo. Cosa sapete della Montagna Pantani?

10.12.2025
7 min
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Non solo Corno alle Scale, c’è un altro arrivo del prossimo Giro d’Italia che ha acceso un ricordo a dir poco speciale. A Pian di Pezzé si concluderà infatti la 19ª tappa, il vero tappone dolomitico con salite come il Giau e il Falzarego prima della scalata finale, nominata Montagna Pantani. Sapete perché? Si è arrivati lassù una sola volta: era il 1992, a capo di un altro tappone dolomitico al Giro d’Italia dei dilettanti, quando un giovanissimo Marco Pantani attaccò da par suo e strappò la maglia di leader all’altrettanto giovane Wladimir Belli.

«Si partiva da Cavalese – ricorda il bergamasco – poi si scalavano il Sella, il Gardena, il Campolongo e da lì si scendeva ad Alleghe per fare la salita finale. Mi ricordo che ero il leader della corsa e la mattina andai da Marco e gli dissi: “Vabbè dai, hai fatto terzo nel 1990, secondo l’anno scorso, ti toccherà fare un altro podio”. Lui invece mi guardò in cagnesco e mi disse: “Belùn, preparati: oggi te la cavo!”

Belli, Casagrande, Pantani

Fine di giugno del 1992, nell’estate che annuncia le Olimpiadi di Barcellona, cui l’Italia prenderà parte con Rebellin, Gualdi e Fabio Casartelli, che di Belli è compagno di squadra alla Domus 87. Ma per il momento la Spagna è più lontana dei 1.250 chilometri che dividono Cavalese dalla capitale catalana. Il 30 giugno si parla di futuro fra i tre italiani che nelle ultime stagioni hanno dominato la corsa organizzata dalla Rinascita di Ravenna. Oltre a Belli, primo nel 1990, c’è anche Francesco Casagrande, vincitore nel 1991. E poi Pantani, terzo e secondo nei due anni precedenti.

«Però partiamo dalla cronometro a Marina di Pietrasanta – racconta Belli – in cui, come sempre, gli avevo dato una… settimana, avevo un bel vantaggio. Non andavo fortissimo quel Giro, non ero in condizione al 100 per cento, perché l’anno prima avevo firmato il contratto da professionista e la testa era già di là».

L'azione di Pantani inizia a 70 chilometri dall'arrivo: scala da solo Sella, Gardena e Campolongo (immagine Rai Play)
L’azione di Pantani inizia a 70 chilometri dall’arrivo: scala da solo Sella, Gardena e Campolongo (immagine Rai Play)
L'azione di Pantani inizia a 70 chilometri dall'arrivo: scala da solo Sella, Gardena e Campolongo (immagine Rai Play)
L’azione di Pantani inizia a 70 chilometri dall’arrivo: scala da solo Sella, Gardena e Campolongo (immagine Rai Play)

La maglia a Cavalese

Non è il ciclismo dei watt, al mattino si mangia la pasta in bianco col pomodoro a parte, anche se Pantani a volte la condisce con la marmellata. La sua bici è una Carrera con il telaio in acciaio, perché anche lui ha firmato il contratto e da agosto salirà a bordo della corazzata di Boifava e Quintarelli. Belli invece andrà alla Lampre di Saronni e Algeri.

«Il mio diesse Locatelli – ricorda – neanche voleva mandarmici al Giro, perché lo sapeva che non avevo il peso giusto. Ma io avevo insistito, la tappa di San Pellegrino arrivava vicino casa e invece proprio quel giorno mi resi conto di fare fatica. Poi arrivammo a Cavalese e li ci fu la prima vera selezione. La maglia se non sbaglio l’aveva ancora Marco Serpellini, però Marco prese e andò via sul Passo San Lugano e dietro rimanemmo in pochi. Lui vinse la tappa e io misi la maglia. Andò forte, ma pensavo che mi sarebbe bastato controllare quel vantaggio piuttosto importante. Ero fiducioso, insomma, molto fiducioso. Invece il giorno dopo Marco mi sfidò. E io decisi di fargli capire subito che non ci fosse trippa per gatti».

Sull’ammiraglia dell’Emilia Romagna (il Giro si correva per formazioni regionali) c’erano Orlando Maini e Davide Balboni
Sull’ammiraglia dell’Emilia Romagna (il Giro si correva per formazioni regionali) c’erano Orlando Maini e Davide Balboni

Attacco frontale

Il resto è storia. Pantani attacca sul Sella e alle sue spalle il gruppo esplode. Fa quello che avrebbe fatto più e più volte tra i professionisti, guadagnandosi il suo posto nella storia. Casagrande cede quasi subito, poi tocca a Belli. Resistono soltanto due colombiani, che non lo impensieriscono. Il Sella da solo, poi il Gardena. E quando è sul Campolongo e chiede un po’ di zuccheri all’ammiraglia, dietro si accorgono di non averne. E’ il giorno in cui Orlando Maini, che con Davide Balboni guida la squadra dell’Emilia Romagna, entra nel vialetto di una casa e chiede un pacco di zucchero a una signora, ben lieta di aiutare.

L’arrivo ai piedi di Pian di Pezzé lo vede ancora in compagnia dell’ultimo colombiano, ma bastano pochi chilometri perché anche quello salti. Pantani ha regalato una sola tappa in carriera, quella di Selva Val Gardena a Guerini. Ma al contrario di quello che avviene oggi con il cannibale iridato, il suo atteggiamento venne preso per arroganza.

«Ero dietro attaccato a un filo – ricorda Belli – e pensavo: mollerà, mollerà, mollerà, mollerà. Invece mollai io e andai in crisi anche di testa. Mi sentivo forte, per questo accettai la sfida testa a testa. Invece per la prima volta nella mia carriera presi una sberla non solamente fisica, ma soprattutto mentale. Non ero abituato a farmi staccare. In più, nell’inverno tra il 1991 e il 1992, avevo iniziato a soffrire attacchi di panico. Al tempo non sapevo cosa fossero, ma non riuscivo più a rimanere concentrato sul ciclismo. Però questo non toglie che Marco fece una cosa grandissima, ancora una volta non aspettando l’ultima salita, ma attaccando subito».

A Pian di Pezzè, Pantani conquista la maglia di leader del Giro dilettanti
A Pian di Pezzè, Pantani conquista la maglia di leader del Giro dilettanti
A Pian di Pezzè, Pantani conquista la maglia di leader del Giro dilettanti
A Pian di Pezzè, Pantani conquista la maglia di leader del Giro dilettanti

Nasce l’amicizia

Della salita di Pian di Pezzé, Belli ricorda molto poco, perché ammette di non avere una grande memoria fotografica. E perché ci arrivò così conciato per le feste da non avere la lucidità e forse nemmeno la voglia di guardarsi intorno. Pantani vince la tappa e conquista la maglia gialla, che difenderà agevolmente l’indomani nella tappa di Gaiarine, vinta da Mariano Piccoli.

«So solo che presi una valanga di minuti – ammette Belli – perché quando si molla, si molla. Dopo l’arrivo non lo incontrai, andai a fargli i complimenti alla partenza del giorno dopo. Soprattutto i primi anni, non si parlava molto. Ci eravamo conosciuti da juniores e poi abbiamo sempre avuto un rapporto di stima reciproca, pur non parlando tanto. Da professionisti invece si matura, si ha più tempo per stare insieme e si capisce che prima dei corridori ci sono le persone. Da dilettanti facemmo con la nazionale la Settimana Bergamasca del 1991, che vinse Armstrong. Eravamo in camera insieme e nacque un po’ più confidenza. Da lì in avanti rimanemmo avversari, ma alla fine c’era qualcosa di più profondo e più umano. Quando c’era da ridere e scherzare, Marco non si tirava indietro».

