Wladimir Belli, Marco Pantani, Giro d'Italia 2001

I due giorni che cambiarono la carriera di Belli

06.01.2021
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Quando Wladimir Belli vinse il Giro d’Italia dei dilettanti nel 1990, eravamo tutti un po’ più giovani. Ma lui, che aveva ancora 19 anni, aveva davvero la faccia di un bambino. Fu l’ultimo Giro di quel tipo, con i giovani sullo stesso finale dei pro’, nell’edizione di Bugno in rosa dall’inizio e folle clamorose sulle strade. Nacque lì la sua rivalità, poi diventata amicizia, con Marco Pantani: nella foto di apertura i due sono insieme al Giro d’Italia del 2001.

«Immaginate cosa fosse per noi ragazzi – ricorda sorridendo Belli – fare Pordoi e Aprica con tutta quella gente? Se devo dire, si tratta ancora del mio ricordo più bello, perché mi proiettò verso il professionismo».

Wladimir Belli, Giro d'Italia 2003, Zoncolan
Wladimir Belli, al Giro d’Italia del 2003, per la prima volta sullo Zoncolan
Wladimir Belli, Giro d'Italia 2003, Zoncolan
Belli, al Giro d’Italia 2003, sullo Zoncolan

Belli è stato professionista dal 1992 al 2006 con 11 vittorie fra le quali spicca il Giro del Trentino del 1996. Le attese su di lui erano altissime, perché oltre ad aver vinto il Giro, fra i dilettanti aveva vinto anche il Val d’Aosta. Ma in quel ciclismo dalle tante variabili e le strane variazioni, il bergamasco fece sino in fondo la sua strada. Oggi Belùn è uno degli opinionisti di riferimento di Eurosport e nel tempo libero fa anche il preparatore.

«Eurosport – dice – è quello che mi dà la continuità. Sul fronte degli atleti, ieri ero a Brescia a fare il test a quattro juniores, per consentire al loro direttore sportivo di impostare la preparazione. Altri invece li seguo da me alla vecchia maniera. Non mi piace mandare le tabelle via mail, molto meglio vedersi. E poi aiuto anche qualche professionista».

Quanto è impegnativo il lavoro con Eurosport?

All’inizio faticai per capire come funzionasse, fra la regia italiana e quella internazionale e tutto il meccanismo. Adesso ci sono da sei anni e siamo tutti soddisfatti. Dobbiamo arrivare in studio 45 minuti prima, ma io di solito faccio due ore, così ho il tempo per le mie cose. La prima volta, sarà che ero in ansia, arrivai talmente presto che mi misi sopra una coperta e dormii lì davanti, con la macchina accesa. Con il Covid purtroppo le cose si sono complicate.

Wladimir Belli, Alberto Loddo, Josè Serpa, Santo Anzà, 2007
Nel 2006 con la Serramenti Diquigiovanni, assieme a Loddo, Serpa e Anzà
Wladimir Belli, Alberto Loddo, Josè Serpa, Santo Anzà, 2007
Nel 2006, con Loddo, Serpa e Anzà
Che cosa è successo?

Tra il Fiandre e la Vuelta ci sono stati dei positivi in studio e siamo finiti a fare il commento da casa, davanti al computer. Già non è semplice senza essere sul posto. Devi documentarti, attingere all’esperienza da corridore, telefonare agli amici. Ma da casa il problema è anche inserirti per fare un commento. Normalmente segnali al commentatore che hai da dire qualcosa, da casa ero costretto a parlargli sopra e non era il massimo.

Non seguite mai le corse?

Ad ora gli unici sono stati Gregorio e Magrini, che hanno fatto una Sanremo e forse anche il Lombardia.

Il professionismo ha mai provato ad offrirti qualcosa?

Ho fatto per un po’ il preparatore e anche un po’ di ammiraglia alla Gazprom. Però col passare del tempo diventava incompatibile con Eurosport e ho lasciato. Di recente il team manager, Renat Kamidhuline, mi ha ricontattato, ma davvero non voglio lasciare quel microfono.