Wladimir Belli, Marco Pantani, Giro d'Italia 2001
Fra Belli e Pantani nacque una bella amicizia negli anni tra i pro’. Qui siamo al Giro del 2001
Wladimir Belli, Marco Pantani, Giro d'Italia 2001
Fra Belli e Pantani nacque una bella amicizia negli anni tra i pro’. Qui siamo al Giro del 2001

Come Pogacar, 20 anni prima

Oggi quel modo di correre è la cifra stilistica di Pogacar. Nessuno ci ha più provato per anni fatto salvo Contador e il Froome al Giro del 2018: l’atleta calcolatore da cui meno sarebbe stato logico aspettarselo.

«E’ tornata la tendenza a correre da pirati – riflette Belli, brillante opinionista di Eurosport – la tendenza è quella di partire più da lontano. Le situazioni sono cambiate, c’è più coraggio. Pogacar insegna che si può fare. Tanti ci provano e rimbalzano, ma altri ci provano e poi arrivano. Hanno capito che non si può più aspettare l’ultima salita, perché il livello è alto per tutti. E a proposito di Pantani, ricordo una scena alla partenza da Asiago al Giro del 1998. Io ero compagno di squadra di Zulle che aveva la maglia rosa e lo aveva umiliato a cronometro e staccato a Lago Laceno. Marco venne da me e come sei anni prima io gli dissi che si sarebbe potuto accontentare. Lui mi guardò e mi disse: “Belùn, preparati: oggi gliela cavo!”. A me tornarono in mente le stesse parole di Cavalese, mi venne un brivido lungo la schiena e pensai che sarebbe stata una giornata lunga. Anche quella volta sappiamo bene come andò a finire…».

Come arginare l’aumento di velocità? Belli ha un’idea

05.11.2025
5 min
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Qualcosa si deve cambiare. lo dicono ormai molti dei componenti del variegato mondo del ciclismo, a proposito delle eccessive velocità. Le analisi di fine stagione sono impietose: la media generale delle corse WorldTour, come sottolineato da uno studio su ProCyclingStats, è di 42,913 all’ora che considerando le sole classiche sale a 43,568. Questo significa un aumento di oltre il 5 per cento rispetto a cinque anni fa. Aggiungiamo a questi dati anche quelli relativi al Tour de France, con la maggior media generale della storia, 42,849 con addirittura una tappa (la seconda) oltre i 50 orari.

La seconda tappa del Tour, vinta da Mathieu Van der Poel, ha superato la media dei 50 all'ora
La seconda tappa del Tour, vinta da Mathieu Van der Poel, ha superato la media dei 50 all’ora
La seconda tappa del Tour, vinta da Mathieu Van der Poel, ha superato la media dei 50 all'ora
La seconda tappa del Tour, vinta da Mathieu Van der Poel, ha superato la media dei 50 all’ora

Come intervenire sul mezzo?

E’ sicuramente un problema, che incide sull’aspetto sicurezza. Le voci che chiedono una riduzione ci sono, ma diventa difficile comprendere il come e soprattutto capire chi deve agire in tal senso, perché è chiaro che l’UCI, per legiferare, ha bisogno di un indirizzo chiaro dal movimento. Questo è un tema che ha attraversato anche altre discipline sportive: nell’atletica, per fare un esempio, quando i giavellotti superarono i 100 metri di gittata mettendo a rischio il pubblico, si decise di spostare il baricentro fortemente in avanti, per ridurre la parabola dei lanci.

Per capire come e soprattutto su che cosa bisogna agire abbiamo analizzato la questione con Wladimir Belli, ex campione e oggi apprezzato commentatore di Eurosport sempre molto attento all’aspetto tecnico del ciclismo.

«Si ragiona tanto sui rapporti – dice – ma a mio parere è quasi un palliativo che non affronta la questione. Partiamo dal peso della bici, 6,8 chilogrammi come minimo, è chiaro che su un mezzo del genere ridurre i rapporti non va a influire così tanto. Secondo me bisogna agire sulle ruote. Bisogna mettere mano alle ruote a profilo alto che danno un grande beneficio in termini di aerodinamica, quindi aumentare e mettere un limite al peso minimo delle ruote perché tutte le parti rotanti influiscono in maniera esponenziale nella performance».

Wladimir Belli, campione sui pedali e oggi commentatore di Eurosport con grande competenza tecnica
Wladimir Belli, campione sui pedali e oggi commentatore di Eurosport con grande competenza tecnica
Wladimir Belli, campione sui pedali e oggi commentatore di Eurosport con grande competenza tecnica
Wladimir Belli, campione sui pedali e oggi commentatore di Eurosport con grande competenza tecnica

Quanto può influire il peso

Il discorso di Belli va a toccare gli interessi delle aziende, che però potrebbero anche venire incontro a una simile esigenza. Lo hanno fatto ad esempio le grandi imprese di Formula Uno, quando a un certo punto si sono tutte impegnate nel rendere le macchine anche meno performanti ma più sicure, con quel surplus di sicurezza che si è andato a tradurre nella struttura dei telai delle auto di uso comune.

«Io ho fatto un piccolo esperimento – racconta Belli – ho preso la bilancina per alimenti e ho fatto una prova con tre componenti che sono i pedali anni 90, i Time che usava Indurain, le tacchette e le scarpe di allora. Confrontandoli con i prodotti odierni c’è una differenza di mezzo chilo. Può sembrare poco, ma pensiamo di mettere una cavigliera di mezzo chilo su ognuno dei piedi e affrontare una salita, è chiaro che la velocità si ridurrà e i tempi di percorrenza saranno maggiori. E parliamo di componenti non strettamente legati alla meccanica della bici. C’è una ricerca spasmodica della riduzione di peso “esterna” al fisico del corridore, è lì che bisogna agire e torniamo al punto di prima: le ruote sono la componente principale sulla quale si può agire in tal senso».

Secondo Belli, le ruote sono la componente decisiva per lo sviluppo della velocità
Secondo Belli, le ruote sono la componente decisiva per lo sviluppo della velocità
Secondo Belli, le ruote sono la componente decisiva per lo sviluppo della velocità
Secondo Belli, le ruote sono la componente decisiva per lo sviluppo della velocità

Le gerarchie resterebbero quelle…

Intervenendo cambierebbero i rapporti di forza o le gerarchie resterebbero quelle che vediamo durante la stagione? «Non ho dubbi in tal senso. Chi è forte è forte lo stesso, non influisce sulle gerarchie. Pogacar non vince certo per qualche etto in meno… Facciamo un altro esempio legato alla Milano-Sanremo: pensiamo di affrontare la Classicissima con ruote più pesanti, la differenza sarebbe abissale, ma soprattutto cambierebbe la stessa struttura della corsa, una Cipressa sarebbe sicuramente molto più importante nella sua evoluzione. Per essere più chiari, stai tranquillo che per scattare in salita bisognerà alzarsi sui pedali e non si andrà avanti seduti come ora… Io sono convinto che alzando il peso delle ruote di un 30 per cento, la situazione cambierebbe profondamente».

Abbassando le velocità medie, alla Sanremo anche la Cipressa tornerebbe ad avere un peso
Abbassando le velocità medie, alla Sanremo anche la Cipressa tornerebbe ad avere un peso
Abbassando le velocità medie, alla Sanremo anche la Cipressa tornerebbe ad avere un peso
Abbassando le velocità medie, alla Sanremo anche la Cipressa tornerebbe ad avere un peso

Gli influssi sul mercato

Le aziende accetterebbero un regolamento diverso da parte dell’UCI, ad esempio proprio le aziende legate alle ruote: «I cicloamatori che sono la gran parte della clientela, vanno dietro ai professionisti. Qualcuno ricorderà i famosi Spinaci di Cinelli adottati negli anni 90. Quando la Federazione Internazionale li ha vietati, sono spariti anche a livello amatoriale perché si tende a imitare quel che fanno i pro’, ad acquistare gli strumenti del nostro campione preferito. Con quell’accessorio la sicurezza veniva in parte meno perché non avevi i freni.

«Le aziende secondo me non vedrebbero l’ora perché continuerebbero a vendere le ruote dei professionisti. Perché si tende ad emulare quello che fanno loro e potrebbe essere per loro un business. Spingere a utilizzare le ruote che usano i campioni».

Verso il Valle d’Aosta: meno estremo, più aperto. L’analisi di Belli

03.07.2025
5 min
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La scorsa settimana è stato presentato il Giro della Valle d’Aosta (16-20 luglio), giunto alla sua 61ª edizione. Un grande evento nel capoluogo della Regione al quale ha presenziato anche Wladimir Belli, oggi commentatore tecnico per Eurosport e in passato corridore capace di salire sul podio del Giro della Valle in due occasioni, terzo nel 1990 e primo nel 1991 (in apertura foto Giro VdA).

Quello che ci è parso di notare è che si tratti di un’edizione meno dura rispetto agli ultimi anni. C’è una tappa veloce in avvio, una cronoscalata che è certamente impegnativa ma nel complesso riduce il dislivello. E soprattutto ci sono tre arrivi pedalabili, l’ultimo dei quali, quello di Cervinia, non è preceduto, come sempre accedeva in questi ultimi anni, dal Saint Pantaleon.

Attenzione, non vogliamo criticare: è semplicemente un’analisi. Magari potrebbe anche essere una scelta giusta ai fini dello spettacolo e del ventaglio di atleti per cui la corsa resta aperta. E con Wladimir Belli analizziamo proprio questi aspetti.

Wladimir Belli, Giro d'Italia 2003, Zoncolan
Belli (classe 1970) è stato professionista per 16 stagioni. Passò pro’ nelle fila della Lampre nel 1992
Wladimir Belli, Giro d'Italia 2003, Zoncolan
Belli (classe 1970) è stato professionista per 16 stagioni. Passò pro’ nelle fila della Lampre nel 1992
Wladimir, dunque, che Giro della Valle d’Aosta ti sembra?

Prima di tutto fatemi ringraziare patron Riccardo Moret, che mi ha invitato alla presentazione della gara. Sicuramente è un Giro della Valle diverso e un po’ meno duro. Non è impossibile rispetto ad altri anni, ma nel complesso le salite ci sono: 498 chilometri e oltre 11.000 metri di dislivello. Poi, per motivi legati anche alle località ospitanti, non si ha sempre carta bianca sulla scelta delle strade: bisogna fare di necessità virtù.

Chiaro…

La prima tappa è corta e per mezzi velocisti, la seconda è una cronoscalata la cui pendenza media è circa del 6 per cento: oggi con queste pendenze si parla di velocità prossime ai 30 all’ora. Per cui, sicuramente, chi va forte in salita emerge, ma uno che non perde troppo su una salita così pedalabile resta in lizza. Un discorso simile potrebbe valere anche per il Gran San Bernardo, che è una salita veloce, però lì le cose cambiano.

Perché?

Perché si va in quota. Vado a memoria, ma credo che sia, tra tutte le gare, anche quelle dei pro’, il secondo o terzo arrivo più elevato dell’anno (Qinghai Lake escluso, ndr). Al Giro d’Italia la Cima Coppi è stata ai 2.100 metri del Colle delle Finestre… E a quelle altitudini non per tutti è la stessa cosa. Non è facile. Alla fine, in tre giorni fanno lo stesso dislivello che c’era al Giro Next Gen.

Poi c’è Valsavarenche: il vero tappone. Ma ancora una volta la salita finale è lunga e veloce. Questo potrebbe inibire certi attacchi da parte degli scalatori puri?

Questo potrebbe essere vero, però prima ci sono altre salite per poter rendere la corsa dura anche su una salita non impossibile. E’ un giro sicuramente un po’ più aperto, e uno che pesa 68-70 chili è meno penalizzato. E poi, rispetto ai miei tempi, quando c’era la tappa finale facile, qui si finisce in quota. La fatica che si accumula può essere un altro elemento per fare la differenza. Sono ragazzi giovani e il recupero non è uguale per tutti, perché non tutti sono abituati a certe corse a tappe.

Anche i chilometri contano oppure ormai con alimentazione e preparazione è una cosa che incide poco?

Vi faccio un esempio sempre in termini di recupero. Tappone dell’Aprica del 1994, quello in cui Pantani diventò il Pirata. Tante salite in successione, 218 chilometri, restammo in bici per quasi 7 ore. Il giorno dopo altro tappone. I chilometri incidono, anche quelli dei giorni precedenti e anche se sono in pianura incidono. Perché se devi fare per tre giorni di seguito tanti chilometri significa che arrivi tardi in hotel e la mattina dopo parti presto: ti devi svegliare prima e questo alla lunga presenta il conto eccome.

C’è proprio meno tempo fisico per riposare, per scaricare la stanchezza e lo stress che contestualmente si accumula. E’ questo il senso?

Esatto, Nibali era un grande anche perché appena finita la tappa o le premiazioni, saliva sul bus e immediatamente dormiva. Altri invece erano lì che si logoravano già pensando al giorno dopo o facendo altro. Nel ciclismo ci sono moltissime variabili.

Jarno Widar è il campione uscente e dovrebbe essere al via anche in questa edizione
Jarno Widar è il campione uscente e dovrebbe essere al via anche in questa edizione
Per tre giorni si va oltre (o si sfiorano a Valsavaranche) i 2.000 metri: può essere una variabile che incide sul recupero?

No, mi spiego. Oggi i corridori giovani passano e sono subito performanti, perché hanno a disposizione internet e da qui una valanga di informazioni. Imparano prima e sono pronti su tutto. Poi magari da parte dei sudamericani c’è sicuramente una predisposizione, perché sono abituati, ma ai fini del recupero non credo possa incidere.

Rispetto ai tuoi tempi sono diversi i percorsi del Giro della Valle d’Aosta?

No, la Valle d’Aosta è quella. Grande fondovalle e poi, che tu giri a sinistra o che tu giri a destra, salite ce ne sono quante ne vuoi. Un aspetto che invece viene poco considerato è il vento. Nei fondovalle c’è sempre. All’epoca io telefonavo a qualcuno del posto che conoscevo per sapere come girava. Adesso lo sanno tutti: i direttori sportivi comunicano ogni dettaglio e questo incide sul modo di correre.

Ecco, questo era diverso?

Magari uno attaccava su una salita, prendeva due minuti e poi nel fondovalle restava lì. Adesso queste cose sono gestite diversamente. Prima serviva molto di più l’esperienza, anche intesa come conoscenza delle strade, perché le avevi già fatte. Sapevi che, se dovevi girare a destra, poi la strada si stringeva: quindi ti portavi avanti prima.

Con Belli il premonitore il bilancio della Vuelta

10.09.2024
6 min
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«Ben  O’Connor finirà tra i primi cinque. Vedrete». Wladimir Belli ha azzeccato in pieno il pronostico sul conto del corridore della Decathlon-AG2R. L’ex corridore lombardo, oggi commentatore per Eurosport, ha seguito la Vuelta molto da vicino e tra il suo occhio lungo e il fatto di stare sempre sul pezzo è la persona giusta per tracciare un bilancio del grande Giro spagnolo.

Sempre Belli aveva azzeccato anche la vittoria di Roglic, questa più pronosticabile, certo. L’unico dubbio circa lo sloveno era: arriverà a Madrid? O sarà bloccato, come spesso gli succede, da qualche caduta?