Quanti amici ti sono rimasti nel gruppo?

Amici è un parolone. Quando ho smesso e sono un po’ sparito, sono riuscito a distinguere quelli veri dagli altri. Non credo di fare torto a nessuno se cito Guerini, Milesi, Bramati, Cortinovis, Dolci. Alcuni sono ancora nel ciclismo, altri si sono fatti la loro vita. Poi, il tempo di arrivare a Eurosport e ne sono tornati anche altri.

La sensazione è che a un certo punto nella tua carriera ci sia stato un freno.

Ci sono stai due momenti. Il primo fu il giorno in cui morì Diego Pellegrini al Val d’Aosta. Io non c’ero, ma mi segnò. Il secondo fu il giorno in cui morì Fabio Casartelli al Tour e quella volta invece c’ero. Lo avevo salutato prima dello scollinamento. Avevamo corso insieme nelle squadre di Locatelli ed eravamo partiti insieme dall’Italia, non ricordo se da Linate o Malpensa. Lui arrivò in ritardo con la valigia e un pupazzo che gli aveva lasciato sua moglie, perché si ricordasse del figlio nato tre mesi prima. Nella discesa vidi un corridore della Motorola per terra e ricordo di aver pensato che fosse messo male. Solo che pensai fosse Armstrong. Per cui finita la discesa, la corsa si calmò e vidi Lance. Gli chiesi se fosse caduto e lui mi disse che era Fabio.

Wladmir Belli, Gazprom, 2018
Nel 2018 ha collaborato con la Gazprom, come preparatore e direttore sportivo
Wladmir Belli, Gazprom, 2018
Nel 2018 ha collaborato con la Gazprom
Capisti subito?

Andai all’ammiraglia da Pietro Algeri e gli chiesi se si sapesse qualcosa. Non disse una parola, ma la sua faccia non me la scordo più. Mi ritirai subito, non finii la tappa. Ero un sacco vuoto. Va bene la gioventù, pensai, ma iniziai a fare dei ragionamenti un po’ più profondi, che mi fecero crescere come uomo.

Potevi vincere un Giro.

Quello del 2001, quantomeno potevo salire sul podio e sarebbe stato il coronamento della mia carriera. Ero terzo in classifica, quando sulla salita di Santa Barbara diedi il famoso cazzotto al nipote di Simoni, che mi correva accanto insultandomi. L’elicottero aveva fatto la ripresa, adottarono il pugno duro e mi squalificarono. Negli anni abbiamo visto tanti episodi, compreso Lopez che due anni fa ne diede tre al tifoso ubriaco. Pensai che avesse fatto bene, ma a me la stessa cosa costò il miglior risultato della carriera. Stavo bene, avrei potuto vincerlo.

Vai più in bici?

No, da parecchio. Però cammino in montagna, sulla Roncola e quelle intorno casa. Corre mio figlio, invece…

Marco, in onore di… Marco?

Proprio lui, ha 14 anni. L’altro giorno abbiamo letto insieme l’ultimo capitolo di “Era mio figlio”, ma non ce l’ho fatta a finirlo. Marco corre in mountain bike e quando vado a vederlo, mi nascondo. Soffre un po’ la pressione, anche perché a casa lo spingono tanto. E poi c’è mia figlia Vittoria che fa atletica, ma le gare sono ancora ferme.

Durante una telecronaca un ragazzo diversamente abile ti ha ringraziato per il tuo volontariato.

E io in risposta ho ringraziato lui, perché mi offrono la possibilità di aiutarli e di crescere. La mia compagna è psicologa e vado spesso in un centro con persone diversamente abili. E’ una dimensione lontana da quella dello sport professionistico. Lo dico sempre che in bicicletta ho imparato una parte della vita, ma questi incontri mi hanno insegnato quale sia la vita vera e fatto capire quanto nonostante tutto io sia stato fortunato.