Wladimir Belli (classe 1970) è stato pro’ per 16 stagioni, ora è un commentatore di Eurosport
Wladimir Belli (classe 1970) è stato pro’ per 16 stagioni, ora è un commentatore di Eurosport
Vuelta finita Wladimir, partiamo proprio dalla tua visione su O’Connor…

O’Connor è un buon corridore, magari non è un vincente, né un super campione, va bene in salita, si difende bene a crono e ha un grande livello di continuità. Ormai si sa gestire: si conosce. Conosce i suoi limiti e sa sfruttare bene le sue qualità. Non ha vinto chissà cosa, ma se andiamo a guardare il suo palmares è uno di quelli che non crolla mai. Quarto al Giro d’Italia, quarto al Tour de France.

Ha guadagnato un gruzzoletto di minuti nella sesta tappa, quella che ha vinto, ma davvero ti aspettavi un risultato simile?

Io sì, alla fine dopo quel giorno quanto ha perso nei confronti degli altri? Faccio un esempio. Prendiamo il Pozzovivo di qualche anno fa. Se gli lasciavi 10′ non so se il Roglic della situazione lo riprendeva. Semmai solo lui. Ma gli altri no. Pozzo si sarebbe staccato tutti i giorni, ma non avrebbe mollato mai. Sarebbe andato su al massimo delle sue possibilità e non avrebbe avuto un giorno di enorme crisi. E quindi sarebbe andato sul podio. 

E poi c’è Primoz Roglic: quarta Vuelta. Cosa ne pensi?

Sono gli altri che hanno perso una buona occasione, quella che lui, ancora una volta ha sfruttato bene. Ad un certo punto credo si sia anche spaventato un po’ con il vantaggio che aveva O’Connor e tutto sommato questo distacco ha tenuto viva la Vuelta stessa. Io avevo ipotizzato che Roglic avrebbe ripreso la maglia rossa ai Lagos de Covadonga: non ce l’ha fatta per 5”, ma ricordiamoci anche della sua penalizzazione di 20”.

O’Connor stoico: in montagna ha ceduto poco terreno agli altri (Roglic escluso) e ha fatto un’ottima crono finale. Risultato: 2° a Madrid
O’Connor stoico: in montagna ha ceduto poco terreno agli altri (Roglic escluso) e ha fatto un’ottima crono finale. Risultato: 2° a Madrid
La sensazione, al netto dei nomi che erano anche buoni, è che sia stata una Vuelta un po’ in caduta in quanto a livello di forma. Tu come la vedi?

Roglic secondo me non è andato forte come i suoi standard. Non era il solito Roglic, ecco. Come ho detto prima gli altri hanno perso una buona occasione. Carapaz ha lottato, ha detto che voleva vincere la Vuelta, ma alla fine ha fatto il suo. O’Connor con quella fuga ha fatto molto e ha messo pepe all’intera corsa. La Vuelta è spesso un esame di riparazione, a parte per gli spagnoli che la sentono e la vivono in modo diverso. 

A tal proposito Enric Mas è andato forte….

Sì, molto. Però va anche ricordato che il livello era quello che era. Ho l’impressione che Mas non sia al pari di quei 3-4 corridori che difficilmente sbagliano. Magari un giorno potrebbe provare a vincere la Vuelta sfruttando quell’occasione di cui dicevo, ma è anche vero che il tempo passa e dietro c’è gente che spinge.

In generale chi ti è piaciuto?

Beh, questo Pablo Castrillo ha fatto dei bei numeri. E’ stato un corridore inaspettato. Un gran bel lottatore. Mi è piaciuto molto anche Kaden Groves. E’ vero che i velocisti veri non c’erano, però oltre che a fare bene in volata ha tenuto su percorsi mossi e difficili nonostante la sua stazza. Alla fine si è portato a casa tre tappe e la maglia verde. E bene anche Richard Carapaz, mi è piaciuta la sua solita tenacia. Alla fine non è andato lontano dal podio.

Wladimir Belli ha messo Kaden Groves tra i promossi di questa Vuelta
Wladimir Belli ha messo Kaden Groves tra i promossi di questa Vuelta
E degli italiani cosa ci dici?

Non si sono visti moltissimo a dire il vero. Ma mi sono piaciuti Aleotti, Baroncini e Cattaneo. Baroncini ha delle qualità… quando non cade e si frattura, quindi è sfortunato. Anche quando Velasco vinse l’italiano ricordiamoci che forò nel finale e lui era nettamente il più veloce. Battè Girmay al mondiale under 23, e questo vuol dire molto, va forte a crono. Insomma è un bel corridore. Aleotti mi è piaciuto per quel che ha fatto. Ha svolto un ottimo lavoro, è stato sempre presente e secondo me ha trovato il suo posto in gruppo. Per fare classifica non ha ancora la forza necessaria a crono, in salita e nel recupero, ma ha il suo spazio ed è un corridore molto utile alla causa.

Non abbiamo ancora parlato di Van Aert. Fin quando è stato in corsa, sembrava in netta crescita…

Sì, ma per le sue caratteristiche vince poco. Era in lotta per gli sprint, per le tappe, per la maglia verde e tutto ciò a cosa lo ha portato? A precludergli il finale di stagione. Pensate a Van der Poel: quante volte lo abbiamo visto davvero attivo al Tour? Poche. E magari quando si vedeva provava a vincere. E’ vero che Wout è più duttile va forte su più terreni e si mette più in gioco, ma così no.

Dici che deve selezionare insomma?

Sì, e poi c’è un’altra cosa che penso al suo riguardo: uno come Van Aert non dovrebbe fare mai il gregario. Si fa in quattro per aiutare questo o quello. Lo portano al Tour per Vingegaard. Lo fanno andare in fuga, lo fermano per attenderlo, per farlo tirare, ci si aspetta che poi vinca lui stesso. Okay la sfortuna, ma quest’anno ha vinto cinque corse: poco per uno forte come lui. Vi faccio un esempio…

Per Van Aert una Vuelta a doppio volto: bene all’inizio, ma poi un ritiro che gli è costato molto
Per Van Aert una Vuelta a doppio volto: bene all’inizio, ma poi un ritiro che gli è costato molto
Vai…

Ripenso, e mi arrabbio, alla prima tappa del Tour di quest’anno, quella che ha vinto Bardet. Una tappa ideale per Van Aert. Bastava che su una di quelle salite finali, quando il gruppo era tornato ad aver la fuga a vista, Vingegaard facesse una tirata delle sue di 250 metri e Van Aert avrebbe chiuso o si sarebbero eliminati del tutto i velocisti. Cosa sarebbe costato a Vingegaard? Quanto avrebbero inciso 250 metri di tirata sul Tour del danese? Non è facile per Wout stare in quel team.

Torniamo alla Vuelta: c’è qualcuno che invece ti ha deluso?

Vlasov. Alex lo conosco bene, so delle sue doti. Lo allenavo io quando vinse il Giro Under 23. Ma dopo tanti grandi Giri quante tappe ha vinto? Nessuna. E ha sempre avuto una o più giornate no. E poi in generale non mi è parsa brillante la UAE Emirates. E’ vero che hanno perso Almeida (il leader, ndr) per covid ma poi Adam Yates non ha reso come ci si poteva attendere, evidentemente le fatiche del Tour si sono fatte sentire. Non è facile essere competitivi tanto a lungo. E poi avevano avuto già prima quel problema con Ayuso. Se fosse stato bene sarebbe di certo entrato nei primi cinque, perché lui è un corridore vero.

Volto, pedalata, posizione… I segreti del Belli commentatore

23.08.2024
5 min
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Commentare una gara di ciclismo da un punto di vista tecnico non è cosa scontata. L’esperienza diretta è alla base. Wladimir Belli, ex corridore tra gli anni ’90 e 2000 è oggi ai microfoni di Eurosport. Spesso lo sentiamo dare giudizi particolari su questo o quel corridore o anticipare le azioni e tattiche.

Come fa? Lo abbiamo chiesto direttamente a lui.

Ex corridore dal 1992 al 2007, oggi Wladimir Belli è un commentatore di Eurosport
Ex corridore dal 1992 al 2007, oggi Wladimir Belli è un commentatore di Eurosport
Wladimir, dicevamo delle tue qualità di commentatore tecnico. Spesso attribuisci aggettivi particolari, che in effetti caratterizzano quell’atleta: coma ci riesci?

Mi viene un po’ da sorridere. Per fare quel che faccio oggi, ho alle spalle “qualche” chilometro fatto in carriera. Se fossero tutti in grado di commentare in un certo modo o di capire subito cosa succede o cogliere un particolare… magari non sarei lì. E’ proprio grazie a quei chilometri che riesco a capire se un corridore è a tutta oppure è lì, bello rilassato. 

E cosa guardi?

Cento cose. Faccio degli esempi, così forse è più facile. Il gruppo è in salita e accelera di un chilometro orario, se ti alzi sui pedali per tornare sotto significa che sei già parecchio impegnato. Tra l’altro spendi di più, fai fatica a livello muscolare e al primo vero affondo ti stacchi. Oppure il busto: chi non è così sciolto, anche nei movimenti, chi è attaccato al manubrio… Non può più nascondersi al lungo. Sono aspetti che chi non ha corso in bici, anche se ci fa caso, magari non li nota fino in fondo.

O’Connor ieri in azione alla Vuelta. Belli lo dava favorito già a parecchi chilometri dall’arrivo
O’Connor ieri in azione alla Vuelta. Belli lo dava favorito già a parecchi chilometri dall’arrivo
E’ chiaro.

Per esempio mi viene in mente al recente Tour quando la Visma-Lease a Bike stava tirando per Vingegaard. Quando si è spostato Jorgenson e il danese è scattato, Pogacar non si è neanche alzato sui pedali. E lo dicevo da un po’ che stava bene. Poi cosa ha fatto Tadej? Lo ha fatto sfogare e appena è calato un po’ è partito lui e lo ha lasciato lì.

Cosa osservi anche nei momenti meno intensi?

Analizziamo la tappa di ieri alla Vuelta. Era da un po’ che dicevo di fare attenzione ad O’Connor, tanto è vero che mi hanno anche chiesto come mai insistessi molto su di lui. Ma si vedeva da come pedalava, da come girava il rapporto, dall’espressione della sua faccia. E poi bisogna anche informarsi. Vai a vedere il suo palmares. Mi dicevano che sarebbe arrivato, perché ai big non interessava. Che lo avrebbero ripreso quando volevano. Io dico che O’Connor arriva nei primi cinque di questa Vuelta. Ne parliamo dopo i Lagos de Covadonga. Oggi sono andati fortissimo. Non lasciamoci ingannare dal fatto che sono arrivati in 37 davanti. Sono arrivati in tanti perché il tracciato lo consentiva. Ma se ci fosse stato un chilometro al 15 per cento sarebbero arrivati: uno, uno, uno..

Chi ti piace come stile?

Enirc Mas, mi piace come pedala e mi piace la sua posizione. Tenendo conto del livello di questa Vuelta non sarei stupito se salisse sul podio, almeno in condizioni normali, senza cadute o inconvenienti particolari. Anche Riccitiello non è male. Non lo conosco bene, ma sta andando forte.

E a crono? Cosa noti e come fai a capire chi sta andando forte?

Ecco questa è la tipologia di tappa più difficile da commentare. Spesso vedi gente messa bene, che sembra stia spingendo un grande rapporto e poi il cronometro dice il contrario. Altri che sono più disuniti invece vanno forte. Ammetto che qui sono più in difficoltà. Ma in pianura e in salita, senza presunzione, ci azzecco!

Forse perché non eri un cronoman, ma uno scalatore! Andiamo avanti…

E poi ci sono anche quelli bravi a bluffare. Quelli che giocano d’astuzia e di esperienza: fanno espressioni, si muovono molto in bici… 

E li scovi?

“Ni”: sì e no. Non è facile proprio perché sono bravi…

Prima, Wladimir, abbiamo un po’ accennato allo stile. Rispetto ai tuoi tempi si pedala in modo molto diverso, cosa ne pensi di queste “pedalate moderne”?

Contano i rapporti, i materiali, gli studi, la tecnologia. Penso a due corridori grandi, Van Aert e Merckx sul Ventoux. Se guardiamo le foto sono due posizioni totalmente differenti, ma il motivo, che faccio fatica a digerire, è che un tempo il corridore doveva essere completo. In pianura poteva fare anche 100 e passa pedalate, ma in salita ne faceva 50-60. Oggi anche se c’è una salita al 20 per cento non fanno meno di 80 pedalate. E questo cambia la struttura degli atleti, oggi più elastici, andate a vedere invece i quadricipiti di Coppi. Facevano paura.

Il posizionamento delle tacchette: particolare curioso da cui Belli trae informazioni
Il posizionamento delle tacchette: particolare curioso da cui Belli trae informazioni
E invece chi non ti piace del tutto?

Beh, forse i gemelli Yates (molto avanzati, ndr) e anche Pogacar non è che sia così bello ed elegante. Però va! Anche Sagan non era messo bene però andava forte. Sono dettagli.

Dettagli: quali sono quelli che ti piace osservare?

La spinta della scarpa sul pedale, che poi è il posizionamento delle tacchette. Da lì già si può capire qualcosa di quel corridore, della sua muscolatura. Non è semplice, però se per esempio pedala in punta e quindi in fase di spinta gli “sparisce” il polpaccio magari sai già che non è da volata. Mentre  se spinge più con la pianta, e lì il polpaccio “esce”, magari è più potente e potenzialmente non è un corridore che va agile.  

Hai elencato molte chicche tecniche per decifrare i corridori. Hai anche una sorta di sesto senso a prescindere dal passato ciclistico?

Alla fine il valore aggiunto è aver corso e aver fatto “un milione” di chilometri. Sono quelli che ti fanno cogliere i dettagli.

Due cardini e tanta qualità attorno: la Visma secondo Belli

11.03.2024
5 min
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A volte della Visma-Lease a Bike e persino della UAE Emirates, vale a dire la seconda e la prima squadra del ranking UCI, è stato detto che senza i campioni di vertice sono poco vincenti. Ma è davvero così? Se della squadra di Pogacar abbiamo già parlato, stavolta con Wladimir Belli ci concentriamo sui “calabroni” olandesi.

L’ex professionista e oggi commentatore tecnico di Eurosport è convinto che la Visma abbia due cardini, ma intorno la qualità c’è. Ed è tanta. Inoltre la squadra di Richard Plugge si sa anche rinnovare. La prova freschissima è Matteo Jorgenson, nuovo acquisto, che ha vinto la Parigi-Nizza.

In più aggiungiamo un dato che parla della crescita e della “rosa profonda”: nel 2023 la Visma ha vinto con 14 corridori diversi, la UAE con 17.

Wladimir Belli (classe 1970) è oggi un commentatore di Eurosport. E’ stato pro’ dal 1992 al 2007
Wladimir Belli (classe 1970) è oggi un commentatore di Eurosport. E’ stato pro’ dal 1992 al 2007

Due cardini

«La Visma-Lease a Bike – dice Belli – è impostata su due grandi corridori: Wout Van Aert per le classiche e Jonas Vingegaard per le corse a tappe. Certamente questi sono i fari, ma intorno ci sono tanti altri ottimi corridori. Hanno Laporte, che ha vinto la Gand anche se con l’aiuto di Van Aert ed è campione europeo.

«E poi anche se dovessero vincere “solo” una classica monumento con Van Aert e il Tour con Vingegaard sono a posto per l’intera stagione. Magari in tal senso Van Aert dovrebbe essere un filino più vincente. Perché lui c’è sempre, s’impegna, ma poi quell’altro, Van der Poel, è un cecchino e vince».

E’ chiaro che con corridori così tanto più forti e che danno garanzie – si veda Vingegaard, ma anche Pogacar – i compagni anche se sono dei campioni si ritrovano a fare i gregari. Ed è uno dei motivi per cui Roglic ha deciso di cambiare squadra. Alla Tirreno abbiamo visto tirare da lontano Kruijswijk e Van Baarle, gente che è salita sui podi di grandi Giri o ha vinto la Roubaix. Ci sta che poi certi campioni inevitabilmente catalizzino l’attenzione.

Mentre Vingegaard sollevava il Tridente della Tirreno, Jorgenson era sul palco della Parigi-Nizza. Altra doppietta Visma-Lease a Bike
Mentre Vingegaard sollevava il Tridente della Tirreno, Jorgenson era sul palco della Parigi-Nizza

Rendere al massimo

Belli poi tocca un altro paio di tasti davvero importanti: la capacità di rinnovare la squadra e soprattutto quella di fare rendere al meglio i corridori. Questo è possibile con una buona campagna acquisti e con un settore giovanile molto curato, anche nella ricerca dei talenti. Abbiamo visto per esempio il fondista norvegese Jorgen Nordhagen.

«La Visma è una squadra – prosegue Belli – che quando prende i corridori gli riesce a far fare il salto di qualità. Penso per esempio a Laporte. Alla Cofidis non era così, andava forte, ma non in questo modo e con questa costanza. Un altro esempio recente è Jorgenson. Alla Movistar era un giovane di buone prospettive, qui è già un vincente. E credo sarà la stessa cosa con Cian Uijtdebroeks. E poi hanno Koij, Tulett…

«Però, questo aspetto vale per un po’ tutti i top team attuali. La Ineos-Grenadiers in questo momento sta facendo un po’ più di fatica, ma di base stanno lavorando bene con i giovani. UAE Emirates solo quest’anno ha messo dentro Morgado e Del Toro e guardate come vanno».

Strand Hagenes, qui Affini con a ruota, altra giovanissima perla della corazzata olandese che molto piace a Belli
Strand Hagenes, qui Affini con a ruota, altra giovanissima perla della corazzata olandese che molto piace a Belli

Forza e tattiche moderne  

Un altro aspetto che può indurre al pensiero “oltre i grandi niente”, c’è anche il modo di correre di queste squadre. Ma se tocchiamo questo tasto in qualche modo torniamo al punto di prima: vale a dire che è “normale” che campioni di un certo calibro finiscano per catalizzare attenzioni ed energie.

Con un Vingegaard in questa condizione come si fa a lavorare per un Uijtdebroeks? La differenza è troppo netta. Le garanzie che dà il danese troppo superiori. E c’è un altro aspetto: i punti UCI oggi sono vitali.

«Il ciclismo è cambiato – spiega Belli – guardiamo alla frazione del Petrano. Se fosse stata disputata ai miei tempi e io fossi stato in maglia, tanto più dopo aver già vinto una tappa, avrei lasciato andare la fuga. Avrei lasciato tirare altri e se proprio si presentava l’occasione magari avrei pensato alla tappa. Vingegaard invece ha voluto vincere lo stesso. E forse è anche giusto. Il pubblico vuole lo spettacolo, vuole i migliori e non la corsa nella corsa. A Campo Imperatore lo scorso anno aspettavano i big».

Omloop Het Nieuwsblad: Tratnik precede Politt. Lo sloveno giocava di rimessa, con Van Aert nel gruppetto inseguitore
Omloop Het Nieuwsblad: Tratnik precede Politt. Lo sloveno giocava di rimessa, con Van Aert nel gruppetto inseguitore

Troppo forti?

Non sempre però essere i più forti, corrisponde ad adottare le tattiche migliori. Pensiamo alla Omloop Het Nieuswblad. La Visma-Lease a Bike, come ci ha raccontato anche Affini, ha lavorato alla perfezione fino all’esplosione della corsa e dei ventagli, ma poi ha rischiato di perdere. Alla fine davanti erano due: Tratnik (Visma) e Politt (UAE). Avevano il 50 per cento di possibilità a testa, mentre la Visma era nettamente più forte.

«Succede anche questo – commenta Belli – quel giorno magari gli è andata di lusso, ma… Primo: avevano talmente tanta energia più degli altri che avrebbero vinto con altri corridori. Secondo: questo è il vantaggio di avere comunque un Van Aert in gara. Se lui è tanto marcato, si può dare spazio ad altri e correre di rimessa».

Delfinato o Svizzera? La via per il Tour secondo Belli

31.05.2023
6 min
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Lo scorso anno, dopo una primavera non troppo esaltante, Jonas Vingegaard andò al Delfinato, vinse l’ultima tappa (foto di apertura) e si piazzò secondo dietro Roglic in classifica finale. Così prese fiducia e dopo 40 giorni si ritrovò vincitore del Tour. Ora che il Giro è finito, manca davvero poco perché si cominci a entrare nell’orbita della Grande Boucle. E il calendario WorldTour offrirà nelle prossime settimane due corse tradizionalmente dedicate al rodaggio dei campioni, dalle quali pochi davvero si asterranno. Stiamo parlando di Giro del Delfinato (4-11 giugno) e Giro di Svizzera (11-18 giugno), i cui albi d’oro sono pieni di corridori che nelle settimane successive hanno ben figurato nella sfida del Tour.

La cosa curiosa di quest’anno è che i primi due del Giro, quindi Roglic e Thomas, lo scorso anno avevano vinto rispettivamente il Delfinato e il Giro di Svizzera.

Belli è arrivato per tre volte terzo in Svizzera: qui nel 2001, quando vinse Armstrong. Secondo fu Simoni, primo al Giro (foto Keystone)
Belli è arrivato per tre volte terzo in Svizzera: qui nel 2001, quando vinse Armstrong. Secondo Simoni, primo al Giro (foto Keystone)

Tre volte terzo

Ne abbiamo voluto parlare con Wladimir Belli, che li ha fatti da corridore e a breve commenterà il Delfinato dai microfoni di Eurosport. Essendo un preparatore atletico, la nostra è una curiosità al contrario: vale ancora la pena passare attraverso certi percorsi di rodaggio per arrivare bene al Tour?

«Faccio due considerazioni – comincia Belli – e la prima che mi viene in mente è che sono arrivato per tre volte terzo allo Svizzera e una volta al Delfinato e nei primi tre casi uscivo dal Giro d’Italia. In quegli anni infatti, chi usciva bene dal Giro, andava in Svizzera e sfruttava la coda della condizione. C’era il confronto scontro tra chi doveva fare il Tour e chi veniva dal Giro.

«Ricordo che nel 2001 Simoni vinse il Giro e arrivò secondo allo Svizzera, dietro Armstrong che puntava al Tour. Io arrivai terzo, fu l’anno che mi squalificarono dal Giro e anche quello della presunta positività di Armstrong che fu coperta. Non credo che oggi qualcuno che ha fatto classifica al Giro d’Italia vada in Svizzera con lo stesso obiettivo. Mi pare che ci sarà Frigo e magari se ne servirà per fare un salto di qualità. Se ci scappasse un bel piazzamento fra i primi cinque, sarebbe già tanta roba».

Niente Giro per Hindley quest’anno, ma classiche, Delfinato e Tour
Niente Giro per Hindley quest’anno, ma classiche, Delfinato e Tour
Per parecchio tempo, chi puntava deciso sul Tour evitava di spremersi nelle corse di vigilia. E’ ancora così?

Sì, ma fino a un certo punto. Nel senso che essendo cambiata un po’ la programmazione dei corridori, non hanno bisogno della corsa per trovare la condizione. Per cui sicuramente qualcuno proverà la gamba e chi magari è già al top si può anche nascondere.

La corsa non è più indispensabile?

Mentre prima scendevi dall’altura e avevi bisogno di correre per fare ritmo, adesso i corridori scendono dall’altura e arrivano alle corse che sono già pronti. Vi faccio l’esempio di Thomas che subito prima del Giro ha fatto il Tour of the Alps, ma quasi non lo abbiamo visto. Con la tecnologia, la preparazione e la metodologia di adesso, sanno già a che percentuale di condizione sono. Per cui ci sta che qualcuno al Delfinato si nasconda.

Sfuggendo al confronto?

Qualcuno proverà anche a misurarsi con gli altri, ma non saranno confronti al 100 per cento. Se poi sei uno che non può vincere il Tour de France, allora ci sta che vai forte e ti porti a casa il Delfinato. Il Tour possono vincerlo in pochi, è giusto che altri cerchino gloria altrove.

Si dice che si va al Delfinato anche per fare l’abitudine al correre francese. E’ ancora così?

DI sicuro al Delfinato inizi a respirare un po’ il clima del Tour. Parlo di strade, hotel e tipologia di salite. Allo Svizzera le strade sono diverse, l’ambiente è diverso. Magari il contesto generale sembra quello di una corsa di dilettanti, però si va forte e magari trovi corridori che ormai conoscono molto bene il Tour e non hanno bisogno di correre sull’asfalto francese. Al confronto di quelle stradine, i percorsi dello Svizzera sono perfetti e la pedalata ne è condizionata.

Correre il Delfinato significa anche fare l’occhio al contesto francese in cui si correrà il Tour
Correre il Delfinato significa anche fare l’occhio al contesto francese in cui si correrà il Tour
Sono così particolari le strade francesi?

Sono strette, bisogna conoscerle. Come la prima volta che vai in Belgio e non capisci bene. Sei sempre a tutta e vedi i corridori che passano sulla pista ciclabile, oppure strade larghe che di colpo diventano strette. Sono le situazioni che devi conoscere se vorrai fare il Tour per vincere.

Quando correvi tu, era raro trovare squadre italiane al Delfinato…

Perché andare in Svizzera era più comodo per tutti, mentre adesso si sono orientati tutti sul Delfinato. Anche perché c’è un altro aspetto che va tenuto in considerazione: il Delfinato è organizzato dagli stessi del Tour, quindi c’è da considerare anche l’aspetto diplomatico. E poi finisce una settimana prima dello Svizzera, lasciandoti più tempo per lavorare.

Pogacar fa ancora una volta eccezione: correrà il Giro di Slovenia, lontano dai rivali del Tour
Pogacar fa ancora una volta eccezione: correrà il Giro di Slovenia, lontano dai rivali del Tour
Non si è ancora ben capito che cosa farà Bernal: se lo porteranno al Tour e dove correrà alla vigilia.

Forse un corridore come Egan, che rientra senza conoscere le sue condizioni, farebbe meglio a evitare il Delfinato. Neanche lui sa come stia, io eviterei i confronti più severi. Però magari lo portano al Tour per puntare alle tappe.

Perché invece Pogacar si preparerà al Giro di Slovenia?

Perché va forte e non ha bisogno di confronti diretti. Ormai sa quali sono le sue qualità e la sua forza. La corsa in Slovenia gli dà comunque morale, corre senza tirarsi troppo il collo e non si stressa a livello mentale. Non è che dormirà a casa sua, però vedere il tuo pubblico ti può dare la carica. Avete visto al Giro che belli erano i tifosi di Roglic?

La doppia uscita sarà la regola: il Belli pensiero

30.11.2022
5 min
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Due sedute di allenamento, entrambe in bicicletta. Per Wladimir Belli, preparatore atletico ormai di lungo corso, il futuro del ciclismo sarà questo. Alla doppia seduta si è arrivati da qualche anno, ma la differenza è che oggi si va al mattino in bicicletta e al pomeriggio in palestra per pesi o esercizi di corpo libero: a breve ci sarà la bici anche al pomeriggio. Ma anche il ciclismo, come il resto del mondo e degli altri sport, va verso la ricerca di una prestazione sempre più di alto livello. Che sconfina a volte nel fanatismo, nell’esagerazione, nella perdita di un romanticismo che da sempre contraddistingue questo sport e i corridori che lo animano

Belli è da qualche anno un preparatore e uno degli opinionisti più autorevoli di Eurosport
Belli è da qualche anno un preparatore e uno degli opinionisti più autorevoli di Eurosport

«Oggi – spiega Belli – già dopo il Lombardia alcune squadre radunano i propri corridori in ritiro. Si stacca sempre meno, difficilmente si va oltre i venti giorni di vacanza tra la fine della stagione e l’inizio della preparazione invernale».

Una modalità che rischia di logorare fisico e testa e che si aggiunge ad altri accorgimenti tutti diretti verso la stessa direzione: professionisti concentrati sul lavoro 12 mesi l’anno

«Anche con l’alimentazione è così – aggiunge colui che oggi è anche un’apprezzata voce di Eurosport – i corridori non ingrassano più fino a 6 chili come succedeva un tempo. Rimangono sempre vicini al peso forma, ma questo richiede sforzi e sacrifici».

Matteo Trentin
Trentin ha spesso praticato sci di fondo alla ripresa dell’attività: vivendo a Monaco, la tentazione bici è però molto forte
Matteo Trentin
Trentin ha spesso praticato sci di fondo alla ripresa dell’attività: vivendo a Monaco, la tentazione bici è però molto forte

Sport alternativi

Altro aspetto che stride con quanto si era soliti fare fino a qualche anno fa: gli sport alternativi.

«Nella pausa invernale – ricorda Belli – frequentemente ci si dedicava ad altre attività come la corsa in montagna, le camminate in quota, oppure il classico sci di fondo o il nuoto. Questo oggi non è più consentito. Quando si riprende dopo la pausa, si monta subito in sella per macinare chilometri. L’unico sport alternativo accettato è la mountain bike, ma sempre di bicicletta si tratta».

Eccezione cross

Così per quasi tutti. Fortunatamente, almeno per chi ricerca nel ciclismo ancora tracce del suo dna, c’è chi varia sul tema. E non sono nomi da poco, anzi.

«Van Aert e Van der Poel – spiega l’ex corridore bergamasco – corrono ancora a piedi durante la preparazione invernale. Questo però perché sono anche ciclocrossisti praticanti, cosa che gli consente di non perdere la brillantezza che, al contrario, gli altri sport possono togliere, imballando un po’ la gamba».

Van Aert corsa 2022
Van Aert corre a piedi a Livigno: una fase di preparazione che non manca mai dal suo programma
Van Aert corsa 2022
Van Aert corre a piedi a Livigno: una fase di preparazione che non manca mai dal suo programma

Lo stress logora

Mode che passano e che si mescolano ad evidenze scientifiche. Ma Belli è d’accordo o meno con la nuova tendenza?

«Non sono molto d’accordo – risponde sicuro – perché questo stress psicofisico rischia di accorciare le carriere dei corridori ed esasperare il mondo del ciclismo. Credo che staccare di più e dedicarsi a qualcosa di altro sia necessario per tutti».

Qualità e quantità

Di certo c’è che non è più utile ricorrere ad allenamenti eccessivamente lunghi. Le corse stanno diventando sempre più brevi – ad eccezione delle classiche Monumento – per cui la qualità prevale sulla quantità.

Ad incrementare la specificità e la qualità degli allenamenti, sono arrivate anche le nuove scuole. Quelle nordiche ad esempio (Danimarca e Norvegia su tutte) per cui, grazie alla facilità con cui si può viaggiare oggi, si riesce ad allenarsi anche d’inverno in luoghi più idonei alla bicicletta, esportando il modello. Senza dimenticare la scuola britannica, esplosa da Wiggins in poi. E l’Italia?

Le gare si accorciano e scendono i volumi di allenamento. La tappa pirenaica di Peyragudes, misurava 129,7 chilometri
Le gare si accorciano e scendono i volumi. La tappa pirenaica di Peyragudes, misurava 129,7 chilometri

«Abbiamo da sempre un’ottima scuola come preparatori atletici – sottolinea Belli – ma pecchiamo nelle categorie giovanili. Il discorso è complesso e ampio, tutto parte dalla necessità di rivedere il concetto di sport nelle scuole. Ora è trascurato, mentre negli altri Paesi hanno capito che educare i giovani allo sport incide sulla salute pubblica a lungo termine.

«Il ciclismo dovrebbe anche tornare un po’ indietro, quando ogni paese di provincia aveva la propria squadretta e portava i corridori a gareggiare senza badare a troppe strategie. Oggi invece il successo a tutti i costi è inculcato dalle famiglie e dalle stesse squadre».

Poter leggere su Strava i dati di un professionista in allenamento potrebbe far saltare i riferimenti per gli atleti giovani
Poter leggere su Strava i dati di un professionista in allenamento potrebbe far saltare i riferimenti per gli atleti giovani

Rischio social

In ultimo, la questione della condivisione dei dati di allenamento che porta i giovani a voler emulare i professionisti dal momento che possono vedere come si allenano.

«Succede sempre più spesso – chiude Belli – ma può essere un problema. Oggi tutti sanno tutto, mentre un tempo si guardava ai professionisti più esperti cercando di carpire segreti e imparare il mestiere. Rientra nel discorso delle performance a tutti i costi, che poi rischia di presentare il conto: se da giovane vinci tutto, poi da professionista incontri difficoltà e rischi di saltare subito».

Un po’ corridore, un po’ preparatore: è il Belli commentatore

03.07.2022
4 min
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Che un commentatore tecnico sia anche un ex corridore non è una novità. Ma che sia anche un preparatore sì. A questo profilo risponde Wladimir Belli, grande professionista a cavallo tra gli anni ’90 e il 2000.

Belli è sempre molto tecnico nei suoi commenti: snocciola numeri e nozioni di chi certe cose le vive da dentro. Per un periodo, era il 2017, è stato anche nello staff della Gazprom-RusVelo. Adesso lo ascoltiamo nelle dirette di Eurosport.

Wladimir Belli (classe 1970) è stato pro’ per 16 stagioni. A fine carriera ha sempre fatto il preparatore
Wladimir Belli (classe 1970) è stato pro’ per 16 stagioni. A fine carriera ha sempre fatto il preparatore
Wladimir, quando e come è iniziata la tua carriera di commentatore?

E’ iniziata sette anni fa quasi per caso. 

Cioè?

Io ho corso fino al 2007. Poi per due anni sono stato relativamente “alla finestra”, diciamo così, per quel che riguarda il mondo del ciclismo. In quei due anni ho aperto una ditta edile con un mio amico. Poi lui ha continuato mentre io sono uscito dalla società. E ho deciso di tornare nel ciclismo. Che poi in qualche modo ci ero rimasto sempre come preparatore, biomeccanico…

Come ti hanno contattato?

Diciamo che mi hanno ascoltato presso un’emittente della concorrenza. Eurosport stava ampliando il suo pacchetto inerente al ciclismo. Gli sono piaciuto per come parlavo e mi hanno contattato.

Cosa ti affascina di questo mestiere?

Di stare nel ciclismo. Mi piace l’idea di commentare e dare al pubblico le mie esperienze e i miei aneddoti da corridore. Riesco a leggere la corsa e ad anticipare ciò che succede. In questo modo riesco a condividere le emozioni col pubblico. Alcune cose che prima vivevo da corridore, adesso le vivo da commentatore.

Wladimir Belli, Giro d'Italia 2003, Zoncolan
Sin da quando era corridore, Belli è sempre stato molto attento ai numeri
Wladimir Belli, Giro d'Italia 2003, Zoncolan
Sin da quando era corridore, Belli è sempre stato molto attento ai numeri
C’è passione in ciò che dici. E come si mescolano quindi il “tifoso”, l’ex corridore e il preparatore?

In effetti certe emozioni rimangono. E’ un bel mix. In alcune corse entro proprio nella parte, a volte anche troppo! Mi immedesimo nel corridore, in ciò che sta facendo, in quell’azione o in quell’impresa.

Hai quasi il mal di gambe anche tu!

Magari non mi batte il cuore a 200 pulsazioni, ma ho la pelle d’oca. Per esempio mi ha colpito molto quando ha vinto Girmay alla Gand.

Tante emozioni, Wladimir, però sei molto tecnico: quanto incide la componente del preparatore?

Io faccio dei test, curo la biomeccanica e la preparazione: pertanto ho dei riferimenti, dei numeri rispetto ai ragazzi che seguo e già questo mi aiuta. In più sono sempre stato appassionato di numeri e ritmi. Ai miei tempi quando correvo e mi allenavo prendevo i tempi sulle salite. Controllavo la cadenza, incrociavo il tutto con le sensazioni, anche in base a quanto avevo spinto, e cercavo di capire come stavo.

E tutto ciò trova riscontro anche nelle tue telecronache?

Non vorrei sembrare arrogante, ma sì. Molto spesso ci azzecco. Vedendo come affrontano magari una salita o determinati tratti, capisco come stanno, capisco se la fuga può andare oppure no. Per esempio la fuga di Ciccone al Giro era chiaro che sarebbe andata in porto.

Cosa guardi?

Cadenza, rapporto, incrocio i dati.

Per Belli l’impresa più bella che ha seguito da commentatore è stata quella di Froome (qui sul Finestre) al Giro 2018
Per Belli l’impresa più bella che ha seguito da commentatore è stata quella di Froome (qui sul Finestre) al Giro 2018
C’è qualche impresa che hai commentato e ti ha colpito particolarmente?

Beh, devo dire che Girmay alla Gand è stato un gran bel momento, come ho detto. Mi è piaciuto molto il Fiandre di Bettiol, ma più di tutti credo mi sia rimasta dentro l’impresa di Chris Froome al Giro del 2018. E io non ero un ammiratore di Froome. Per me che sono vecchia scuola, lui era troppo robotico. Ma quel giorno ha compiuto un’impresa che mi ha fatto ricredere sul suo conto. Non credevo potesse farcela, sul piatto mise tanto.

Ecco, per esempio, quel giorno cosa guardavi, come ti regolavi per i tuoi commenti?

Cercavo di capire come andava Froome e come andavano gli altri, tanto più dopo che il gruppo era esploso. Cercavo di intuire la sua prestazione, se poteva tenere quel passo fino in fondo. Mi rendevo conto che stava facendo numeri importanti.

E come?

Calcolavo i tempi e in base al suo peso, i wattaggi e la Vam (velocità ascensionale media, ndr). Chiaramente non era facile non conoscendo il suo peso esatto. Però avevo una buona stima di ciò che stava facendo. Restava il dubbio se potesse tenere sino in fondo. Ma più passavano i chilometri e più la sua azione assumeva una dimensione storica. Ci ha messo tanta testa, tanto cuore e tante gambe. Che poi è un po’ il mio motto.